Da giovane inesperto ho trascorso le ferie in Costarica, India, Egitto, Svezia, Irlanda e Tunisia, pagando e di mia spontanea volontà. Poi ho fatto incrociate e ripetute incursioni su Pisa e Livorno, mi ci hanno mandato e all’inizio bestemmiavo anche. Su e giù per le colline ho potuto constatare che la campagna della Toscana è assai varia, per abitazioni storiche, mattoni e pietra, tipo di paesaggio, c’è un po’ di tutto e ho dovuto ammettere che qua da noi, modestamente, si esagera in bellezza. La Maremma è stupenda, per esempio, ma io l’ho scoperta per caso, anzi proprio per lavoro.
La Maremma
Livornese, storicamente chiamata Maremma
Pisana (più raramente Maremma Piombinese o Volterrana), è un territorio che si estende a sud del
promontorio di Castiglioncello fino alla valle del fiume Cornia
e al colle Poggio al Chiecco, a sud del quale
è in uso la denominazione Maremma Grossetana. La zona costituisce la
parte più settentrionale dell'intera Maremma,
detta anche per questo motivo Alta Maremma o Maremma
Settentrionale. Tuttavia, è considerato
corretto da un punto di vista sia storico che geografico chiamare
indistintamente tutta la Maremma Settentrionale, sia i territori oggi in provincia di
Pisa che quelli in provincia di Livorno, con l'appellativo
di Maremma Pisana, il nome con il quale questi territori sono stati
conosciuti per secoli. L'area si estende tra la fascia costiera,
denominata Costa degli Etruschi, e le prime
propaggini collinari dell'entroterra; i territori comunali interessati, da nord
a sud, sono quelli di Rosignano Marittimo, Cecina,
Bibbona,
Castagneto Carducci, San Vincenzo, Campiglia Marittima, Sassetta,
Suvereto e
Piombino (questi
ultimi costituiscono anche gran parte del territorio della Val di Cornia).
Dopo
insomma, mentre stavo cominciando ad assaporarne progressivamente la bellezza,
sono stato mandato ancora più giù, nel grossetano e lì mi ci garbava anche assai.
Intendiamoci:
Lucca è bella e pure la sua campagna, però è più scura, umida e anche più
abitata e quindi meno selvaggia, ma andando verso sud tutto diventa più asciutto
e luminoso, anche la gente migliora assai, forse è più povera, ma si lamenta
meno e ride di più.
Vicino al confine con la regione
Lazio, Pitigliano ha origini misteriose e perciò anche mezze etrusche, ma è
piuttosto la rappresentazione viva del medioevo. Arrivando da Grosseto, il
colpo d’occhio è notevole, fatta quell’ultima curva ed iniziando a scendere,
sembra di essere tornati indietro di mille anni. È nato e cresciuto sulla
roccia; con la stessa pietra bucherellata che c’è sotto, il tufo, sopra sono
state costruite le case. È chiamato anche la piccola Gerusalemme, ma oggi la
comunità ebraica, una volta numerosa, è assai ridotta.
Me
ne sono così innamorato, che sono andato a viverci, ma solamente nel 1994, a
Pitigliano, prima ci passavo spesso nel mio giro di rappresentante di
medicinali e un giorno mi ero trovato davanti al barbiere con il bisogno urgente
di tagliarmi un cespuglio di capelli ribelli, che secondo i miei capi erano
controproducenti, anche se a me piacevano. Era un negozio tradizionale con una
vetrina che da fuori vedevi tutto quello che succedeva dentro, come un vasto acquario
e all’interno c'era un unico pesce-barbiere che assomigliava assai a Marco
Messeri, l'attore Toscano che forse non tutti ricordano, ma per me è di una grande
simpatia, che mi venne naturale di trasferire istantaneamente su questo uomo,
che senza tante cerimonie si apprestava a tagliarmi i capelli.
Quasi
subito notai che non era un barbiere tradizionale, perlomeno non era di quel
tipo che avevo conosciuto, perché anche se la sua bottega era del tutto uguale
alle altre che avevo visto in passato, con tre sedie girevoli e i rispettivi
tre grandi specchi, con le mensole piene di ammennicoli necessari all'uopo, il
barbiere in questione era uno che ti invogliava a parlare e lui non diceva
tanto, ma più che altro ascoltava e ti stimolava a vuotare il sacco. Era una
specie di psicanalista, alla sua maniera, perché potevi seguire le sue espressioni
dalla faccia rotonda nello specchio mentre raccontavi, si vedeva che gli
interessava veramente quello che dicevi e commentava solo quando capiva che era
quello che tu desideravi, cioè l’eventuale cliente.
Alla
maggior parte della gente non gliene fregava tanto, magari non lo sapeva ma voleva
solo sfogarsi e se anche l’interlocutore fosse stato un manichino non faceva
molta differenza. Per me invece sì, il tipo di dialogo che preferivo era quello
interattivo, nel quale i due o più partecipanti dicevano la loro e non c’era
nessuno che prevalesse, altra cosa rarissima al mondo, ma specialmente in
Italia, specialmente a Lucca.
Qua
da noi ci sono due tipi di persone, quelli che parlano tanto e non gliene
importa niente se dall’altra parte qualcuno li ascolta, basta che faccia finta,
ma non c’è nemmeno bisogno di sforzarsi troppo che tanto quelli sono troppo
impegnati a esporre le proprie teorie e non stanno lì a controllare che
qualcuno le apprezzi, le apprezzano loro stessi e gli basta. Il secondo tipo
sono i rimanenti, quelli che non riescono a imporsi e non è che ascoltino
proprio, ma non ce la fanno a interrompere il mare di frasi dall’altra parte,
piene di idee spesso balzane, propositi e spropositi, congiuntivi, condizionali
e imperativi.
Il
signor Renzo era una persona di quel determinato tipo, rarissimo al mondo, che
amava più ascoltare che parlare. Venni a sapere in seguito che era molto
conosciuto e apprezzato anche perché di barbieri in giro non ce n'erano altri,
ma forse questa sua tranquillità e mancanza di competitività era stata veramente
positiva, nel suo caso. Prima di tutto non aveva bisogno di fare alla svelta,
tagliava anche bene i capelli, ma soprattutto faceva sfogare il bisogno di
confidarsi del cliente e scoprii, dopo un po' di tempo, che il suo lavoro di
psicanalista funzionava bene soprattutto se non c'erano altri clienti ad
aspettare. La persona di sesso maschile che sedeva sulla sua sedia girevole era
completamente a suo agio e così poteva parlare e confidarsi a volontà. Questo
lo scoprii perché quando cominciai ad andarlo a trovare senza bisogno di
tagliarmi i capelli, constatai che i clienti se ne rimanevano zitti, perché c’ero
io lì ad ascoltare, cioè un estraneo ficcanaso, ma Renzo non protestava
affatto, lasciava fare. Forse non voleva nemmeno che pensassi che la gente lì ci
andava anche per confessarsi, non solo per tagliarsi i capelli.
