Credo che la testa quando siamo
sdraiati funzioni in un modo differente, cioè il cervello - con l’affluire di
più sangue - a volte decide di fare dei dispetti, insomma fa i capricci, il
corpo sottostante è stanco, ma lui non ha nessuna voglia di dormire, pensa in
automatico.
Quindi la cosa peggiore che può capitare a un esausto disgraziato, che dopo una giornata oltremodo stancante stia cercando di addormentarsi, è il ricordarsi assai bene una faccia, un disgraziato fatto di cronaca, ma non rammentarsi il nome della vittima, noto calciatore dell'epoca.
Di solito riesco a salvarmi, comincio a
contare da cento all'indietro, concentrandomi sulla mia respirazione, combinando
un numero a calare e una respirazione, ma i meccanismi mentali umani a volte
sono disumani, nel senso che proprio quando siamo stanchi, ossessionarsi con
una cretinata è facile e rapido almeno all'inizio, ma dopo staccarsene è un
altro discorso, può durare delle ore.
Dicono che la mente umana non
conosca la negazione, cioè se io alla mia le ordino di non fare una cosa, per
esempio di non pensare a certe bischerate che quello non è il momento, che si
può fare con calma domani, a mente fresca, quella capisce di fare quella cosa
subito e più glielo ripeto e più s’intestardisce.
Deve assolutamente farla quella
cosa lì, è una questione di vita o di morte, subito, non c’è nessunissimo tempo
da perdere.
Una volta non c'era l'internet, ma
ora basterebbe alzarsi e in un battibaleno si arriva a quel famigerato nome,
nel frattempo diventato, in una questione di minuti, forse di una mezz'ora o
due, un nome già odiato. Invece no, si cerca di resistere, di prendere sonno,
invano, rigirandosi tra le lenzuola bestemmiando.
Dentro di noi una vocetta, una che
non ha niente a che fare con la nostra, dice:
“Vediamo un po': il nome era
piuttosto particolare, perché c'era un Re maiuscolo davanti…
Come: un Re maiuscolo?
Sì, anche la storia del nome è
piuttosto originale, sembra che un re dell’epoca, (non so nemmeno quale) … (né
il re, né l’epoca) passasse di lì e fu trattato assai bene, pare anche a
livello culinario e tutto. Così decise di premiare quel paese del nord Italia,
di cui non ricordo il nome, anzi non l’ho mai saputo.
Meno male.
Dopo la breve parola Re, gli
abitanti premiati di quel paese, potevano mantenere il loro cognome.
A quel re non costava niente, ma
loro ne erano fieri, poveracci. Come il mio, quello in questione terminava con
un accrescitivo, plurale e maschile, ma non era Re Bardoni ovviamente, neppure Re
Battistoni, neanche Re Coglioni, ma è quello che mi viene in mente più volte.
Ricomincio allora la mia respirazione
terapeutica e profonda, numerata al contrario:
100 Re Giannoni? No.
99 Re Piccioni? Neppure.
98 Re Pitoni?
97 Re Ciccioni?
96 Re Bastoni?
95 Re Mammoni? Neanche.
94 Re Tacconi?
93 Re Puzzoni?
92 Re Ricchioni?
91 Re Cazzoni?
90 Re Merdoni? Non credo.
Ore dopo riesco ad addormentarmi,
ma il sonno è leggero, preoccupato. Il calciatore in questione appare
improvvisamente, mette la mano dentro la giacca, la pistola si intuisce, o si
vede, ma forse non c’è. Una faccia
nordica dai capelli assai chiari.
(era forse albino?)
Re Albinoni?
No, Albinoni era un musicista, di musica
classica e poi davanti non aveva nessun Re.
Mi sveglio sudato, una decina di
volte e maledico quel povero giocatore della Lazio che voleva fare il simpatico
forse, o magari è stato lui stesso vittima di un malinteso.
Ah! Era un giocatore della Lazio,
allora?
Faccio colazione in pochi secondi
rovesciando il latte sul fuoco, ma non ho tempo per piangerci su, vado con la
tazza del caffè in mano al computer.
Mi è venuto in mente che avevano anche
vinto il campionato, forse l’anno prima, e alla Lazio non era mai successo, per
questo lui pensava di essere famosissimo. C’erano anche Chinaglia,
Garlaschelli, Wilson… La ricerca è facile, basta partire di lì.
