martedì 2 agosto 2022

FIGARO QUA FIGARO LA'



 

Da giovane inesperto ho trascorso le ferie in Costarica, India, Egitto, Svezia, Irlanda e Tunisia, pagando e di mia spontanea volontà. Poi ho fatto incrociate e ripetute incursioni su Pisa e Livorno, mi ci hanno mandato e all’inizio bestemmiavo anche. Su e giù per le colline ho potuto constatare che la campagna della Toscana è assai varia, per abitazioni storiche, mattoni e pietra, tipo di paesaggio, c’è un po’ di tutto e ho dovuto ammettere che qua da noi, modestamente, si esagera in bellezza. La Maremma è stupenda, per esempio, ma io l’ho scoperta per caso, anzi proprio per lavoro.

La Maremma Livornese, storicamente chiamata  Maremma Pisana  (più raramente  Maremma Piombinese  o Volterrana),  è un territorio che si estende a sud del promontorio di  Castiglioncello fino alla valle del  fiume Cornia  e  al  colle Poggio al Chiecco, a sud del quale è in uso la denominazione Maremma Grossetana. La zona costituisce la parte più settentrionale dell'intera Maremma, detta anche per questo motivo Alta Maremma  o  Maremma Settentrionale.  Tuttavia, è considerato  corretto da un punto di vista sia storico che geografico chiamare indistintamente tutta la Maremma Settentrionale, sia i territori oggi in provincia di Pisa che quelli in provincia di Livorno, con l'appellativo di Maremma Pisana, il nome con il quale questi territori sono stati conosciuti per secoli. L'area si estende tra la fascia costiera, denominata Costa degli Etruschi, e le prime propaggini collinari dell'entroterra; i territori comunali interessati, da nord a sud, sono quelli di Rosignano MarittimoCecinaBibbonaCastagneto CarducciSan VincenzoCampiglia Marittima,  Sassetta,  Suvereto e  Piombino (questi ultimi costituiscono anche gran parte del territorio della Val di Cornia).

Dopo insomma, mentre stavo cominciando ad assaporarne progressivamente la bellezza, sono stato mandato ancora più giù, nel grossetano e lì mi ci garbava anche assai.

Intendiamoci: Lucca è bella e pure la sua campagna, però è più scura, umida e anche più abitata e quindi meno selvaggia, ma andando verso sud tutto diventa più asciutto e luminoso, anche la gente migliora assai, forse è più povera, ma si lamenta meno e ride di più.

Vicino al confine con la regione Lazio, Pitigliano ha origini misteriose e perciò anche mezze etrusche, ma è piuttosto la rappresentazione viva del medioevo. Arrivando da Grosseto, il colpo d’occhio è notevole, fatta quell’ultima curva ed iniziando a scendere, sembra di essere tornati indietro di mille anni. È nato e cresciuto sulla roccia; con la stessa pietra bucherellata che c’è sotto, il tufo, sopra sono state costruite le case. È chiamato anche la piccola Gerusalemme, ma oggi la comunità ebraica, una volta numerosa, è assai ridotta.

Me ne sono così innamorato, che sono andato a viverci, ma solamente nel 1994, a Pitigliano, prima ci passavo spesso nel mio giro di rappresentante di medicinali e un giorno mi ero trovato davanti al barbiere con il bisogno urgente di tagliarmi un cespuglio di capelli ribelli, che secondo i miei capi erano controproducenti, anche se a me piacevano. Era un negozio tradizionale con una vetrina che da fuori vedevi tutto quello che succedeva dentro, come un vasto acquario e all’interno c'era un unico pesce-barbiere che assomigliava assai a Marco Messeri, l'attore Toscano che forse non tutti ricordano, ma per me è di una grande simpatia, che mi venne naturale di trasferire istantaneamente su questo uomo, che senza tante cerimonie si apprestava a tagliarmi i capelli.

Quasi subito notai che non era un barbiere tradizionale, perlomeno non era di quel tipo che avevo conosciuto, perché anche se la sua bottega era del tutto uguale alle altre che avevo visto in passato, con tre sedie girevoli e i rispettivi tre grandi specchi, con le mensole piene di ammennicoli necessari all'uopo, il barbiere in questione era uno che ti invogliava a parlare e lui non diceva tanto, ma più che altro ascoltava e ti stimolava a vuotare il sacco. Era una specie di psicanalista, alla sua maniera, perché potevi seguire le sue espressioni dalla faccia rotonda nello specchio mentre raccontavi, si vedeva che gli interessava veramente quello che dicevi e commentava solo quando capiva che era quello che tu desideravi, cioè l’eventuale cliente.

Alla maggior parte della gente non gliene fregava tanto, magari non lo sapeva ma voleva solo sfogarsi e se anche l’interlocutore fosse stato un manichino non faceva molta differenza. Per me invece sì, il tipo di dialogo che preferivo era quello interattivo, nel quale i due o più partecipanti dicevano la loro e non c’era nessuno che prevalesse, altra cosa rarissima al mondo, ma specialmente in Italia, specialmente a Lucca.

Qua da noi ci sono due tipi di persone, quelli che parlano tanto e non gliene importa niente se dall’altra parte qualcuno li ascolta, basta che faccia finta, ma non c’è nemmeno bisogno di sforzarsi troppo che tanto quelli sono troppo impegnati a esporre le proprie teorie e non stanno lì a controllare che qualcuno le apprezzi, le apprezzano loro stessi e gli basta. Il secondo tipo sono i rimanenti, quelli che non riescono a imporsi e non è che ascoltino proprio, ma non ce la fanno a interrompere il mare di frasi dall’altra parte, piene di idee spesso balzane, propositi e spropositi, congiuntivi, condizionali e imperativi.

Il signor Renzo era una persona di quel determinato tipo, rarissimo al mondo, che amava più ascoltare che parlare. Venni a sapere in seguito che era molto conosciuto e apprezzato anche perché di barbieri in giro non ce n'erano altri, ma forse questa sua tranquillità e mancanza di competitività era stata veramente positiva, nel suo caso. Prima di tutto non aveva bisogno di fare alla svelta, tagliava anche bene i capelli, ma soprattutto faceva sfogare il bisogno di confidarsi del cliente e scoprii, dopo un po' di tempo, che il suo lavoro di psicanalista funzionava bene soprattutto se non c'erano altri clienti ad aspettare. La persona di sesso maschile che sedeva sulla sua sedia girevole era completamente a suo agio e così poteva parlare e confidarsi a volontà. Questo lo scoprii perché quando cominciai ad andarlo a trovare senza bisogno di tagliarmi i capelli, constatai che i clienti se ne rimanevano zitti, perché c’ero io lì ad ascoltare, cioè un estraneo ficcanaso, ma Renzo non protestava affatto, lasciava fare. Forse non voleva nemmeno che pensassi che la gente lì ci andava anche per confessarsi, non solo per tagliarsi i capelli.

