Fuori dal Brasile tutti pensano che la gente qui sia sistematicamente allegra e che tutti lo siano costantemente, ma non è così. Stavo attraversando un’epoca buia della mia storia, per esempio, quando mia moglie mi ha lasciato e combattevo con la mia coscienza, che mi diceva che aveva anche avuto ragione a farlo, ma ugualmente non sapevo come rimediare.
Non
fu per venirmi in aiuto, ma in quei giorni per coincidenza a una mia cara amica
venne in mente un’idea balzana, che presto o tardi è venuta anche a tanti altri.
Quella di fare una rimpatriata, di rintracciare tutti i compagni di classe e di
fare una cena, o andare a mangiare una pizza insomma, per fare un confronto tra
i vecchi tempi e quelli attuali.
“Ma
sono passati troppi anni.” Dissi io.
“In
queste cose è sempre così, ma più anni passano e meglio è.”
“Magari
tanti di loro sono già morti.”
“Vabbè,
quelli non li invitiamo.”
Alla
fine mi convinse, come sempre del resto, cioè all’inizio volevo rimanerne
fuori, ma poi, non proprio all’ultimo momento, mi sono unito, se non altro per
curiosità.
Una
curiosità non indifferente sarebbe stata, a pensarci bene, quindi richiamare
tutti i compagni di scuola, fare una cena e dopo andare a ballare, per esempio
a partire dal primo grado, tanto per cominciare.
L’idea
era venuta a Caetana Krugeli, a Porto Alegre abbastanza conosciuta per vari motivi,
non tutti da lei in precedenza previsti o auspicati, forse nessuno.
Visto
che era in pensione, bloccata su una sedia a rotelle, lasciata anzitempo dal defunto
marito e senza figli, ma anche senza problemi di sopravvivenza, almeno in
termini di soldi, decise di farlo e ci mise tutti al lavoro.
All’inizio
non mi era rimasta molto simpatica, a dire il vero, le sono diventato amico con
il tempo e lo spazio, anche nel senso che lei ha occupato sempre più spazio,
con il passare del tempo per via della sua alimentazione selvaggia che l’ha
ridotta così, obesa e su una sedia a rotelle. Da una parte è diventata un’antropologa
e studia gli esseri umani, perché di sé stessa non ci ha capito granché e
magari è per quello che è vulcanica e imprevedibile.
Secondo
me cerca di specchiarsi in loro, cioè in noi per comprendere il senso della
vita dal punto di vista umano, una sua disumana fissazione, per spiegare sé
stessa ai suoi stessi occhi, ma non è che ci pensi spesso o direttamente, è una
donna d’azione e casomai il pensiero le viene dopo.
Al
primo grado Caetana era a scuola nel collegio dalle suore vicino al centro,
Nossa Senhora Das Dores (Nostra Signora dei Dolori). Questo la preparava ad un
tipo di educazione da persona di classe media o media alta. Gli studi che fece
dopo sarebbero stati sempre in quella direzione, ma lei fece tutto
distrattamente, assorbita da altre cose, come il senso della vita.
Uno
che aveva frequentato anche dopo, a parte me era Prospero Troglio, il dentista sdentato
del quartiere Bomfim, quello della sinagoga e degli ebrei sapete, il quale lei giammai
pensò che si sarebbe negato ad aiutarci. Sotto lo sguardo apparentemente impassibile
ma vigile di Caetana, sorridente in una maniera che a lui evidentemente metteva
un’ansia dannata, Prospero finse di dispiacersi, poi di smarcarsi, di
delinearsi, disse che era purtroppo impegnato sul fronte del lavoro, la sua
situazione familiare era notoriamente complicata, pur non avendo nessuna
famiglia a disposizione. Ci vollero diversi interminabili secondi, ma poi in
nome della nostra amicizia accettò.
Personalmente
lo avevo frequentato poco, più che altro ne sentivo parlare da lei, che ci
rideva parecchio e volentieri, ma a suo modo gli voleva bene e la cosa era
reciproca. Era anche cambiato assai da quei tempi, come anche Caetana pensò di
esserlo lei stessa, anche se non sapeva esattamente come, ma noi lo sapevamo bene.
Troglio
da timido e riservato era diventato espansivo, magari pieno di tic e
resistenze, Caetana disse che non si sarebbe mai messa sotto i suoi ferri, e
non sapeva esattamente perché, invece non lo ignorava per niente.
