Per
uno scuro come lui chiamarsi Albino era quasi un’ipocrisia, oltre alla pelle olivastra
i capelli e i baffi, anche da vecchio, si guardavano bene dall’imbiancare.
A
mezzogiorno Albino, che era piuttosto sovrappeso, mangiava normalmente cercando
di stare più lontano possibile dal pane e dalla carne, non sempre ci riusciva. Nel
pomeriggio andava a fare una bella camminata.
Dopo
uno yogurt.
Completava
la dieta con un frullato di frutta, più degli integratori alimentari a
sostituire la cena, verso le otto e mezza.
Dopo tanto tempo con le mani aveva sentito il suo stesso sterno, la sera sdraiato sul letto, e gli aveva fatto impressione.
Poi
il medico gli disse che facendo quella dieta si sarebbe sentito male, era
troppo anziano per fare l’eroe e allora lui ricominciò a bere vino e a mangiare
carne, più un sacco di pane, come prima insomma.
L'altra
cosa da fare era evitare più possibile gli eccessivi libri, per via degli occhi
stanchi, dopo una vita di acerrimo lettore. Però leggeva ancora tanto, invece,
anzi allora più di prima, soprattutto gialli. Sua moglie lo avvertiva spesso di
lasciare riposare gli occhi, ma quando lei usciva, quasi di nascosto, lui
prendeva quella trama interrotta e la portava avanti compulsivamente, facendo
alla svelta prima che lei tornasse da fare la spesa, o da visitare i figli, le amiche
o i parenti.
Lo
prendevano in giro perché fin da bambino parlava da solo, per esempio diceva al
suo stesso corpo: “Vieni, andiamo a sederci là fuori.” Oppure alle sue stesse scarpe:
“Come siete sporche, venite qui che vi pulisco per bene.”
Nel
caso specifico Albino aveva delle brevi ma intense allucinazioni, specialmente
visive, ma a volte anche auditive, o anche olfattive, ma più raramente.
Secondo
il medico era normale, quando il corpo era sotto sforzo e stava cambiando
abitudini, non solo alimentari, che i sensi ingannassero la persona, ogni
tanto. Soprattutto sotto sforzo.
Quasi
tutti i giorni andava a fare una camminata per i boschi alle valli ombrose. Gli parve in un certo
senso sotto controllo, quella situazione, quando vide una faccia mezzo umana, grossa
e pelosa, o forse anche di una scimmia, per pochi secondi, attraverso la
boscaglia, in condizioni di stanchezza fisica. Poi la visione svanì appena
passato un albero o un cespuglio, cambiata la prospettiva, abbandonato per un
attimo quel fascio di luce tra il denso fogliame.
Però
la cosa divenne insistente se non ricorrente, e Albino notò che gli capitava
sempre quando si fermava a fare la pipì, che per causa di alcune pastiglie che
prendeva per la nuova dieta, e per altre magagne fisiche, insomma non si
ricordava nemmeno più perché, doveva orinare assai più frequentemente del
normale, ma il suo normale era sempre stato oltremodo pisciante, a scuola aveva
già avuto difficoltà logistiche non indifferenti.
Allora
smise di farla sul percorso della camminata e la visione sparì, ma rimase curioso
e ricominciò tanto per vedere se ricominciava e puntualmente rivedeva quella
faccia scimmiesca. Era veramente grande se considerava la distanza che doveva
essere sempre superiore o uguale a trenta metri.
Tutto
pareva irreale, ma in tutta quella assurdità gli venne in mente una cosa
razionale: poteva essere che lo scimmione uscisse a controllare quando sentiva
che il crocchiare della ghiaia sotto le scarpe da ginnastica di Albino
improvvisamente si zittiva. L'immagine diventava anche sempre più aperta, meno
frasche a nascondere il corpo, la scimmia era grande e si presentava di solito
accasciata e lo guardava. Provò allora a fermarsi senza fare la pipì ma non funzionava.
Mah?
Gli
venne anche in mente che lì al Quercione, quando lui era bambino, c'era un uomo
dalla testa di scimmia, un'anomalia della natura. Dicevano che aveva anche la
coda, piccola, un mozzicone. Guidava il trattore, andava alla messa la
domenica, ma non parlava. L'aveva visto personalmente più volte, in giacca e
cravatta, nei banconi degli uomini. I bambini invece stavano insieme alle
donne, nelle file più indietro, oltre i due altari minori.
Però
non era grande come la scimmia che lui vedeva ormai ogni volta che andava a
camminare e faceva la pipì, quella doveva essere almeno tre metri.
Assunta,
la moglie, non gli credette, almeno all'inizio, quando glielo raccontò, Albino
le spiegò anche dell'uomo con la testa di scimpanzè e lei fu anche al cimitero
per vedere la foto sulla lapide. Impressionante anche per una santommasa come lei, ma una cosa non ne
vuol dire necessariamente un'altra, e quindi preferì lasciarle separate. Eppure
troppe e strane erano le coincidenze, oppure nessuna.
“Una
notte ammanettammo al cancello del cimitero di Canaiola una ragazza noiosa del
nostro gruppo di adolescenti quasi ventenni e ce ne andammo. Quando tornammo, dopo
una mezz’ora, lei era meno antipatica e noi più stronzi.
Un'altra
volta, da ubriaco, tornai in quel cimitero e guardando le ombre delle statue
alla luce del lampione c'era un'ombra che non corrispondeva a nessuna statua,
mi lambiccai un po' di tempo e poi andai a dormire.