Però era contento che lo andassi a trovare e a un certo punto gli proposi anche di andare a mangiare una pizza insieme, lì intorno di pizzerie ce n'erano varie e buone.

Me lo aspettavo: Renzo, con il suo sorriso allegro e triste, inventò ogni tipo di scuse prima di accettare, forse non voleva mischiare il lavoro con il tempo libero, amicizia e affari, forse il sacro con il profano, o che magari io avessi seconde o perfino terze intenzioni?

Solo quando ci conoscemmo meglio, e ci vollero mesi e mesi, fu lui a proporre di andare a bere un caffè in piazza e lì vidi che potevo chiedergli di nuovo di andare a mangiare un boccone insieme, non necessariamente una pizza, ma era tanto per fare quattro discorsi insieme, anche a biscaro, come si dice a Lucca, ma che fosse chiaro e lampante che non c’erano altre intenzioni dietro.

Seppi allora che abitava proprio sopra la sua bottega, era sposato e aveva un figlio che assolutamente non voleva fare il barbiere e nemmeno lui, né sua moglie ci tenevano. Renzo era una di quelle persone rarissime che sanno stare al loro posto, che non pretendono assolutamente che anche gli altri lo facciano, che sono contenti di quello che hanno, che non si vantano della loro abilità e proprio per questo aveva quel suo successo di nicchia, in un paese che a quel tempo non conosceva molto turismo e che specialmente d'inverno non offriva molte cose da fare alla gente.

Questo apparente difetto non è sempre e necessariamente una cosa negativa, perché il vizio di chiacchierare e di stare insieme era una cosa che funzionava ancora bene a Pitigliano, cosa che invece dove c'è turismo o dove c'è un grande movimento di persone e di conseguente stress per il lavoro, la gente comunica con una certa fretta e non ha molta voglia di starsene lì a parlare con gli altri, cosa che succede un po' dappertutto dove queste cose purtroppo imperano e ci si dimentica di quello che era una volta, quando per esempio le persone si incontravano spesso solo per il piacere di stare insieme e ne godevano immancabilmente.

Naturalmente tra i suoi clienti c'erano anche diversi rompiscatole, però anche questo per lui non solo pareva perfettamente normale, ma sapeva trarci la sua lezione di vita e godersi anche quei momenti, che poi non duravano all'infinito, in cui quelle persone moleste stavano lì sulla sua sedia a lamentarsi e a ripetere diverse cose che bastava dire una volta sola e forse non era necessaria nemmeno quella. Renzo aveva una filosofia di vita molto solida, che ero veramente curioso di capire da che cosa venisse fuori, perché era una cosa rara e mi sarebbe piaciuto molto essere capace anch'io di sviluppare una maniera di vivere in quella maniera. Purtroppo ero troppo reattivo e questo spesso mi causava dei problemi, me ne rendevo conto ma non sapevo come porci rimedio. Per cui la mia conversazione con lui era piena di domande, che lui era contento di poter rispondere, all'inizio in maniera abbastanza guardinga, e poi sempre di più aprendosi e raccontandosi in modo che io potessi capire e lui anche era piuttosto contento, giacché non trovava tanto spesso gente con cui potersi confidare e sfogarsi, di solito erano gli altri che lo facevano con lui e non era affatto una cosa scambievole.

La prima volta ce ne andammo in una pizzeria che aveva l'ingresso proprio nella piazza principale, che aveva un grande giardino con la pergola sulla parte di dietro di Pitigliano, si mangiava bene e d'estate c'era brezza e un conseguente bel freschetto la sera. Renzo conosceva bene i proprietari e i camerieri. Ogni tanto, ma raramente, ci andava con la famiglia, era la prima volta forse con un uomo sconosciuto, che ero io. Tutti si tagliavano i capelli da lui.

La gente in Maremma è abbastanza tranquilla e gradevole, forse tra la gente più piacevole della Toscana, io che venivo da Lucca sapevo che non era tutta così, ma che naturalmente più che si andava verso sud, e ovviamente verso la campagna aperta e meglio si stava, più che si rimaneva a nord, nelle città o nelle zone dove c'era una maggiore agglomerazione, più era facile trovare gente antipatica, stressata e stressante.

Naturalmente incominciando a informarmi su com'era stata la vita di Renzo fino a quel momento, vennero fuori diverse piccole magagne che era logico aspettarsi, perché era impossibile che per lui fossero sempre stati rose e fiori, non lo è mai per nessuno e chi dice così mente, per di più sapendo di mentire.

La sua era una filosofia spiccia di chi non aveva una cultura vera e propria, piuttosto una maniera di rapportarsi alla gente piena di esperienza e di buon senso, di grande e adulta curiosità di imparare bambina, di saggezza campagnola, di quella umiltà rarissima di chi non smetterà mai di considerarsi ignorante. Aveva la capacità di pensare velocemente, ma non si stressava cercando di fare qualcosa che non gli riusciva.

Il suo comportamento era legato all'ambiente dove viveva e al tipo di persone che incontrava, poi la sua curiosità di conoscere, che non era la solita voglia di spettegolare che si trovava in giro, gli permetteva di trarre le sue conseguenze anche dalle esperienze altrui, da quello che gli raccontavano.

Mi faceva spesso domande e voleva sapere un po' come era la vita a Lucca, la sua differenza pur essendo sempre in Toscana, la sua grande diversità con la vita di Pitigliano, nei vari particolari della convivenza di tutti i giorni.

