giovedì 24 maggio 2018

LAGHI CON LE RUOTE




Dalla guerra più contemporanea che abbiamo oggigiorno, l’ultima notizia sul giornale è stata quella delle tavole antiche di terracotta ritrovate in una città Irachena, in seguito a un’esplosione terroristica che ha dilaniato ventotto soldati americani e un ambasciatore australiano. Mio nonno Marasco ha detto che gli è dispiaciuto dell’ambasciatore australiano. Le tavole, di cui tutto il mondo già parla, a pochi giorni dalla scoperta, sono un puzzle spazio-tempo per gli scienziati ai quali non è parso vero di ficcarcisi dentro con la testa e tutto. Pare che suddette tavolette di terracotta siano del secondo millennio avanti Cristo e assolutamente non originarie della regione compresa tra il Tigri e l’Eufrate, dove sono state rinvenute, cioè nell’antica Mesopotamia. Ci sono state portate non si sa quando, non si sa perché e non si sa da chi, ma di quasi sicuro c’è che dovrebbero essere provenienti dalla zona del Lago Fantasma della Mongolia, qualche migliaio di chilometri in diagonale, direzione nord-est. Il Lago Fantasma è un bacino naturale, sì, ma piuttosto scherzoso, di un deserto sassoso di là, che, con la scusa dell’erosione, dei forti e continui venti e della grande quantità  di ciottoli che lo circonda, è in eterno e costante movimento. È facile documentarsi in internet, pare proprio che il Lago Fantasma, scoperto già all’epoca di Marco Polo, in seguito non risultava rispondere agli appelli in caso di controllo o normale conferma dei disegnatori di mappe o dei viaggiatori che le seguivano. Spesso quel mattacchione non si faceva trovare dove le cartine geografiche lo indicavano.


