Oggetto di scherzo era il carattere singolare di Don
Gaspare, un abruzzese che non rideva mai, ma che faceva spanciare, senza
volerlo, tutti gli altri, con le sue esagerazioni sulle questioni di principio.
Parlava quasi esclusivamente con proverbi, era sempre diffidente, non si apriva
mai in una confidenza, criticava tutti e tutto, era arrabbiato in tutto quello
che faceva, era sempre di malumore.
L’italiano è famoso per essere esagerato, pieno di
temperamento, nel bene e nel male, intollerante, insofferente, sappiamo che
spinge all’estremo le sue caratteristiche. All’interno della normalità di
questo contesto Don Gaspare se ne usciva fuori una spanna, era un eccesso
vivente. Dicevano di lui, tra le altre cose, che era il comunista più fascista
di tutti i democristiani. Si sentiva sempre malato e stanco, lottava ogni
dannato giorno contro il mondo in generale, ma in particolare detestava quelle riunioni di perditempo, alle
quali, però, per motivi sconosciuti, raramente mancava. Insomma riuniva in sé
buona parte dei principali difetti che un solo essere umano può possedere, che
generalmente si ospitano in più individui e già rendono loro difficile la vita.
C’è da dire, però, che con la sua personalità polemica faceva sentire bene gli
altri, a sentirlo parlare e a vederlo si sentivano alleggeriti dal peso
dell’esistenza, li faceva ridere a crepapelle, ma come tutti i grandi comici
giammai rideva, al massimo sorrideva, ironicamente però. Dall’altro lato, se
qualcuno aveva bisogno di un favore, Gaspare non si dava pace finché non aveva
risolto il caso, anche per questo dicevano che era mafioso; gli italiani, per
tradizione, amano parlare e soprattutto sparlare, ma era più per scherzo che
per verità. Per quello che ne so io, era troppo esageratamente onesto, tutto per
lui era una questione di principio, questo era il suo principale difetto e,
come spesso accade, anche la sua migliore virtù.
Don Reitano, un siciliano e mezzo, cosiddetto per via
della sua mole, che abitava sotto di noi, in un vecchio palazzo all'angolo
della Urban con la Tempelherren strasse, diceva che anche il Principe Antonio
De Curtis, in arte Totò, era come Gaspare, cioè un comico involontario, uno
dalle doti naturali. Spesso su richiesta ne parlava, giurava ad ogni occasione
di conoscerlo come le sue tasche, per quanto ad alcuni sembrasse paragone
improprio. Ne parlava in una maniera che, a dire il vero, piaceva poco in giro,
dichiarava che era uomo solitario e sempre serio ed immerso nei suoi pensieri e
problemi. Però questo quelli là non volevano sentirselo dire, Totò non poteva
essere uno che aveva sofferto nella vita, era uno che dava speranza a tanti,
era uno che regalava risate e allegria, nessuno voleva sentirsi dire che l'uomo
era condannato all'eterno affanno. C'era quindi chi gli metteva in dubbio
questa sua conoscenza e questo faceva infuriare come un toro il grasso Reitano,
che tutto gli potevano dire, ma non che lui non fosse stato amico di Totò,
questo lo mandava in bestia.Quando gli chiedevano com'era che lui, che non si
era mai mosso da Selinunte, nella parte più lontana della antica Magna Grecia,
prima di venire a Berlino, poteva aver avuto un così magico incontro, lui
s'impuntava e smetteva di parlare, per farlo continuare dovevano dargli da
bere.
Con un bicchierotto pieno di lubrificante sociale in
mano, allora ricominciava, all’inizio lentamente, quasi timoroso di scoprirsi
troppo, dopo prendeva confidenza e la facciona s’illuminava e la velocità
aumentava con il suo entusiasmo.