Quando sentiva il bisogno di giustificarsi per qualcosa che stava per dire, la sua frase cominciava con una bizzarra premessa standard: guardi, io sono mezzo livornese, che poteva essere per dire che era un po’ figlio di puttana, o uno di sinistra, uno che aveva delle idee abbastanza aperte o anche rivoluzionarie, che conosceva un po' il mondo, nel suo piccolo, insomma tutta una gamma di modi di preparare sé stesso e allo stesso tempo l’interlocutore eventuale, a quello che stava per dire, anche di forme e significati molto diversi tra di loro. Lui stesso non sapeva ancora esattamente cosa dire, o come esprimerlo, per rispettare il suo stesso pensiero, ma senza incomodare l’interlocutore.

Intanto consideravo tra me e me che la mancanza di letture e di una cultura scolastica più profonda, permetteva a Renzo di semplificarsi la vita invece di complicarsela, che in un certo senso il suo pensiero era tutto esperienza e relative conseguenze senza essere ostacolata e frenata da ragionamenti più complessi, che in un certo senso, anche spesso, non fanno che confondere le teste delle cosiddette persone colte, quelle persone che hanno una sensibilità sproporzionata, troppo spontanea da una parte e troppo controllata dall’altra, e quindi in tanti casi deleteria, controproducente alla vita di tutti i giorni, al contatto con gli altri. Ci siamo capiti.

Le sue frasi spesso cominciavano con quel ma meglio grossetano che diventava un unico mammeglio! Aveva un sorriso strano e diagonale che paradossalmente mi pareva triste, contrastava con la sua semplice allegria e l’ottimismo schietto, i quali combinavano in un intreccio di chiari e scuri che mi piacevano e mi contagiavano.

La sua faccia anche quando stava zitto mi ispirava, mi stimolava e m’incuriosiva, alla sua maniera non era mai cupa, senza speranza, anzi fantasticava sempre sul bello, sulla poesia di un mondo triste e bellissimo di Benigni, nel film Daunbailò (Down by law).

In negozio, a basso volume, si ascoltava musica lirica, le romanze più orecchiabili, che a casa la moglie figuriamoci se gliele faceva ascoltare, sì insomma Puccini e Mascagni, spesso pure un forse niente affatto casuale figaro qua figaro là del Barbiere di Siviglia di Rossini.

 

Largo al factotum della città, largo!
La la la la la la la la!

Presto a bottega che l'alba e già, presto!
La la la la la la la là!

Ah, che bel vivere
Che bel piacere, che bel piacere

Per un barbiere di qualità! Di qualità!

Ah, bravo figaro!
Bravo, bravissimo! Bravo! La la la la la la la là!

Fortunatissimo per verita!
Bravo! La la la la la la la là!

Fortunatissimo per verità!
Fortunatissimo per verità!
La la la la, la la la la, la la la la la la la là!

Pronto a far tutto, la notte e il giorno
Sempre d'intorno in giro sta
Miglior cuccagna per un barbiere
Vita piu nobile, no, non si dà
La la la la la la la la la la la la là!

Rasori e pettini
Lancette e forbici
Al mio comando
Tutto qui stà

Lancette e forbici
Rasori e pettini
Al mio comando
Tutto qui stà

V'e la risorsa
Poi de mestiere
Colla donnetta
Col cavaliere
Colla donnetta
La la la le ra
Col cavaliere
Tra la la la la la là
La la là!!!

Ah, che bel vivere
Che bel piacere, che bel piacere

Per un barbiere di qualità! Di qualità!

Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono
Donne, ragazzi, vecchi, fanciulle
Qua la parrucca... Presto la barba
Qua la sanguigna... Presto il biglietto
Tutto mi chiedono, tutti mi vogliono
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono
Qua la parrucca, presto la barba, presto il biglietto
Hey!

Figaro figaro figaro
Figaro figaro figaro
Figaro figaro figaro
Figaro. Figaro figaro!

Ahime, ahime, che furia!
Ahime, che folla!
Uno alla volta
Per carità! Per carità! Per carità!
Uno alla volta, uno alla volta
Uno alla volta, per carità!

Figaro! Son qua
Hey, figaro! Son qua

Figaro qua, figaro là, figaro qua, figaro là
Figaro su, figaro giù, figaro su, figaro giù

Pronto prontissimo son come il fulmine
Sono il factotum della città
Della città, della città, della città, della città

Ah, bravo figaro! Bravo, bravissimo
Ah, bravo figaro! Bravo, bravissimo
A te fortuna, a te fortuna, a te fortuna
Non mancherà

La, la, la, la, la, la, la, la, la, là
A te fortuna, a te fortuna, a te fortuna
Non mancherà

Sono il factotum della città
Sono il factotum della città
Della città, della città
Della à

 

Fino al momento in cui andai a casa sua e cominciai a frequentarlo anche dentro il suo appartamento, io non mi sentivo assolutamente né superiore né inferiore, tantomeno paragonabile a lui, perché mi sembrava un filosofo moderno involontario, eppure assai efficace e ammirevole.

A casa sua invece notai che proprio perché lui non si arrabbiava mai, proprio perché cercava in ogni maniera di essere piacevole e accomodante, pur non essendo affatto untuoso o ruffiano, la sua gentilezza veniva scambiata per debolezza dalla moglie, la quale almeno inizialmente non mi sembrò nemmeno una rompiscatole completa e magari neppure il figlio, però si approfittavano del fatto che Renzo fosse uno stoico tranquillo in quella maniera. Un uomo che avrebbe fatto di tutto per la pace, non solo in famiglia, ma forse così stava piuttosto fomentando una futura guerra. Alcune volte mi successe anche di intervenire in sua difesa, ma vidi che dopo era peggio, la situazione diventava ancora più complicata per lui e lasciai perdere.

Elsa e Girolamo sorridevano assai raramente, non ridevano mai. Lei aveva la mania di puntualizzare, avevo notato che doveva assolutamente correggere almeno un po’ tutto quello che dicevi e la sua malattia l’aveva attaccata anche al figlio. Renzo ne rideva benevolo, ma dentro di sé, secondo me, soffriva.

In un terzo momento ricominciammo a vederci per andare a mangiare fuori, a berci un caffè insieme, o a stare direttamente in negozio a conversare sugli strani casi dell’esistenza in generale, e poi sulla dura eppur romantica porzione che ci era rispettivamente toccata. Quando arrivava un cliente allora io fingevo di aver da fare e me ne andavo, anche se lui insisteva che restassi. A volte rimanevamo soli per parecchio tempo e, volontariamente o involontariamente, cominciai a cercare di cambiare questa sua abitudine di essere sempre affabile, buono, accomodante e filosofo contemporaneo.