A proposito: mi sono ricordato che avevo già visto un filmato, qualche mese fa, un documentario della National Geographic. Già da qualche tempo hanno trovato l’inghippo, trattavasi di lago atipico che a differenza degli altri amava fare delle giratine di qua e di là e pare che ancora non abbia perso questa singolare abitudine. Dicono che abbia un raggio d’azione, che per quanto ampio, sia limitato e non quasi esce mai dal pietroso deserto in questione, se non per qualche emergenza o urgenza idrica, magari di irrigazione o che ne so io.
Allora mi sono chiesto: come hanno fatto a capire gli scienziati che le suddette tavole venissero da quelle parti o che esisteva questo ragionevole ma poco confortevole  dubbio? Presto detto: nelle scritture stesse si parla del Lago Fantasma e, visto che non se conoscono altri, di questo genere semovente, si fa un riferimento obbligato. Ecco che il tipo di cultura, di terre ventose e riarse, dove si vive e si muore principalmente di pastorizia, coincide. Si stanno facendo supposizioni, anche quelle purtroppo intricate e frammentarie, perché più che altro si sono trovati pezzi, briciole e polvere di terracotta. Sì, perché non sempre è possibile leggerle, scritte in una lingua che si sta ancora faticosamente decifrando e visto che gli studiosi a farlo sono tanti, o magari troppi. Si sa che quelli si guardano bene dal lavorare in un’unica equipe, ne hanno formate diverse di forza eguale ma contraria ed ecco che discordano, ogni giorno, su nuovi particolari. Le tavole ora si trovano negli Stati Uniti ma stranamente il materiale è stato divulgato al mondo intero, le foto sono disponibili in internet. Comunque, secondo me, avere come indirizzo il Lago Fantasma, è una cosa completamente differente dallo specificare, invece, il nome della via, con tanto di numero civico, nome del quartiere e della città, codice di avviamento postale e via discorrendo. Magari è più facile confondersi, dico io.
Intanto nonno Marasco è diventato ghiotto di queste notizie e mentre guarda un notiziario alla televisione, o un documentario sull’argomento, si spara un bicchierotto di vino buono, del suo. Se lo fa da solo, in gran segreto e in cantina, un vino rosso assai saporito e forte di gradazione, ne fa pochi fiaschi, ne è gelosissimo e non me lo fa quasi mai assaggiare, eccetto per Natale, Pasqua e poche altre feste comandate. L’uva e le vigne non ce le ha, non ne ha mai avute.
Però oggi, che era tutto entusiasmato, con questa storia delle Tavole del Lago Fantasma, mi ha rivelato una cosa, confermando con movimenti affermativi della testa canuta e con il suo occhietto più arzillo, il destro. Dato che gli domando ripetutamente dove prende l’uva e altre domande per lui noiose e inopportune. Mi ha risposto che se la fa portare da un contadino di fiducia, che - guarda caso - c’ha le vigne proprio sulle rive del Lago Fantasma della Mongolia e poi ha fatto una risatina catarrosa delle sue che, a volte, e non troppo raramente, lo piglierei a padellate.
Nonno Marasco vive con me a Scevola, cioè lui al piano di sotto e io di sopra, in una vecchia casa di pietra, nell’interno più interno, insomma nelle viscere della nostra dura e montagnosa Toscana centro-settentrionale. Giammai lavorando, né lui né io, abbiamo parecchio tempo a disposizione. Io per leggere e guardare le mie adorate Pay-TV. Lui per sorbirsi il suo vino e le tre scalcinate RAI, visto che tanto il canone si deve pagare in ogni modo e il vecchio Marasco, prima che un nonno, e un “essere umano” tra virgolette, è un mitologico avaro. Il risultato è che io, per quanto persona sdraiatamente pigra e volutamente tagliatasi fuori dal resto del mondo, sono abbastanza colto e preparato su tante notizie utili o più spesso anche inutili, sul presente e sul passato. Non amo il condizionale e i congiuntivi, invece, cioè le ipotesi, gli scivolosi viaggi nella maionese, come quelli di nonno Marasco. Secondo la mia modesta impressione, trattasi di rincoglionito che non si sa perché stia ancora al mondo. Un giorno o l’altro mi dovrà pur lasciare i suoi quattrini, che non sono pochi, a quanto pare. Non spende mai niente di niente e io sono, anche se da lui non eccessivamente amato, l’unico suo parente in vita.
Ritornando a noi, cioè ai recenti ritrovamenti del medio-oriente, il test del carbonio e le numerose teste capienti delle commissioni concorrenti non hanno ancora finito di sondare le confuse testimonianze del passato. Gli esperti di ogni genere si lambiccano i cervelli in maniera vorticosa sulle diverse e intricate interpretazioni, perfino i traduttori hanno i loro grattacapi. Che cosa ne sta venendo fuori? Che praticamente tutto è scritto là dentro, si chiacchiera e si delibera su vari e differenti argomenti, anche metaforicamente, si questionano la vita e la morte. Non si lascia in pace, nemmeno, tutto quello che c’è in mezzo. Le migliaia di tavole di terracotta che, sminuzzate dalle bombe, contengono segreti millenari, scritti in lingua indoeuropea mista con asiatici dialetti della steppa più sassosa e Mongola, di per sé sono un peso non facilmente trasportabile, all’epoca attuale.
Quattromila anni fa, magari, lo erano ancora meno.
Questo strano e mischiato idioma, è stato già battezzato, non solo ironicamente, il Fantasmatico, oppure la Lingua con le Ruote, giacché anche le interpretazioni sono sempre in movimento, originarie di un lago che neppure sapeva star fermo, sono traduzioni in versioni molteplici e perciò discutibili, ma, proprio per questo, intriganti. Una parte è costituita dalle regole di comportamento umano, di migliaia di anni fa, che però sembrano attualissime e la gente disorientata dalle ultime guerre reali e dai conflitti virtuali ed esistenziali, le sta già mettendo in pratica, man mano che appaiono sui vari giornali. Non solo qui da noi, credo, non solo in Toscana, né in Italia, ma un po’ in tutto il mondo, almeno a quanto ci risulta, sempre informati dai soliti, spesso sfacciatamente bugiardi, giornali e telegiornali.
