martedì 15 maggio 2018

COSIMO, GASPARE, REITANO E TOTÒ


Oggetto di scherzo era il carattere singolare di Don Gaspare, un abruzzese che non rideva mai, ma che faceva spanciare, senza volerlo, tutti gli altri, con le sue esagerazioni sulle questioni di principio. Parlava quasi esclusivamente con proverbi, era sempre diffidente, non si apriva mai in una confidenza, criticava tutti e tutto, era arrabbiato in tutto quello che faceva, era sempre di malumore.

L’italiano è famoso per essere esagerato, pieno di temperamento, nel bene e nel male, intollerante, insofferente, sappiamo che spinge all’estremo le sue caratteristiche. All’interno della normalità di questo contesto Don Gaspare se ne usciva fuori una spanna, era un eccesso vivente. Dicevano di lui, tra le altre cose, che era il comunista più fascista di tutti i democristiani. Si sentiva sempre malato e stanco, lottava ogni dannato giorno contro il mondo in generale, ma in particolare detestava quelle riunioni di perditempo, alle quali, però, per motivi sconosciuti, raramente mancava. Insomma riuniva in sé buona parte dei principali difetti che un solo essere umano può possedere, che generalmente si ospitano in più individui e già rendono loro difficile la vita. C’è da dire, però, che con la sua personalità polemica faceva sentire bene gli altri, a sentirlo parlare e a vederlo si sentivano alleggeriti dal peso dell’esistenza, li faceva ridere a crepapelle, ma come tutti i grandi comici giammai rideva, al massimo sorrideva, ironicamente però. Dall’altro lato, se qualcuno aveva bisogno di un favore, Gaspare non si dava pace finché non aveva risolto il caso, anche per questo dicevano che era mafioso; gli italiani, per tradizione, amano parlare e soprattutto sparlare, ma era più per scherzo che per verità. Per quello che ne so io, era troppo esageratamente onesto, tutto per lui era una questione di principio, questo era il suo principale difetto e, come spesso accade, anche la sua migliore virtù.
Don Reitano, un siciliano e mezzo, cosiddetto per via della sua mole, che abitava sotto di noi, in un vecchio palazzo all'angolo della Urban con la Tempelherren strasse, diceva che anche il Principe Antonio De Curtis, in arte Totò, era come Gaspare, cioè un comico involontario, uno dalle doti naturali. Spesso su richiesta ne parlava, giurava ad ogni occasione di conoscerlo come le sue tasche, per quanto ad alcuni sembrasse paragone improprio. Ne parlava in una maniera che, a dire il vero, piaceva poco in giro, dichiarava che era uomo solitario e sempre serio ed immerso nei suoi pensieri e problemi. Però questo quelli là non volevano sentirselo dire, Totò non poteva essere uno che aveva sofferto nella vita, era uno che dava speranza a tanti, era uno che regalava risate e allegria, nessuno voleva sentirsi dire che l'uomo era condannato all'eterno affanno. C'era quindi chi gli metteva in dubbio questa sua conoscenza e questo faceva infuriare come un toro il grasso Reitano, che tutto gli potevano dire, ma non che lui non fosse stato amico di Totò, questo lo mandava in bestia.Quando gli chiedevano com'era che lui, che non si era mai mosso da Selinunte, nella parte più lontana della antica Magna Grecia, prima di venire a Berlino, poteva aver avuto un così magico incontro, lui s'impuntava e smetteva di parlare, per farlo continuare dovevano dargli da bere.
Con un bicchierotto pieno di lubrificante sociale in mano, allora ricominciava, all’inizio lentamente, quasi timoroso di scoprirsi troppo, dopo prendeva confidenza e la facciona s’illuminava e la velocità aumentava con il suo entusiasmo.