Invano.

Riporto qui approssimativamente un dialogo tra i tanti, eravamo andati a mangiare fuori da Pitigliano, sulla strada sterrata per andare verso Saturnia. Renzo non aveva la macchina e quindi eravamo andati con la mia, quella di famiglia era di sua moglie, l’avrebbe presa poi suo figlio e lui non aveva nemmeno la patente.

Era una bella serata invernale, l’aria fredda e pungente era limpida, c’era stato un cielo senza nuvole per tutto il pomeriggio. Il ristorante lo conosceva lui. Roba rustica ma genuina, quelle cose che con il modernismo diventano sempre più difficili da trovare, eppure a quei tempi, in quella zona, non erano affatto l’eccezione ma la regola. Il turismo di massa poi ha fatto peggiorare tutto, anche a Carrara.

Comunque una volta là seduti, sgranocchiando dei grissini, ci mettemmo a confrontare la sua vita e la mia, come se fosse la cosa più normale del mondo, e a pensarci bene forse lo era anche. Lui ammirava la mia filosofia e io la sua, tacitamente, senza nemmeno mai chiamarla così. Renzo disse:

- Mi sarebbe piaciuto tanto viaggiare per il mondo come lei in una macchina, o anche solo saperla guidare, la macchina magari per andare a fare la spesa al supermercato, che se non ci fosse mia moglie, non si potrebbe.

Io gli risposi:

- Beh, se diciamo tutta la verità: io il mondo non è che l'abbia viaggiato tanto. A parte le ferie, che non ti fanno capire molto di come si vive in un posto, finché sei un biscarotto di un turista. Se è per quello, più che altro ho attraversato su e giù la provincia di Grosseto, di Livorno e di Pisa, non è che sia tanto bello dover macinare tutti questi chilometri ogni giorno, alla fine non si vede niente, perché in fondo diventa una routine e la routine è il massacro dei sentimenti e delle emozioni, specialmente se ci si mette la fretta di mezzo.

 - Sì, ho sentito dire che è una cosa del genere, per fortuna io di fretta non ne ho mai avuta, ma se fossi uno che non amasse la routine non potrei certo fare questo mestiere, perché è la ripetizione delle stesse cose, tutti i giorni, tutta la vita. E poi la routine è una parola più o meno recente, ma la vita ripetitiva c’era già molto prima.

- Sì, però il divertimento oppure il suo significato nascosto è il contatto con la gente, secondo me.

Dissi io e Renzo approvò:

- Sì è vero che può essere divertente, in alcuni momenti può sembrare leggermente noioso, è proprio lì il difficile, un mio cliente trai più simpatici e intelligenti diceva che in ogni mestiere ci sono vari livelli e fare il barbiere non significa solo tagliare i capelli e le barbe, ma dopo questa parte tecnica diventa quasi automatica e ci si mette a fare sociologia e filosofia. Io sono figlio d’arte, mio padre era barbiere all’Ardenza, a Livorno, pure mio nonno. Ma soprattutto se uno ha sempre fatto questo, non si può immaginare la vita in una maniera differente. È un po' quello che mi succede, a me. Non sono mai uscito dalla Toscana, mi vergogno anche a dirlo. Potrei dire solo Grosseto e Livorno.

- E fa male a vergognarsi, perché invece non sembra proprio, ma lei legge libri, giornali, riviste?

- Non leggo proprio nulla, altra cosa da vergognassi.

- E non sembra. Ma per esempio, la sera guarda la televisione?

- Sì, un pochino.

- E che cosa guarda?

- Un po' di tutto.

- Ma cosa preferisce?

- Più che altro c’è il fatto che io non posso scegliere quasi mai che cosa si guarda. E allora cerco di farmelo piacere lo stesso, quando sono da solo e posso scegliere, mi piacciono i documentari sulla natura, sugli animali. Se ci fosse un bel film, anche me lo guardo volentieri, ma a casa mia più facilmente si devono guardare quei programmi che piacciono a mia moglie e dove ci sono quelle persone che parlano male di qualcosa o di qualcuno, che litigano anche, a volte, gli garbano quelle cose lì.

Io gli dissi:

- Ma perché lei non impone mai la sua volontà? E lui rispose:

- Ma meglio! Si vede che lei non conosce la mia signora! In fondo non è che dobbiamo fare sempre quello che vogliamo noi. L'importante è che lo possiamo fare qualche volta. Allora sì che si capisce il valore dell'indipendenza, anche se poi indipendenti non possiamo essere, nemmeno liberi, perché siamo sempre condizionati dagli altri.

Come lei per esempio, anche se uno vive da solo e non ha la moglie, diventa schiavo di sé stesso, poi delle sue abitudini. Ripete sempre le stesse cose, credo.

- E lei come fa saperlo?

- C’ho i miei scapoloni, tra i clienti, la libertà è difficile saperla usare.

Infatti in questo aveva ragione, avevo proprio già notato che vivendo da solo non cambiavo quasi mai le mie abitudini e diventavano piuttosto ripetitive, allora in un certo senso qualcuno che ti obbligava a fare qualcosa di diverso poteva essere positivo.

- A volte per me è un godimento quando mia moglie non c'è e non c'è nemmeno mio figlio, però se fosse così tutti i giorni non credo che mi piacerebbe. Cioè io sono anche mezzo Livornese, no? Però è inutile negare che abbiamo bisogno di freni, soprattutto noi uomini ed incentivi pure, come no? Ora mia moglie non è che mi incentiva tanto. Più che altro mi pota, come se io fossi un alberello.

- È per quello che io non mi sposo, io mi ribellerei, non si tratta di giusto né di sbagliato, Renzo, di libertà o il suo contrario, non ce la farei a resistere io!

- Mammeglio! Lei la mi moglie un la conosce, sarebbe la guerra! Però ragioniamo un minuto, non è che si può scegliere tanto, in mezzo al tutto, nella vita facciamo le stesse cose e le ripetiamo sempre anche non volendo, no? E cambiare è una bella cosa, però non ci accorgeremmo di cambiare se non facessimo sempre le stesse cose, chi cambia sempre - secondo me - è come se non cambiasse mai e quelle persone che vogliono sempre la novità, sennò stanno male… o come si fa? In quella maniera ci si sente sempre frustrati, mammeglio invece avere una maniera di vivere che si adatta a quello che c'è intorno e cerca di farselo piacere, ma senza ingannarsi, allora è un meglio più tosto.