Dopo essersi sparato un vino bianco liquoroso di Brindisi,
Reitano, diceva che lui invece aveva girato il mondo, LUI, al contrario di
tanti altri che conoscevano solo il perimetro di una cucina di ristorante... e
che, tra le altre cose, aveva lavorato anche in un albergo di via Veneto a
Roma. Aveva una memoria ancora vivace, parlava il tedesco meglio di tanti altri
e storceva il naso quando qualcuno dei nostri usava il sowieso nel senso di sicuramente. Lui sapeva che invece voleva dire
in ogni maniera, ma tra gli italiani
dei ristoranti quella parola tedesca, molto usata, aveva cambiato, come altre,
leggermente, il suo significato originale. Tutti sapevano che lui aveva
lavorato all’accettazione di un grande hotel, si divertivano a prenderlo in
giro, dubitando di quello che diceva, anzitutto perché quello era il loro modo
di fare, ma anche perché, sotto pressione, Reitano s’impegnava al massimo, più
lo sfottevano più lui, con l'aria di chi sopporta con saggezza la pesante
ignoranza altrui, s’immedesimava nella narrazione. Bastava riempirgli il
bicchiere appena lo vuotava, cioè abbastanza rapidamente, ma ne valeva la pena.
Sarà stato anche l’effetto romantico di quei nettari della nostra terra, ma
sembrava davvero che pennellasse quelle scene, era un artista, anche o ancor di
più se si fosse inventato tutto.
Era di quel tipo di persone che in Italia riuniscono
attorno a sé decine di anime curiose all'osteria e cominciano a dire, a fare e
a smanaccare che sono assai meglio della televisione, ma che purtroppo sono
diventate sempre più rare con l’avvento di quest’ultima. Zio Cosimo diceva che
quando esci fuori dal presente e ti figuri nella capoccia questa situazione o
quell'altra, del passato, allora non ha più importanza la fedeltà del racconto
con l'accaduto.
Don Reitano creava una nuvola di particolari
verosimili, la testa lo aiutava, a quello, non come a Don Gaspare... che allora
chi se ne frega se era vero, se aveva esagerato o se aveva creato tutto da sé,
con l'ebbra turbina della propria fenomenale immaginazione cinematografica?
Ecco che tutti gli domandavano chiarimenti, si vedeva
che, anche se per scherzo, era tutto sul serio, cosicchè lui s'infervorava di
più e in certi momenti ti faceva anche quattro o cinque personaggi, con una
diversa voce ed una differente maniera di parlare, oltre al ruolo del narratore,
che era sempre lui, e narrava più o meno con la sua voce originale, ma un po'
più bassa, piena di profondità professionale. A volte lo applaudivano, allora
lui si guardava intorno soddisfatto, sorridente, altre volte se ne offendeva
come se avessero voluto intendere, applaudendo, che fosse tutta una baggianata.
Il suo era un teatro che voleva anche essere realtà, diceva che la vita era una
commedia, in tutto e per tutto, solo che i conti non si potevano pagare con i
soldi del Monopoli. Se un applauso a volte gli pareva una presa in giro,
dipendeva molto dal momento, da quanto vino aveva tracannato, dalla scena che
stava recitando, ma qualunque fosse la sua reazione il teatro continuava,
dentro e fuori dalla storia.
Quando gli chiedevano come era che aveva conosciuto
Totò, allora lui già si atteggiava, metteva un piede più in avanti e, con il
petto in fuori, partiva con quella
storia che poteva essere anche vera, in parte, magari un pò esagerata dalla sua
mente vivace, magari era stato solo facchino in quell'albergo, magari aveva
parlato solo cinque minuti con il principe, o aveva solo assistito ad una
conversazione simile o completamente diversa, ma quello che contava era che
tirava fuori quello che poteva essere un copione di un film e lo metteva anche
in scena, allora la gente lo acclamava.
Era
un giorno come tanti quando il Principe, che alloggiava sempre DA NOI quando si
trovava a Roma e girava un film a Cinecittà o dov'altro voleva, lui, Totò,
passò davanti alla reception a passi lunghi e ben calibrati, con le mani
congiunte dietro la schiena, come faceva sempre, completamente assorto nei suoi
sconfinati pensieri, ma io lo chiamai:
“Principe, mi scusi, ieri sera ha telefonato quella
signorina del nord che parla così strano, la signorina Serini mi pare, l'ho
segnato qui... ecco, Gerini!”