Gli esseri umani sono dei fenomeni della natura, li vedi diffidenti rispetto a tutti e a tutto, ma se una cosa viene trasmessa alla televisione, anche se è una bischerata… anzi, specialmente se è una bischerata, pure senza la minima ragionevole conferma, diventa improvvisamente il sovvertitore di tutte le loro regole precedenti. Andrebbero presi a manate un po’ tutti, ma anche così, non credo che migliorerebbero e poi sarebbe una faticata. Figurarsi che in tanti giurano, addirittura, che stavano già facendo, senza saperlo, istintivamente, magari guidati da una misteriosa ma benefica forza cosmica, quello che il profeta Hussamer Horetzi Tarote aveva predicato quattromila anni prima. Questa è una di quelle coincidenze che hanno del soprannaturale.
Oppure è una delle solite assurdità di un certo tipo di gente alienata della nostra era che, nella sua confusione mentale, qualsiasi moda che gli s’infila di nascosto nel cervello, a loro gli sembra, di conseguenza, conforme e conferma al loro più sincero istinto naturale. Proprio perché quest’ultimo è una cosa che non sanno più da tempo cosa sia.
Pare che il pacco, in totale, sia composto da quattromilaventisei regole, divise in sezioni che non tengono per niente conto di argomenti e ordini più razionali, ma solo di una sequenza cronologica, perciò la prima è la più vecchia. Anche se può essere ripresa e perfezionata, in seguito, senza problemi, all’interno dello stesso codice, usando un numero di riferimento oppure anche tranquillamente dimenticandosene.
Ciò non semplifica il compito di gente che sta già facendo confusione da sola, senza bisogno d’incentivi o di giustificazioni. Non tutte le tavole si sono salvate, alcune si sono sfracellate nell’esplosione, altre si sono rotte e sciolte col tempo, in alcune le parole si sono mezzo cancellate. Quello che importa, però, non è tanto sapere cosa dicono, oggettivamente, ma interpretare, trasferire nello spazio e nel tempo le regole.
Potrebbero essere utili a confondere, ancora di più, la testa già persa dei cittadini di questo caos che è il mondo moderno. È impressionante l’attualità di quegli articoli stramillenari, la loro incredibile applicabilità alla vita moderna, secondo gli esperti. Ecco che stavolta sono tutti d’accordo, sono rimasti tutti a bocca aperta, entusiastici, all’unanimità. Se esisteva il marketing, in quell’epoca lontana, quel Tarote doveva averlo studiato bene e anche se ora, per quanto se ne sa, non possa più riscuoterne i risultati pratici, dovunque si trovi, probabilmente se la sta ridendo. Il sacerdote in questione è stato capace di catturare l’attenzione generale del pubblico anche perché le sue cose abbracciano vari argomenti, o sono spesso tanto vaghe parabole da poter essere interpretate in decine di maniere differenti. La lingua è quella che è, in più le bombe dei terroristi hanno fatto il resto, sfracellando le frasi al punto giusto.
Ci sono profezie, regole di vita, ma anche poesie, cronache e ricette di cucina, si fa per dire, risultati e perfino commenti delle partite di uno sport antico, ancora praticato sulle montagne al confine tra Afghanistan e Pakistan. Il che confermerebbe anche la tesi del deserto Mongolo e del lago Fantasma che poteva, visto che si trovava di passaggio, esserci andato a farsi un giro e poi il tipo di cultura è lo stesso o almeno assai simile. Oppure gli scienziati preferiscono pensarla così. Lo sport, come lo praticano ancor’oggi, assomiglia un po’ al Polo, ma fa un po’ più schifo, si può riscontrare anche in internet e si gioca più o meno in questa maniera: cavalieri variopinti in numero uguale di due squadre devono portare un montone senza testa e gambe aldilà di una riga tracciata in precedenza.
Questo poeta-profeta, sacerdote e giornalista di un tempo in cui i giornali non esistevano ancora, ma anche pastore e cuoco, nonché saggio della montagna, in più appassionato sportivo a tempo perso di un gioco che pare perso nel tempo, ma ancora attuale... questo Tarote è, insomma, una personalità assai differente da quelle già conosciute in precedenza, almeno di quelle epoche là in fondo a destra.
Ci detta le nostre regole di vita con una precisione “che un c’è da sbagliassi”, dice nonno Marasco che è già tutto infervorato e le sue attività al momento sono diventate fondamentalmente tre: fare il vino, scolarselo e seguire alla lettera le regole del Lago.
Non so se per me è un vantaggio o una condanna, averci nonno Marasco trai piedi, ma se i traduttori e lo staff di là non ci capiscono niente, lui la sua me la dice sempre al volo, giusta o sbagliata e c’infila sempre dentro  l’ameriani... che “anche senza sapello, un c’è da sbagliassi mai”.
Insomma, se a qualcuno interessasse, ecco alcune delle regole e i relativi commenti e discorsi a biscaro. Qui mi rivolgo ai posteri, magari agli eremiti, insomma a quelle fortunate persone che non leggono giornali e non vedono la televisione, gente che non ha partecipato a questa corsa forsennata verso il sapere cosmico, a questo tuffo nella saggezza del passato, a questo incredibile e forse altrettanto fasullo attraversamento di spazio e tempo per arrivare a quello che si sapeva già e l’aveva detto per primo il filosofo danese Kierkegaard: non si può realmente sapere, si può solo aver fede.
Da notare c’è anche che, quando mancano parole o parti di frasi e così via, nelle tavole danneggiate dal tempo e dalle bombe, gli studiosi riempiono i vuoti con la loro elastica abilità di usare la logica, soprattutto per confermare le loro precedenti tesi e fregandosene dei guai che provocano in giro per il mondo.
Il che potrebbe essere anche il mio caso.
Però, dall’altro lato di questa mia, magari pessimistica, profezia personale, una cosa interessante lo è veramente, questo misterioso e strano agglomerato di regole, almeno come testimonianza antica. Al di fuori dalle norme e dalle relative interpretazioni, dalle illazioni varie e ramificate, c’è veramente un robusto aggancio con il moderno, visto che si parla sempre di pecore e di montoni. Le pecore e i montoni vanno dietro l’una all’altra, quella che sta davanti potrebbe essere anche la più stupida, ma nessuna di loro questiona questo suo aspetto, la seguono ciecamente.
Intanto cominciamo, piuttosto, a vederli con ordine e calma, questi a loro dire preziosi insegnamenti, che dal passato invadono il presente... e se a invitarli sono stati l’ameriani, allora devo dire mio malgrado che ha proprio ragione nonno Marasco. Partiamo da quella di numero più basso:

Regola 23

Beato sia il disorientato, non percepirà la differenza, il suo cammino sarà vario e imprevedibile, una distesa di possibilità che avrà sempre di fronte, ignorando i principi e le applicazioni, senza nemmeno sapere in che parte della storia si trova e, già che c’è, fregandosene pure della geografia.

Questa regola, anche se apparentemente vaga, viene interpretata, secondo la Nazione, attraverso la colta penna biscegliese di Nicola Gallicchio, come uno stimolo alla libertà che l’uomo ha sempre di più perso, risucchiato dal lavoro e dalla sua sete di potere e di denaro. Nonno Marasco ha battuto le mani tutto contento, quando gliela ho letta, come se lui avesse sempre pensato la stessa cosa e fosse lieto che qualcuno gliela avesse finalmente confermata.
Le Tavole in un certo senso sono miracolose: hanno il potere di dividere almeno in due parti l’umanità. Ci siamo trovati subito dai due lati opposti, è vero che c’eravamo già prima: nonno Marasco ci crede e io no. Ma ecco una seconda applicazione, bella fresca di giornale appena stampato:

Regola 28

Il pastore salì sui pascoli alti colle sue sessanta pecore, le amava tutte come figlie, erano la sua famiglia, le conosceva per nome, le aveva viste nascere, erano la sua unica compagnia... (e così via per una mezza paginata, che in piccole tavole di terracotta sbriciolate certamente sono anche di più.)
Imperversò allora la burrasca e il gregge si sparpagliò, una delle sue preferite, si perse: Feguiàh la Giovane.
(Da non confondersi con Feguiàh la Vetusta, tutto un altro tipo di ovino, si capirà poi in seguito.)
Il pastore lasciò tutte le altre e andò a cercarla, la cercò per dieci giorni e dieci notti, al termine dei quali vide quanto stolto era stato: aveva perso anche se stesso e tutte le altre cinquantanove... pur senza ritrovare Feguiàh la Giovane.