- Forse sì, non lo so. Comunque il suo lavoro le permette una certa indipendenza, cioè una volta pagate le spese e le tasse è proprietario della propria ditta e investe quasi totalmente nella propria persona, cioè di attrezzature necessarie per essere un barbiere, oggi come ieri, non ce ne vogliono tante, e non sono cose tanto costose, o sbaglio?

- No, no. Ha ragione questa è una cosa veramente positiva e poi se un giorno sei malato, da una parte è un bene che te ne stai a casa ed è un male che non guadagni niente, si può scegliere, ma bisogna averci una salute buona e io quella ce l’ho, che dimostro anche meno anni assai, di quelli che ho. Non bevo e non fumo, non sono un mangione, mi cibo più che altro di parole, di filosofia, di sogni realizzabili e non so ancora cosa sia un incubo o un mal di testa.

Poi se uno avesse dei dipendenti allora sarebbero maggiori guadagni, in teoria, ma anche maggiori problemi più pratici, spese e tasse da pagare. Insomma io non ci ho mai provato, per me è sempre bastato così, per la mi moglie sono un imbecille, ma per fortuna in bottega comando ancora io.

In altre epoche a Pitigliano c'erano altri barbieri, magari non qui in centro storico, in altre zone un po' più decentrate. Ma i clienti ci sono sempre stati, perché non è che ci sia tantissima gente, ma essendoci praticamente quasi sempre solo io…

Ovviamente mio figlio ha altre idee, come mia moglie, perché non vuole fare il barbiere e ha ragione. Loro, i giovani, la vedono come una limitazione, essere lì bloccati senza poter muoversi, gli piace avere qualcosa di più. Prima cosa gli piace di guadagnare di più e poi di muoversi di più, il barbiere è guasi un mestiere da vecchi, quando si è giovani stare sempre nello stesso posto e vedere le stesse persone non è che sia un grande incentivo, per i giovani.

- E che cosa fa suo figlio?

- …e sta studiando diritto, vuole fare l’avvocato, a me un mi garba nulla, l’ha convinto Elsa, lei dice di no, ma i miei polli li conosco bene, però io volevo che facesse il medico.

- Perché?

- Il nostro dottor Saro Batignano, che è anche mio amico e cliente, è troppo una brava persona e, pare impossibile, ma inspiegabilmente ci gode proprio ad aiutare la gente… Mi sarebbe garbato dunque… perché il verbo volere in famiglia per me non esiste, come accennavo prima, e Girolamo mio figlio, lui amico caro va dietro solo ai soldi come Elsa, la mia signora, perché anche un dottore può guadagnare assai, ma a loro un gli garba, perché hanno sotto gli occhi il nostro Saro, che cura anche chi non può pagare e alla stessa maniera degli altri, se non con maggior affetto e attenzione, perché quelli soffrono veramente e gli altri a volte fanno finta, invece.

A proposito, lei ne conosce tanti dei medici, che cosa ne pensa del lavoro o dei medici come sono, come persone?

- C’è di tutto, caro Renzo, tra i medici come nelle altre categorie, a volte penso che si scelga molto poco nella vita, ci si infila dentro gallerie di ambiente, educazione e cromosomi e via, per tutta l’esistenza…

- È proprio vero, ma anche a livello di capacità, dipende molto da chi trovi sulla tua strada, o no?

- Beh, ci sono di tutti i tipi, ci sono quelli che non alzano nemmeno lo sguardo dai fogli che scrivono quando entri, magari per vedere se è un rappresentante o l’altro, e te gli dici sempre le stesse cose, allo stesso modo, anche quando gli porti un prodotto nuovo non ci sarebbe bisogno, perché loro se fosse che lo vogliono si sono documentati da soli, se mi sentono parlare è un suono laggiù lontano, ma non mi ascoltano nemmeno. Ovviamente però è più il bisogno per la nostra sporca multinazionale di venderlo, che il bisogno per un ipotetico paziente di avere quel tipo di medicina, che esiste già di altre marche, così se c'era qualcosa di simile… insomma il nostro lavoro è un po' come quello di chi vende le pentole, bisogna spingere più che altro facendo omaggi, pagando delle cene, ruffianate, regali ai medici e compagnia bella.

E poi dicevano che questo lavoro sarebbe finito, che non ci sarebbe più stato bisogno di noi informatori, per via dell’internet a disposizione di tutti eccetera; ma invece eccomi ancora qui che vado su e giù, certo è cambiato qualcosa, per esempio ora ci sono le medicine ordinarie che prima non c'erano, ma le grandi marche le grandi farmaceutiche sono le maggiori e più impietose mafie che esistono al mondo.

Non credo che farei lo stesso mestiere se tornassi indietro, ci sono dei meccanismi che sono veramente schifosi. Ma lei voleva sapere dei medici, visto che suo figlio non sta studiando medicina, ma a lei sarebbe piaciuto, a proposito ora avrà quasi finito, sarà quasi avvocato.

- Infatti, ora sì, ora manca poco, dovrà fare la tesi e io sono quasi contento, perché anche dal punto di vista della cultura della maggiore possibilità finanziaria che avrà, guadagnerà sicuramente di più di un barbiere. Intendiamoci: se avesse scelto medicina sarei più contento ancora, però mi sa, a quanto ho capito, che tanti medici più tardi diventano proprio insensibili, che questo giuramento di Ippocrate che fanno li obbliga pure a certi meccanismi forzati, ma la sensibilità cioè la volontà di aiutare gli altri, quella passa abbastanza presto, per chi ce l’ha avuta prima, non tutti, si sa bene.

- Sì, dopo, sì è vero - dissi io - in tanti casi ti trovi di fronte a una persona che è abbastanza slegata dalla realtà e che fa meccanicamente il suo dovere, cercando di preoccuparsi meno possibile, ma questo succede in tutti i lavori, solo che quando sei un medico dovresti avere un contatto con le persone abbastanza autentico, una vera e autentica volontà di aiutare gli altri e non sempre è così, anzi.