Dopo essersi sparato un vino bianco liquoroso di Brindisi, Reitano, diceva che lui invece aveva girato il mondo, LUI, al contrario di tanti altri che conoscevano solo il perimetro di una cucina di ristorante... e che, tra le altre cose, aveva lavorato anche in un albergo di via Veneto a Roma. Aveva una memoria ancora vivace, parlava il tedesco meglio di tanti altri e storceva il naso quando qualcuno dei nostri usava il sowieso nel senso di sicuramente. Lui sapeva che invece voleva dire in ogni maniera, ma tra gli italiani dei ristoranti quella parola tedesca, molto usata, aveva cambiato, come altre, leggermente, il suo significato originale. Tutti sapevano che lui aveva lavorato all’accettazione di un grande hotel, si divertivano a prenderlo in giro, dubitando di quello che diceva, anzitutto perché quello era il loro modo di fare, ma anche perché, sotto pressione, Reitano s’impegnava al massimo, più lo sfottevano più lui, con l'aria di chi sopporta con saggezza la pesante ignoranza altrui, s’immedesimava nella narrazione. Bastava riempirgli il bicchiere appena lo vuotava, cioè abbastanza rapidamente, ma ne valeva la pena. Sarà stato anche l’effetto romantico di quei nettari della nostra terra, ma sembrava davvero che pennellasse quelle scene, era un artista, anche o ancor di più se si fosse inventato tutto.
Era di quel tipo di persone che in Italia riuniscono attorno a sé decine di anime curiose all'osteria e cominciano a dire, a fare e a smanaccare che sono assai meglio della televisione, ma che purtroppo sono diventate sempre più rare con l’avvento di quest’ultima. Zio Cosimo diceva che quando esci fuori dal presente e ti figuri nella capoccia questa situazione o quell'altra, del passato, allora non ha più importanza la fedeltà del racconto con l'accaduto.
Don Reitano creava una nuvola di particolari verosimili, la testa lo aiutava, a quello, non come a Don Gaspare... che allora chi se ne frega se era vero, se aveva esagerato o se aveva creato tutto da sé, con l'ebbra turbina della propria fenomenale immaginazione cinematografica?
Ecco che tutti gli domandavano chiarimenti, si vedeva che, anche se per scherzo, era tutto sul serio, cosicchè lui s'infervorava di più e in certi momenti ti faceva anche quattro o cinque personaggi, con una diversa voce ed una differente maniera di parlare, oltre al ruolo del narratore, che era sempre lui, e narrava più o meno con la sua voce originale, ma un po' più bassa, piena di profondità professionale. A volte lo applaudivano, allora lui si guardava intorno soddisfatto, sorridente, altre volte se ne offendeva come se avessero voluto intendere, applaudendo, che fosse tutta una baggianata. Il suo era un teatro che voleva anche essere realtà, diceva che la vita era una commedia, in tutto e per tutto, solo che i conti non si potevano pagare con i soldi del Monopoli. Se un applauso a volte gli pareva una presa in giro, dipendeva molto dal momento, da quanto vino aveva tracannato, dalla scena che stava recitando, ma qualunque fosse la sua reazione il teatro continuava, dentro e fuori dalla storia.
Quando gli chiedevano come era che aveva conosciuto Totò, allora lui già si atteggiava, metteva un piede più in avanti e, con il petto in fuori,  partiva con quella storia che poteva essere anche vera, in parte, magari un pò esagerata dalla sua mente vivace, magari era stato solo facchino in quell'albergo, magari aveva parlato solo cinque minuti con il principe, o aveva solo assistito ad una conversazione simile o completamente diversa, ma quello che contava era che tirava fuori quello che poteva essere un copione di un film e lo metteva anche in scena, allora la gente lo acclamava.
Era un giorno come tanti quando il Principe, che alloggiava sempre DA NOI quando si trovava a Roma e girava un film a Cinecittà o dov'altro voleva, lui, Totò, passò davanti alla reception a passi lunghi e ben calibrati, con le mani congiunte dietro la schiena, come faceva sempre, completamente assorto nei suoi sconfinati pensieri, ma io lo chiamai:
“Principe, mi scusi, ieri sera ha telefonato quella signorina del nord che parla così strano, la signorina Serini mi pare, l'ho segnato qui... ecco, Gerini!”
