Dalla guerra più contemporanea
che abbiamo oggigiorno, l’ultima notizia sul giornale è stata quella delle
tavole antiche di terracotta ritrovate in una città Irachena, in seguito a
un’esplosione terroristica che ha dilaniato ventotto soldati americani e un
ambasciatore australiano. Mio nonno Marasco ha detto che gli è dispiaciuto
dell’ambasciatore australiano. Le tavole, di cui tutto il mondo già parla, a pochi
giorni dalla scoperta, sono un puzzle spazio-tempo per gli scienziati ai quali
non è parso vero di ficcarcisi dentro con la testa e tutto. Pare che suddette
tavolette di terracotta siano del secondo millennio avanti Cristo e assolutamente
non originarie della regione compresa tra il Tigri e l’Eufrate, dove sono state
rinvenute, cioè nell’antica Mesopotamia. Ci sono state portate non si sa
quando, non si sa perché e non si sa da chi, ma di quasi sicuro c’è che
dovrebbero essere provenienti dalla zona del Lago Fantasma della Mongolia, qualche
migliaio di chilometri in diagonale, direzione nord-est. Il Lago Fantasma è un
bacino naturale, sì, ma piuttosto scherzoso, di un deserto sassoso di là, che,
con la scusa dell’erosione, dei forti e continui venti e della grande quantità di ciottoli che lo circonda, è in eterno e
costante movimento. È facile documentarsi in internet, pare proprio che il Lago
Fantasma, scoperto già all’epoca di Marco Polo, in seguito non risultava
rispondere agli appelli in caso di controllo o normale conferma dei disegnatori
di mappe o dei viaggiatori che le seguivano. Spesso quel mattacchione non si faceva
trovare dove le cartine geografiche lo indicavano.
A proposito: mi sono ricordato che avevo già visto un
filmato, qualche mese fa, un documentario della National Geographic. Già
da qualche tempo hanno trovato l’inghippo, trattavasi di lago atipico che a
differenza degli altri amava fare delle giratine di qua e di là e pare che
ancora non abbia perso questa singolare abitudine. Dicono che abbia un raggio
d’azione, che per quanto ampio, sia limitato e non quasi esce mai dal pietroso
deserto in questione, se non per qualche emergenza o urgenza idrica, magari di
irrigazione o che ne so io.
Allora mi sono chiesto: come hanno fatto a capire
gli scienziati che le suddette tavole venissero da quelle parti o che esisteva
questo ragionevole ma poco confortevole
dubbio? Presto detto: nelle scritture stesse si parla del Lago Fantasma
e, visto che non se conoscono altri, di questo genere semovente, si fa un
riferimento obbligato. Ecco che il tipo di cultura, di terre ventose e riarse,
dove si vive e si muore principalmente di pastorizia, coincide. Si stanno
facendo supposizioni, anche quelle purtroppo intricate e frammentarie, perché più
che altro si sono trovati pezzi, briciole e polvere di terracotta. Sì, perché
non sempre è possibile leggerle, scritte in una lingua che si sta ancora
faticosamente decifrando e visto che gli studiosi a farlo sono tanti, o magari troppi.
Si sa che quelli si guardano bene dal lavorare in un’unica equipe, ne hanno
formate diverse di forza eguale ma contraria ed ecco che discordano, ogni
giorno, su nuovi particolari. Le tavole ora si trovano negli Stati Uniti ma
stranamente il materiale è stato divulgato al mondo intero, le foto sono
disponibili in internet. Comunque, secondo me, avere come indirizzo il Lago
Fantasma, è una cosa completamente differente dallo specificare, invece, il
nome della via, con tanto di numero civico, nome del quartiere e della città,
codice di avviamento postale e via discorrendo. Magari è più facile confondersi,
dico io.
Intanto nonno Marasco è diventato ghiotto di queste
notizie e mentre guarda un notiziario alla televisione, o un documentario
sull’argomento, si spara un bicchierotto di vino buono, del suo. Se lo fa da
solo, in gran segreto e in cantina, un vino rosso assai saporito e forte di
gradazione, ne fa pochi fiaschi, ne è gelosissimo e non me lo fa quasi mai
assaggiare, eccetto per Natale, Pasqua e poche altre feste comandate. L’uva e
le vigne non ce le ha, non ne ha mai avute.
Però oggi, che era tutto entusiasmato, con questa storia delle Tavole
del Lago Fantasma, mi ha rivelato una cosa, confermando con movimenti
affermativi della testa canuta e con il suo occhietto più arzillo, il destro. Dato
che gli domando ripetutamente dove prende l’uva e altre domande per lui noiose
e inopportune. Mi ha risposto che se la fa portare da un contadino di fiducia,
che - guarda caso - c’ha le vigne proprio sulle rive del Lago Fantasma della
Mongolia e poi ha fatto una risatina catarrosa delle sue che, a volte, e non
troppo raramente, lo piglierei a padellate.