Però
era contento che lo andassi a trovare e a un certo punto gli proposi anche di
andare a mangiare una pizza insieme, lì intorno di pizzerie ce n'erano varie e
buone.
Me
lo aspettavo: Renzo, con il suo sorriso allegro e triste, inventò ogni tipo di
scuse prima di accettare, forse non voleva mischiare il lavoro con il tempo
libero, amicizia e affari, forse il sacro con il profano, o che magari io avessi
seconde o perfino terze intenzioni?
Solo
quando ci conoscemmo meglio, e ci vollero mesi e mesi, fu lui a proporre di
andare a bere un caffè in piazza e lì vidi che potevo chiedergli di nuovo di
andare a mangiare un boccone insieme, non necessariamente una pizza, ma era tanto
per fare quattro discorsi insieme, anche a biscaro, come si dice a Lucca, ma che
fosse chiaro e lampante che non c’erano altre intenzioni dietro.
Seppi
allora che abitava proprio sopra la sua bottega, era sposato e aveva un figlio
che assolutamente non voleva fare il barbiere e nemmeno lui, né sua moglie ci
tenevano. Renzo era una di quelle persone rarissime che sanno stare al loro
posto, che non pretendono assolutamente che anche gli altri lo facciano, che sono
contenti di quello che hanno, che non si vantano della loro abilità e proprio
per questo aveva quel suo successo di nicchia, in un paese che a quel tempo non
conosceva molto turismo e che specialmente d'inverno non offriva molte cose da
fare alla gente.
Questo
apparente difetto non è sempre e necessariamente una cosa negativa, perché il
vizio di chiacchierare e di stare insieme era una cosa che funzionava ancora
bene a Pitigliano, cosa che invece dove c'è turismo o dove c'è un grande
movimento di persone e di conseguente stress per il lavoro, la gente comunica
con una certa fretta e non ha molta voglia di starsene lì a parlare con gli
altri, cosa che succede un po' dappertutto dove queste cose purtroppo imperano
e ci si dimentica di quello che era una volta, quando per esempio le persone si
incontravano spesso solo per il piacere di stare insieme e ne godevano
immancabilmente.
Naturalmente
tra i suoi clienti c'erano anche diversi rompiscatole, però anche questo per
lui non solo pareva perfettamente normale, ma sapeva trarci la sua lezione di
vita e godersi anche quei momenti, che poi non duravano all'infinito, in cui
quelle persone moleste stavano lì sulla sua sedia a lamentarsi e a ripetere
diverse cose che bastava dire una volta sola e forse non era necessaria nemmeno
quella. Renzo aveva una filosofia di vita molto solida, che ero veramente
curioso di capire da che cosa venisse fuori, perché era una cosa rara e mi
sarebbe piaciuto molto essere capace anch'io di sviluppare una maniera di vivere
in quella maniera. Purtroppo ero troppo reattivo e questo spesso mi causava dei
problemi, me ne rendevo conto ma non sapevo come porci rimedio. Per cui la mia
conversazione con lui era piena di domande, che lui era contento di poter
rispondere, all'inizio in maniera abbastanza guardinga, e poi sempre di più
aprendosi e raccontandosi in modo che io potessi capire e lui anche era piuttosto
contento, giacché non trovava tanto spesso gente con cui potersi confidare e
sfogarsi, di solito erano gli altri che lo facevano con lui e non era affatto
una cosa scambievole.
La
prima volta ce ne andammo in una pizzeria che aveva l'ingresso proprio nella
piazza principale, che aveva un grande giardino con la pergola sulla parte di
dietro di Pitigliano, si mangiava bene e d'estate c'era brezza e un conseguente
bel freschetto la sera. Renzo conosceva bene i proprietari e i camerieri. Ogni
tanto, ma raramente, ci andava con la famiglia, era la prima volta forse con un
uomo sconosciuto, che ero io. Tutti si tagliavano i capelli da lui.
La
gente in Maremma è abbastanza tranquilla e gradevole, forse tra la gente più
piacevole della Toscana, io che venivo da Lucca sapevo che non era tutta così,
ma che naturalmente più che si andava verso sud, e ovviamente verso la campagna
aperta e meglio si stava, più che si rimaneva a nord, nelle città o nelle zone
dove c'era una maggiore agglomerazione, più era facile trovare gente antipatica,
stressata e stressante.
Naturalmente
incominciando a informarmi su com'era stata la vita di Renzo fino a quel
momento, vennero fuori diverse piccole magagne che era logico aspettarsi,
perché era impossibile che per lui fossero sempre stati rose e fiori, non lo è
mai per nessuno e chi dice così mente, per di più sapendo di mentire.
La
sua era una filosofia spiccia di chi non aveva una cultura vera e propria, piuttosto
una maniera di rapportarsi alla gente piena di esperienza e di buon senso, di
grande e adulta curiosità di imparare bambina, di saggezza campagnola, di
quella umiltà rarissima di chi non smetterà mai di considerarsi ignorante. Aveva
la capacità di pensare velocemente, ma non si stressava cercando di fare
qualcosa che non gli riusciva.
Il
suo comportamento era legato all'ambiente dove viveva e al tipo di persone che
incontrava, poi la sua curiosità di conoscere, che non era la solita voglia di
spettegolare che si trovava in giro, gli permetteva di trarre le sue
conseguenze anche dalle esperienze altrui, da quello che gli raccontavano.
Mi
faceva spesso domande e voleva sapere un po' come era la vita a Lucca, la sua
differenza pur essendo sempre in Toscana, la sua grande diversità con la vita
di Pitigliano, nei vari particolari della convivenza di tutti i giorni.
Quando
sentiva il bisogno di giustificarsi per qualcosa che stava per dire, la sua
frase cominciava con una bizzarra premessa standard: guardi, io sono mezzo livornese, che poteva essere per dire che era
un po’ figlio di puttana, o uno di sinistra, uno che aveva delle idee
abbastanza aperte o anche rivoluzionarie, che conosceva un po' il mondo, nel
suo piccolo, insomma tutta una gamma di modi di preparare sé stesso e allo
stesso tempo l’interlocutore eventuale, a quello che stava per dire, anche di forme
e significati molto diversi tra di loro. Lui stesso non sapeva ancora esattamente cosa dire, o come esprimerlo, per rispettare il suo stesso pensiero, ma senza incomodare
l’interlocutore.