“Cerini! Si chiama Cerini, come quei piccoli fiammiferi, piccoli, sì, ma che accendono lo stesso un grande fuoco negli altri, se lo ricordi... ma, giovinotto, perché diavolo non me l'ha passata?”
“Ma... Principe, lei mi aveva pregato di dire che non c'era per nessuno, la signorina si è rattristata, ma io non disobbedisco mai agli ordini, sapete....”
“E fa male, giovinotto, anzi malissimo, perché la signorina aveva bisogno di me, evidentemente! Mi pare tanto chiaro!”
Al che lo fermavano, qualcuno che non aveva mai sentito la storia c'era sempre, quel qualcuno non sapeva il significato di una parola che Reitano sbuffando spiegava, con pazienza misurata dal suo voler bene anche a quella beata, ma tanto indisponente ignoranza. Lo sapeva che quelli là erano persone semplici, oltretutto il suono metallico e le difficoltà della lingua tedesca gli avevano confuso ulteriormente le idee sul proprio idioma, che avevano pure conosciuto poco, per via del dialetto.
“Mi perdoni Principe, io non ero sicuro di far bene, ho cercato di rincuorare la signorina, per quanto potessi, ma voleva parlare solo con lei...”
“Imperdonabile! Inammissibile. Giovane mio, lei insiste nel suo errore di cortezza mentale, scarsa lungimiranza, direi. Vabbè. Pazienza. Chissà la poveretta come si sentiva a vedersi respinta così, mi dica: almeno si rende conto di ciò che ha fatto?”
“Ma... ma lei mi aveva ordinato di riferire a chiunque che  non c'era...”
“Si decida buon'uomo! Prima lei ha detto che l'avevo pregato, poi ora dice che glielo avevo ordinato!
Se lo lasci dire, lei è un'impreciso, quantomeno!
Oltre a ciò è stato noncurante dei termini, il che è una schifezza!
Io le avevo semplicemente detto che stavo impegnato e che non volevo seccature!
Ma sta a lei capire quando c'è un'eccezione da fare... quando le vogliamo fare le eccezioni, quando viene l’agente delle tasse?
E poi, via... una vocetta intrigante, in più proveniente da un arcipelago di donna come quella, le pare una seccatura?
Lei ha presente il significato della parola seccatura?
Ma mi faccia il santo favore!”
Ovviamente tutte queste parole difficili gli  procuravano mani addosso e proteste, volevano sapere i vari e rispettivi significati, ma in quel momento lui ignorava il tutto. Anche loro dovevano in qualche modo capire che la scena era da recitare con quel tipo di immedesimazione, quella che proprio non si doveva e non di poteva interrompere. Finita che era, allora lui si dedicava alla sua seconda funzione, quella di vocabolario, con un certo calcolato e bonario snobismo. Quando qualcuno domandava spiegazione lui ne godeva, aveva occasione di dimostrare quanto colto fosse e conoscitore della lingua, oltre che di Totò, che lì tra loro bastava e avanzava, col beneficio del dubbio incluso, per essere considerato un granduomo. Non che non lo fosse, lo era, ma Reitano Altomonte era pure un ingordo, più mangiava e più fame gli veniva, più beveva più la sete gli aumentava, la sua stazza d'altronde non faceva che confermarlo.
“Allora Totò era adirato, l'avrete capito da voi.... adirato significa incazzato, ma vi devo spiegare proprio ogni parola? Dovevo assolutamente inventare qualcosa, ma lui era lì che m'incalzava guardandomi negli occhi come un ipnotizzatore, e queste parole ve le spiego dopo che non hanno importanza, per ora.”