Nonno Marasco vive con me a Scevola, cioè lui al
piano di sotto e io di sopra, in una vecchia casa di pietra, nell’interno più
interno, insomma nelle viscere della nostra dura e montagnosa Toscana
centro-settentrionale. Giammai lavorando, né lui né io, abbiamo parecchio tempo
a disposizione. Io per leggere e guardare le mie adorate Pay-TV. Lui per
sorbirsi il suo vino e le tre scalcinate RAI, visto che tanto il canone si deve
pagare in ogni modo e il vecchio Marasco, prima che un nonno, e un “essere umano” tra virgolette, è un
mitologico avaro. Il risultato è che io, per quanto persona sdraiatamente pigra
e volutamente tagliatasi fuori dal resto del mondo, sono abbastanza colto e preparato
su tante notizie utili o più spesso anche inutili, sul presente e sul passato. Non
amo il condizionale e i congiuntivi, invece, cioè le ipotesi, gli scivolosi
viaggi nella maionese, come quelli di nonno Marasco. Secondo la mia modesta impressione,
trattasi di rincoglionito che non si sa perché stia ancora al mondo. Un giorno
o l’altro mi dovrà pur lasciare i suoi quattrini, che non sono pochi, a quanto
pare. Non spende mai niente di niente e io sono, anche se da lui non
eccessivamente amato, l’unico suo parente in vita.
Ritornando a noi, cioè ai recenti ritrovamenti del
medio-oriente, il test del carbonio e le numerose teste capienti delle
commissioni concorrenti non hanno ancora finito di sondare le confuse
testimonianze del passato. Gli esperti di ogni genere si lambiccano i cervelli
in maniera vorticosa sulle diverse e intricate interpretazioni, perfino i
traduttori hanno i loro grattacapi. Che cosa ne sta venendo fuori? Che
praticamente tutto è scritto là dentro, si chiacchiera e si delibera su vari e
differenti argomenti, anche metaforicamente, si questionano la vita e la morte.
Non si lascia in pace, nemmeno, tutto quello che c’è in mezzo. Le migliaia di
tavole di terracotta che, sminuzzate dalle bombe, contengono segreti millenari,
scritti in lingua indoeuropea mista con asiatici dialetti della steppa più sassosa
e Mongola, di per sé sono un peso non facilmente trasportabile, all’epoca attuale.
Quattromila anni fa, magari, lo erano ancora meno.
Questo strano e mischiato idioma, è stato già
battezzato, non solo ironicamente, il Fantasmatico,
oppure la Lingua con le Ruote,
giacché anche le interpretazioni sono sempre in movimento, originarie di un
lago che neppure sapeva star fermo, sono traduzioni in versioni molteplici e perciò
discutibili, ma, proprio per questo, intriganti. Una parte è costituita dalle regole
di comportamento umano, di migliaia di anni fa, che però sembrano attualissime
e la gente disorientata dalle ultime guerre reali e dai conflitti virtuali ed
esistenziali, le sta già mettendo in pratica, man mano che appaiono sui vari
giornali. Non solo qui da noi, credo, non solo in Toscana, né in Italia, ma un
po’ in tutto il mondo, almeno a quanto ci risulta, sempre informati dai soliti,
spesso sfacciatamente bugiardi, giornali e telegiornali.
Gli esseri umani sono dei fenomeni della natura, li
vedi diffidenti rispetto a tutti e a tutto, ma se una cosa viene trasmessa alla
televisione, anche se è una bischerata… anzi, specialmente se è una bischerata,
pure senza la minima ragionevole conferma, diventa improvvisamente il
sovvertitore di tutte le loro regole precedenti. Andrebbero presi a manate un
po’ tutti, ma anche così, non credo che migliorerebbero e poi sarebbe una
faticata. Figurarsi che in tanti giurano, addirittura, che stavano già facendo,
senza saperlo, istintivamente, magari guidati da una misteriosa ma benefica
forza cosmica, quello che il profeta Hussamer Horetzi Tarote aveva predicato
quattromila anni prima. Questa è una di quelle coincidenze che hanno del
soprannaturale.
Oppure è una delle solite assurdità di un certo tipo di gente alienata
della nostra era che, nella sua confusione mentale, qualsiasi moda che gli
s’infila di nascosto nel cervello, a loro gli sembra, di conseguenza, conforme
e conferma al loro più sincero istinto naturale. Proprio perché quest’ultimo è
una cosa che non sanno più da tempo cosa sia.