“Cerini! Si chiama Cerini, come quei piccoli
fiammiferi, piccoli, sì, ma che accendono lo stesso un grande fuoco negli
altri, se lo ricordi... ma, giovinotto, perché diavolo non me l'ha passata?”
“Ma... Principe, lei mi aveva pregato di dire che non
c'era per nessuno, la signorina si è rattristata, ma io non disobbedisco mai
agli ordini, sapete....”
“E fa male, giovinotto, anzi malissimo, perché la
signorina aveva bisogno di me, evidentemente! Mi pare tanto chiaro!”
Al che lo fermavano, qualcuno che non aveva mai
sentito la storia c'era sempre, quel qualcuno non sapeva il significato di una
parola che Reitano sbuffando spiegava, con pazienza misurata dal suo voler bene
anche a quella beata, ma tanto indisponente ignoranza. Lo sapeva che quelli là
erano persone semplici, oltretutto il suono metallico e le difficoltà della
lingua tedesca gli avevano confuso ulteriormente le idee sul proprio idioma,
che avevano pure conosciuto poco, per via del dialetto.
“Mi perdoni Principe, io non ero sicuro di far bene,
ho cercato di rincuorare la signorina, per quanto potessi, ma voleva parlare
solo con lei...”
“Imperdonabile! Inammissibile. Giovane mio, lei
insiste nel suo errore di cortezza mentale, scarsa lungimiranza, direi. Vabbè.
Pazienza. Chissà la poveretta come si sentiva a vedersi respinta così, mi dica:
almeno si rende conto di ciò che ha fatto?”
“Ma... ma lei mi aveva ordinato di riferire a chiunque
che non c'era...”
“Si decida buon'uomo! Prima lei ha detto che l'avevo
pregato, poi ora dice che glielo avevo ordinato!
Se lo lasci dire, lei è un'impreciso, quantomeno!
Oltre a ciò è stato noncurante dei termini, il che è
una schifezza!
Io le avevo semplicemente detto che stavo impegnato e
che non volevo seccature!
Ma sta a lei capire quando c'è un'eccezione da fare...
quando le vogliamo fare le eccezioni, quando viene l’agente delle tasse?
E poi, via... una vocetta intrigante, in più
proveniente da un arcipelago di donna
come quella, le pare una seccatura?
Lei ha presente il significato della parola seccatura?
Ma mi faccia il santo favore!”
Ovviamente tutte queste parole difficili gli procuravano mani addosso e proteste, volevano
sapere i vari e rispettivi significati, ma in quel momento lui ignorava il
tutto. Anche loro dovevano in qualche modo capire che la scena era da recitare
con quel tipo di immedesimazione, quella che proprio non si doveva e non di
poteva interrompere. Finita che era, allora lui si dedicava alla sua seconda
funzione, quella di vocabolario, con un certo calcolato e bonario snobismo.
Quando qualcuno domandava spiegazione lui ne godeva, aveva occasione di
dimostrare quanto colto fosse e conoscitore della lingua, oltre che di Totò,
che lì tra loro bastava e avanzava, col beneficio del dubbio incluso, per essere
considerato un granduomo. Non che non lo fosse, lo era, ma Reitano Altomonte
era pure un ingordo, più mangiava e più fame gli veniva, più beveva più la sete
gli aumentava, la sua stazza d'altronde non faceva che confermarlo.
“Allora Totò era adirato, l'avrete capito da voi....
adirato significa incazzato, ma vi devo spiegare proprio ogni parola? Dovevo
assolutamente inventare qualcosa, ma lui era lì che m'incalzava guardandomi
negli occhi come un ipnotizzatore, e queste parole ve le spiego dopo che non hanno
importanza, per ora.”