Non
gli ispirava alcuna fiducia, a partire dalla sua bocca piena di finestrelle
ammiccanti, che erano la peggior pubblicità per un dentista, ma glielo avevano
detto e ripetuto, inutilmente.
Troglio
sul lavoro era bravissimo invece, a quanto dicevano e aveva una clientela
solida, nella vita privata era un po’ meno capace, cioè pare che non ne avesse una.
Con lei era ruffianissimo, era gentile con tutti, ma con lei esagerava, forse
perché era l’unica che lo considerava un poco, ma in fondo chi eravamo noi per
poterli giudicare?
Si
sa fin troppo bene che il mondo ti mastica e ti macina e poi se e quando ti
restituisce fuori dalla macchina del tempo, mescola i pezzi a caso e rimangono
anche mezzi masticati, alcuni risultano proprio mancanti, e qui non parlo di
denti, ma di neuroni o robe del genere, che se uno smonta una testa umana, gli
avanzano sempre dei pezzi e dopo non sa più dove metterli.
Lasciamo
perdere quindi ogni ragionamento astratto.
In
pratica le persone che riescono a mantenersi integre, nel senso che non si
sbriciolano, non sono quelle che riescono a realizzare i propri progetti, come
sarebbe logico credere, a fare dei soldi e del potere il loro piano di vita, ma
sono piuttosto quelle che si danno il proprio ritmo, che non si perdono dietro
ai soldi, o ai fallimenti, anche solo immaginari, che a volte sono pure peggio.
Reagiscono
positivamente alle sciagure insomma, autentiche o virtuali che siano, visto che
sono inevitabili, non si colpevolizzano, per lo meno non si dannano per le
stronzate, che poi alla fine non sono le cose importanti. Ma poi quelle
importanti quali sono?
Alcuni
mantengono inspiegabilmente un certo equilibrio dentro di sé, senza impazzire
nemmeno un po’, e quelli non sono poi molti. Forse sono coloro che non devono
stare per forza in compagnia e apprezzano anche la solitudine, senza però
esagerare troppo e soprattutto senza sentirla come una cosa passiva, non scelta
ma subita.
Caetana
forse era tra quelle donne che nonostante tutto quello che le era andato male,
secondo la concezione umana del successo, come due divorzi e un marito morto, gli
alti e bassi nel lavoro, lei si divertiva sempre e soprattutto se ne fregava di
quello che gli altri pensavano. Stava da sola abbastanza, ma quando era in
compagnia faceva ridere tutti, diceva le cose più assurde e comiche
distrattamente e in perfetta serietà, non era troppo preoccupata di farsi
considerare il capo dagli altri, solo che non si sottometteva a nessuno.
Era
da tanti considerata una potenziale grande leader proprio perché di esserlo, o
meno ancora di sembrarlo, a lei non gliene fregava nulla.
Non
volendo anche nel suo mestiere si era tolta delle soddisfazioni non
indifferenti, sebbene anche a quelle desse poco peso. Insomma per lei il
presente era quello che contava e il passato ormai non c’era più, il futuro non
c’era ancora e ci avrebbe pensato a tempo debito, magari, se fosse stato
necessario, forse.
Il
suo primo dubbio fu di quale delle otto classi del primo grado, visto che
c'erano state delle variazioni notevoli durante quegli anni. Decise di optare
per l'ultima, se non altro perché si ricordava meglio di chi c’era e chi no.
Le
ricerche insomma toccarono a noi disgraziati amici e durarono settimane, giorno
più giorno meno. A onore del vero direi che Prospero fu più fortunato e abile,
riuscì a trovare quasi tutti quelli che non erano morti o che non vivevano più
in Brasile, oppure anche in altre città lontane, in stati a migliaia di
chilometri di distanza.
Insomma
eravamo trenta alunni l'ultimo anno nel primo grado, eravamo rimasti in
diciannove che vivevamo ancora nella nostra città e che poi eravamo disponibili
a ritrovarci in una serata tematica, la sfida del tempo e dello spazio.
Alcuni
avevano rifiutato, altri non avevano risposto proprio, altri avevano detto che
si poteva fare, ma si sentiva già al telefono che anche insistendo non
avrebbero accettato di trovarci insieme al ristorante Barriga, che in
portoghese significa pancia, era stato scelto da Troglio, il primo sabato del
mese seguente alla fine delle ricerche appunto.