Pare che il pacco, in totale, sia composto da
quattromilaventisei regole, divise in sezioni che non tengono per niente conto
di argomenti e ordini più razionali, ma solo di una sequenza cronologica, perciò
la prima è la più vecchia. Anche se può essere ripresa e perfezionata, in
seguito, senza problemi, all’interno dello stesso codice, usando un numero di
riferimento oppure anche tranquillamente dimenticandosene.
Ciò non semplifica il compito di gente che sta già
facendo confusione da sola, senza bisogno d’incentivi o di giustificazioni. Non
tutte le tavole si sono salvate, alcune si sono sfracellate nell’esplosione,
altre si sono rotte e sciolte col tempo, in alcune le parole si sono mezzo
cancellate. Quello che importa, però, non è tanto sapere cosa dicono,
oggettivamente, ma interpretare, trasferire nello spazio e nel tempo le regole.
Potrebbero essere utili a confondere, ancora di più,
la testa già persa dei cittadini di questo caos che è il mondo moderno. È
impressionante l’attualità di quegli articoli stramillenari, la loro
incredibile applicabilità alla vita moderna, secondo gli esperti. Ecco che
stavolta sono tutti d’accordo, sono rimasti tutti a bocca aperta, entusiastici,
all’unanimità. Se esisteva il marketing, in quell’epoca lontana, quel Tarote
doveva averlo studiato bene e anche se ora, per quanto se ne sa, non possa più
riscuoterne i risultati pratici, dovunque si trovi, probabilmente se la sta
ridendo. Il sacerdote in questione è stato capace di catturare l’attenzione generale
del pubblico anche perché le sue cose abbracciano vari argomenti, o sono spesso
tanto vaghe parabole da poter essere interpretate in decine di maniere
differenti. La lingua è quella che è, in più le bombe dei terroristi hanno
fatto il resto, sfracellando le frasi al punto giusto.
Ci sono profezie, regole di vita, ma anche poesie, cronache e ricette di cucina, si fa per dire, risultati e perfino commenti delle partite
di uno sport antico, ancora praticato sulle montagne al confine tra Afghanistan
e Pakistan. Il che confermerebbe anche la tesi del deserto Mongolo e del lago
Fantasma che poteva, visto che si trovava di passaggio, esserci andato a farsi
un giro e poi il tipo di cultura è lo stesso o almeno assai simile. Oppure gli
scienziati preferiscono pensarla così. Lo sport, come lo praticano ancor’oggi, assomiglia
un po’ al Polo, ma fa un po’ più schifo, si può riscontrare anche in internet e
si gioca più o meno in questa maniera: cavalieri variopinti in numero uguale di
due squadre devono portare un montone senza testa e gambe aldilà di una riga
tracciata in precedenza.
Questo poeta-profeta, sacerdote e giornalista di un
tempo in cui i giornali non esistevano ancora, ma anche pastore e cuoco, nonché
saggio della montagna, in più appassionato sportivo a tempo perso di un gioco
che pare perso nel tempo, ma ancora attuale... questo Tarote è, insomma, una
personalità assai differente da quelle già conosciute in precedenza, almeno di
quelle epoche là in fondo a destra.
Ci detta le nostre regole di vita con una precisione
“che un c’è da sbagliassi”, dice nonno
Marasco che è già tutto infervorato e le sue attività al momento sono diventate
fondamentalmente tre: fare il vino, scolarselo e seguire alla lettera le regole
del Lago.
Non so se per me è un vantaggio o una condanna,
averci nonno Marasco trai piedi, ma se i traduttori e lo staff di là non ci
capiscono niente, lui la sua me la dice sempre al volo, giusta o sbagliata e c’infila
sempre dentro l’ameriani... che “anche
senza sapello, un c’è da sbagliassi mai”.
Insomma, se a qualcuno interessasse, ecco alcune delle regole e i
relativi commenti e discorsi a biscaro. Qui mi rivolgo ai posteri, magari agli
eremiti, insomma a quelle fortunate persone che non leggono giornali e non
vedono la televisione, gente che non ha partecipato a questa corsa forsennata
verso il sapere cosmico, a questo tuffo nella saggezza del passato, a questo
incredibile e forse altrettanto fasullo attraversamento di spazio e tempo per
arrivare a quello che si sapeva già e l’aveva detto per primo il filosofo
danese Kierkegaard: non si può realmente sapere, si può solo aver fede.
Da notare c’è anche che, quando mancano parole o parti di frasi e così
via, nelle tavole danneggiate dal tempo e dalle bombe, gli studiosi riempiono i
vuoti con la loro elastica abilità di usare la logica, soprattutto per
confermare le loro precedenti tesi e fregandosene dei guai che provocano in
giro per il mondo.
Il che potrebbe essere anche il mio caso.