Qui magari qualcuno insinuava che il significato non lo sapeva neanche lui, ma le malelingue ci sono dovunque e comunque.
“Signor... Principe De Curtis, se ho sbagliato l'ho fatto in buona fede, sia buono, se mi darà occasione potrò farmi perdonare, non tema, sono una persona di valore, la prego mi assolva...”
Qui doveva di nuovo decodificare, ma stavolta se la cavava con poco, il contastorie, lui che se arrivato alle parole complicate e nessuno chiedeva niente si guardava attorno sorpreso, dall'incredibile vuoto lasciato dalla mancanza di un'attesa interruzione. A volte chi non aveva capito, si vergognava di domandare, visto che gli altri non lo facevano, allora lui poteva, grazie al cielo e ai santi protettori, continuare, con un'aria di commiserazione frammista a un'espressione di magnanimità, si guardava intorno per vedere chi erano i più testoni e ripartiva con Totò e allora ne copiava a perfezione l'espressività... la strafottenza tipica e la mobilità degli occhi, la vociona caratteristica:
“Voi siete un brav'uomo e io lo apprezzo, vi ho messo alla prova perché ho bisogno di un favore.” 
Qui mi ha preso per un avambraccio e mi ha portato fuori dal bancone, si è guardato intorno circospetto, (che vuol dire per vedere se qualcuno lo spiava,) poi mi ha messo la mano su una spalla e con la testa chinata, guardando in terra, lui ed io, per concentrarci meglio sull’importanza delle sue frasi, mentre camminavamo a grandi passi, avanti e indietro nel salone, mi ha detto:
“Voi dovreste andare, entro qualche giorno, diciamo non più di due o tre, a consegnare un plico segreto alla stessa signorina che avete... (e a dirla precisa, non avete) ricevuto telefonicamente ieri sera. Si tratta di cosa delicata, per questo ho estremo bisogno di persona fidata, se voi mi farete questo grande favore vi sarò immensamente grato... e la gratitudine che mi capita di avere tra le mani è una signora gratitudine, lei mi capisce, che tutti la vorrebbero conoscere. Mi dica, ha dei problemi di sorta per un siffatto favore?”
“No. Farei qualsiasi cosa per voi, siete una persona che ammiro e ci sarebbero centinaia di uomini in Italia....”
“Anche altrove.”
“Ci sarebbero nel mondo centinaia di uomini....”
“E le donne? Non dimentichiamocele le donne! Includa pure le donne, la prego, anzi ci metta soprattutto le donne, mi faccia il santo piacere, già che è di strada...”
“Certamente... uomini e donne farebbero la fila per fare un favore a lei, sono onorato di aver occasione di compiacervi, lo farò senz'altro...”
“Senza meno?”
“Non c'è meno che tenga!”
“Anche se fosse lontanuccio?”
“Lontanuccio? Ma dove?”
“Giovanotto lei mi ha promesso poc'anzi la sua fedeltà ad ogni costo, veda di rammentarselo. Non comincerà mica a tirarsi indietro?”
“Nooo. Ma io devo lavorare, ho una zia anziana da mantenere e...”
“Come non detto, non cominciamo a tirare fuori le vecchie zie, non lo sa che prendono freddo? No, no, non perdiamo tempo ulteriore, ci mancherebbe altro, di tempo io ne ho poco, pochissimo, praticamente non ne ho affatto. Lei promette e non mantiene, pazienza, mi rivolgerò altrove, arrivederci!”
“No, aspetti, manterrò la mia promessa, dove devo andare a portare questo plico segreto?”
“Ssshhh, se è segreto è segreto... veda che non si deve dire, giammai, la parola corrispondente, sennò qualcuno si potrebbe incuriosire, mi scusi, ma lei, non ne è al corrente? Non lo sa che il nemico ci ascolta, dovunque? O lo ha per caso dimenticato?