Intanto
consideravo tra me e me che la mancanza di letture e di una cultura scolastica
più profonda, permetteva a Renzo di semplificarsi la vita invece di complicarsela,
che in un certo senso il suo pensiero era tutto esperienza e relative
conseguenze senza essere ostacolata e frenata da ragionamenti più complessi,
che in un certo senso, anche spesso, non fanno che confondere le teste delle
cosiddette persone colte, quelle persone che hanno una sensibilità sproporzionata,
troppo spontanea da una parte e troppo controllata dall’altra, e quindi in
tanti casi deleteria, controproducente alla vita di tutti i giorni, al contatto
con gli altri. Ci siamo capiti.
Le
sue frasi spesso cominciavano con quel ma
meglio grossetano che diventava un unico mammeglio! Aveva un sorriso strano e diagonale che paradossalmente
mi pareva triste, contrastava con la sua semplice allegria e l’ottimismo schietto,
i quali combinavano in un intreccio di chiari e scuri che mi piacevano e mi
contagiavano.
La
sua faccia anche quando stava zitto mi ispirava, mi stimolava e m’incuriosiva, alla
sua maniera non era mai cupa, senza speranza, anzi fantasticava sempre sul
bello, sulla poesia di un mondo triste e bellissimo di Benigni, nel film
Daunbailò (Down by law).
In
negozio, a basso volume, si ascoltava musica lirica, le romanze più
orecchiabili, che a casa la moglie figuriamoci se gliele faceva ascoltare, sì
insomma Puccini e Mascagni, spesso pure un forse niente affatto casuale figaro qua figaro là del Barbiere di
Siviglia di Rossini.
Largo al
factotum della città, largo!
La la la la la la la la!
Presto a
bottega che l'alba e già, presto!
La la la la la la la là!
Ah, che
bel vivere
Che bel piacere, che bel piacere
Per un
barbiere di qualità! Di qualità!
Ah, bravo
figaro!
Bravo, bravissimo! Bravo! La la la la la la la là!
Fortunatissimo
per verita!
Bravo! La la la la la la la là!
Fortunatissimo
per verità!
Fortunatissimo per verità!
La la la la, la la la la, la la la la la la la là!
Pronto a
far tutto, la notte e il giorno
Sempre d'intorno in giro sta
Miglior cuccagna per un barbiere
Vita piu nobile, no, non si dà
La la la la la la la la la la la la là!
Rasori e
pettini
Lancette e forbici
Al mio comando
Tutto qui stà
Lancette e
forbici
Rasori e pettini
Al mio comando
Tutto qui stà
V'e la
risorsa
Poi de mestiere
Colla donnetta
Col cavaliere
Colla donnetta
La la la le ra
Col cavaliere
Tra la la la la la là
La la là!!!
Ah, che
bel vivere
Che bel piacere, che bel piacere
Per un
barbiere di qualità! Di qualità!
Tutti mi
chiedono, tutti mi vogliono
Donne, ragazzi, vecchi, fanciulle
Qua la parrucca... Presto la barba
Qua la sanguigna... Presto il biglietto
Tutto mi chiedono, tutti mi vogliono
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono
Qua la parrucca, presto la barba, presto il biglietto
Hey!
Figaro
figaro figaro
Figaro figaro figaro
Figaro figaro figaro
Figaro. Figaro figaro!
Ahime,
ahime, che furia!
Ahime, che folla!
Uno alla volta
Per carità! Per carità! Per carità!
Uno alla volta, uno alla volta
Uno alla volta, per carità!
Figaro! Son
qua
Hey, figaro! Son qua
Figaro
qua, figaro là, figaro qua, figaro là
Figaro su, figaro giù, figaro su, figaro giù
Pronto
prontissimo son come il fulmine
Sono il factotum della città
Della città, della città, della città, della città
Ah, bravo
figaro! Bravo, bravissimo
Ah, bravo figaro! Bravo, bravissimo
A te fortuna, a te fortuna, a te fortuna
Non mancherà
La, la,
la, la, la, la, la, la, la, là
A te fortuna, a te fortuna, a te fortuna
Non mancherà
Sono il
factotum della città
Sono il factotum della città
Della città, della città
Della à
Fino
al momento in cui andai a casa sua e cominciai a frequentarlo anche dentro il
suo appartamento, io non mi sentivo assolutamente né superiore né inferiore, tantomeno
paragonabile a lui, perché mi sembrava un filosofo moderno involontario, eppure
assai efficace e ammirevole.
A
casa sua invece notai che proprio perché lui non si arrabbiava mai, proprio
perché cercava in ogni maniera di essere piacevole e accomodante, pur non essendo
affatto untuoso o ruffiano, la sua gentilezza veniva scambiata per debolezza
dalla moglie, la quale almeno inizialmente non mi sembrò nemmeno una
rompiscatole completa e magari neppure il figlio, però si approfittavano del
fatto che Renzo fosse uno stoico tranquillo in quella maniera. Un uomo che
avrebbe fatto di tutto per la pace, non solo in famiglia, ma forse così stava
piuttosto fomentando una futura guerra. Alcune volte mi successe anche di intervenire
in sua difesa, ma vidi che dopo era peggio, la situazione diventava ancora più
complicata per lui e lasciai perdere.
Elsa
e Girolamo sorridevano assai raramente, non ridevano mai. Lei aveva la mania di
puntualizzare, avevo notato che doveva assolutamente correggere almeno un po’
tutto quello che dicevi e la sua malattia l’aveva attaccata anche al figlio.
Renzo ne rideva benevolo, ma dentro di sé, secondo me, soffriva.
In
un terzo momento ricominciammo a vederci per andare a mangiare fuori, a berci
un caffè insieme, o a stare direttamente in negozio a conversare sugli strani
casi dell’esistenza in generale, e poi sulla dura eppur romantica porzione che
ci era rispettivamente toccata. Quando arrivava un cliente allora io fingevo di
aver da fare e me ne andavo, anche se lui insisteva che restassi. A volte
rimanevamo soli per parecchio tempo e, volontariamente o involontariamente,
cominciai a cercare di cambiare questa sua abitudine di essere sempre affabile,
buono, accomodante e filosofo contemporaneo.
Invano.