Però, dall’altro lato di questa mia, magari pessimistica, profezia
personale, una cosa interessante lo è veramente, questo misterioso e strano
agglomerato di regole, almeno come testimonianza antica. Al di fuori dalle
norme e dalle relative interpretazioni, dalle illazioni varie e ramificate, c’è
veramente un robusto aggancio con il moderno, visto che si parla sempre di
pecore e di montoni. Le pecore e i montoni vanno dietro l’una all’altra, quella
che sta davanti potrebbe essere anche la più stupida, ma nessuna di loro
questiona questo suo aspetto, la seguono ciecamente.
Intanto cominciamo, piuttosto, a vederli con ordine e calma, questi a
loro dire preziosi insegnamenti, che dal passato invadono il presente... e se a
invitarli sono stati l’ameriani,
allora devo dire mio malgrado che ha proprio ragione nonno Marasco. Partiamo da
quella di numero più basso:
Regola 23
Beato sia il
disorientato, non percepirà la differenza, il suo cammino sarà vario e
imprevedibile, una distesa di possibilità che avrà sempre di fronte, ignorando
i principi e le applicazioni, senza nemmeno sapere in che parte della storia si
trova e, già che c’è, fregandosene pure della geografia.
Questa regola, anche se apparentemente vaga, viene interpretata, secondo
la Nazione, attraverso la colta penna biscegliese di Nicola Gallicchio, come
uno stimolo alla libertà che l’uomo ha sempre di più perso, risucchiato dal
lavoro e dalla sua sete di potere e di denaro. Nonno Marasco ha battuto le mani
tutto contento, quando gliela ho letta, come se lui avesse sempre pensato la
stessa cosa e fosse lieto che qualcuno gliela avesse finalmente confermata.
Le Tavole in un certo senso sono miracolose: hanno
il potere di dividere almeno in due parti l’umanità. Ci siamo trovati subito
dai due lati opposti, è vero che c’eravamo già prima: nonno Marasco ci crede e
io no. Ma ecco una seconda applicazione, bella fresca di giornale appena
stampato:
Regola 28
Il
pastore salì sui pascoli alti colle sue sessanta pecore, le amava tutte come
figlie, erano la sua famiglia, le conosceva per nome, le aveva viste nascere,
erano la sua unica compagnia... (e così via per una
mezza paginata, che in piccole tavole di terracotta sbriciolate certamente sono
anche di più.)
Imperversò allora la
burrasca e il gregge si sparpagliò, una delle sue preferite, si perse: Feguiàh
la Giovane.
(Da non confondersi con Feguiàh la Vetusta, tutto un altro tipo di ovino,
si capirà poi in seguito.)
Il pastore lasciò tutte
le altre e andò a cercarla, la cercò per dieci giorni e dieci notti, al termine
dei quali vide quanto stolto era stato: aveva perso anche se stesso e tutte le
altre cinquantanove... pur senza ritrovare Feguiàh la Giovane.
Oltre che il pastore era un fesso, non so che altro se ne potrebbe
ricavare. Assai oscura questa interpretazione, almeno secondo me ed Erminio
l’idraulico, che insieme ci troviamo al bar di Moreno per fare una partitina a
carte e qualche scambievole discorso a biscaro, sui programmi dei computer e quelli
della televisione a pagamento. Erminio di solito
concorda con le mie tesi, che hanno spesso come primo principio di tendenza
quello di contrariare le opinioni altrui, in genere, ma in particolare quelle
di nonno Marasco. Su queste regole, forse per la prima volta, ci stiamo già un
po’ accapigliando. Lui le vede più come mio nonno e questo branco di pecoroni
che mi scopro attorno sempre più vasto.
Intanto Nicola Gallicchio,
archeologo esperto in lingue antiche, umanista e manipolatore di popoli
sprovveduti, giornalista polemico e ruffiano allo stesso tempo, butta là la sua
puntuale quanto forzata ipotesi. Che sia, invece di una regola, una profezia e
il pastore rappresenti il presidente Bush, che per ritrovare la pecora
smarrita, ciòè salvare l’America dalla bancarotta, stia dannando il resto del
mondo... che, per una strana coincidenza, pare che a quel tempo si stimasse composto
da sessanta paesi conosciuti, sessanta, (?) proprio come le pecore del pastore?
Evidente, secondo Gallicchio, anche il riferimento a Feguiàh la Vetusta, come
simbolo dell’antica Europa unita all’ancor più vecchia Asia, il vecchio mondo,
mentre Feguiàh la Giovane rappresenta gli Stati Uniti, il nuovo mondo, e, alla
fine, purtroppo e immeritatamente, si perdono tutti e due. Inevitabile quanto
indesiderato, a questo punto, il commento di nonno Marasco che dice che “l’ameriani sono anche troppo avanti per i
loro tempi, un li ‘apisce nessuno ma ‘n ‘compenso rompino ‘oglioni a tutti...”