 - Sono una minoranza, me lo immagino, con i medici per esempio quando vai a parlarci e non ti trattano con indifferenza, da questo però capisci un po' anche come lavorano, perché il contatto con gli altri secondo me non si può fingere molto, o te ne importa o non te ne importa, e proprio la mancanza di sensibilità, porta medici e paramedici a trattare il paziente come se fosse un oggetto, con la stessa indifferenza di mia moglie con me, insomma come se fossi un alberello, di quelli che da piccoli sembrano da frutto, ma con il passar del tempo, poi, crescendo, piano-piano perdi quella vana speranza e non li tagli per una sorta di pietà giustificata da un affetto automatico, cioè senza veri sentimenti, come se l’alberello ribelle, muto e sordo non avesse sentimenti…

- La differenza tra il medico e il barbiere però – dico io cercando di cambiare, almeno in parte, l’argomento - secondo me il barbiere non rischia tanto, i rischi per il barbiere sono magari di fare un taglietto sulla faccia del cliente o di fare un’acconciatura che non renda soddisfatta la sua signora, ma il medico e lo stesso infermiere in tanti casi rischiano sulla vita del paziente e questa è una differenza grossa per cui l'insensibilità e l'arroganza che viene fuori in alcuni casi può essere pericolosa…

- Sono d’accordo, questo è un lato positivo per me, ma se vogliamo dirla tutta l’avvocato sensibile è una rara eccezione alla regola, quello se ne deve fregare di tutto e di tutti, soprattutto della giustizia.

No, l’avvocato, signori miei della corte, non ci sarebbe nemmeno bisogno di spiegarvelo, è un guitto, sì, insomma un attore prezzolato, uno che si vuol prendere la ragione anche quando ha torto, è per quello che non mi garba e non mi potrà mai garbare. La verità gli serve solo a livello indicativo, per stroncarla e poi forgiarla, modellandola a suo uso e piacimento. Mio figlio Girolamo, quotidianamente allenato da Elsa, un tempo fa mia amata consorte, non sarà mai uno di quelli che potrà servire la gente che non può pagare, io questo glielo posso anticipare senza previo ritardo!

E di questo ridemmo entrambi, a chiusura di una conversazione gradevole e divertente, ma anche di contenuto apprezzabile, e di purtroppo amara verità.

Ho frequentato Renzo intensamente e assai piacevolmente per qualche anno, circa una decina, ci siamo dati del lei per un po’ e quando abbiamo cominciato a darci del reciproco tu era forse passato più di un anno.

Ho cercato di evitare la sua famiglia, una volta che l’avevo conosciuta e considerata con attenzione, domandando ogni tanto come andavano le cose, se sua moglie stava bene di salute fisica, se suo figlio si era trovato bene nel mondo dei tribunali eccetera.

Io stesso mi sono trovato più che bene in quel paesone, mi sono fatto diversi e buoni amici: colleghi rappresentanti, benzinai, pizzicagnoli, ristoratori, pizzaioli, macellai, commercialisti, contadini, negozianti, pensionati, vecchie signore, benestanti e nullatenenti assai affabili e dignitosi, con i quali ho bevuto più che volentieri, ma senza mai esagerare, il loro ottimo vino bianco omonimo di Pitigliano, ho approfittato della loro cucina povera, ma non troppo.

Prima, durante e dopo, di tutta la gente che ho conosciuto però la sua era la compagnia che preferivo, una persona equilibrata e simpatica, da come parlava non pareva proprio che non avesse studiato e non leggesse quasi niente.

 Forse anche per l’atmosfera tesa di casa sua, quando era fuori lui era apertissimo a tutto, disposto ad ascoltare qualsiasi cosa e a notare ogni più piccolo particolare, di infiniti interessi era pieno, di interessi che avessero a che fare con la vita e le persone, perché praticamente tutto gli interessava. A casa sua non è che parlasse molto, avevo visto, ma non si era mai espresso in aggettivi loro riguardanti, tiravano al sodo e non avevano seghe mentali, per molti questi sarebbero stati aspetti positivi, diceva, ma era rassegnato ormai, niente sarebbe potuto cambiare se non in peggio.

Qualche anno dopo sono tornato a vivere a Lucca, per via dei miei genitori che avevano bisogno di assistenza, essendo tra i fratelli l'unico solo e senza impegni, anche se non ero pensionato. Alla mia maniera e senza riscuotere soldi dallo Stato, un’indennità giusta per quello che perdevo, ho abbandonato Renzo sperando che ogni tanto ci saremmo visti, ma lui non aveva cellulare, né tantomeno computer e non gli piaceva parlare al telefono. Ci siamo lasciati in piazza e abbiamo pianto tutti e due, una scena da film. Ho cominciato io a dire la verità, mentre gli dicevo che mi aspettasse, che sarei tornato di sicuro come la morte… e non sapevo quanto sarebbe stata malaugurante quella frase, una gaffe provocata dalla confusione della commozione.

Ma la morte quella è sempre in agguato e anche se non sempre, a volte non è nemmeno la soluzione peggiore.

Con i miei genitori la cosa è durata più del previsto, guarire non potevano, la morte è sempre presente nella vita, talvolta rimane nascosta, ma in certi momenti diventa quasi una liberazione, quando la gente sta male e anche se non si rende conto bene, certo non ha più godimenti, solo vari livelli di concatenate sciagure da attraversare. Lateralmente la mia vita era cambiata parecchio, anche per il fatto che poi mi ero sposato, piuttosto attempato, trovando finalmente una donna che era anche una vera amica. Una maremmana importata, gli sarebbe garbata a Renzo, ero sicuro, era nata a Saturnia e come persona era tutto il contrario di Elsa, se le ero piaciuto non era certo per la mia ricchezza, o le ero potuto magari sembrare un manager rampante.

Avevo avuto grosse difficoltà a trovare una compagna valida, ero un tipo piuttosto solitario e la gente spesso mi irritava, parlavano troppo e a vanvera, intorno c’era già troppo rumore e confusione.

Il figaro di Pitigliano mi scriveva spesso lettere di carta e io gli rispondevo al volo, scherzavamo sulla vita e sulla morte, eventualmente sugli episodi intermedi, ma parlavamo più che altro di cose teoriche, di filosofia spiccia e quotidiana, con pochi accenni alla vita privata, essendo tutti e due piuttosto riservati. Di sua moglie e di suo figlio non parlava quasi mai, dalla qual cosa capivo che i loro rapporti erano rimasti gli stessi o erano ulteriormente peggiorati. Gli mandai diverse foto di mia moglie e anche se eravamo vecchiotti per fare figli, avevamo diversi cani e gatti da fotografare, che a Renzo piacevano assai, ma per via di sua moglie e di suo figlio non poteva permettersi di tenere in casa e in un appartamento generalmente è meglio di no.