In una notte di pioggia e di bevute esagerate ci
trovavamo nel Compitese e quasi schiacciammo un istrice con la macchina. Poi
visitammo un cimitero lì vicino e dentro c'era una donna, un’anziana con l'ombrello,
era già oltre mezzanotte. Gli chiedemmo che cosa facesse e lei disse che tutta
la sua famiglia era là sotterrata. Lei forse era anche curiosa, ma non ci
chiese cosa ci facevamo noi là dentro.
La
morte non mi fa paura insomma, i cimiteri li ho visitati sempre con un certo
rispetto, con interesse e curiosità, anche di notte, qualche volta anche da
solo.
L'uomo
con la testa di scimmia l'avevo visto più volte alla messa da bambino, poi quel
giorno vidi la sua tomba al cimitero, nei fornelli verticali. Aveva proprio la
faccia di uno scimpanzè con i peli e tutto, nella foto. Il corpo sembrava
normale, lo avevo visto più volte passare con il trattore da bambino, ero
curioso ma ne avevo anche paura. Da grande avevo lavorato come carabiniere e
come maresciallo ero andato in pensione, ma la mentalità di voler scoprire la
verità era rimasta anche dopo. Quando tornai nel cimitero del Quercione la
tomba dell'uomo dalla testa di scimmia non c'era più.
Un
fatto normale.
Dopo
un po' di tempo le tombe venivano tolte, dopo un altro tot anche dai fornelli
verticali venivano tirati fuori. Questo però fece scattare la voglia in me di
indagare, seppi che il macellaio del paese era suo parente, ma lui disse che
non se lo ricordava, forse suo padre che a sua volta era stato anche lui
macellaio, pare che l'uomo dalla testa di scimmia fosse stato suo zio.”
È
un classico il poliziotto di paese, che si crede importante e disturba tutti
con un’applicazione pedissequa di leggi che probabilmente altrove avrebbero
senso, ma con ogni probabilità non lì.
Albino lo chiamavano ancora il metronotte, o metronottino, per via di suo padre, al quale una volta, visto che
era un emerito rompiscatole, fecero uno scherzo pesante. Quando passava a
mettere il suo bigliettino alla saracinesca del fornaio, da dentro lo avevano
aspettato e mentre si accostava alla saracinesca le dettero una botta forte con
la pala, lui cadde svenuto.
Albino
invece si vedeva che non voleva essere rispettato perché era un ex poliziotto,
ma perché era lui, oltre la divisa, che poi non aveva più, forse solo
nell’armadio come ricordo.
Lui
non era certo uno che voleva far pesare la sua autorità. Anche in pensione però
si vedeva che era stato un carabiniere tutta la vita, dalla maniera di
camminare, di guardare e forse anche di parlare. E poi si era messo da un po'
di tempo a indagare sulla vita di Gelsomino, il pover’uomo che sembrava una
scimmia e che era morto forse una cinquantina di anni prima, quando Albino era
un bambino. Tutti si chiedevano cosa gliene importasse, e lui magari si
chiedeva cosa gli importasse a loro, se a lui gliene importava o no.
“A Mario Prana, un tipo simpatico e alla mano, ho chiesto se lui si esprimeva a parole o no. Mi ha detto che si ricorda di averlo visto parlare, che Gelsomino si vergognava, ma parlava con la gente della sua famiglia, non si lasciava avvicinare da nessun altro.”
Gli
amici raccontano che Albino era piuttosto ossessionato da quella storia penosa
del passato, e finalmente era riuscito a parlare con il vecchio macellaio, il
quale sembrava al primo acchito un uomo semplice, ma anche un furbone che non
perdeva occasione, a suo tempo, di caricare sempre di più la bilancia e il
relativo prezzo, rispetto ai desideri del cliente.
Come
è ben comprensibile lo aveva sempre evitato e sembrava che non gli facesse
piacere parlare di quell’argomento. Non gli disse niente di nuovo, se non che
tutti si vergognavano di Gelsomino e lui poveraccio si vergognava più di tutti.
Il
senso della vita ci è ancora piuttosto misterioso. Il confine tra realtà e
fantasia risulta soggettivo e spesso fluttuante, va e viene come la marea.
Albino
è morto lo scorso maggio e ha continuato fino all'ultimo a vedere la sua
scimmia gigante, improvvise ma regolari apparizioni, secondo quello che dicono
i suoi amici.
La
vicenda della sua morte anche è stata piuttosto ambigua. Era con gli amici al
ristorante, su al Prato Giallo, se ne erano usciti un po’ brilli, anche se
tutti e tre non avrebbero dovuto bere.
Scendendo
dalla strada tortuosa verso il Quercione, si erano fermati per fare la pipì.
Albino che era sempre stato assai riservato, si era appartato discosto dagli
altri, che continuavano a scherzare sul fatto che chi non la fa in compagnia
era un ladro o una spia… o peggio ancora, magari un carabiniere.
Tornati
in macchina ridendo e sbuffando, hanno notato che Albino non arrivava e dopo
averlo chiamato invano per un po’ sono andati a vedere con la torcia in mezzo
alla boscaglia. Albino era morto con gli occhi spalancati e i due giurano che,
nelle sue pupille scure, hanno visto la faccia pelosa di una scimmia, ma forse
avevano bevuto e si erano suggestionati.
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