“Quando siamo da soli, io e lei, il punto dolente è il cibo quindi a tavola c'è il massimo rischio. Vuole che mangi cose che mi fanno male e devo ripetere all’infinito la stessa storia. Lei si arrabbia e poi mi arrabbio anch’io, lo so che non c’ha colpa, ma è una guerra lo stesso e persa ogni volta da tutti e due.
La
progressiva degenerazione del Sistema Nervoso Centrale, detta demenza
senile, si manifesta con una serie di disturbi cognitivi, della memoria e della
capacità di pensiero, tra i quali citiamo: una ridotta capacità di memoria a
breve e lungo termine, talvolta la bestemmia ingiustificata e la frequente
parolaccia. Difficile distinguerne i sintomi dall’Alzheimer, tra di loro i
medici si trovano raramente d’accordo, figuriamoci con noi che non ci capiamo
niente. È così che si invecchia, si sta più o meno bene finché un giorno ecco
il crollo, il deterioramento non è progressivo come si penserebbe. In un
grafico è una linea orizzontale poi un piccolo malore e la linea da un momento
all’altro precipita verso il basso. Mamma non ha perso prima la mobilità, ha
cominciato a non starci più molto con la testa, al contrario di quello che ci
si aspetterebbe.”
Spiega Rino, la madre non ricorda, ma da un
po' di tempo qualcosa dentro avanza e le dice che a pranzo e a cena è meglio
stare zitti. Il figlio non capisce ma approva. Allora accendono la televisione
e si astengono anche da ogni commento.
Il
loro rapporto fuori dai pasti è fitto di improperi e parolacce, si può dire che
a casa Parra il turpiloquio sia di routine. La mamma oltre che smemorata è
sorda, ma non si rende conto né di una cosa né dell'altra e si arrabbia con il
figlio unico, che la tiene all'oscuro di tutto e parla così piano che non si
può sentire niente, abbassa continuamente e inspiegabilmente il volume della TV.
Si
sorprende quando nota che si è scordata di qualcosa, ma non lo ammette mai e si
aggiunga che vuole essere informata di ogni movimento e che se lui esce deve
dire dove va e perché. Se rientra perché si è scordato qualcosa, deve dare un
resoconto dettagliato, il più volte ripetuto per i soliti motivi, che lei
puntualmente non capisce.
La
vita non è solo un alternarsi di commedia e tragedia, le due componenti spesso
sono mischiate e riconoscerle è solo una questione di interpretazione di alti e
bassi di umore, di altri componenti attorcigliati.
“Franca, la mia compagna, è una brava persona,
forse anche troppo, ha l’assurda mania di spiegare a tutti la stessa situazione,
anche se fosse cento volte. Attualmente la nostra specifica però è inspiegabile
eppure logica, nel senso che ogni scelta è stata obbligata, o almeno così
abbiamo creduto, a suo tempo. Quello che è successo prima, per arrivare a
questo punto, forse potrebbe anche essere cambiato in futuro, non dico di no, ma
sarebbe difficile e comunque con grande sforzo e senza alcuna garanzia di
riuscita.
Ogni
cosa che è successa naturalmente ha buoni motivi per esserci capitata così, tra
capo e collo, ma ne aveva altrettanti, se non di più, per andare in un'altra
maniera, solo che non è accaduto e ora è inutile piangere sul latte scaduto, la
colpa è nostra, ma non solo nostra, se il relativo formaggio fa schifo.
La
situazione attuale, prima di tutto, è che il primo mercoledì del mese, di pomeriggio,
si va a pulire l’appartamento, il cosiddetto polveroso, azione per niente necessaria, assolutamente non
obbligatoria e probabilmente del tutto inutile. Eppure nessuno manca mai
all’appuntamento.” Racconta Rino, che ha un appartamento di proprietà nel quale
mette piede di rado, magari per andare a prendere qualcosa, già che lo usa più
che altro come magazzino, anche di materiale idraulico, che poi quello è il suo
mestiere.
Lo
vorrebbe affittare, quei soldi farebbero abbastanza comodo, ma il fatto è che
fa troppo schifo e poi tecnicamente è di mamma Rina, che non vuole, e nemmeno
venderlo, giammai. Si oppone a ogni cambiamento perché i cambiamenti non le
piacciono, insomma le provocano dei problemi che preferisce evitare. Questo è
un ragionamento che fanno loro, dopo la necessaria interpretazione, lei invece
non lo fa più ormai da anni, si oppone e basta, con forza e determinazione
definitiva, non sa perché e non lo vuole nemmeno sapere.
Ogni
volta che ci va, Rino, si mette le mani nei capelli per lo stato di abbandono e
di sporcizia, ma per fortuna di capelli ne ha sempre meno e ci va piuttosto raramente.