Il
ristorante era grande, rumoroso e pieno di gente, il che difficoltava i
contatti. In una lunga tavolata come la nostra, si formarono dei gruppetti e
ognuno pensava solo al suo dialogo con quelli vicini, salvo cenni e saluti da
lontano. Per questo fatto Caetana mandò più volte affanculo Prospero, che evidentemente
c’era abituato. Lei cambiò posto varie volte, laboriosamente aiutata da noi, tanto
per avere un’idea generale che riuscì in qualche modo ad avere, su grandi linee
e ne rimase soddisfatta. In un secondo momento ammise pure che per cominciare
era meno imbarazzante, la gente si era sentita a suo agio, qualcuno se ne era
andato senza pagare, ma anche questo faceva parte del gioco e Troglio, in
qualità di organizzatore, anticipò una bella quantità che poi non si vide mai
più restituire, come era logico, né da Caetana né da nessun altro.
Quest’ultima
riuscì a sedare sistematicamente e sul nascere tutti quelli che volevano
incominciare a raccontare barzellette, che sono la morte di queste sedute, secondo
lei a volte la gente smette proprio di parlare e si attacca anche troppo alle
bottiglie. Insomma ottenne di avere discussioni più o meno spontanee e sincere,
tra le solite virgolette.
Caetana
diceva che ci sono tre livelli di conversazione, prima quella testa a testa, la
più sincera, certo più efficace se tra individui dello stesso sesso. Poi all’interno
dei gruppetti vari di maschi o femmine, ma senza mischiare i sessi, e questa è già
meno sincera. Per ultima, quando ci sono maschi e femmine mischiati, allora lì
arroganza e falsità diventano totali, camuffati da buonumore e battute non
sempre innocenti.
Troglio
alla fine disse che si era divertito assai, ma Caetana invece obbiettò che quella
serata era stata indicativa per avere un’idea generale, questo sì, ma per il
resto no, andava ripetuta. Disse che dovevamo fare un churrasco nella sua casetta in campagna, a due chilometri dal
centro.
Stavolta
si occupò lei dell’organizzazione e divise le spese della carne e delle
insalate varie con me e Tera, una ragazza ormai ultrasessantenne come noi, che
avevamo frequentato saltuariamente, anche lei vedova. Lo stesso Troglio aveva
convinto anche Gerson, diventato un suo collega, piuttosto borioso, ma assai
più ricco e rinomato di lui in città. I dolci e le bibite erano invece da
portare per gli altri, ognuno il suo contributo a piacere, che anche per non sfigurare
furono piuttosto generosi.
La
serata scelta fu di tempo buono e non troppo caldo, visto che era primavera, ma
nel sud del Brasile non si sa mai, i temporali sono sempre in agguato. I grandi
pipistrelli volavano troppo bassi, le zanzare intervennero in quantità e qualità,
qualche calabrone abitante nella numerosa colonia della soffitta e una vespa particolarmente
insistente, che in una campagna brasiliana sono già da mettere su ogni conto
che si rispetti.
Rispetto
alla prima cena ci furono due defezioni, ma sostituite da altre due nuove
entrate, di gente che era mancata per altri motivi di forza maggiore che
naturalmente sono sempre i soliti, più qualcuno nuovo e a volte perfino
originale.
Le
domande della sua ricerca le faceva parlando con questa gente, magari nei
momenti che lei giudicava più propizi, quando vedeva che si sentivano a loro
agio, ma il suo interrogativo era il solito senso della vita.
Non
lo chiedeva direttamente, ma si faceva un'idea aggirando l'ostacolo con altre
questioni indirette, alla fine si dichiarò soddisfatta della ricerca, ma non di
quello che aveva determinato.
Prospero
disse che se prima glielo avesse chiesto a lui, glielo avrebbe spiegato facilmente
che non poteva funzionare, perché sarebbe stato come sfidare il potere di Jahvè
onnipotente e Caetana si limitò distrattamente a mandarlo affanculo.
C’era
molta gente che aveva studiato, ma che non aveva capito niente della vita, come
altra che non aprendo mai un libro ne sapeva molto più di loro. C’era molta
gente che si appoggiava alla religione e questo gli dava un senso, anche se
prefabbricato e fittizio.
C’era
anche il karaoke, Caetana cantò graziosamente ammiccando una canzone sconcia e
ottenne un tripudio di grida e applausi. Alla fine si ballò anche con i grandi successi,
non solo brasiliani, di quelle epoche lontane in cui ci eravamo conosciuti a
scuola, cioè delle festine degli adolescenti.