Oltre che il pastore era un fesso, non so che altro se ne potrebbe ricavare. Assai oscura questa interpretazione, almeno secondo me ed Erminio l’idraulico, che insieme ci troviamo al bar di Moreno per fare una partitina a carte e qualche scambievole discorso a biscaro, sui programmi dei computer e quelli della televisione a pagamento. Erminio di solito concorda con le mie tesi, che hanno spesso come primo principio di tendenza quello di contrariare le opinioni altrui, in genere, ma in particolare quelle di nonno Marasco. Su queste regole, forse per la prima volta, ci stiamo già un po’ accapigliando. Lui le vede più come mio nonno e questo branco di pecoroni che mi scopro attorno sempre più vasto.
Intanto Nicola Gallicchio, archeologo esperto in lingue antiche, umanista e manipolatore di popoli sprovveduti, giornalista polemico e ruffiano allo stesso tempo, butta là la sua puntuale quanto forzata ipotesi. Che sia, invece di una regola, una profezia e il pastore rappresenti il presidente Bush, che per ritrovare la pecora smarrita, ciòè salvare l’America dalla bancarotta, stia dannando il resto del mondo... che, per una strana coincidenza, pare che a quel tempo si stimasse composto da sessanta paesi conosciuti, sessanta, (?) proprio come le pecore del pastore? Evidente, secondo Gallicchio, anche il riferimento a Feguiàh la Vetusta, come simbolo dell’antica Europa unita all’ancor più vecchia Asia, il vecchio mondo, mentre Feguiàh la Giovane rappresenta gli Stati Uniti, il nuovo mondo, e, alla fine, purtroppo e immeritatamente, si perdono tutti e due. Inevitabile quanto indesiderato, a questo punto, il commento di nonno Marasco che dice che “l’ameriani sono anche troppo avanti per i loro tempi, un li ‘apisce nessuno ma ‘n ‘compenso rompino ‘oglioni a tutti...”
Intanto noi qua a Scevola si vive un poco come si viveva un tempo in campagna, c’abbiamo quattro o cinque galline stanche, una vecchia mucca per il latte, il maiale lo tiriamo su ad avanzi della nostra tavola e dicono ancora che questo è il modo migliore. Insomma, in alcune cose ci si può salvare ancora dalla globalizzazione. Io c’ho la pensione d’invalido, anche se ho solo trent’anni, sono stato precoce perché son figlio d’arte. Mio padre, che Allah l’abbia con sé, (già che Dio non potrebbe,) era convinto d’essere un truffatore dello stato, ma io credo che si sia auto-truffato per tutta la vita. Sì, invalido lo era veramente, ma di cervello. Ha passato una vita schifosamente infame, ha dovuto sempre fingere di zoppicare. Aveva così tanta voglia di zoppicare che io sono nato zoppo, due difetti complementari: una gamba più corta e una più lunga. Mio nonno Marasco, dal canto suo, ha vissuto quasi tutta la vita senza un braccio e un occhio, persi in guerra... in più c’ha questa fissazione dell’ameriani.
Non credo proprio che ce l’avesse prima della seconda guerra mondiale, che è quella a cui ha preso parte e ci ha lasciato anche due pezzi del suo corpo. Lui lo chiama il conflitto belliho, l’unico veramente importante. Tanti dicono che gli americani ci hanno salvato, in quell’occasione, dal diventare una colonia della Russia, ma se ci si azzarda a citare tale considerazione, mio nonno comincia a bestemmiare, a battere il bastone sul tavolo, non c’è niente che lo fa andare più in bestia. Se ho ben capito, dice che proprio da quel momento in poi l’ameriani si sono sentiti in diritto di mettere il becco su tutto quello che succede nel mondo e che… se non succede, lo fanno succedere loro e così via.
A Scevola, di gente ce n’è poca, ma quella poca, in compenso, non ha molto da fare. Ci deve essere qualcosa nell’acqua che beviamo, oppure una maledizione antica, insomma qualcosa che ci rende differenti, chi lo sa? Forse una combinazione di questi due fattori. Come nell’antica Grecia, nella quale i cittadini cominciarono a fare i filosofi, visto che a lavorare ci pensavano gli schiavi, sono tante le domande inutili che ci poniamo sul senso della vita, ogni santo giorno che Dio mette in terra, anche se la maggior parte rimarranno senza risposta. Ecco perché le tavole qui hanno successo, perché danno a tutti una risposta e non importa che sia giusta o sbagliata, come le religioni, e ognuno la interpreta come vuole. È un mistero, per esempio, il nome del nostro paese, Scevola, che più appropriato non potrebbe essere. Assai lontano da qui il romano Muzio si bruciò simbolicamente la mano, di sua spontanea volontà, e fu il progenitore della nostra lunga serie d’invalidi.
