giovedì 25 agosto 2022

TESTA DI SCIMMIA

 




Per uno scuro come lui chiamarsi Albino era quasi un’ipocrisia, oltre alla pelle olivastra i capelli e i baffi, anche da vecchio, si guardavano bene dall’imbiancare.

A mezzogiorno Albino, che era piuttosto sovrappeso, mangiava normalmente cercando di stare più lontano possibile dal pane e dalla carne, non sempre ci riusciva. Nel pomeriggio andava a fare una bella camminata.

Dopo uno yogurt.

Completava la dieta con un frullato di frutta, più degli integratori alimentari a sostituire la cena, verso le otto e mezza.

Dopo tanto tempo con le mani aveva sentito il suo stesso sterno, la sera sdraiato sul letto, e gli aveva fatto impressione.

Poi il medico gli disse che facendo quella dieta si sarebbe sentito male, era troppo anziano per fare l’eroe e allora lui ricominciò a bere vino e a mangiare carne, più un sacco di pane, come prima insomma.

L'altra cosa da fare era evitare più possibile gli eccessivi libri, per via degli occhi stanchi, dopo una vita di acerrimo lettore. Però leggeva ancora tanto, invece, anzi allora più di prima, soprattutto gialli. Sua moglie lo avvertiva spesso di lasciare riposare gli occhi, ma quando lei usciva, quasi di nascosto, lui prendeva quella trama interrotta e la portava avanti compulsivamente, facendo alla svelta prima che lei tornasse da fare la spesa, o da visitare i figli, le amiche o i parenti.

Lo prendevano in giro perché fin da bambino parlava da solo, per esempio diceva al suo stesso corpo: “Vieni, andiamo a sederci là fuori.” Oppure alle sue stesse scarpe: “Come siete sporche, venite qui che vi pulisco per bene.”

Nel caso specifico Albino aveva delle brevi ma intense allucinazioni, specialmente visive, ma a volte anche auditive, o anche olfattive, ma più raramente.

Secondo il medico era normale, quando il corpo era sotto sforzo e stava cambiando abitudini, non solo alimentari, che i sensi ingannassero la persona, ogni tanto. Soprattutto sotto sforzo.

Quasi tutti i giorni andava a fare una camminata per i boschi alle valli ombrose. Gli parve in un certo senso sotto controllo, quella situazione, quando vide una faccia mezzo umana, grossa e pelosa, o forse anche di una scimmia, per pochi secondi, attraverso la boscaglia, in condizioni di stanchezza fisica. Poi la visione svanì appena passato un albero o un cespuglio, cambiata la prospettiva, abbandonato per un attimo quel fascio di luce tra il denso fogliame.

Però la cosa divenne insistente se non ricorrente, e Albino notò che gli capitava sempre quando si fermava a fare la pipì, che per causa di alcune pastiglie che prendeva per la nuova dieta, e per altre magagne fisiche, insomma non si ricordava nemmeno più perché, doveva orinare assai più frequentemente del normale, ma il suo normale era sempre stato oltremodo pisciante, a scuola aveva già avuto difficoltà logistiche non indifferenti.

Allora smise di farla sul percorso della camminata e la visione sparì, ma rimase curioso e ricominciò tanto per vedere se ricominciava e puntualmente rivedeva quella faccia scimmiesca. Era veramente grande se considerava la distanza che doveva essere sempre superiore o uguale a trenta metri.

Tutto pareva irreale, ma in tutta quella assurdità gli venne in mente una cosa razionale: poteva essere che lo scimmione uscisse a controllare quando sentiva che il crocchiare della ghiaia sotto le scarpe da ginnastica di Albino improvvisamente si zittiva. L'immagine diventava anche sempre più aperta, meno frasche a nascondere il corpo, la scimmia era grande e si presentava di solito accasciata e lo guardava. Provò allora a fermarsi senza fare la pipì ma non funzionava.

Mah?

Gli venne anche in mente che lì al Quercione, quando lui era bambino, c'era un uomo dalla testa di scimmia, un'anomalia della natura. Dicevano che aveva anche la coda, piccola, un mozzicone. Guidava il trattore, andava alla messa la domenica, ma non parlava. L'aveva visto personalmente più volte, in giacca e cravatta, nei banconi degli uomini. I bambini invece stavano insieme alle donne, nelle file più indietro, oltre i due altari minori.

Però non era grande come la scimmia che lui vedeva ormai ogni volta che andava a camminare e faceva la pipì, quella doveva essere almeno tre metri.

Assunta, la moglie, non gli credette, almeno all'inizio, quando glielo raccontò, Albino le spiegò anche dell'uomo con la testa di scimpanzè e lei fu anche al cimitero per vedere la foto sulla lapide. Impressionante anche per una santommasa come lei, ma una cosa non ne vuol dire necessariamente un'altra, e quindi preferì lasciarle separate. Eppure troppe e strane erano le coincidenze, oppure nessuna.

“Una notte ammanettammo al cancello del cimitero di Canaiola una ragazza noiosa del nostro gruppo di adolescenti quasi ventenni e ce ne andammo. Quando tornammo, dopo una mezz’ora, lei era meno antipatica e noi più stronzi.

Un'altra volta, da ubriaco, tornai in quel cimitero e guardando le ombre delle statue alla luce del lampione c'era un'ombra che non corrispondeva a nessuna statua, mi lambiccai un po' di tempo e poi andai a dormire.