Riporto
qui approssimativamente un dialogo tra i tanti, eravamo andati a mangiare fuori
da Pitigliano, sulla strada sterrata per andare verso Saturnia. Renzo non aveva
la macchina e quindi eravamo andati con la mia, quella di famiglia era di sua
moglie, l’avrebbe presa poi suo figlio e lui non aveva nemmeno la patente.
Era
una bella serata invernale, l’aria fredda e pungente era limpida, c’era stato
un cielo senza nuvole per tutto il pomeriggio. Il ristorante lo conosceva lui. Roba
rustica ma genuina, quelle cose che con il modernismo diventano sempre più
difficili da trovare, eppure a quei tempi, in quella zona, non erano affatto l’eccezione
ma la regola. Il turismo di massa poi ha fatto peggiorare tutto, anche a
Carrara.
Comunque
una volta là seduti, sgranocchiando dei grissini, ci mettemmo a confrontare la
sua vita e la mia, come se fosse la cosa più normale del mondo, e a pensarci
bene forse lo era anche. Lui ammirava la mia filosofia e io la sua, tacitamente,
senza nemmeno mai chiamarla così. Renzo disse:
-
Mi sarebbe piaciuto tanto viaggiare per il mondo come lei in una macchina, o
anche solo saperla guidare, la macchina magari per andare a fare la spesa al
supermercato, che se non ci fosse mia moglie, non si potrebbe.
Io
gli risposi:
-
Beh, se diciamo tutta la verità: io il mondo non è che l'abbia viaggiato tanto.
A parte le ferie, che non ti fanno capire molto di come si vive in un posto,
finché sei un biscarotto di un turista. Se è per quello, più che altro ho attraversato
su e giù la provincia di Grosseto, di Livorno e di Pisa, non è che sia tanto bello
dover macinare tutti questi chilometri ogni giorno, alla fine non si vede
niente, perché in fondo diventa una routine e la routine è il massacro dei
sentimenti e delle emozioni, specialmente se ci si mette la fretta di mezzo.
- Sì, ho sentito dire che è una cosa del
genere, per fortuna io di fretta non ne ho mai avuta, ma se fossi uno che non amasse
la routine non potrei certo fare questo mestiere, perché è la ripetizione delle
stesse cose, tutti i giorni, tutta la vita. E poi la routine è una parola più o
meno recente, ma la vita ripetitiva c’era già molto prima.
-
Sì, però il divertimento oppure il suo significato nascosto è il contatto con
la gente, secondo me.
Dissi
io e Renzo approvò:
-
Sì è vero che può essere divertente, in alcuni momenti può sembrare leggermente
noioso, è proprio lì il difficile, un mio cliente trai più simpatici e
intelligenti diceva che in ogni mestiere ci sono vari livelli e fare il
barbiere non significa solo tagliare i capelli e le barbe, ma dopo questa parte
tecnica diventa quasi automatica e ci si mette a fare sociologia e filosofia.
Io sono figlio d’arte, mio padre era barbiere all’Ardenza, a Livorno, pure mio
nonno. Ma soprattutto se uno ha sempre fatto questo, non si può immaginare la
vita in una maniera differente. È un po' quello che mi succede, a me. Non sono
mai uscito dalla Toscana, mi vergogno anche a dirlo. Potrei dire solo Grosseto
e Livorno.
-
E fa male a vergognarsi, perché invece non sembra proprio, ma lei legge libri,
giornali, riviste?
-
Non leggo proprio nulla, altra cosa da vergognassi.
-
E non sembra. Ma per esempio, la sera guarda la televisione?
-
Sì, un pochino.
-
E che cosa guarda?
-
Un po' di tutto.
-
Ma cosa preferisce?
-
Più che altro c’è il fatto che io non posso scegliere quasi mai che cosa si
guarda. E allora cerco di farmelo piacere lo stesso, quando sono da solo e
posso scegliere, mi piacciono i documentari sulla natura, sugli animali. Se ci
fosse un bel film, anche me lo guardo volentieri, ma a casa mia più facilmente si
devono guardare quei programmi che piacciono a mia moglie e dove ci sono quelle
persone che parlano male di qualcosa o di qualcuno, che litigano anche, a volte,
gli garbano quelle cose lì.
Io
gli dissi:
-
Ma perché lei non impone mai la sua volontà? E lui rispose:
-
Ma meglio! Si vede che lei non conosce la mia signora! In fondo non è che
dobbiamo fare sempre quello che vogliamo noi. L'importante è che lo possiamo
fare qualche volta. Allora sì che si capisce il valore dell'indipendenza, anche
se poi indipendenti non possiamo essere, nemmeno liberi, perché siamo sempre
condizionati dagli altri.
Come
lei per esempio, anche se uno vive da solo e non ha la moglie, diventa schiavo
di sé stesso, poi delle sue abitudini. Ripete sempre le stesse cose, credo.
-
E lei come fa saperlo?
-
C’ho i miei scapoloni, tra i clienti, la libertà è difficile saperla usare.
Infatti
in questo aveva ragione, avevo proprio già notato che vivendo da solo non cambiavo
quasi mai le mie abitudini e diventavano piuttosto ripetitive, allora in un
certo senso qualcuno che ti obbligava a fare qualcosa di diverso poteva essere
positivo.
-
A volte per me è un godimento quando mia moglie non c'è e non c'è nemmeno mio
figlio, però se fosse così tutti i giorni non credo che mi piacerebbe. Cioè io
sono anche mezzo Livornese, no? Però è inutile negare che abbiamo bisogno di
freni, soprattutto noi uomini ed incentivi pure, come no? Ora mia moglie non è
che mi incentiva tanto. Più che altro mi pota, come se io fossi un alberello.
-
È per quello che io non mi sposo, io mi ribellerei, non si tratta di giusto né
di sbagliato, Renzo, di libertà o il suo contrario, non ce la farei a resistere
io!
-
Mammeglio! Lei la mi moglie un la
conosce, sarebbe la guerra! Però ragioniamo un minuto, non è che si può
scegliere tanto, in mezzo al tutto, nella vita facciamo le stesse cose e le
ripetiamo sempre anche non volendo, no? E cambiare è una bella cosa, però non ci accorgeremmo
di cambiare se non facessimo sempre le stesse cose, chi cambia sempre - secondo
me - è come se non cambiasse mai e quelle persone che vogliono sempre la novità,
sennò stanno male… o come si fa? In quella maniera ci si sente sempre frustrati,
mammeglio invece avere una maniera di
vivere che si adatta a quello che c'è intorno e cerca di farselo piacere, ma
senza ingannarsi, allora è un meglio più tosto.