La
gente si divertì assai, tanto che la maggior parte intervenne volentieri alle
feste seguenti, sempre a casa di Caetana, con le classi del secondo grado e poi
della facoltà di diritto dell’UFRGS (Università Federale del Rio Grande do Sul).
Prospero fu l’addetto alle cibarie e alle bibite, la gente pagava volentieri le
spese, che tutti insieme poi non erano eccessive.
Il
programma era sempre caipirinha, churrasco, karaoke e ballo. Nell’ultima,
quella dell’epica rissa, c’era addirittura un gruppo di musica pop, di uno dei
compagni dell’università, che suonava i successi degli anni 80, e non erano per
niente male, almeno finché non si ubriacarono.
La
gente è piuttosto varia, sia nel cuore che nel cervello, ma bevendo nascono più
facilmente malintesi. L'aggressività esiste in ognuno di noi, ma a volte non ha
sfogo, finché poi una scintilla non fa bruciare tutto. Poi ci sono le varie eccessive
manifestazioni della propria personalità, forse anche della propria storia precedente,
insomma una di quelle di Caetana era che non si portava a casa le offese e le
lavava subito con il sangue.
La rissa nacque con una sua bastonata a una
signora che secondo Caetana aveva offeso la memoria di suo marito. Per
proteggere lei si schierò dalla sua parte un mucchio di gente, tra cui anch’io,
e non rimase una sedia in piedi né un bicchiere intero. Non ci furono feriti
gravi per fortuna, ma il sangue schizzò, se non copioso, piuttosto simbolico ed
emblematico.
Qual
era il suo progetto di base non me lo disse che alla fine, non lo disse a
nessuno, fino a che non fu terminato, un proposito stupido e intelligente allo
stesso tempo, ma forse più stupido.
Naturalmente
per quello che interessava a lei c'era bisogno di una buona memoria e quella
lei ce l'aveva. Poi capacità di chiedere cose fondamentali a gente praticamente
sconosciuta, e come se non avessero alcuna importanza.
“Mangiando e bevendo, cantando e ballando ci
si distrae ed è anche bello da un punto di vista puramente romantico, sebbene
questo lato lo abbia trascurato durante tutti questi anni, perché la vita
spinge e ti tira, quando vuoi fare una cosa te ne propone tante altre, ma non
quella che vorresti te. Chiamatemi pure pessimista ma io mi definirei realista,
perché ho da sempre o quasi un contatto diretto con la realtà, cosa rara, non
solo al giorno d'oggi, ma certo oggi più che ieri o ieri l'altro, sono i numeri
che lo dicono non certo io.
Molti
o quasi tutti non ci fanno caso, ma nella vita c'è sempre un superiore che ti
dice cosa devi fare. Si parte dai genitori, alla maestra, al prete, poi
professori, i medici, lo stato, la polizia, gli americani, l'internet, i
giornali e così via.
Per stare tranquilli bisognerebbe essere dei ribelli sistematizzati, i superiori da mandare affanculo non finiscono mai, appena hai finito con uno ne arriva un altro, poi un gruppetto nuovo, insomma è praticamente impossibile.”
Ma
lei ci riesce, tra virgolette, però ce la fa.
Alla
fine delle quattro riunioni dell'università, e in totale erano state dodici, nell’arco
di quasi un anno, Caetana ci ha redatto il suo documento a titolo di statistica
personale, non era proprio una cosa seria per lei, ma ci si era impegnata assai
e soprattutto ci aveva dato da fare a tutti, noi organizzatori. Tra le altre
cose diceva anche che le statistiche, secondo lo stesso Barone di Itararè,
erano l'arte di torturare i numeri finché non confessassero.
“Il 70% non si era mai chiesto quale fosse il
senso della vita, di cui secondo me il 35% mentiva, forse si vergognava a
mostrarsi preoccupato con una cosa astratta, il 25% magari di non essere stato
capace di trovare una soluzione.”
Interrogata a riguardo, il 10% non seppe rispondere, la sua opinione era che non aveva ancora un'opinione
formata, il 90 probabilmente stava mentendo, ma su grandi linee e senza saperlo.
“Ma
non ce ne sono proprio. Anche se sapessimo le cose giuste da fare, e
normalmente non lo sappiamo, farle poi è un discorso completamente distinto e
del tutto impraticabile.”
Chissà
perché le statistiche hanno sempre affascinato Caetana, ma chi dice che è una
pazza ha ragione e anche torto, catalogarla e quantificarla è un’impresa
difficoltosa.