Intanto noi qua a Scevola si vive un poco come si
viveva un tempo in campagna, c’abbiamo quattro o cinque galline stanche, una
vecchia mucca per il latte, il maiale lo tiriamo su ad avanzi della nostra
tavola e dicono ancora che questo è il modo migliore. Insomma, in alcune cose
ci si può salvare ancora dalla globalizzazione. Io c’ho la pensione d’invalido,
anche se ho solo trent’anni, sono stato precoce perché son figlio d’arte. Mio
padre, che Allah l’abbia con sé, (già che Dio non potrebbe,) era convinto d’essere
un truffatore dello stato, ma io credo che si sia auto-truffato per tutta la vita.
Sì, invalido lo era veramente, ma di cervello. Ha passato una vita schifosamente
infame, ha dovuto sempre fingere di zoppicare. Aveva così tanta voglia di
zoppicare che io sono nato zoppo, due difetti complementari: una gamba più
corta e una più lunga. Mio nonno Marasco, dal canto suo, ha vissuto quasi tutta
la vita senza un braccio e un occhio, persi in guerra... in più c’ha questa
fissazione dell’ameriani.
Non credo proprio che ce l’avesse prima della
seconda guerra mondiale, che è quella a cui ha preso parte e ci ha lasciato
anche due pezzi del suo corpo. Lui lo chiama il conflitto belliho, l’unico veramente importante. Tanti dicono
che gli americani ci hanno salvato, in quell’occasione, dal diventare una
colonia della Russia, ma se ci si azzarda a citare tale considerazione, mio
nonno comincia a bestemmiare, a battere il bastone sul tavolo, non c’è niente
che lo fa andare più in bestia. Se ho ben capito, dice che proprio da quel
momento in poi l’ameriani si sono
sentiti in diritto di mettere il becco su tutto quello che succede nel mondo e
che… se non succede, lo fanno succedere loro e così via.
A Scevola, di gente ce n’è poca, ma quella poca, in
compenso, non ha molto da fare. Ci deve essere qualcosa nell’acqua che beviamo,
oppure una maledizione antica, insomma qualcosa che ci rende differenti, chi lo
sa? Forse una combinazione di questi due fattori. Come nell’antica Grecia,
nella quale i cittadini cominciarono a fare i filosofi, visto che a lavorare ci
pensavano gli schiavi, sono tante le domande inutili che ci poniamo sul senso
della vita, ogni santo giorno che Dio mette in terra, anche se la maggior parte
rimarranno senza risposta. Ecco perché le tavole qui hanno successo, perché
danno a tutti una risposta e non importa che sia giusta o sbagliata, come le
religioni, e ognuno la interpreta come vuole. È un mistero, per esempio, il nome
del nostro paese, Scevola, che più appropriato non potrebbe essere. Assai
lontano da qui il romano Muzio si bruciò simbolicamente la mano, di sua
spontanea volontà, e fu il progenitore della nostra lunga serie d’invalidi.
Per
le quattro strade polverose e sempre in ripida salita o in discesa a rompicollo
del nostro paesello, si parla sempre di più di Hussamer Horetzi Tarote, un uomo
che, migliaia d’anni fa, diceva già delle bischerate d’avanguardia. Non
sfigurano affatto al paragone con quelle di oggi, comprese quelle dette in
tutti i bar di campagna e forse anche in quelli di città. Anche se nel bar di
Moreno, io credo che siamo aldisopra di tutti i livelli conosciuti. Per il torpiloquio
credo che ci troviamo nelle prime posizioni mondiali, per non parlare delle
bestemmie che in Toscana ne siamo campioni in quantità e fantasia. A Scevola
abbiamo più motivi di tutti, per bestemmiare, o almeno ci pare così e poi anche
il tempo non ci manca.
Nonno
Marasco da anni non leggeva più i giornali, ma ora è se ne è venuto fuori che
voleva addirittura andare dall’oculista a Pistoia e là ci si è comprato un paio
d’occhiali che costano più d’una centinaia
di euri, come dice lui. Avevo voglia io di dirgli che bastava una lente
sola, l’ha voluta e vera anche dalla parte di là, glielo ho detto più volte di
comprarla di plastica, che ci poteva risparmiare un pochino.
Macché.
Nulla.