Qui magari qualcuno insinuava che il significato non
lo sapeva neanche lui, ma le malelingue ci sono dovunque e comunque.
“Signor... Principe De Curtis, se ho sbagliato l'ho
fatto in buona fede, sia buono, se mi darà occasione potrò farmi perdonare, non
tema, sono una persona di valore, la prego mi assolva...”
Qui doveva di nuovo decodificare, ma stavolta se la
cavava con poco, il contastorie, lui che se arrivato alle parole complicate e
nessuno chiedeva niente si guardava attorno sorpreso, dall'incredibile vuoto
lasciato dalla mancanza di un'attesa interruzione. A volte chi non aveva
capito, si vergognava di domandare, visto che gli altri non lo facevano, allora
lui poteva, grazie al cielo e ai santi protettori, continuare, con un'aria di
commiserazione frammista a un'espressione di magnanimità, si guardava intorno
per vedere chi erano i più testoni e ripartiva con Totò e allora ne copiava a
perfezione l'espressività... la strafottenza tipica e la mobilità degli occhi,
la vociona caratteristica:
“Voi siete un brav'uomo e io lo apprezzo, vi ho messo
alla prova perché ho bisogno di un favore.”
Qui
mi ha preso per un avambraccio e mi ha portato fuori dal bancone, si è guardato
intorno circospetto, (che vuol dire per vedere se qualcuno lo spiava,) poi mi
ha messo la mano su una spalla e con la testa chinata, guardando in terra, lui
ed io, per concentrarci meglio sull’importanza delle sue frasi, mentre
camminavamo a grandi passi, avanti e indietro nel salone, mi ha detto:
“Voi dovreste andare, entro qualche giorno, diciamo
non più di due o tre, a consegnare un plico segreto alla stessa signorina che
avete... (e a dirla precisa, non avete) ricevuto telefonicamente ieri sera. Si
tratta di cosa delicata, per questo ho estremo bisogno di persona fidata, se
voi mi farete questo grande favore vi sarò immensamente grato... e la
gratitudine che mi capita di avere tra le mani è una signora gratitudine, lei
mi capisce, che tutti la vorrebbero conoscere. Mi dica, ha dei problemi di
sorta per un siffatto favore?”
“No. Farei qualsiasi cosa per voi, siete una persona
che ammiro e ci sarebbero centinaia di uomini in Italia....”
“Anche altrove.”
“Ci sarebbero nel mondo centinaia di uomini....”
“E le donne? Non dimentichiamocele le donne! Includa
pure le donne, la prego, anzi ci metta soprattutto le donne, mi faccia il santo
piacere, già che è di strada...”
“Certamente... uomini e donne farebbero la fila per
fare un favore a lei, sono onorato di aver occasione di compiacervi, lo farò
senz'altro...”
“Senza meno?”
“Non c'è meno che tenga!”
“Anche se fosse lontanuccio?”
“Lontanuccio? Ma dove?”
“Giovanotto lei mi ha promesso poc'anzi la sua fedeltà
ad ogni costo, veda di rammentarselo. Non comincerà mica a tirarsi indietro?”
“Nooo. Ma io devo lavorare, ho una zia anziana da
mantenere e...”
“Come non detto, non cominciamo a tirare fuori le
vecchie zie, non lo sa che prendono freddo? No, no, non perdiamo tempo
ulteriore, ci mancherebbe altro, di tempo io ne ho poco, pochissimo,
praticamente non ne ho affatto. Lei promette e non mantiene, pazienza, mi
rivolgerò altrove, arrivederci!”
“No, aspetti, manterrò la mia promessa, dove devo
andare a portare questo plico segreto?”
“Ssshhh, se è segreto è segreto... veda che non si
deve dire, giammai, la parola corrispondente, sennò qualcuno si potrebbe
incuriosire, mi scusi, ma lei, non ne è al corrente? Non lo sa che il nemico ci
ascolta, dovunque? O lo ha per caso dimenticato?