-
Forse sì, non lo so. Comunque il suo lavoro le permette una certa indipendenza,
cioè una volta pagate le spese e le tasse è proprietario della propria ditta e
investe quasi totalmente nella propria persona, cioè di attrezzature necessarie
per essere un barbiere, oggi come ieri, non ce ne vogliono tante, e non sono cose
tanto costose, o sbaglio?
-
No, no. Ha ragione questa è una cosa veramente positiva e poi se un giorno sei
malato, da una parte è un bene che te ne stai a casa ed è un male che non
guadagni niente, si può scegliere, ma bisogna averci una salute buona e io
quella ce l’ho, che dimostro anche meno anni assai, di quelli che ho. Non bevo
e non fumo, non sono un mangione, mi cibo più che altro di parole, di
filosofia, di sogni realizzabili e non so ancora cosa sia un incubo o un mal di testa.
Poi
se uno avesse dei dipendenti allora sarebbero maggiori guadagni, in teoria, ma
anche maggiori problemi più pratici, spese e tasse da pagare. Insomma io non ci
ho mai provato, per me è sempre bastato così, per la mi moglie sono un
imbecille, ma per fortuna in bottega comando ancora io.
In
altre epoche a Pitigliano c'erano altri barbieri, magari non qui in centro
storico, in altre zone un po' più decentrate. Ma i clienti ci sono sempre stati,
perché non è che ci sia tantissima gente, ma essendoci praticamente quasi
sempre solo io…
Ovviamente
mio figlio ha altre idee, come mia moglie, perché non vuole fare il barbiere e ha
ragione. Loro, i giovani, la vedono come una limitazione, essere lì bloccati
senza poter muoversi, gli piace avere qualcosa di più. Prima cosa gli piace di
guadagnare di più e poi di muoversi di più, il barbiere è guasi un mestiere da
vecchi, quando si è giovani stare sempre nello stesso posto e vedere le stesse
persone non è che sia un grande incentivo, per i giovani.
-
E che cosa fa suo figlio?
-
…e sta studiando diritto, vuole fare l’avvocato, a me un mi garba nulla, l’ha
convinto Elsa, lei dice di no, ma i miei polli li conosco bene, però io volevo
che facesse il medico.
-
Perché?
-
Il nostro dottor Saro Batignano, che è anche mio amico e cliente, è troppo una
brava persona e, pare impossibile, ma inspiegabilmente ci gode proprio ad
aiutare la gente… Mi sarebbe garbato dunque… perché il verbo volere in famiglia
per me non esiste, come accennavo prima, e Girolamo mio figlio, lui amico caro
va dietro solo ai soldi come Elsa, la mia signora, perché anche un dottore può
guadagnare assai, ma a loro un gli garba, perché hanno sotto gli occhi il
nostro Saro, che cura anche chi non può pagare e alla stessa maniera degli
altri, se non con maggior affetto e attenzione, perché quelli soffrono
veramente e gli altri a volte fanno finta, invece.
A
proposito, lei ne conosce tanti dei medici, che cosa ne pensa del lavoro o dei
medici come sono, come persone?
-
C’è di tutto, caro Renzo, tra i medici come nelle altre categorie, a volte
penso che si scelga molto poco nella vita, ci si infila dentro gallerie di
ambiente, educazione e cromosomi e via, per tutta l’esistenza…
-
È proprio vero, ma anche a livello di capacità, dipende molto da chi trovi
sulla tua strada, o no?
-
Beh, ci sono di tutti i tipi, ci sono quelli che non alzano nemmeno lo sguardo
dai fogli che scrivono quando entri, magari per vedere se è un rappresentante o
l’altro, e te gli dici sempre le stesse cose, allo stesso modo, anche quando gli
porti un prodotto nuovo non ci sarebbe bisogno, perché loro se fosse che lo
vogliono si sono documentati da soli, se mi sentono parlare è un suono laggiù
lontano, ma non mi ascoltano nemmeno. Ovviamente però è più il bisogno per la nostra
sporca multinazionale di venderlo, che il bisogno per un ipotetico paziente di
avere quel tipo di medicina, che esiste già di altre marche, così se c'era
qualcosa di simile… insomma il nostro lavoro è un po' come quello di chi vende
le pentole, bisogna spingere più che altro facendo omaggi, pagando delle cene, ruffianate,
regali ai medici e compagnia
bella.
E
poi dicevano che questo lavoro sarebbe finito, che non ci sarebbe più stato
bisogno di noi informatori, per via dell’internet a disposizione di tutti eccetera;
ma invece eccomi ancora qui che vado su e giù, certo è cambiato qualcosa, per
esempio ora ci sono le medicine ordinarie che prima non c'erano, ma le grandi
marche le grandi farmaceutiche sono le maggiori e più impietose mafie che
esistono al mondo.
Non
credo che farei lo stesso mestiere se tornassi indietro, ci sono dei meccanismi
che sono veramente schifosi. Ma lei voleva sapere dei medici, visto che suo
figlio non sta studiando medicina, ma a lei sarebbe piaciuto, a proposito ora
avrà quasi finito, sarà quasi avvocato.
-
Infatti, ora sì, ora manca poco, dovrà fare la tesi e io sono quasi contento,
perché anche dal punto di vista della cultura della maggiore possibilità
finanziaria che avrà, guadagnerà sicuramente di più di un barbiere.
Intendiamoci: se avesse scelto medicina sarei più contento ancora, però mi sa,
a quanto ho capito, che tanti medici più tardi diventano proprio insensibili,
che questo giuramento di Ippocrate che fanno li obbliga pure a certi meccanismi
forzati, ma la sensibilità cioè la volontà di aiutare gli altri, quella passa
abbastanza presto, per chi ce l’ha avuta prima, non tutti, si sa bene.
-
Sì, dopo, sì è vero - dissi io - in tanti casi ti trovi di fronte a una persona
che è abbastanza slegata dalla realtà e che fa meccanicamente il suo dovere, cercando
di preoccuparsi meno possibile, ma questo succede in tutti i lavori, solo che
quando sei un medico dovresti avere un contatto con le persone abbastanza
autentico, una vera e autentica volontà di aiutare gli altri e non sempre è così, anzi.