Dopo
ho scoperto il perché, ci si era messo di mezzo il nobile Hussamer Horetzi
Tarote, che, in una regola apparsa sul
Tirreno di domenica scorsa, la numero 34,
ha dichiarato:
“Ognuno di noi che ha
perso in guerra, o in altro officio sacro, un arto o una parte del nostro
corpo, non disperi, la natura è misteriosa e generosa, basta seguirla, giammai
violentarla, sarebbe stoltezza, tutto si riaggiusterà, con un poco di
pazienza... basta pregare e rispettare la santa natura…”
Ecco perché nonno Marasco ha voluto le due lenti, pur avendo un solo
occhio, giacché, se Hussamer Horetzi Tarote avesse ragione, gli rispunterà, con
solo un poco di pazienza, quell’altro, fra un mese o un anno... non si sa, ma
lui, per non correre rischi, intanto, sta cercando faticosamente di smettere di
bestemmiare. In quanto alle preghiere, come gli consiglia il Santo Profeta, se le
dice, le dice di nascosto, istintivamente se ne vergogna un po’. Poi c’è anche il braccio
che gli garberebbe che gli ricrescesse... allora anche la sua espressione
furbesca si è religiosamente ingentilita. Mi fa quasi pena a volte, questo
infernale vecchietto, ma altre volte mi pare che nonostante tutto stia meglio
lui.
La regola 37, pubblicata sul Tirreno di stamattina, è una ricetta, da
fare con carne di montone. Da questo e da altri frammenti, il sedicente
perspicace giornalista di Bitonto, Pino Casalabbate, risale alle origini
pecoresche del luogo dove il profeta viveva e alla terra riarsa, scarsissima di
vegetazione. Si
raccomanda per un succulento pranzo, in un’occasione speciale, come il matrimonio
di un cugino sacerdote, che per noi cattolici è proibito, ma chi se frega. Il
montone va dissanguato e seccato, meglio se un cosciotto, poi sotterrato vicino
ad un albero solitario, il tipo di albero non ha importanza, basta che non sia
un Bhgui, che non hanno ancora capito
che albero sia, ma che difficilmente cresce dalla nostre parti. Certo che se ce
ne fosse anche uno solo e qualcuno malauguratamente sotterrasse il montone
nelle sue immediate vicinanze, si avverte che ne farebbe diventare troppo amaro
il sapore. Esattamente tre giorni dopo, liberato dalle inevitabili formiche e
altri insetti o animaletti affamati di qualsivoglia tipo, bollito con spezie e
accompagnato con riso, diventa una leccornia. Tutto questo secondo i gusti
dell’epoca e dei luoghi, certo non simili ai nostri e alla cucina mediterranea.
Gli esperti stanno cercando, per ora invano, di capire quali siano le spezie,
ma vuoi per la frammentarietà del testo, vuoi perché si tratta di una lingua
antica, ma nuova per noi, le spezie non si sanno ancora e, detto tra noi, è
piuttosto interessante che stiano litigando sulla parola spezia, perché secondo alcuni, il vocabolo nerguzeq non ha lo stesso significato che noi gli stiamo
attribuendo, perché comprende anche l’uso del sale e si fanno nomi di altre
sostanze per ora sconosciute, che per noi non sarebbero da chiamarsi spezie. Meno
male che c’è questa incertezza generale sulle ricette del profeta, sempre a
base di pecora, agnello o montone, perché sennò ci sarebbe stato un massacro di
ovini in giro, comunque è già diventato lo stesso difficile trovarne, dal
macellaio. Specie i cosciotti di pecora. Non che mi piacciano o che abbia
intenzione di cucinare uno di quei tremendi intrugli da pastori, ma per
curiosità, sono andato a chiedere.
Macché.
Nulla.
Sull’Espresso
ultimo uscito, c’è una raccolta di regole, la maggior parte le conoscevo già, perché
nonno Marasco ne è diventato un collezionista e un applicatore rigoroso, ma
questa era sfuggita anche a lui, a quanto pare.
Regola 53con appendici
I fatti sono sacri - I
commenti liberi - Gli angeli, prima, erano i diavoli, oppure è magari il contrario?
- Chi è che mi tira mentre dormo? - Più cerco e meno trovo - Più investigo e
meno capisco - La vita è una serie di nostre sofferenze, appena interrotta dal
pianto e dalla disperazione degli altri.
Dal canto al Popolo
delle Rocce Spoglie del Fouag Dyz Rug
Dtierza (il Lago Fantasma, malamente tradotto in italiano, secondo alcuni
esperti, che invece sarebbe piuttosto: il
Lago con le Ruote):
“Mi
allontanai dal gregge e lasciandoci Mazertessiq, il fedele e intelligente cane
pastore.
Un nome un poco complicato per un cane, specie se si
deve chiamare con urgenza. Secondo gli esperti, nel testo non si accenna
nemmeno a un eventuale diminuitivo e la parola urgenza è anche sistematicamente ignorata. Cosa curiosa, ma pur del
tutto normale, se si pensa a un popolo che aspetta e segue pazientemente le
migrazioni capricciose, sì, ma sempre piuttosto lente, di un lago.