Insomma
fa dei giri intorno alle questioni piccole, medie e fondamentali, per non
intristirsi o fissarsi sui temi ricorrenti, per non ossessionarsi come fanno in
tanti, e questo può essere anche un metodo efficace, se lo si sa gestire. Il
primo requisito fondamentale è non ammetterlo nemmeno a sé stessi, come fa lei.
Questo
non significa che sia una persona poco intelligente, né per niente antipatica,
anzi Caetana è una pazza parecchio buffa, su due livelli principali: uno
involontario e rozzo, si direbbe campagnolo, l'altro assai cosciente e sottile,
una mezza intellettuale piuttosto deviata, ma che sa negare l’evidenza con insospettabile
efficacia. Lo prova il fatto che riesce a farsi portare sempre di qua e di là
dalla gente, che nonostante l'amicizia esistente e l’indispensabile simpatia,
lei sfrutta anche un po' , come fa con me, ma anche con altra gente, uomini e
donne, senza distinzione.
Prova
a giocarci a carte, a dama, o a scacchi, lei ti massacra inesorabilmente in
poco tempo. L'intelligenza non gli manca, forse ce ne ha anche troppa e allora le
scappa un po’ di mano.
Qualcuno dice che non era così prima della
sedia a rotelle, ma non è vero, secondo me da adolescente le cose sono uscite direttamente
in quella maniera.
La
sua famiglia era indicativa, ma alla rovescia, per sua fortuna lei era una
ribelle e tutta la rigidità niente affatto brasiliana dei Krugeli, di origine
svizzera, l'aveva spinta letteralmente dall'altro lato.
Caetana
da bambina era stata assai carina se non bella. Forse la marijuana e l'alcool
l’avevano guastata, da un punto di vista estetico, poi era diventata grassa,
aveva avuto un ictus, era finita su una sedia a rotelle.
Le
sue sventure se le era andate a cercare, ma se fosse andato tutto liscio, lo
diceva lei stessa, sarebbe diventata una persona insopportabile. Insomma i vari
fattori che l'avevano fisicamente appesantita non so se non erano stati la sua
fortuna, perché difficilmente sarebbe diventata così originale e divertente.
Insomma
si sono sposati dopo due mesi, i due piccioncini, io sono stato uno dei
testimoni, e precisamente quello che cercava di rimanere serio.
Troglio
era felice; un uomo che non ha passatempi non ha idea di quali soddisfazioni la
vita possa offrire. Un passatempo è la linea di demarcazione tra passione e
mania, ma per lui i confini non esistevano, c’era stato solo il lavoro fino a
quel momento. Ora l’attenzione e la cura di una moglie come Caetana lo avrebbe
impegnato assai e di continuo.
“Se
avessi saputo la vera causa, forse banale, di quella bellezza che sembrava
sincera, avrei perso l’indicibile poesia del divertimento con cui, come tutti,
mi saziavo. Quel teatro rappresentò per me le diverse forme della vita umana
protetta dalla falsità, attraverso la spontaneità che talvolta avevo creduto
irrimediabilmente perduta. Avevamo lavorato un bel po’ ma ne era valsa la pena.
Ogni
volta di più mi pareva l’atmosfera di un convento con i monaci danzando, con il
saio tagliato a fargliene una minigonna; tutti avevano bevuto un po’. Lo stesso
Gerson, con la sua fratina mista alla pelata laterale, era allegro come non lo
avevo mai visto e altri nostri compagni e gente di altre classi a cui non avevo
partecipato, mi parevano completamente abbandonati a quel piacere, divertiti e
dimentichi del resto della vita, prima e dopo.
O
ancora la pace perfetta di un cimitero musicale, al posto degli epitaffi che
parlano di morte, tutte le cose nascoste della vita privata nelle persone,
quello che è stato e quello avrebbero potuto essere; oggi la casa del lebbroso
parlava di una malattia che era stata sconfitta dall’allegria, domani quella
del fato, un destino flessibile e malleabile; ma era soprattutto l’immagine
stravolta della provincia, nascosta nelle tante pieghe della capitale con il
suo assorto fluire del tempo.
Ho
riso del mio pianto là, mai riso tanto. Più di una volta sono trasalito di
terrore nell’udire il lieve frullare d’ali di qualche colomba frettolosa, che non
troppo metaforicamente se ne usciva dagli altoparlanti.”
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