- Sono una minoranza, me lo immagino, con i
medici per esempio quando vai a parlarci e non ti trattano con indifferenza, da
questo però capisci un po' anche come lavorano, perché il contatto con gli
altri secondo me non si può fingere molto, o te ne importa o non te ne importa,
e proprio la mancanza di sensibilità, porta medici e paramedici a trattare il
paziente come se fosse un oggetto, con la stessa indifferenza di mia moglie con
me, insomma come se fossi un alberello, di quelli che da piccoli sembrano da
frutto, ma con il passar del tempo, poi, crescendo, piano-piano perdi quella
vana speranza e non li tagli per una sorta di pietà giustificata da un affetto
automatico, cioè senza veri sentimenti, come se l’alberello ribelle, muto e
sordo non avesse sentimenti…
-
La differenza tra il medico e il barbiere però – dico io cercando di cambiare,
almeno in parte, l’argomento - secondo me il barbiere non rischia tanto, i
rischi per il barbiere sono magari di fare un taglietto sulla faccia del cliente
o di fare un’acconciatura che non renda soddisfatta la sua signora, ma il medico
e lo stesso infermiere in tanti casi rischiano sulla vita del paziente e questa
è una differenza grossa per cui l'insensibilità e l'arroganza che viene fuori
in alcuni casi può essere pericolosa…
-
Sono d’accordo, questo è un lato positivo per me, ma se vogliamo dirla tutta l’avvocato
sensibile è una rara eccezione alla regola, quello se ne deve fregare di tutto
e di tutti, soprattutto della giustizia.
No,
l’avvocato, signori miei della corte, non ci sarebbe nemmeno bisogno di
spiegarvelo, è un guitto, sì, insomma un attore prezzolato, uno che si vuol
prendere la ragione anche quando ha torto, è per quello che non mi garba e non
mi potrà mai garbare. La verità gli serve solo a livello indicativo, per
stroncarla e poi forgiarla, modellandola a suo uso e piacimento. Mio figlio
Girolamo, quotidianamente allenato da Elsa, un tempo fa mia amata consorte, non
sarà mai uno di quelli che potrà servire la gente che non può pagare, io questo
glielo posso anticipare senza previo ritardo!
E
di questo ridemmo entrambi, a chiusura di una conversazione gradevole e
divertente, ma anche di contenuto apprezzabile, e di purtroppo amara verità.
Ho
frequentato Renzo intensamente e assai piacevolmente per qualche anno, circa
una decina, ci siamo dati del lei per un po’ e quando abbiamo cominciato a
darci del reciproco tu era forse passato più di un anno.
Ho
cercato di evitare la sua famiglia, una volta che l’avevo conosciuta e
considerata con attenzione, domandando ogni tanto come andavano le cose, se sua
moglie stava bene di salute fisica, se suo figlio si era trovato bene nel mondo
dei tribunali eccetera.
Io
stesso mi sono trovato più che bene in quel paesone, mi sono fatto diversi e
buoni amici: colleghi rappresentanti, benzinai, pizzicagnoli, ristoratori,
pizzaioli, macellai, commercialisti, contadini, negozianti, pensionati, vecchie
signore, benestanti e nullatenenti assai affabili e dignitosi, con i quali ho
bevuto più che volentieri, ma senza mai esagerare, il loro ottimo vino bianco
omonimo di Pitigliano, ho approfittato della loro cucina povera, ma non troppo.
Prima,
durante e dopo, di tutta la gente che ho conosciuto però la sua era la
compagnia che preferivo, una persona equilibrata e simpatica, da come parlava
non pareva proprio che non avesse studiato e non leggesse quasi niente.
Forse anche per l’atmosfera tesa di casa sua,
quando era fuori lui era apertissimo a tutto, disposto ad ascoltare qualsiasi
cosa e a notare ogni più piccolo particolare, di infiniti interessi era pieno,
di interessi che avessero a che fare con la vita e le persone, perché
praticamente tutto gli interessava. A casa sua non è che parlasse molto, avevo visto,
ma non si era mai espresso in aggettivi loro riguardanti, tiravano al sodo e
non avevano seghe mentali, per molti questi sarebbero stati aspetti positivi, diceva,
ma era rassegnato ormai, niente sarebbe potuto cambiare se non in peggio.
Qualche
anno dopo sono tornato a vivere a Lucca, per via dei miei genitori che avevano
bisogno di assistenza, essendo tra i fratelli l'unico solo e senza impegni,
anche se non ero pensionato. Alla mia maniera e senza riscuotere soldi dallo
Stato, un’indennità giusta per quello che perdevo, ho abbandonato Renzo
sperando che ogni tanto ci saremmo visti, ma lui non aveva cellulare, né
tantomeno computer e non gli piaceva parlare al telefono. Ci siamo lasciati in
piazza e abbiamo pianto tutti e due, una scena da film. Ho cominciato io a dire
la verità, mentre gli dicevo che mi aspettasse, che sarei tornato di sicuro
come la morte… e non sapevo quanto sarebbe stata malaugurante quella frase, una
gaffe provocata dalla confusione della commozione.
Ma
la morte quella è sempre in agguato e anche se non sempre, a volte non è
nemmeno la soluzione peggiore.
Con
i miei genitori la cosa è durata più del previsto, guarire non potevano, la
morte è sempre presente nella vita, talvolta rimane nascosta, ma in certi
momenti diventa quasi una liberazione, quando la gente sta male e anche se non
si rende conto bene, certo non ha più godimenti, solo vari livelli di
concatenate sciagure da attraversare. Lateralmente la mia vita era cambiata
parecchio, anche per il fatto che poi mi ero sposato, piuttosto attempato,
trovando finalmente una donna che era anche una vera amica. Una maremmana
importata, gli sarebbe garbata a Renzo, ero sicuro, era nata a Saturnia e come
persona era tutto il contrario di Elsa, se le ero piaciuto non era certo per la
mia ricchezza, o le ero potuto magari sembrare un manager rampante.
Avevo
avuto grosse difficoltà a trovare una compagna valida, ero un tipo piuttosto
solitario e la gente spesso mi irritava, parlavano troppo e a vanvera, intorno
c’era già troppo rumore e confusione.
Il
figaro di Pitigliano mi scriveva spesso lettere di carta e io gli rispondevo al
volo, scherzavamo sulla vita e sulla morte, eventualmente sugli episodi
intermedi, ma parlavamo più che altro di cose teoriche, di filosofia spiccia e
quotidiana, con pochi accenni alla vita privata, essendo tutti e due piuttosto
riservati. Di sua moglie e di suo figlio non parlava quasi mai, dalla qual cosa
capivo che i loro rapporti erano rimasti gli stessi o erano ulteriormente
peggiorati. Gli mandai diverse foto di mia moglie e anche se eravamo vecchiotti
per fare figli, avevamo diversi cani e gatti da fotografare, che a Renzo
piacevano assai, ma per via di sua moglie e di suo figlio non poteva
permettersi di tenere in casa e in un appartamento generalmente è meglio di no.
