Anagraficamente
parlando Nico Necchi era Nicodemo Lanzichenecchi, ma nemmeno il direttore lo
chiamava con il suo nome completo che era mercenario,
brutto, anacronistico, troppo poco
telegrafico e soprattutto vaffanculisticamente lungo secondo le sue stesse
parole, non del direttore, ma del maestro.
C'è da dire che in un’altra scuola e con un altro direttore non sarebbe stato possibile per lui lavorare e soprattutto poterlo fare in piena libertà. Le sue classi erano troppo allegre, oltre a gridare i bambini gli saltavano addosso e in alcuni casi lo sbaciucchiavano.
La sua preferita era la terza B, forse perché
l'appello eccezionalmente cominciava dalla lettera C e precisamente con Ciacci,
Ciocci, Ciucci, Ciuffini, Colarbartolo, Colla e così via. Era il suo appello
preferito, incominciava a gridarlo appena entrato nell’aula, lo sapeva tutto a
memoria, anche quelli delle altre classi, è vero, ma con un po’ meno
entusiasmo.
Il
direttore Delfo Cornacchioni era una persona mite e tollerante, nessun altro al
suo posto avrebbe potuto lasciare lavorare un maestro vestito come un elegantissimo
ma troppo variopinto Arlecchino, che diceva apertamente ai bambini che lui prendeva
per il culo la società, che in più era una cosa auspicabile e consigliabile, parola
del signore, ma non diceva quale. Pur non richiesto gli spiegava anche perché,
come, dove e quando, in più rispondeva con autentica gioia a tutte le loro
domande.
Ripetutamente
illustrava il suo punto di vista anche ai genitori durante le periodiche
riunioni, i quali all’inizio chiedevano le logiche e normali delucidazioni, poi
si spaventavano e tacitamente si accontentavano del fatto non trascurabile che
i bambini gli volevano assai bene e andavano, chi più chi meno, discretamente in
tutte le materie, che inspiegabilmente venivano assai volentieri a scuola. Di
solito andava a finire che Nico li inseguiva e loro scappavano per i corridoi,
stanchi delle sue gridate, bizzarre e concatenate argomentazioni, che non solo
non capivano, ma in un certo senso, che non sapevano nemmeno loro quale, gli
provocavano anche timore.
Una
cosa nessuno avrebbe potuto negarla, che gli mancasse l’energia, a Nico Necchi.
Più passava il tempo e la gente era sempre più stanca e passiva, la vita massacra ogni più lodevole volontà
rassegnata diceva, ma lui NO, innegabilmente NO. Progressivamente e sempre
meno NO.
I maestri
erano piuttosto rari e quasi esclusivamente maschi, le maestre di solito erano
donne,
soleva dire Nico, e indifferentemente dal
loro sesso, apertamente o nascostamente, piuttosto quotidianamente protestavano
e solitamente in sede direttorenziale, ma non tutte. Poche lo difendevano e
lo ammiravano, soprattutto perché la sua era una vera e propria filosofia
didattica rivoluzionaria: inseguire la meta, ma più che altro godersi il
cammino; sfruttare le differenze, invece di cercare invano di appiattirle;
evidenziare le troppe sfumature del grigio, attraverso i contrasti tra il nero
e il bianco. Scoprire e usare poi tutti gli altri colori, solitamente da loro
dimenticati.