Comunque il luogo è... Novara, in centro, non lontano dalla stazione, Via
Piemonte 17, interno 2, troverà un bel campanello assai dorato, ma invece è
ottone, pazienza, che ci vuol fare, la vita è una illusione... un campanello,
senza scritta, dicevamo... non si può sbagliare. Le consegnerò LA COSA domani
alle dodici in punto, non un minuto prima, né un minuto dopo. Mi saluti la
signorina, magari le compri anche un bel regaluccio, che ne so un cappello, un
mazzo di fiori o tutti e due... non badi a spese, checché! Si vive una volta
sola! Ovviamente le rimborserò il tutto a consegna avvenuta, spese del viaggio
eccetera. In più la mia gratitudine, quella che le ho già detto prima. Non se
ne dimentichi. Mi raccomando: acqua in bocca.
Ora la lascio, il mio tempo scarseggia a tutta forza.
A domani, a mezzogiorno. Le recapiterò il plico.”
E
se ne andò con la testa girata indietro, verso di me, rimasto piantato come un
palo là nel mezzo e lui che si girava con il dito indice accostato al naso,
intimandomi silenzio, facendomi contemporaneamente l’occhiolino, camminando
verso l’ascensore, pareva la scena di una commedia, ma era realtà.
Qui il pubblico rumoreggiava, il racconto poteva
dimostrare, sì, che aveva conosciuto Totò, anche che la sua comicità fosse
naturale, certo più delicata ed affabile rispetto a quella di Don Gaspare, ma
che pure lui fosse personaggio sgradevole, nella vita privata, pareva proprio
il contrario di ciò che aveva raccontato Reitano.
Allora lui correggeva il tiro.
“Forse mi sono spiegato male, quello che intendevo io
era che lui, come ogni essere umano aveva i suoi alti e bassi, che poteva essere
anche antipatico o snob, oppure conformista... eh? Manco conformista sapete?
Nemmanco snob... ma ditemi voi come posso fare io a fare una vita così!
Se pò fà 'sta vita?
Non sapete niente! Però fate i difficili!! Avete
pretese assurde! Dovreste ascoltare in silenzio, piuttosto! Segnatevi le parole
e consultate un vocabolario. Chi lo sa, magari, senza volerlo, imparate
qualcosa.
Ma sì! Che sto dicendo? Chi è che c’ha un vocabolario,
di voi? Alzate la mano voi, coloro che possiedono numero uno vocabolari, a
casa, o in cucina del ristorante!!
Nessuno?
Pensavo peggio.” Risata generale.
“Piuttosto, chi è che sa cosa significa la parola
VO-CA-BO-LA-RIO? Agostì, spiegacelo tu che cosa significa, questa parola
misteriosa.”
Tutti volevano spiegare, a quel punto che cosa era il
vocabolario, tutti lo sapevano, o quasi, si sbracciavano e gridavano per
dimostrarlo... balbettavano, eccitati... certo darne una definizione era più
difficile... eppoi Reitano ora avrebbe accettato solo la testimonianza di
Agostino. Agostino Pella era un fornaio di Pisticci, in Basilicata, con alcune
pretese poetiche, ma le sue poesie parlavano solo degli alti e bassi della vita
di forno e ricevevano, forse proprio per questo, scarso interesse, era
solitamente preso in giro, ma là tutti prendevano in giro gli altri, senza
malizia, solo per passare il tempo:
“Un librone con dentro tutte le parole strane,
Reità!”
“Bravo Austino, ci siamo quasi, ma non solo quelle,
non solo quelle! Che poi, per voi, tutte strane sono, ma dove cazzo avete vissuto?
Ora diglielo tu, (che sei un poeta, un fine dicitore,) a questi ex-giovinotti che io ricomincio a
raccontare solo quando avranno comprato tutti un vocabolario!”