Beniamino il macellaio, a suo tempo aveva giocato spesso con noi sul fatto che a chi non amava gli animali non piacessero nemmeno gli esseri umani, sulla qual cosa facevamo discussioni acerrime, ridendo assai e facendo battute, talvolta ripetitive, ma sviscerando il problema e rivoltandolo, nei suoi vari aspetti della routine pitiglianese. In un certo senso aveva ragione, almeno in parte, ma non potevamo ammetterlo, specialmente Renzo, che sapeva di avere piuttosto torto a difendere sua moglie e suo figlio.

Un giorno a Migliarino preso il giornale in un bar, cosa del tutto casuale perché non lo guardo quasi mai, ho letto una notizia, un fatto accaduto a Pitigliano, ma sul Tirreno non si facevano i nomi e nemmeno sulla Nazione. Ho telefonato a Federico Tonnara, un piazzaiolo di là, con il quale ero rimasto in confidenza.

La sua pizzeria si chiamava PIZZA FEDE, cioè LA PIZZA CHE PUZZA, tradotto in portoghese brasiliano, perché lui era nato a Fortaleza, da padre italiano e madre Nordestina Cearense e ci era rimasto fino ai dieci anni di età.

 Ha confermato i miei timori, cioè che aveva le sue brave difficoltà a crederci, ma pareva proprio che Renzo avesse ammazzato la moglie e il figlio e poi fosse sparito. Avevano trovato i corpi nelle Vie Cave degli etruschi, scavate nel tufo, nella parte di dietro di Pitigliano.

Poche ore dopo mi sono imbattuto in Renzo nascosto nel mio garage, accovacciato al freddo umido sulla sua valigetta, era esausto e mi ha detto solo che non era stato lui. Ci ho creduto subito, anzi me lo ero già immaginato, non poteva essere stato lui.

Era stato incastrato dalle circostanze, ma era braccato da polizia e anche dai banditi.

Quali banditi?

Ho dato a Renzo quel poco di soldi che potevo racimolare, non li voleva nemmeno tutti, ma ho insistito e poi lui se ne è scappato in Slovenia, ce lo avrebbe portato Ezio in macchina, il cuoco e bongustaio, nostro amico del sito internet “A mangia’ da mi pà”, dove aveva un altro amico emigrato da pochi anni, pare che fosse un suo lontano cugino dalla parte del padre.

Si fa presto a dire il mio miglior amico, ma io ne sono sicuro, non ho mai conosciuto nessuno che fosse nemmeno paragonabile a Renzo, nel bene e nel male, ma soprattutto nel bene. Prima di tutto la sua simpatia, poi la sua filosofia, dopo il suo carattere forte, la sua umiltà… non mi è mai piaciuto conversare con nessuno come con lui. Insomma quando una persona tira fuori il meglio di te, sarebbe bene non perderla mai di vista, ma io non avevo scelta.

Non l'ho incontrato che diversi anni dopo, mi aveva contattato lui, in grande segretezza, secondo me non ce ne sarebbe stato più bisogno, ma credo che lui dovesse saperlo meglio di me.

Ci abbracciammo nei pressi di Andermatt, in montagna, una zona abbastanza lontana dalle città, nella Svizzera tedesca. Renzo si era arrangiato abbastanza bene e mi ha spiegato tutta la situazione, nel frattempo in Italia era stato scagionato dal delitto duplice della sua famiglia, perché erano riusciti a capire che invece era successo qualcos'altro. Ora era accusato solo di aver ammazzato quegli altri, proprio facendo delle indagini sulla morte avvenuta poco dopo dello strozzino Mardocheo Puglianti e dei suoi scagnozzi.

Mi ha detto per prima cosa che in quel momento non poteva restituirmi ancora i soldi che gli avevo prestato, ma poi mi avrebbe dato gli interessi e la svalutazione.

Quello che era successo era presto detto, cioè che il figlio di Renzo, appena diventato avvocato aveva subito cominciato a voler fare soldi e alla svelta.

Qui mi ha fatto un indovinello scemo: qual era il più grande problema di Pitigliano nella cosiddetta epoca moderna?

Io ho protestato indignato adducendo che quello non c’entrava niente, perché me lo chiedeva proprio in quel momento? Lui ridacchiava e insisteva. Fino a che non ho tentato di rispondere al suo quesito, più volte, senza indovinare, eppure ci avevo vissuto parecchio, ma me lo ero scordato e poi la momentanea rabbia e la solida curiosità mi accecavano.

A forza di mammegli mi ha rispiegato che le macchine dei residenti e dei visitatori non avevano parcheggi sufficienti a Pitigliano, da sempre.

 Spinto e orchestrato dalla madre, allora Girolamo aveva ideato, con opportuna sovvenzione anche dello stesso municipio, un grande posteggio dietro Pitigliano, che da quella parte è fatto come una grande curva, una specie di ferro di cavallo aperto, dove stavano scavando, anzitutto per fare un terrapieno. Quando hanno trovato dei vestigi importanti della civiltà etrusca, i lavori sono stati bloccati. I suoi quattro soci si sono tirati fuori, per pagarli, almeno in parte e per ungere le ruote del destino, aveva preso un'ingente somma dallo strozzino Mardocheo Puglianti di Grosseto, ipotecando inoltre l’appartamento dove viveva lui e quello dei genitori su maledetta iniziativa di Elsa.

Dopo due anni, i lavori bloccati ancora e a tempo indeterminato, visto che i soldi non venivano restituiti, lo strozzino ha cominciato a minacciare anche la madre di Girolamo e moglie di Renzo. Era passato un ulteriore tempo, senza soluzione, non pareva potercene essere nessuna.

Alla fine sono stati torturati e uccisi dagli scagnozzi di Puglianti in quelle strade intufate e antichissime che ci sono sotto Pitigliano, vicino anche al posteggio in allestimento e poi Renzo era riuscito a prendere un’arma a questi scagnozzi, li aveva ammazzati e poi aveva massacrato anche Mardocheo Puglianti.

Quindi ora stava fuggendo per non essere preso dai membri di questa specie di cartello della mafia degli strozzini soci di Puglianti che lo stavano braccando.