Per le quattro strade polverose e sempre in ripida salita o in discesa a rompicollo del nostro paesello, si parla sempre di più di Hussamer Horetzi Tarote, un uomo che, migliaia d’anni fa, diceva già delle bischerate d’avanguardia. Non sfigurano affatto al paragone con quelle di oggi, comprese quelle dette in tutti i bar di campagna e forse anche in quelli di città. Anche se nel bar di Moreno, io credo che siamo aldisopra di tutti i livelli conosciuti. Per il torpiloquio credo che ci troviamo nelle prime posizioni mondiali, per non parlare delle bestemmie che in Toscana ne siamo campioni in quantità e fantasia. A Scevola abbiamo più motivi di tutti, per bestemmiare, o almeno ci pare così e poi anche il tempo non ci manca.
Nonno Marasco da anni non leggeva più i giornali, ma ora è se ne è venuto fuori che voleva addirittura andare dall’oculista a Pistoia e là ci si è comprato un paio d’occhiali che costano più d’una centinaia di euri, come dice lui. Avevo voglia io di dirgli che bastava una lente sola, l’ha voluta e vera anche dalla parte di là, glielo ho detto più volte di comprarla di plastica, che ci poteva risparmiare un pochino.
Macché. Nulla.
Dopo ho scoperto il perché, ci si era messo di mezzo il nobile Hussamer Horetzi Tarote, che, in una regola apparsa  sul Tirreno di domenica scorsa, la numero 34, ha dichiarato:
“Ognuno di noi che ha perso in guerra, o in altro officio sacro, un arto o una parte del nostro corpo, non disperi, la natura è misteriosa e generosa, basta seguirla, giammai violentarla, sarebbe stoltezza, tutto si riaggiusterà, con un poco di pazienza... basta pregare e rispettare la santa natura…”
Ecco perché nonno Marasco ha voluto le due lenti, pur avendo un solo occhio, giacché, se Hussamer Horetzi Tarote avesse ragione, gli rispunterà, con solo un poco di pazienza, quell’altro, fra un mese o un anno... non si sa, ma lui, per non correre rischi, intanto, sta cercando faticosamente di smettere di bestemmiare. In quanto alle preghiere, come gli consiglia il Santo Profeta, se le dice, le dice di nascosto, istintivamente se ne vergogna un po’. Poi c’è anche il braccio che gli garberebbe che gli ricrescesse... allora anche la sua espressione furbesca si è religiosamente ingentilita. Mi fa quasi pena a volte, questo infernale vecchietto, ma altre volte mi pare che nonostante tutto stia meglio lui.
La regola 37, pubblicata sul Tirreno di stamattina, è una ricetta, da fare con carne di montone. Da questo e da altri frammenti, il sedicente perspicace giornalista di Bitonto, Pino Casalabbate, risale alle origini pecoresche del luogo dove il profeta viveva e alla terra riarsa, scarsissima di vegetazione. Si raccomanda per un succulento pranzo, in un’occasione speciale, come il matrimonio di un cugino sacerdote, che per noi cattolici è proibito, ma chi se frega. Il montone va dissanguato e seccato, meglio se un cosciotto, poi sotterrato vicino ad un albero solitario, il tipo di albero non ha importanza, basta che non sia un Bhgui, che non hanno ancora capito che albero sia, ma che difficilmente cresce dalla nostre parti. Certo che se ce ne fosse anche uno solo e qualcuno malauguratamente sotterrasse il montone nelle sue immediate vicinanze, si avverte che ne farebbe diventare troppo amaro il sapore. Esattamente tre giorni dopo, liberato dalle inevitabili formiche e altri insetti o animaletti affamati di qualsivoglia tipo, bollito con spezie e accompagnato con riso, diventa una leccornia. Tutto questo secondo i gusti dell’epoca e dei luoghi, certo non simili ai nostri e alla cucina mediterranea. Gli esperti stanno cercando, per ora invano, di capire quali siano le spezie, ma vuoi per la frammentarietà del testo, vuoi perché si tratta di una lingua antica, ma nuova per noi, le spezie non si sanno ancora e, detto tra noi, è piuttosto interessante che stiano litigando sulla parola spezia, perché secondo alcuni, il vocabolo nerguzeq non ha lo stesso significato che noi gli stiamo attribuendo, perché comprende anche l’uso del sale e si fanno nomi di altre sostanze per ora sconosciute, che per noi non sarebbero da chiamarsi spezie. Meno male che c’è questa incertezza generale sulle ricette del profeta, sempre a base di pecora, agnello o montone, perché sennò ci sarebbe stato un massacro di ovini in giro, comunque è già diventato lo stesso difficile trovarne, dal macellaio. Specie i cosciotti di pecora. Non che mi piacciano o che abbia intenzione di cucinare uno di quei tremendi intrugli da pastori, ma per curiosità, sono andato a chiedere.
Macché. Nulla.
Sull’Espresso ultimo uscito, c’è una raccolta di regole, la maggior parte le conoscevo già, perché nonno Marasco ne è diventato un collezionista e un applicatore rigoroso, ma questa era sfuggita anche a lui, a quanto pare.