Dorme
a casa sua, cioè di sua madre Rina, in comproprietà con il cane Schioppo, non
si può dire che ci viva perché ci passa poco tempo ma litiga parecchio, non
solo con il cane. Anche lì sporcizia e abbandono spesso lo spingono verso
un’occasionale e rapida disperazione, subito dimenticata di fronte ai problemi
ben più consistenti. Il giardino è decorato con vasi sanitari vintage e altri
suppellettili che non tutti riconoscerebbero, più tubi grandi, medi e piccoli,
che quelli non saprebbero come e quando vengono usati, ma si riconoscono più
facilmente.
La
mamma ha una senilità coadiuvata da un’indole prepotente per cui ogni argomento,
ogni potenziale commento, danno luogo a involontarie quanto perniciose polemiche.
Rino sa che lei non ha colpa, ma neanche lui ne ha - allora chi ce l’ha questa maledetta
colpa? - e bestemmiare non vale la pena, già che nessuno dei due è credente. Mamma
lo era a dire la verità, ma si è dimenticata le preghiere e tutto il resto, si
lamenta perché nessuno la porta alla messa, ma quando ce la vogliono portare è
lei che non vuole andarci e chiede e grida al cielo perché non la vogliono
lasciare un po’ in pace.
Schioppo anche è
piuttosto vecchio e la senilità del suo pensiero, che narrano un tempo
analitico e puro, è accompagnata da quella del raro movimento potenziale ma
poco effettivo. Una volta il suo nome era Schioppettata,
ma con il tempo la sua velocità si era trasformata in lentezza e lo schioppo era
un vocabolo che rendeva e rende sempre più l'idea di qualcosa di anacronistico
e vetusto, fermo nello spazio e nel tempo.
Rino
non è sposato ma è come se lo fosse, anche se vivono separati, non è tanto per
scelta, ma più che altro per la sua mancanza.
Poi
c’è il compagno della mamma, il da lei cosiddetto Bignè, che sarebbe Zbigniew, detto
un po’ lacco ma non troppo, che
spesso è fuori a giocare a scacchi con gli amici, al bar, o a fare qualche
lavoretto, ma non troppi e soprattutto non di quelli pesanti. Lui è più giovane
di lei, per quanto acciaccato dalla vita e avrebbe anche molta pazienza, ma in
maniera discontinua. Improvvisamente s’incazza per niente e non si sa mai quando
è in una maniera o in un quell’altra, forse dipende dall’alcool. Non ci si può
fidare di lui insomma, all’inizio Rino ci sperava, ma niente da fare.
La
mamma gli chiede da anni come mai allora ha un nome francese e lui la manda
affanculo in polacco, lei dice che va bene, il suo francese è un po’
arrugginito e così ripetono per gli eventuali spettatori quello stesso dialogo sempre
uguale, insomma quasi.
Insieme
con il cane Schioppo il primo mercoledì del mese vanno a pulire quell’appartamento,
con inspiegabile determinazione e si trovano tutti insieme per qualche ora a
litigare amabilmente, in un certo senso.
Tutto
questo teatro contemporaneo e turbolento trambusto disgraziatamente andrebbe
perduto, per i posteri e le loro ardue sentenze. Rino però ha un amico giapponese,
cioè lui dice che è giapponese dopo la Pandemia. Essere cinese non è mai stato considerato
troppo chic, ora particolarmente. Suzuki, detto anche Kawasaki, oppure Yamaha, insiste
nel dire che è cineasta. Non ha mai lavorato veramente nel cinema, ma dice che conosce
alcune persone che lo fanno e questo gli basta, anche a loro secondo lui
dovrebbe. Anche perché all’insaputa di tutti ha messo una telecamera
professionale nascosta in un angolo strategico della sala da pranzo e ha filmato
per otto mesi ogni riunione in loco, senza che nessuno se ne accorgesse. Quindi
il primo mercoledì del mese anche lui va ad aiutarli, lavora e parla poco, ma
ride abbastanza, accende e spenge la telecamera con un controllo a distanza. Si
è fatto una copia della chiave e va lì a scaricare il materiale che poi monta
nel riserbo più assoluto. Le riprese vengono tutte da un angolo dell’enorme
stanzone centrale, che ammucchia di tutto, dai pezzi di tubo e raccordi alla
vecchia comoda, ai quadri e foto d’epoca, sacchi di materiali vari ed
eventuali, polvere, ragnatele e trappole per topi con le eventuali vittime
lasciate lì a marcire.
Mamma
Rina può avere vari difetti, anche in evidente contraddizione l’uno con l’altro.