Comunque il luogo è... Novara,  in centro, non lontano dalla stazione, Via Piemonte 17, interno 2, troverà un bel campanello assai dorato, ma invece è ottone, pazienza, che ci vuol fare, la vita è una illusione... un campanello, senza scritta, dicevamo... non si può sbagliare. Le consegnerò LA COSA domani alle dodici in punto, non un minuto prima, né un minuto dopo. Mi saluti la signorina, magari le compri anche un bel regaluccio, che ne so un cappello, un mazzo di fiori o tutti e due... non badi a spese, checché! Si vive una volta sola! Ovviamente le rimborserò il tutto a consegna avvenuta, spese del viaggio eccetera. In più la mia gratitudine, quella che le ho già detto prima. Non se ne dimentichi. Mi raccomando: acqua in bocca.
Ora la lascio, il mio tempo scarseggia a tutta forza. A domani, a mezzogiorno. Le recapiterò il plico.”
E se ne andò con la testa girata indietro, verso di me, rimasto piantato come un palo là nel mezzo e lui che si girava con il dito indice accostato al naso, intimandomi silenzio, facendomi contemporaneamente l’occhiolino, camminando verso l’ascensore, pareva la scena di una commedia, ma era realtà.
Qui il pubblico rumoreggiava, il racconto poteva dimostrare, sì, che aveva conosciuto Totò, anche che la sua comicità fosse naturale, certo più delicata ed affabile rispetto a quella di Don Gaspare, ma che pure lui fosse personaggio sgradevole, nella vita privata, pareva proprio il contrario di ciò che aveva raccontato Reitano.
Allora lui correggeva il tiro.
“Forse mi sono spiegato male, quello che intendevo io era che lui, come ogni essere umano aveva i suoi alti e bassi, che poteva essere anche antipatico o snob, oppure conformista... eh? Manco conformista sapete? Nemmanco snob... ma ditemi voi come posso fare io a fare una vita così!
Se pò fà 'sta vita?
Non sapete niente! Però fate i difficili!! Avete pretese assurde! Dovreste ascoltare in silenzio, piuttosto! Segnatevi le parole e consultate un vocabolario. Chi lo sa, magari, senza volerlo, imparate qualcosa.
Ma sì! Che sto dicendo? Chi è che c’ha un vocabolario, di voi? Alzate la mano voi, coloro che possiedono numero uno vocabolari, a casa, o in cucina del ristorante!!
Nessuno?
Pensavo peggio.” Risata generale.
“Piuttosto, chi è che sa cosa significa la parola VO-CA-BO-LA-RIO? Agostì, spiegacelo tu che cosa significa, questa parola misteriosa.”
Tutti volevano spiegare, a quel punto che cosa era il vocabolario, tutti lo sapevano, o quasi, si sbracciavano e gridavano per dimostrarlo... balbettavano, eccitati... certo darne una definizione era più difficile... eppoi Reitano ora avrebbe accettato solo la testimonianza di Agostino. Agostino Pella era un fornaio di Pisticci, in Basilicata, con alcune pretese poetiche, ma le sue poesie parlavano solo degli alti e bassi della vita di forno e ricevevano, forse proprio per questo, scarso interesse, era solitamente preso in giro, ma là tutti prendevano in giro gli altri, senza malizia, solo per passare il tempo:
“Un librone con dentro tutte le parole strane, Reità!”
“Bravo Austino, ci siamo quasi, ma non solo quelle, non solo quelle! Che poi, per voi, tutte strane sono, ma dove cazzo avete vissuto? Ora diglielo tu, (che sei un poeta, un fine dicitore,)  a questi ex-giovinotti che io ricomincio a raccontare solo quando avranno comprato tutti un vocabolario!”