Finite le mie brevi vacanze in Svizzera, per quasi dieci anni senza riceverne notizie, mi è stato mandato il nuovo indirizzo di Renzo. Mi è arrivata una lettera elettronica, insomma con solo il suo nuovo indirizzo, mi era giunto per email, mandata da chissà chi, da chissà dove, senza specificare niente di niente.  Era tornato in Maremma e voleva restituirmi i soldi con gli interessi e la svalutazione. Senza avvertire nessuno me ne sono andato appena possibile in provincia di Viterbo, regione Lazio, a Bagnoregio e mi sono incontrato a Civita di Bagnoregio qualche giorno dopo con Renzo ormai un vecchietto con il bastone, ma sembrava che stesse bene assai, mi ha restituito i soldi e abbiamo parlato un po'. Era insieme a una donna francese che lo aveva aiutato a far perdere le sue tracce e ora era tornato abbastanza vicino a Pitigliano, ma in un'altra regione in un'altra provincia, non sapeva se era rischioso, ormai era vecchiotto, ma non pareva malato. Il buon umore comunque non l'aveva perso e nemmeno quel mammeglio all'inizio della frase e quel suo giustificarsi dicendo che era mezzo livornese, il suo sorriso contagioso e mezzo triste anche era rimasto al suo posto.

La polizia lo cercava per aver assassinato gli onest’uomini che avevano ammazzato sua moglie e suo figlio. Secondo me senza troppa convinzione, ma non si sapeva mai.

Sua moglie Elsa non era ebrea, ma era cresciuta in mezzo a loro, tirava pervicacemente ai soldi e non aveva paura di niente. Erano tignosi tutti e due, suo figlio Girolamo anche e indirettamente questa era stata la loro condanna. Non ci sarebbe stato bisogno di spiegare, ma Renzo tentava ancora di farsene una ragione.

- Sloveni, Svizzeri, Francesi e Austriaci, anche se in maniera diversa tra di loro, mi sono garbati più di noi italiani, te lo giuro. Vabbè noi siamo più simpatici, almeno apparentemente, forse per questo crediamo di potercene approfittare.

L’italiano è uno che deve assolutamente mettere le mani avanti anche quando fa marcia indietro, deve puntualizzare sempre e comunque, soprattutto quando non è necessario rompere ad ogni costo le altrui scatole inutilmente. Alcuni hanno la mania del politicamente corretto, altri peninsulari invece devono mostrarsi ribelli ad ogni regola, solo per partito preso o bella posa. Per queste loro manie verranno puntualmente mandati affanculo dai popoli che si fanno meno seghe mentali e vivono in maniera più pratica.

Mi ha detto Renzo, e mi pareva che più che altro parlasse di sua moglie buonanima. Per fortuna che non siamo tutti così, ho replicato io. Per fortuna, ha sorriso lui, nell’estrema disgrazia i miei amici si sono messi a mia disposizione, nessuno ha creduto in quello che dicevano in giro. Ora non parlavo di loro, non ci sarebbe nemmen bisogno di dirtelo, perché li conosci anche te, ma te lo dico lo stesso, se ti venisse qualche logico e normale dubbio. Nessuno si è tirato indietro, da quattro si sono fatti in otto, sedici, trentadue e sessantaquattro, si dice da noi in Maremma, che non è affatto maiala come narrano.

Guardando il panorama della città che muore, ogni tanto fischiettava, come una volta, la sua canzone preferita era ancora Figaro qua Figaro là, addirittura la canticchiava piuttosto allegramente. Forse perché parlava di un barbiere, che se n'era andato di qua e di là per estrema necessità, per riprendere e per il collo la sua esistenza dopo aver ammazzato gli assassini di sua moglie e suo figlio. Aveva tagliato barbe e capelli in Slovenia, Austria, Svizzera e Francia, ed era riuscito a sfangarsela egregiamente, a racimolare i soldi da potermi restituire, a me e agli altri tre, con gli interessi e la svalutazione.

Un uomo fatto di ciccia e ossa come me. Però non ne ho conosciuti altri come lui.

Appena posso scendo ancora in Maremma Laziale, vicino al confine con la Toscana e passo qualche giorno insieme a Renzo. La sua compagna va d’accordo con la mia e nessuna di loro due è neppure lontanamente una mezza rompiscatole.

Ci siamo spesso ritrovati tutti e quattro di fronte al caminetto acceso, a bere vino nuovo e a mangiare le mondine appena arrostite.

Renzo stranamente è quello che parla di più, racconta perfino favole che aveva sentito da piccolo, dai suoi genitori, dai suo nonni. Io non sono affatto bravo a raccontare ma lui sì, lo fa senza fretta e con le parole giuste.

La maniera di descrivere avvenimenti passati della gente risente spesso della fretta, della loro insicurezza, del dubbio che quanto stanno raccontando non risulti abbastanza interessante all’interlocutore. Di solito sono troppo nervosi per farlo bene, gliene manca la necessaria calma. C’è gente che ama mettersi in mostra, altri che invece preferiscono rimanere nell’ombra, altri che pensano abbastanza alla bellezza di quello che stanno tramandando, e farlo bene è un’arte perduta nel tempo.

Non sapevo bene se lo volevo o no, ma non chiedendogli niente pensavo che prima o poi mi avrebbe raccontato i particolari di quel fosco film di terrore. Un giorno però mi ha detto che se mi stavo aspettando un dettagliato rapporto, da lui non lo avrei avuto tanto presto, che doveva ancora digerirlo lui stesso. Era rimasto sorpreso da quello che aveva fatto, da quanto la vita cambia da un momento in avanti, come non si sarebbe mai sospettato prima.

Gli era successo tutto quello che poteva succedergli, attualmente voleva solo godersi la poca esistenza che gli restava. Renzo ha ripetuto che si vergognava anche di quello che era accaduto, era stato tutto molto poco eroico. Ho pensato che si riferisse più a quello che aveva permesso che accadesse prima, per una vita, non a quel giorno di guerra e di sangue.

Eppure avrei potuto anche sbagliarmi, ma a vederlo sembrava che fosse più contento in quel periodo della sua esistenza, che di quella di prima, lo vedevo più sereno, sicuro e determinato, nonostante l’età e i malanni. Dopo tanto immobilità magari un po’ di avventura gli aveva fatto bene.



 

 



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