La formazione era questa: Pulici,
Facco, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, RE CECCONI! Chinaglia,
Frustalupi, D’Amico.
Figlio di un muratore, cresciuto
nell'hinterland milanese, Luciano RE CECCONI deve il suo cognome a un
particolare episodio capitato ai suoi avi, come ebbe a ricordare in
un'intervista a Franco Melli: “Quel Re davanti al mio cognome, è un
regalo del re. Vittorio Emanuele II passò
per Busto Arsizio e per Nerviano e
gradì la buona cucina, l’accoglienza ricevuta. Allora volle beneficiare la
gente delle nostre campagne lombarde con un dono simbolico ma indelebile. Così,
i Mazzoni diventarono pomposamente Re Mazzoni, i Natali Re Natali, in base al
riconoscimento stampato. Il regalo di Vittorio Emanuele II, trasmesso di
generazione in generazione, l’ho accolto con orgoglio. È una ricchezza che il
mondo non potrà mai portarmi via. Ho il cognome ornato. E suona bene”[
Da adolescente iniziò a lavorare
come carrozziere nell'officina del cugino, allenandosi nel tempo libero che gli
rimaneva, fino a quando lo stipendio da calciatore non gli permise di lasciare
la sua occupazione, per dedicarsi a tempo pieno allo sport.
La sera del 18 gennaio 1977 Re Cecconi
si trovava con due amici, il compagno di squadra Pietro Ghedin e
il profumiere romano Giorgio Fraticcioli, accompagnando quest'ultimo nella
gioielleria di Bruno Tabocchini, situata in via Francesco Saverio Nitti 68,
nella tranquilla e decentrata zona della Collina Fleming della
capitale, per consegnare alcuni campioni di profumo. È da rimarcare il comportamento del Tabocchini che,
interrogato dai magistrati, negò di conoscere Re Cecconi.
Dal momento in cui i tre entrarono nel
negozio, la dinamica non è tuttora chiara. Si ipotizzò che Re Cecconi avesse
simulato, per scherzo, un tentativo di rapina e che il gioielliere avesse
reagito sparando. Re Cecconi, cui fu puntata
l'arma dopo Ghedin, venne colpito in pieno petto da un proiettile
sparato da una pistola Walther calibro 7,65 e morì in ospedale alle
20:04. Tabocchini fu poi arrestato e accusato di "eccesso colposo
di legittima difesa";
processato solo 18 giorni dopo, venne assolto per "aver sparato per
legittima difesa putativa".
Tuttavia, nella ricostruzione dei fatti
riportata da Il Fatto Quotidiano, nel gennaio 2015, Re
Cecconi non avrebbe fatto nulla che potesse essere interpretato come un
tentativo di rapina. Nonostante il parere contrario del pubblico ministero
Franco Marrone, la Procura di Roma non presentò ricorso in appello. In
un'intervista ad un telegiornale RAI, che precede di alcuni giorni la
celebrazione del processo, alla versione ufficiale, Pietro Ghedin avrebbe
aggiunto che il negoziante ebbe modo di vedere in volto gli avventori quasi
sincerandosi dell'assenza della minaccia per poi misteriosamente esplodere il
colpo fatale, versione poi non suffragata nel corso del dibattimento.
Nel 2012 è uscito il libro inchiesta
dello scrittore Maurizio Martucci, che attacca la versione ufficiale sulla
morte del calciatore, contesta la tesi dello scherzo finito in tragedia e
sostiene, con il suo esame della documentazione
processuale, che Re Cecconi venne ucciso senza aver pronunciato una
parola.
Morendo a soli 28 anni, Re Cecconi
lasciava la moglie Cesarina, la figlia Francesca di pochi mesi e il figlio
Stefano di due anni. Le sue spoglie furono tumulate nel cimitero della natia
Nerviano. Poco dopo la morte, l'ingegnere Agostino D'Angelo, dirigente della
Lazio e suo grande amico, inaugura la Fondazione Luciano Re Cecconi -
Contro la violenza.
Come disse un altro Luciano e
precisamente De Crescenzo: due rette parallele s’incontrano all’infinito,
quando ormai non gliene importa più niente.
O a dirlo per primo è stato piuttosto
Marcello Marchesi?
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