Dopodichè si siedeva proprio come non fosse successo niente, fischiettava guardando per aria. Quei bravuomini erano increduli di tale atteggiamento, di quel boicottaggio, che era solo una finta, ma pareva verità. Comunque sia, erano anche curiosi, amavano quella storia, più se la sentivano raccontare e più sembrava vera. Gli ex-giovinotti erano ignoranti ma affatto scemi, lo sapevano bene come riaccendere quella televisione di lusso che era Don Reitano. Difatti subito dopo arrivava come per caso, tra quei cotechini rosso vivo, che lui chiamava dita, un bel sigaro tipo Avana. Don Reitano ne era appassionato, li fumava dandosi una pompa che senza di quei sigaroni non avrebbe mai raggiunto, il petto gli si gonfiava e così via. Allora si guardava attorno compiaciuto, odorava e adorava il sigarone beige, se lo passava sotto il naso lentamente, estasiato da quell’inconfondibile aroma e i suoi occhietti porcini giravano attorno placidamente indagatori.  Parlava, di nuovo, come un imperatore ai sudditi, e i sudditi erano già pronti a immagazzinare quella grazia di Dio sotto forma di parole.
“Beh, almeno avete un'idea del valore delle cose, questo è da apprezzarsi, soprattutto da una manica di villani di campagna.”
E qui si beccava la sua brava bordata di fischi e male parole, era tutto per ridere, ma sul serio. Lui faceva finta di niente e si prodigava nel prosieguo di un racconto che ogni volta arricchiva di dettagli vivi e nuovi, pure perché, allenando il cervello a ricordarsi, ritrovava di cose dimenticate negli angolini degli scaffali più polverosi. Reitano ci provava gusto ad inventare di fresco e gli pareva di riviverla, quella situazione, che poi, forse, non aveva mai vissuto, ma era per lui come se fosse storica realtà, per questo ne passava, un’impressione così autentica. Tutte le sante volte che questa vicenda veniva raccontata si facevano la stessa discussione finale, ne abbiamo tre versioni filmate e sono l’una la copia dell’altra, eppure assai differenti. Durante il loro sviluppo i fatti subiscono variazioni notevoli, entrate ed uscite diverse, interruzioni e nuove versioni, più o meno ampliate; ma quando si arriva al morale della favola ecco che tutto si ripete uguale e medesimo: i vari interlocutori dichiarano le loro idee a riguardo come se fosse la prima volta. In sintesi nessuno era favorevole al pensiero che Totò potesse essere un uomo irritabile, discontinuo, soggetto a cambiamenti di umore repentini. I fatti stessi che Reitano metteva in scena non facevano che confermare l’ingegno e la simpatia di quel grand’uomo. Tutti erano d’accordo sul fatto che lui si voleva far bello con il suo racconto, e passa, ma che se voleva parlare di Totò che dicesse la verità, per carità e per favore, cioè che il principe Antonio era un uomo allegro e simpatico, assai intelligente e che faceva divertire gli altri, nella vita privata come sullo schermo. Don Reitano era naturalmente contrario a questa semplificazione della realtà per cui, se un essere umano aveva evidenti caratteristiche positive, tutto nella sua personalità doveva esserlo.
Zio Cosimo appoggiava gli uni e gli altri, a seconda delle occasioni. In genere cercava di mettere zizzania perché la polemica fosse più scoppiettante, perché si accapigliassero di più, affinché le scene fossero più colorite. Non che ce ne fosse bisogno, ma a volte, poche, erano meno motivati ed allora lui li pizzicava dove sapeva che erano più sensibili. L’unico che difendeva sempre a spada tratta la tesi di Reitano, era Gaspare, per il quale era molto più probabile e naturale credere ad un personaggio che lottava come gli altri poveri diavoli e a volte si arrendeva pure alle difficoltà del giorno per giorno, piuttosto che il contrario. Oltre a ciò, visto che si voleva paragonare lui a Totò, non poteva dispiacergli. Si narrava che le uniche poche vere risate che Gaspare si faceva era quando vedeva i film del comico napoletano, ma nessuno lo aveva visto personalmente.



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