La sua memoria è un colabrodo con sempre meno materia attorno ai buchi in
crescita sia per quantità che grandezza. Ha un grande senso dell’humor, ma non
sempre se ne ricorda. Intervengono depressioni altalenanti, manie di
persecuzione e diversi aspetti psicotici che possedeva anche prima, quando ragionava
meglio. Ogni volta che sale sul palco della loro involontaria commedia
polverosa dice che non ci vuole venire, ma se non ce la porti e se ne accorge
allora si arrabbia di brutto e ci rimane male, non si ricorda delle altre volte
e interpreta la sua parte con il massimo del realismo, come se fosse la prima e
ultima occasione.
Franca
è nata e cresciuta in Brasile da famiglia italiana, nello stato del Paranà. Il
numero immancabile, il loro cavallo di battaglia era la spiegazione di Franca a
Rina del perché gli italiani nel sud del Brasile erano chiamati Carcamanos. La
mamma interrompeva continuamente per i soliti motivi, poteva sembrare noioso e
ripetitivo, ma era anche uno show.
-
Gli italiani avevano sostituito gli schiavi africani all'inizio, poi avevano
migliorato le proprie condizioni, vendevano a peso verdure, legumi, frutta,
cereali e altre cose da mangiare…
-
A chi li vendevano?
-
Ai brasiliani.
-
Ma perché? Io non ho capito questa cosa.
-
Per vivere, era il loro al lavoro, mamma.
(Franca
la chiama mamma, perché ha perso la sua e questa la sente quasi come se fosse
la sua originale.)
-
Erano una specie di venditori ambulanti quindi. (Commenta mamma Rina)
-
Sì.
-
Ma che c'entra, quella parola che hai detto prima…
-
Carcamani?
-
Sì quella.
-
Se invece di interrompere mi dai il tempo di continuare la storia, ora che c’arriviamo…
-
Ma se io c'ho l'alzaia non c'ho mica
colpa io…
-
No, ha ragione signora, l'Alzheimer non dipende certo dalla sua volontà, né di
nessun altro. (la difende Suzuki)
-
No, infatti, ma per ritornare alla nostra storia gli italiani erano chiamati Carcamanos,
perché quando pesavano la loro merce, calcavano la mano di nascosto sul piatto
della bilancia, per guadagnarci di più
-
E allora che c'entra?
-
Calcare la mano, calcamano, carcamano, plurale portoghese carcamanos, mamma,
non hai capito mamma?
-
Ma che lingua parlano in Brasile?
-
Il portoghese.
-
Ma il portoghese è uguale all’italiano?
-
È simile, non proprio uguale.
-
Vabbè lasciamo perdere… (Dice Rino. Ma Franca insiste ogni volta)
Il
brutto o il bello della storia era una specie di danza che avevano inventato
per sdrammatizzare, che mentre in tre o quattro camminavano in fila indiana, curvi
in avanti con le braccia penzoloni e gli occhi al cielo scuotendo la testa.
Secondo loro, quelli erano i Carcamani, nessuno si ricordava come e perché
venivano rappresentati in quel modo, ma alla mamma le garbava assai quella
specie di fila indiana danzante, qualunque cosa significasse e interpretava il
suo ruolo con passione e serietà.
Il
film-documentario-sitcom di Suzuki ha sorpreso tutti, prima di metterlo in
circolazione ha dovuto chiedere il permesso alla famiglia, mamma ha detto di no
e per una volta tutti erano d’accordo, solo Bignè ha espresso un parere favorevole
e lo hanno mandato affanculo all’unisono.
Solo
dopo la morte di Schioppo e di mamma Rina si sono sentiti in dovere di
ricordarli affettuosamente e di farli conoscere al mondo, nel frattempo Bignè
era diventato senile e contrario, lo hanno dovuto rimandare affanculo, infelicemente.
Il
materiale era tanto, oppure troppo, Rino ha collaborato al montaggio e anche
Franca. Il nuovo cane Waldemar gli fa compagnia, in quella casa c’è sempre
qualche bocconcino per lui, allora non vuol mancare e non ci fa caso se gli
dicono che Suzuki lo sta ingrassando per mangiarselo.
Il
pubblico in sala poi aveva due tipi di reazione, alcuni ridevano assai e gli
altri si indignavano peggio.
Perché
ci si divertiva con una tragedia?
L’indifferenza
però non veniva fuori mai, ci stava che alla fine degli spettacoli al cinema
qualcuno protestasse, di solito erano gli anziani che prevedevano di avere un
giorno, neanche tanto lontano, lo stesso problema o ce lo avevano già.
Forse
è vero che il cinema è in crisi, ma il mondo anche e si influenzano a vicenda. Una
crisi di contenuti, ma non di apparenze, quelle abbondano anche troppo, quindi
le cose un po’ vecchie come questa possono ridiventare piuttosto nuove... poi
di nuovo vecchie, nel giro di poco tempo le mode nascono, pigliano piede e poi
defungono, sempre in via provvisoria.
Come
il coccodrillino della Lacoste insomma.
Nessun commento:
Posta un commento