Le
sue classi erano troppo rumorose, questo e solo questo il direttore cercava di
mitigarglielo, ma Nico non ci faceva caso e quando parlava con lui riusciva
sempre a trovare argomenti surreali e idiotissime facezie concatenate in serie,
solo per farlo ridere e cambiare discorso:
“La
scuola in generale è un mortorio cimiteriale abbestia, ne vogliamo parlare? E
parliamone: in questa poi non si sente volare un calabrone, una zanzara, un
volgarissimo bombo! Ma tu ben sai che il mondo è un coacervo di rumoracci, più
o meno molesti, Delfuccio caro, non siamo forse noi che dobbiamo preparare i
fanciulli al dopo? Io quando entro qua dentro… e bada bene che provengo sempre
da fuori, mi sembra che non ci sia nessuno all’interno, proprio perché vengo
dall’esterno, che il fuori invece è un badabim
e un badabam che pare di essere alle
cave quando tritano la ghiaia grossa. A te ti pare bello e giusto, nostro
dovere, parola del signore e della tua dannatissima e santa chiesa? I bimbetti
se non sono vivaci è brutto segno, lo sai anche te, di rincoglioniti qua in giro
ne abbiamo abbastanza, vero o no? Non è controproducente produrre dei prodotti
tali e quali al nostro amato presidente, quella mortadellaccia affumicata?”
Il
direttore rabbrividiva quando Nico cominciava a far nomi, come se ci fossero
dei microfoni nascosti, bastava che lui iniziasse a minacciare qualcosetta pure
minima sul politico che l’argomento magicamente terminava ed era proprio quello
che il Necchi voleva.
La
scuola in questione poi, come tutte le altre, non era così silenziosa come
diceva lui, prima di entrare nelle classi era tutto un frastuono di voci, solo
che il magistrale maestro arrivava sempre in ritardo e quando era iniziata la
prima ora, di solito era il momento meno rumoroso, i bambini riuscivano a
concentrarsi meglio perché non erano ancora stanchi e annoiati.
Lui
cominciava a ridere appena entrato e quelle tre testoline non erano mai assenti.
A Ciacci, Ciocci e perfino a Ciucci glielo diceva sempre che dovevano stare a
casa quando erano malati, ma quelli niente, venivano a scuola anche con il naso
che colava e trentasette e mezzo di febbre, ma chi glielo faceva fare?
Forse
la grande disposizione di Nico che li faceva ridere e imparare allo stesso
tempo, nessun altro ci riusciva, non importava tanto quello che diceva ma come
lo diceva e soprattutto la pantomima, il gesto sia atletico che mimico,
funzionava anche con i sordi e forse pure con i ciechi, diceva la signorina
Bastoni che era innamorata di lui, segretamente ma non troppo.
Il
Necchi, a differenza dei colleghi non stava mai seduto alla cattedra, qualche
volta si sedeva accanto a qualcuno, brevemente, ma di solito stava in piedi e
macinava chilometri di scene da film, serie televisive e documentari sugli
animali.
Nelle
riunioni dei professori poi era lui che teneva banco, li aveva quasi tutti
contro, eppure un po’ alla volta li cambiava nei loro più rigidi propositi,
anche se non se ne accorgevano.
“Amici
cari, onorevoli bacchettoni incartapecoriti, non vi chiedo dei miracoli, ma
solo di ricordarvi un po’ di quando eravate bambini, quanto avete sofferto a
frustrare le vostre aspirazioni e guardate il risultato… e guardatevi allo
specchio ogni tanto!
Vi
chiedo elasticità e non rigidezza, e vi imploro di cercare la verità attraverso
la bugia, insegnare a parlare bene attraverso gli errori e le parolacce, interpretare
l'eleganza attraverso vestiti e colori che magari solo apparentemente non
combinano, ma chi lo stabilirebbe? La bellezza attraverso la bruttezza e la
libertà attraverso le altrui regole, piuttosto claustrofobiche e stronze.
Vi
pare troppo?
A
me non pare proprio.”
La
signorina Bastoni lo applaudiva contenta e il direttore sorrideva imbarazzato,
qualcuno gridava improperi e qualcun’altro stava zitto e rifletteva. Il Necchi
si divertiva sempre, questo era il suo segreto di Pulcinella, era una questione
di energia, diceva, il passo più lungo è quello della soglia, basta incominciare
e che diamine: partire!
E
lui partì, pochi giorni di ospedale e in prima persona se ne andò, c’aveva il
cancro ma non lo aveva detto a nessuno e la chemioterapia non gli era mai garbata.
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