Regola 53con appendici

I fatti sono sacri - I commenti liberi - Gli angeli, prima, erano i diavoli, oppure è magari il contrario? - Chi è che mi tira mentre dormo? - Più cerco e meno trovo - Più investigo e meno capisco - La vita è una serie di nostre sofferenze, appena interrotta dal pianto e dalla disperazione degli altri.

Dal canto al Popolo delle Rocce Spoglie del Fouag Dyz Rug Dtierza (il Lago Fantasma, malamente tradotto in italiano, secondo alcuni esperti, che invece sarebbe piuttosto: il Lago con le Ruote):
“Mi allontanai dal gregge e lasciandoci Mazertessiq, il fedele e intelligente cane pastore.
Un nome un poco complicato per un cane, specie se si deve chiamare con urgenza. Secondo gli esperti, nel testo non si accenna nemmeno a un eventuale diminuitivo e la parola urgenza è anche sistematicamente ignorata. Cosa curiosa, ma pur del tutto normale, se si pensa a un popolo che aspetta e segue pazientemente le migrazioni capricciose, sì, ma sempre piuttosto lente, di un lago.
Sebbene Mazertessiq abbaiasse a perdifiato, rimasi a pregare nel bosco. Però, là tra le rade fronde dei pochi alberi, era difficile trovare la concentrazione necessaria. Il mio pensiero, disturbato dall’incessante latrare del pur fedele e intelligente cane pastore, fuggiva dall’argomento, le sante e antiche preghiere al Dio Ezrck. Visto che il fedele e intelligente cane continuava ad abbaiare e io non riuscivo a dire una fottuta riga di preghiera, dopo alcuni faticosi e altrettanto infruttuosi tentativi, scesi in basso per vedere cosa stava succedendo e rimasi oltremodo stupito di vedere un certo cambiamento.Tutto o quasi pareva mutato, sia perché le pecore non c’erano più, ma anche l’abbaiare di Mazertessiq, intelligente e ansimante di un cane fedele e pastore, ora pareva poco convinto. Era comprensibile il suo animal smarrimento, latrava cercando di ristabilire l’ordine in un gregge immaginario, cosa che gli riusciva difficile, comprensibilmente. Mi guardava chiedendo forse la mia approvazione, chissà, una risposta ai suoi interrogativi. M’impietosii e non lo trattai male, ma se Ezrck lo voleva, non sarei stato certo io a interferire nei suoi disegni, certo più lungimiranti dei miei.
(Chiamasi Ezrck il Poderoso e Odoroso Dio dei Greggi delle Zone Pietrose nei dintorni del Lago con le Ruote.)
Per questo vaghiamo ancor per le montagne pascolando un gregge silenzioso giacché invisibile e non puzza neanche.

Varie e complicate le possibili interpretazioni, ma il filosofo e scrittore, a suo dire esperto in archeologia terrestre ed extraterrestre, Malachia Longobucco da Andria, non demorde facilmente. Però prima di raccontarvi come lo studioso ha tradotto il pensiero del profeta, vi dirò che nonno Marasco, spinto da subitaneo estro divino - anche perché di vino ne aveva bevuto assai e in relativamente poco tempo - ha tolto il denaro da sotto la mattonella in camera sua. Il che è una cosa assurda perché la regola in questione non diceva di fare niente del genere, anche secondo il giornalista religioso Gennaro Ischitano del Giornale di Santantonio di Padova.
Devo ammettere che mi faceva anche comodo sottrargli, ogni tanto, qualche banconota di piccolo taglio, approfittando dei suoi sonnellini pomeridiani davanti alla televisione, in sala da pranzo… non più di cinque o dieci  euro alla volta, raramente venti, mai più di trenta. Lui tanto i soldi non li usa mai, o almeno non li usava, prima.
Quel Tarote, che pur non invitato è emerso dal passato, pare che stia riuscendo a cambiare anche l’unica sua sana abitudine. Insomma l’arzillo vecchietto, come colto da un improvviso raptus, nonostante le mie più che disinteressate proteste, è andato in banca e ha depositato là i suoi averi. Riguardo ciò, ho letto anche quello che diceva la Nazione, per scrupolo, dove Gallicchio dal canto suo, finge di saper interpretare una controversa regola plurimillenaria. Secondo me è piuttosto un solenne imbecille, ma ha certo qualcosa in comune con Malachia Longobucco da Andria, a parte la provenienza pugliese, cioè una specie di fasulla sintonia cosmica o qualcosa di questo genere e perciò ha detto, quasi ricalcando le sue parole:
“L’uomo moderno può simbolizzare i suoi averi, le sue proprietà, come se fossero quelle che anticamente erano le pecore, se queste spariscono e il cane vi voleva avvisare e non lo avete ascoltato, gli sprovveduti siete voi e magari il fedele e intelligente cane (che può simbolizzare un tipo qualsiasi di avvertimento, di persona o essere avvertitore, non necessariamente peloso e con la lingua di fuori,) da tempo vi sta mettendo in guardia e voi non lo volevate capire, ne dovrete affrontare le conseguenze a venire…”
In questo caso l’avviso o la persona avvisatrice sarebbero stati Longobucco o Gallicchio, o tutti e due, che sprofondassero all’inferno con Hussamer Horetzi Tarote che li sta aspettando da ormai troppo tempo, ma intanto chi ci rimette sono io e di questo nessuno ne tiene conto. Insomma in mezzo tutto quello che poteva dire, questo antico e forse anche nobile cagacazzo, per rovinare la mia vita, lo ha detto, e se non lo ha dichiarato a piene parole, le interpretazioni di Gallicchio, Longobucco, Casalabbate e la Sacra Corona Unita dei giornalisti mafiosi di origine pugliese, sono puntualmente catastrofiche, se e quando le loro versioni non lo sono abbastanza, ecco che il popolo riesce a farle diventare tali, perché ne ha dentro di sé la vocazione funesta da tempo immemorabile.
A Padova invece e per esempio, come ho già accennato, sul Giornale di Santantonio, quello che dice il loro esperto padre Gennaro Ischitano, (fraticello assai meno pugliese, anche se decisamente un po’ più napoletano,) è diverso da quello che quell’idiota di Gallicchio e compagnia bella giurano di leggere tra le righe stilate dal Misericordioso Horetzi del puzzolente Lago Fantasma della Mongolia.
Ecco l’ultima regola che è uscita, la peggiore, dal mio modesto, ma furioso punto di vista:

Regola 67
Al mercato il pastore comprò due pecore: una grassa e l’altra magra, una alta e l’altra bassa, una con le corna e la seconda senza, una costosa e l’altra assai a buon mercato (e così via per righe e righe ripetitive che non sto qui a narrarvi). Riunitele al piccolo gregge che stava lentamente crescendo grazie al suo duro lavoro, ma denso di piccole e giornaliere soddisfazioni, ecco che ciò portò in breve tempo una trasformazione visibile quanto evidente: alcune pecore rimasero inaspettatamente ma indiscutibilmente incinte e, dopo il tempo necessario, le pancione divennero altrettanti agnellini. Un esame seguente, mirato verso le più basse zone ovine, rivelò la metaforica radice di quell’improvviso virgulto dell’albero fenomenale della vita. La pecora magra, bassa, senza corna e a buon mercato - e così via discorrendo -  era piuttosto un montone, un poco scalcinato, sì, ma pur sempre un montone, in buona sostanza. Il montone, da che mondo è mondo, lo dice il nome stesso, ama montare le pecore, è la sua sacra missione terrestre.

La da me temutissima interpretazione di Nicola Gallicchio, pur non sapendone ancora il come e il perché, manco a dirlo appoggiata e promossa da tutte le altre della Sacra Corona, (eccetto il buono, perciò controcorrente giornale religioso di Padova, attraverso la penna del coraggioso frate Ischitano,) fu discussa abbastanza in giro, per quanto ne ho saputo, e anche al bar da Moreno la lite si è fatta pecoreccia trai cristiani confusi e talvolta anche piuttosto bestemmiatori. Quel sedicente studioso della minchia, aveva scritto sulla Nazione che la pecora maschio, il cosiddetto montone, acquistato per errore dal pur bravo e diligente pastore, simboleggiava le strade intraprese per caso e/o per sbaglio nella nostra vita, che spesso quanto volentieri si possono rivelare migliori o peggiori del previsto. La pecora magra, bassa, senza corna, era costata, perciò, meno dell’altra più prospera e belloccia, ma aveva inaspettatamente dato frutti migliori e più tangibili, sotto forma di agnelli, in breve tempo sfornati da calde pance di pecora a suo tempo inopinatamente montata. Proprio per il suo aspetto, nessuno aveva immaginato che esso era un montone, che normalmente è più grande e più raro e di conseguenza costa di più della pecora, proprio per il suo sacro, nobile e necessario ruolo di motore della procreazione. In sintesi la vita è un calcolo delle probabilità, bisogna tentare e ritentare, essere persistenti, non si può rimanere fermi e aspettare la morte piantati in terra come un palo nel deserto sassoso. Secondo Gallicchio, lo stesso Lago con le Ruote era ed è un esempio di tutto questo, perfino oggigiorno.
Fatto sta che nonno Marasco ha subito mandato a chiamare la Cerasina, che è una cinquantenne ancora piacente, secondo alcuni, ma assai povera purtroppo e su questo tutti concordano. Dicono che lei gli fa l’occhio di trota da almeno un decennio, alcuni dicono addirittura due e che lui l’aveva sempre disdegnata, forse anche grazie ai miei consigli, ripetuti quanto disinterressati. Ecco che a causa di questa ridicola moda del profeta del Lago Fantasma, che - se mai sia esistito - con ogni probabilità è morto da approssimativamente quattromila anni, nel giro di una settimana ho perso il mio privilegiato ruolo in famiglia e l’eredità conseguente, non troppo lontana nel tempo a venire e pure abbastanza ingente nello spazio.


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