Sebbene Mazertessiq
abbaiasse a perdifiato, rimasi a pregare nel bosco. Però, là tra le rade fronde
dei pochi alberi, era difficile trovare la concentrazione necessaria. Il mio
pensiero, disturbato dall’incessante latrare del pur fedele e intelligente cane
pastore, fuggiva dall’argomento, le sante e antiche preghiere al Dio Ezrck. Visto che il fedele e
intelligente cane continuava ad abbaiare e io non riuscivo a dire una fottuta riga
di preghiera, dopo alcuni faticosi e altrettanto infruttuosi tentativi, scesi
in basso per vedere cosa stava succedendo e rimasi oltremodo stupito di vedere
un certo cambiamento.Tutto o quasi pareva mutato, sia perché le pecore non c’erano più, ma
anche l’abbaiare di Mazertessiq, intelligente e ansimante di un cane fedele e
pastore, ora pareva poco convinto. Era comprensibile il suo animal smarrimento,
latrava cercando di ristabilire l’ordine in un gregge immaginario, cosa che gli
riusciva difficile, comprensibilmente. Mi guardava chiedendo forse la mia
approvazione, chissà, una risposta ai suoi interrogativi. M’impietosii e non lo
trattai male, ma se Ezrck lo voleva, non sarei stato certo io a interferire nei
suoi disegni, certo più lungimiranti dei miei.
(Chiamasi Ezrck il Poderoso e Odoroso Dio dei Greggi
delle Zone Pietrose nei dintorni del Lago con le Ruote.)
Per
questo vaghiamo ancor per le montagne pascolando un gregge silenzioso giacché
invisibile e non puzza neanche.
Varie e complicate le possibili interpretazioni, ma il filosofo e
scrittore, a suo dire esperto in archeologia terrestre ed extraterrestre, Malachia
Longobucco da Andria, non demorde facilmente. Però prima di raccontarvi come lo
studioso ha tradotto il pensiero del profeta, vi dirò che nonno Marasco, spinto
da subitaneo estro divino - anche perché di vino ne aveva bevuto assai e in
relativamente poco tempo - ha tolto il denaro da sotto la mattonella in camera
sua. Il che è una cosa assurda perché la regola in questione non diceva di fare
niente del genere, anche secondo il giornalista religioso Gennaro Ischitano del
Giornale di Santantonio di Padova.
Devo ammettere che mi faceva anche comodo sottrargli, ogni tanto,
qualche banconota di piccolo taglio, approfittando dei suoi sonnellini
pomeridiani davanti alla televisione, in sala da pranzo… non più di cinque o
dieci euro alla volta, raramente venti,
mai più di trenta. Lui tanto i soldi non li usa mai, o almeno non li usava,
prima.
Quel Tarote, che pur non invitato è emerso dal passato, pare che stia riuscendo
a cambiare anche l’unica sua sana abitudine. Insomma l’arzillo vecchietto, come
colto da un improvviso raptus, nonostante le mie più che disinteressate proteste,
è andato in banca e ha depositato là i suoi averi. Riguardo ciò, ho letto anche
quello che diceva la Nazione, per scrupolo, dove Gallicchio dal canto suo,
finge di saper interpretare una controversa regola plurimillenaria. Secondo me è piuttosto un solenne imbecille, ma ha certo qualcosa in
comune con Malachia Longobucco da Andria, a parte la provenienza pugliese, cioè
una specie di fasulla sintonia cosmica o qualcosa di questo genere e perciò ha
detto, quasi ricalcando le sue parole:
“L’uomo moderno può
simbolizzare i suoi averi, le sue proprietà, come se fossero quelle che
anticamente erano le pecore, se queste spariscono e il cane vi voleva avvisare
e non lo avete ascoltato, gli sprovveduti siete voi e magari il fedele e
intelligente cane (che può simbolizzare un tipo qualsiasi di
avvertimento, di persona o essere avvertitore, non necessariamente peloso e con
la lingua di fuori,) da tempo vi sta
mettendo in guardia e voi non lo volevate capire, ne dovrete affrontare le
conseguenze a venire…”
In questo caso l’avviso o la persona avvisatrice sarebbero stati Longobucco
o Gallicchio, o tutti e due, che sprofondassero all’inferno con Hussamer Horetzi
Tarote che li sta aspettando da ormai troppo tempo, ma intanto chi ci rimette
sono io e di questo nessuno ne tiene conto. Insomma
in mezzo tutto quello che poteva dire, questo antico e forse anche nobile cagacazzo, per rovinare la mia vita, lo
ha detto, e se non lo ha dichiarato a piene parole, le interpretazioni di
Gallicchio, Longobucco, Casalabbate e la Sacra Corona Unita dei giornalisti
mafiosi di origine pugliese, sono puntualmente catastrofiche, se e quando le
loro versioni non lo sono abbastanza, ecco che il popolo riesce a farle
diventare tali, perché ne ha dentro di sé la vocazione funesta da tempo
immemorabile.