 In una notte di pioggia e di bevute esagerate ci trovavamo nel Compitese e quasi schiacciammo un istrice con la macchina. Poi visitammo un cimitero lì vicino e dentro c'era una donna, un’anziana con l'ombrello, era già oltre mezzanotte. Gli chiedemmo che cosa facesse e lei disse che tutta la sua famiglia era là sotterrata. Lei forse era anche curiosa, ma non ci chiese cosa ci facevamo noi là dentro.

La morte non mi fa paura insomma, i cimiteri li ho visitati sempre con un certo rispetto, con interesse e curiosità, anche di notte, qualche volta anche da solo.

L'uomo con la testa di scimmia l'avevo visto più volte alla messa da bambino, poi quel giorno vidi la sua tomba al cimitero, nei fornelli verticali. Aveva proprio la faccia di uno scimpanzè con i peli e tutto, nella foto. Il corpo sembrava normale, lo avevo visto più volte passare con il trattore da bambino, ero curioso ma ne avevo anche paura. Da grande avevo lavorato come carabiniere e come maresciallo ero andato in pensione, ma la mentalità di voler scoprire la verità era rimasta anche dopo. Quando tornai nel cimitero del Quercione la tomba dell'uomo dalla testa di scimmia non c'era più.

Un fatto normale.

Dopo un po' di tempo le tombe venivano tolte, dopo un altro tot anche dai fornelli verticali venivano tirati fuori. Questo però fece scattare la voglia in me di indagare, seppi che il macellaio del paese era suo parente, ma lui disse che non se lo ricordava, forse suo padre che a sua volta era stato anche lui macellaio, pare che l'uomo dalla testa di scimmia fosse stato suo zio.”

È un classico il poliziotto di paese, che si crede importante e disturba tutti con un’applicazione pedissequa di leggi che probabilmente altrove avrebbero senso, ma con ogni probabilità non lì.

 Albino lo chiamavano ancora il metronotte, o metronottino, per via di suo padre, al quale una volta, visto che era un emerito rompiscatole, fecero uno scherzo pesante. Quando passava a mettere il suo bigliettino alla saracinesca del fornaio, da dentro lo avevano aspettato e mentre si accostava alla saracinesca le dettero una botta forte con la pala, lui cadde svenuto.

Albino invece si vedeva che non voleva essere rispettato perché era un ex poliziotto, ma perché era lui, oltre la divisa, che poi non aveva più, forse solo nell’armadio come ricordo.

Lui non era certo uno che voleva far pesare la sua autorità. Anche in pensione però si vedeva che era stato un carabiniere tutta la vita, dalla maniera di camminare, di guardare e forse anche di parlare. E poi si era messo da un po' di tempo a indagare sulla vita di Gelsomino, il pover’uomo che sembrava una scimmia e che era morto forse una cinquantina di anni prima, quando Albino era un bambino. Tutti si chiedevano cosa gliene importasse, e lui magari si chiedeva cosa gli importasse a loro, se a lui gliene importava o no.

 “A Mario Prana, un tipo simpatico e alla mano, ho chiesto se lui si esprimeva a parole o no. Mi ha detto che si ricorda di averlo visto parlare, che Gelsomino si vergognava, ma parlava con la gente della sua famiglia, non si lasciava avvicinare da nessun altro.

Gli amici raccontano che Albino era piuttosto ossessionato da quella storia penosa del passato, e finalmente era riuscito a parlare con il vecchio macellaio, il quale sembrava al primo acchito un uomo semplice, ma anche un furbone che non perdeva occasione, a suo tempo, di caricare sempre di più la bilancia e il relativo prezzo, rispetto ai desideri del cliente.

Come è ben comprensibile lo aveva sempre evitato e sembrava che non gli facesse piacere parlare di quell’argomento. Non gli disse niente di nuovo, se non che tutti si vergognavano di Gelsomino e lui poveraccio si vergognava più di tutti.

Il senso della vita ci è ancora piuttosto misterioso. Il confine tra realtà e fantasia risulta soggettivo e spesso fluttuante, va e viene come la marea.

Albino è morto lo scorso maggio e ha continuato fino all'ultimo a vedere la sua scimmia gigante, improvvise ma regolari apparizioni, secondo quello che dicono i suoi amici.

La vicenda della sua morte anche è stata piuttosto ambigua. Era con gli amici al ristorante, su al Prato Giallo, se ne erano usciti un po’ brilli, anche se tutti e tre non avrebbero dovuto bere.

Scendendo dalla strada tortuosa verso il Quercione, si erano fermati per fare la pipì. Albino che era sempre stato assai riservato, si era appartato discosto dagli altri, che continuavano a scherzare sul fatto che chi non la fa in compagnia era un ladro o una spia… o peggio ancora, magari un carabiniere.

Tornati in macchina ridendo e sbuffando, hanno notato che Albino non arrivava e dopo averlo chiamato invano per un po’ sono andati a vedere con la torcia in mezzo alla boscaglia. Albino era morto con gli occhi spalancati e i due giurano che, nelle sue pupille scure, hanno visto la faccia pelosa di una scimmia, ma forse avevano bevuto e si erano suggestionati.

 

foto di Stefano Bardoni

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