Dopodichè si siedeva proprio come non fosse successo
niente, fischiettava guardando per aria. Quei bravuomini erano increduli di
tale atteggiamento, di quel boicottaggio, che era solo una finta, ma pareva
verità. Comunque sia, erano anche curiosi, amavano quella storia, più se la
sentivano raccontare e più sembrava vera. Gli ex-giovinotti erano ignoranti ma
affatto scemi, lo sapevano bene come riaccendere quella televisione di lusso
che era Don Reitano. Difatti subito dopo arrivava come per caso, tra quei
cotechini rosso vivo, che lui chiamava dita, un bel sigaro tipo Avana. Don
Reitano ne era appassionato, li fumava dandosi una pompa che senza di quei
sigaroni non avrebbe mai raggiunto, il petto gli si gonfiava e così via. Allora
si guardava attorno compiaciuto, odorava e adorava il sigarone beige, se lo
passava sotto il naso lentamente, estasiato da quell’inconfondibile aroma e i
suoi occhietti porcini giravano attorno placidamente indagatori. Parlava, di nuovo, come un imperatore ai
sudditi, e i sudditi erano già pronti a immagazzinare quella grazia di Dio
sotto forma di parole.
“Beh, almeno avete un'idea del valore delle cose,
questo è da apprezzarsi, soprattutto da una manica di villani di campagna.”
E qui si beccava la sua brava bordata di fischi e male
parole, era tutto per ridere, ma sul serio. Lui faceva finta di niente e si
prodigava nel prosieguo di un racconto che ogni volta arricchiva di dettagli
vivi e nuovi, pure perché, allenando il cervello a ricordarsi, ritrovava di
cose dimenticate negli angolini degli scaffali più polverosi. Reitano ci
provava gusto ad inventare di fresco e gli pareva di riviverla, quella
situazione, che poi, forse, non aveva mai vissuto, ma era per lui come se fosse
storica realtà, per questo ne passava, un’impressione così autentica. Tutte le
sante volte che questa vicenda veniva raccontata si facevano la stessa
discussione finale, ne abbiamo tre versioni filmate e sono l’una la copia
dell’altra, eppure assai differenti. Durante il loro sviluppo i fatti subiscono
variazioni notevoli, entrate ed uscite diverse, interruzioni e nuove versioni,
più o meno ampliate; ma quando si arriva al morale della favola ecco che tutto
si ripete uguale e medesimo: i vari interlocutori dichiarano le loro idee a
riguardo come se fosse la prima volta. In sintesi nessuno era favorevole al
pensiero che Totò potesse essere un uomo irritabile, discontinuo, soggetto a
cambiamenti di umore repentini. I fatti stessi che Reitano metteva in scena non
facevano che confermare l’ingegno e la simpatia di quel grand’uomo. Tutti erano
d’accordo sul fatto che lui si voleva far bello con il suo racconto, e passa,
ma che se voleva parlare di Totò che dicesse la verità, per carità e per
favore, cioè che il principe Antonio era un uomo allegro e simpatico, assai
intelligente e che faceva divertire gli altri, nella vita privata come sullo
schermo. Don Reitano era naturalmente contrario a questa semplificazione della
realtà per cui, se un essere umano aveva evidenti caratteristiche positive,
tutto nella sua personalità doveva esserlo.
Zio Cosimo appoggiava gli uni e gli altri, a seconda
delle occasioni. In genere cercava di mettere zizzania perché la polemica fosse
più scoppiettante, perché si accapigliassero di più, affinché le scene fossero
più colorite. Non che ce ne fosse bisogno, ma a volte, poche, erano meno
motivati ed allora lui li pizzicava dove sapeva che erano più sensibili.
L’unico che difendeva sempre a spada tratta la tesi di Reitano, era Gaspare,
per il quale era molto più probabile e naturale credere ad un personaggio che
lottava come gli altri poveri diavoli e a volte si arrendeva pure alle
difficoltà del giorno per giorno, piuttosto che il contrario. Oltre a ciò,
visto che si voleva paragonare lui a Totò, non poteva dispiacergli. Si narrava
che le uniche poche vere risate che Gaspare si faceva era quando vedeva i film
del comico napoletano, ma nessuno lo aveva visto personalmente.
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