A Padova invece e per esempio, come ho già
accennato, sul Giornale di Santantonio, quello che dice il loro esperto padre
Gennaro Ischitano, (fraticello assai meno pugliese, anche se decisamente un po’
più napoletano,) è diverso da quello che quell’idiota di Gallicchio e compagnia
bella giurano di leggere tra le righe stilate dal Misericordioso Horetzi del puzzolente
Lago Fantasma della Mongolia.
Ecco l’ultima regola che è uscita, la peggiore, dal
mio modesto, ma furioso punto di vista:
Regola
67
Al
mercato il pastore comprò due pecore: una grassa e l’altra magra, una alta e
l’altra bassa, una con le corna e la seconda senza, una costosa e l’altra assai
a buon mercato (e così via per righe
e righe ripetitive che non sto qui a narrarvi). Riunitele al piccolo gregge che stava lentamente crescendo grazie al
suo duro lavoro, ma denso di piccole e giornaliere soddisfazioni, ecco che ciò
portò in breve tempo una trasformazione visibile quanto evidente: alcune pecore
rimasero inaspettatamente ma indiscutibilmente incinte e, dopo il tempo
necessario, le pancione divennero altrettanti agnellini. Un esame seguente,
mirato verso le più basse zone ovine, rivelò la metaforica radice di
quell’improvviso virgulto dell’albero fenomenale della vita. La pecora magra,
bassa, senza corna e a buon mercato - e così via discorrendo - era
piuttosto un montone, un poco scalcinato, sì, ma pur sempre un montone, in buona
sostanza. Il montone, da che mondo è mondo, lo dice il nome stesso, ama montare
le pecore, è la sua sacra missione terrestre.
La da me temutissima interpretazione di Nicola
Gallicchio, pur non sapendone ancora il come e il perché, manco a dirlo
appoggiata e promossa da tutte le altre della Sacra Corona, (eccetto il buono,
perciò controcorrente giornale religioso di Padova, attraverso la penna del
coraggioso frate Ischitano,) fu discussa abbastanza in giro, per quanto ne ho
saputo, e anche al bar da Moreno la lite si è fatta pecoreccia trai cristiani
confusi e talvolta anche piuttosto bestemmiatori. Quel sedicente studioso della
minchia, aveva scritto sulla Nazione che la pecora maschio, il cosiddetto
montone, acquistato per errore dal pur bravo e diligente pastore, simboleggiava
le strade intraprese per caso e/o per sbaglio nella nostra vita, che spesso
quanto volentieri si possono rivelare migliori o peggiori del previsto. La
pecora magra, bassa, senza corna, era costata, perciò, meno dell’altra più
prospera e belloccia, ma aveva inaspettatamente dato frutti migliori e più
tangibili, sotto forma di agnelli, in breve tempo sfornati da calde pance di
pecora a suo tempo inopinatamente montata. Proprio per il suo aspetto, nessuno
aveva immaginato che esso era un montone, che normalmente è più grande e più
raro e di conseguenza costa di più della pecora, proprio per il suo sacro,
nobile e necessario ruolo di motore della procreazione. In sintesi la vita è un
calcolo delle probabilità, bisogna tentare e ritentare, essere persistenti, non
si può rimanere fermi e aspettare la morte piantati in terra come un palo nel
deserto sassoso. Secondo Gallicchio, lo stesso Lago con le Ruote era ed è un
esempio di tutto questo, perfino oggigiorno.
Fatto sta che nonno Marasco ha subito mandato a chiamare la Cerasina,
che è una cinquantenne ancora piacente, secondo alcuni, ma assai povera purtroppo
e su questo tutti concordano. Dicono che lei gli fa l’occhio di trota da almeno un decennio, alcuni dicono addirittura
due e che lui l’aveva sempre disdegnata, forse anche grazie ai miei consigli,
ripetuti quanto disinterressati. Ecco che a causa di questa ridicola moda del
profeta del Lago Fantasma, che - se mai sia esistito - con ogni probabilità è morto
da approssimativamente quattromila anni, nel giro di una settimana ho perso il
mio privilegiato ruolo in famiglia e l’eredità conseguente, non troppo lontana
nel tempo a venire e pure abbastanza ingente nello spazio.
Nessun commento:
Posta un commento