Beniamino
il macellaio, a suo tempo aveva giocato spesso con noi sul fatto che a chi non
amava gli animali non piacessero nemmeno gli esseri umani, sulla qual cosa
facevamo discussioni acerrime, ridendo assai e facendo battute, talvolta
ripetitive, ma sviscerando il problema e rivoltandolo, nei suoi vari aspetti
della routine pitiglianese. In un certo senso aveva ragione, almeno in parte,
ma non potevamo ammetterlo, specialmente Renzo, che sapeva di avere piuttosto torto
a difendere sua moglie e suo figlio.
Un
giorno a Migliarino preso il giornale in un bar, cosa del tutto casuale perché
non lo guardo quasi mai, ho letto una notizia, un fatto accaduto a Pitigliano,
ma sul Tirreno non si facevano i nomi e nemmeno sulla Nazione. Ho telefonato a
Federico Tonnara, un piazzaiolo di là, con il quale ero rimasto in confidenza.
La
sua pizzeria si chiamava PIZZA FEDE, cioè LA PIZZA CHE PUZZA, tradotto in portoghese
brasiliano, perché lui era nato a Fortaleza, da padre italiano e madre Nordestina Cearense e ci era rimasto
fino ai dieci anni di età.
Ha confermato i miei timori, cioè che aveva le
sue brave difficoltà a crederci, ma pareva proprio che Renzo avesse ammazzato
la moglie e il figlio e poi fosse sparito. Avevano trovato i corpi nelle Vie Cave degli etruschi, scavate nel
tufo, nella parte di dietro di Pitigliano.
Poche
ore dopo mi sono imbattuto in Renzo nascosto nel mio garage, accovacciato al
freddo umido sulla sua valigetta, era esausto e mi ha detto solo che non era
stato lui. Ci ho creduto subito, anzi me lo ero già immaginato, non poteva
essere stato lui.
Era
stato incastrato dalle circostanze, ma era braccato da polizia e anche dai
banditi.
Quali
banditi?
Ho
dato a Renzo quel poco di soldi che potevo racimolare, non li voleva nemmeno
tutti, ma ho insistito e poi lui se ne è scappato in Slovenia, ce lo avrebbe
portato Ezio in macchina, il cuoco e bongustaio, nostro amico del sito internet
“A mangia’ da mi pà”, dove aveva un altro
amico emigrato da pochi anni, pare che fosse un suo lontano cugino dalla parte
del padre.
Si
fa presto a dire il mio miglior amico, ma io ne sono sicuro, non ho mai
conosciuto nessuno che fosse nemmeno paragonabile a Renzo, nel bene e nel male,
ma soprattutto nel bene. Prima di tutto la sua simpatia, poi la sua filosofia,
dopo il suo carattere forte, la sua umiltà… non mi è mai piaciuto conversare
con nessuno come con lui. Insomma quando una persona tira fuori il meglio di
te, sarebbe bene non perderla mai di vista, ma io non avevo scelta.
Non
l'ho incontrato che diversi anni dopo, mi aveva contattato lui, in grande
segretezza, secondo me non ce ne sarebbe stato più bisogno, ma credo che lui
dovesse saperlo meglio di me.
Ci
abbracciammo nei pressi di Andermatt, in montagna, una zona abbastanza lontana
dalle città, nella Svizzera tedesca. Renzo si era arrangiato abbastanza bene e
mi ha spiegato tutta la situazione, nel frattempo in Italia era stato
scagionato dal delitto duplice della sua famiglia, perché erano riusciti a
capire che invece era successo qualcos'altro. Ora era accusato solo di aver
ammazzato quegli altri, proprio facendo delle indagini sulla morte avvenuta
poco dopo dello strozzino Mardocheo Puglianti e dei suoi scagnozzi.
Mi
ha detto per prima cosa che in quel momento non poteva restituirmi ancora i
soldi che gli avevo prestato, ma poi mi avrebbe dato gli interessi e la
svalutazione.
Quello
che era successo era presto detto, cioè che il figlio di Renzo, appena
diventato avvocato aveva subito cominciato a voler fare soldi e alla svelta.
Qui
mi ha fatto un indovinello scemo: qual era il più grande problema di Pitigliano
nella cosiddetta epoca moderna?
Io
ho protestato indignato adducendo che quello non c’entrava niente, perché me lo
chiedeva proprio in quel momento? Lui ridacchiava e insisteva. Fino a che non ho
tentato di rispondere al suo quesito, più volte, senza indovinare, eppure ci
avevo vissuto parecchio, ma me lo ero scordato e poi la momentanea rabbia e la solida
curiosità mi accecavano.
A
forza di mammegli mi ha rispiegato che le macchine dei residenti e dei
visitatori non avevano parcheggi sufficienti a Pitigliano, da sempre.
Spinto e orchestrato dalla madre, allora Girolamo
aveva ideato, con opportuna sovvenzione anche dello stesso municipio, un grande
posteggio dietro Pitigliano, che da quella parte è fatto come una grande curva,
una specie di ferro di cavallo aperto, dove stavano scavando, anzitutto per
fare un terrapieno. Quando hanno trovato dei vestigi importanti della civiltà
etrusca, i lavori sono stati bloccati. I suoi quattro soci si sono tirati
fuori, per pagarli, almeno in parte e per ungere le ruote del destino, aveva
preso un'ingente somma dallo strozzino Mardocheo Puglianti di Grosseto,
ipotecando inoltre l’appartamento dove viveva lui e quello dei genitori su maledetta
iniziativa di Elsa.
Dopo
due anni, i lavori bloccati ancora e a tempo indeterminato, visto che i soldi
non venivano restituiti, lo strozzino ha cominciato a minacciare anche la madre
di Girolamo e moglie di Renzo. Era passato un ulteriore tempo, senza soluzione,
non pareva potercene essere nessuna.
Alla
fine sono stati torturati e uccisi dagli scagnozzi di Puglianti in quelle
strade intufate e antichissime che ci sono sotto Pitigliano, vicino anche al
posteggio in allestimento e poi Renzo era riuscito a prendere un’arma a questi
scagnozzi, li aveva ammazzati e poi aveva massacrato anche Mardocheo Puglianti.
Quindi
ora stava fuggendo per non essere preso dai membri di questa specie di cartello
della mafia degli strozzini soci di Puglianti che lo stavano braccando.
Finite
le mie brevi vacanze in Svizzera, per quasi dieci anni senza riceverne notizie,
mi è stato mandato il nuovo indirizzo di Renzo. Mi è arrivata una lettera
elettronica, insomma con solo il suo nuovo indirizzo, mi era giunto per email,
mandata da chissà chi, da chissà dove, senza specificare niente di niente. Era tornato in Maremma e voleva restituirmi i
soldi con gli interessi e la svalutazione. Senza avvertire nessuno me ne sono
andato appena possibile in provincia di Viterbo, regione Lazio, a Bagnoregio e
mi sono incontrato a Civita di Bagnoregio qualche giorno dopo con Renzo ormai
un vecchietto con il bastone, ma sembrava che stesse bene assai, mi ha
restituito i soldi e abbiamo parlato un po'. Era insieme a una donna francese
che lo aveva aiutato a far perdere le sue tracce e ora era tornato abbastanza
vicino a Pitigliano, ma in un'altra regione in un'altra provincia, non sapeva
se era rischioso, ormai era vecchiotto, ma non pareva malato. Il buon umore comunque
non l'aveva perso e nemmeno quel mammeglio
all'inizio della frase e quel suo giustificarsi dicendo che era mezzo livornese,
il suo sorriso contagioso e mezzo triste anche era rimasto al suo posto.
La
polizia lo cercava per aver assassinato gli onest’uomini che avevano ammazzato
sua moglie e suo figlio. Secondo me senza troppa convinzione, ma non si sapeva
mai.
Sua
moglie Elsa non era ebrea, ma era cresciuta in mezzo a loro, tirava pervicacemente
ai soldi e non aveva paura di niente. Erano tignosi tutti e due, suo figlio Girolamo
anche e indirettamente questa era stata la loro condanna. Non ci sarebbe stato
bisogno di spiegare, ma Renzo tentava ancora di farsene una ragione.
-
Sloveni, Svizzeri, Francesi e Austriaci, anche se in maniera diversa tra di
loro, mi sono garbati più di noi italiani, te lo giuro. Vabbè noi siamo più
simpatici, almeno apparentemente, forse per questo crediamo di potercene
approfittare.
L’italiano
è uno che deve assolutamente mettere le mani avanti anche quando fa marcia
indietro, deve puntualizzare sempre e comunque, soprattutto quando non è
necessario rompere ad ogni costo le altrui scatole inutilmente. Alcuni hanno la
mania del politicamente corretto, altri peninsulari invece devono mostrarsi
ribelli ad ogni regola, solo per partito preso o bella posa. Per queste loro
manie verranno puntualmente mandati affanculo dai popoli che si fanno meno
seghe mentali e vivono in maniera più pratica.
Mi
ha detto Renzo, e mi pareva che più che altro parlasse di sua moglie buonanima. Per
fortuna che non siamo tutti così, ho replicato io. Per fortuna, ha sorriso lui,
nell’estrema disgrazia i miei amici si sono messi a mia disposizione, nessuno
ha creduto in quello che dicevano in giro. Ora non parlavo di loro, non ci
sarebbe nemmen bisogno di dirtelo, perché li conosci anche te, ma te lo dico lo
stesso, se ti venisse qualche logico e normale dubbio. Nessuno si è tirato
indietro, da quattro si sono fatti in otto, sedici, trentadue e sessantaquattro,
si dice da noi in Maremma, che non è affatto maiala come narrano.
Guardando il panorama della città che muore, ogni tanto fischiettava, come una volta, la sua canzone preferita era ancora Figaro qua Figaro là, addirittura la canticchiava piuttosto allegramente. Forse perché parlava di un barbiere, che se n'era andato di qua e di là per estrema necessità, per riprendere e per il collo la sua esistenza dopo aver ammazzato gli assassini di sua moglie e suo figlio. Aveva tagliato barbe e capelli in Slovenia, Austria, Svizzera e Francia, ed era riuscito a sfangarsela egregiamente, a racimolare i soldi da potermi restituire, a me e agli altri tre, con gli interessi e la svalutazione.
Un
uomo fatto di ciccia e ossa come me. Però non ne ho conosciuti altri come lui.
Appena
posso scendo ancora in Maremma Laziale, vicino al confine con la Toscana e
passo qualche giorno insieme a Renzo. La sua compagna va d’accordo con la mia e
nessuna di loro due è neppure lontanamente una mezza rompiscatole.
Ci
siamo spesso ritrovati tutti e quattro di fronte al caminetto acceso, a bere
vino nuovo e a mangiare le mondine appena arrostite.
Renzo
stranamente è quello che parla di più, racconta perfino favole che aveva
sentito da piccolo, dai suoi genitori, dai suo nonni. Io non sono affatto bravo
a raccontare ma lui sì, lo fa senza fretta e con le parole giuste.
La
maniera di descrivere avvenimenti passati della gente risente spesso della
fretta, della loro insicurezza, del dubbio che quanto stanno raccontando non
risulti abbastanza interessante all’interlocutore. Di solito sono troppo
nervosi per farlo bene, gliene manca la necessaria calma. C’è gente che ama
mettersi in mostra, altri che invece preferiscono rimanere nell’ombra, altri
che pensano abbastanza alla bellezza di quello che stanno tramandando, e farlo
bene è un’arte perduta nel tempo.
Non
sapevo bene se lo volevo o no, ma non chiedendogli niente pensavo che prima o
poi mi avrebbe raccontato i particolari di quel fosco film di terrore. Un
giorno però mi ha detto che se mi stavo aspettando un dettagliato rapporto, da
lui non lo avrei avuto tanto presto, che doveva ancora digerirlo lui stesso. Era
rimasto sorpreso da quello che aveva fatto, da quanto la vita cambia da un
momento in avanti, come non si sarebbe mai sospettato prima.
Gli
era successo tutto quello che poteva succedergli, attualmente voleva solo
godersi la poca esistenza che gli restava. Renzo ha ripetuto che si vergognava anche
di quello che era accaduto, era stato tutto molto poco eroico. Ho pensato che si
riferisse più a quello che aveva permesso che accadesse prima, per una vita, non
a quel giorno di guerra e di sangue.
Eppure
avrei potuto anche sbagliarmi, ma a vederlo sembrava che fosse più contento in
quel periodo della sua esistenza, che di quella di prima, lo vedevo più sereno,
sicuro e determinato, nonostante l’età e i malanni. Dopo tanto immobilità magari
un po’ di avventura gli aveva fatto bene.
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