Confesso
che attualmente ho troppo tempo libero insomma, devo, posso e voglio denunciare,
strillare e sfogarmi, ho da raccontare anche delle cose belle, che però fanno
meno notizia e sviluppano molto meno la curiosità umana, se ben la conosco.
Vivendo
e lavorando in una decina di nazioni differenti, insomma avendo avuto
esperienze estere di vario tipo e luogo, mi sono fatto un’idea larga e
profonda.
Lo
so che non interessa a nessuno, ma dopo mi sentirò più leggero, dopo aver
scaricato questo barile sulle spalle di non so chi, spererei o sparerei su
quelle del governo, purtroppo invano.
Lo
scaricabarile non so chi l’ha inventato, si torna indietro nella notte dei
tempi, ma penso che siamo stati noi italiani, perché siamo i campioni mondiali
da sempre, non c’è partita, siamo troppo superiori.
Con
le solite e ricorrenti crisi i soldi diventano meno, mai di più, e si devono
spendere per cause giuste come la guerra in Ucraina, dove l’Italia per fare la
ruffiana atlantica della Nato e degli americani, manda a spese del contribuente
armi gratis che poi l’Ucraina vende in Bangla Desh o altrove.
Nel libro 1984,
“L’ignoranza è forza” è uno dei tre slogan del Socing, il socialismo inglese
che costituisce l’ideologia dominante di uno dei tre Paesi del mondo distopico
costruito da George Orwell. Insieme ad altre due affermazioni ossimoriche – “la
pace è guerra” e “la libertà è schiavitù” – lo slogan è inciso sulla facciata
del Ministero della Verità, che fa della mancanza di conoscenza delle masse il
proprio punto di forza.
Più le masse ignorano ciò che
accade, come e perché accade, più queste rinunciano all’umano bisogno di
conoscenza e diventano manipolabili dai poteri forti. Oggi, “L’ignoranza è
forza” sembra diventare uno dei capisaldi su cui si fonda il nostro Paese: se
da una parte vengono investite
sempre meno risorse nell’istruzione, dall’altra assistiamo al
proliferare della disinformazione, che attecchisce maggiormente in chi, privo di
conoscenza e della capacità critica che ne deriva, finisce per
abboccare a qualsiasi “verità assoluta” gli venga propinata da tutti quei media
che diffondono notizie e informazioni inesatte.
I
miei dipendenti dicevano che lavoravo poco, io cercavo di spiegargli che il
lavoro non era l’unica cosa che mi piaceva fare e dovevo razionare le mie
forze, per le altre mie attività, che mi garbavano anche di più.
C’è poca gente che legge libri, giornali o
riviste nell’ambito della ristorazione, non è un caso, e non è solo una
questione d’ignoranza, ma di forza fisica, o della sua mancanza. Insomma di
riuscire ad arrivare alla sera senza essere distrutto, o di alzarsi la mattina
e di essere già a pezzi.
Personalmente
mi piace di leggere a letto, ma leggo anche in un parco, o in ufficio, nel
ristorante stesso quando il frastuono si mantiene moderato. Nei miei ristoranti
niente musica, hanno voglia di protestare, vaffanculo.
Non
è che non mi piaccia la musica, intendiamoci ammodino, ho più di cinquecento
vinili a casa e forse altrettanti ciddì, solo che mi garba fare una cosa alla
volta e quando si legge, si mangia o si lavora, meno baccano c’è e meglio è.
Chi vuole fare tutto insieme fa solo confusione e i risultati poi si vedono.
In Italia,
nel 2021, abbiamo assistito a una battuta d’arresto sia per quanto riguarda
il numero dei diplomati sia quello di chi ha conseguito
un titolo terziario. Inoltre, il livello di persone
che nel nostro Paese raggiunge un grado di istruzione superiore al diploma
di terza media continua a essere più basso rispetto alla media europea. Le
prove INVALSI che si sono svolte recentemente, poi, hanno dimostrato che,
nonostante il crollo delle competenze
del 2021 si sia arrestato, uno studente su due porta a termine il percorso
scolastico senza le abilità di base; a essere
penalizzati sono soprattutto gli studenti del sud e chi proviene da aree
socio-economicamente svantaggiate. A questo scenario drammatico, si somma la
riduzione delle risorse investite nell’istruzione, il cui ammontare si attesta
da tempo su una media inferiore a
quella europea; riduzione che non si arresta dal 2008
e che – complici gli effetti della pandemia e della guerra sull’economia – sta
subendo un nuovo contraccolpo con i tagli previsti dal
Governo Draghi. La perdita del ruolo di primo piano un tempo affidato
all’istruzione e alla formazione dell’individuo, con la conseguente proliferazione
dell’ignoranza, nel nostro Paese è una realtà con cui dobbiamo fare i conti.
Quando
sono arrivato a Berlino Ovest, nel giugno del 1987, c’erano più o meno
ottocento ristoranti italiani, su una popolazione fluttuante di circa due
milioni di abitanti, di cui una buona parte dovevano essere tedeschi. Se
confermato e controllato in questi ristoranti non sempre appariva l’autentico
peninsulare, ma il marchio della bandiera tricolore era una garanzia di ottima
gastronomia e veniva talvolta usato a sbafo.
All’estero
è lateralmente presente il ristorante italiano tipico, a lato di ogni cosa che
esista e dovunque, la stessa puzza di pomodoro, aglio e cipolla, vabbè diciamo
profumo e ci mettiamo anche il necessario basilico e il prezzemolo non possiamo
dimenticarcelo.
È
un ambiente classico, un mondo a sé stante, un coacervo di bellezza e di
bruttezza, che si può trovare ovunque, basta seguire il nostro olfatto, ma per
ora solo sulle terre emerse.
Di
solito ci si mangia bene, ma le norme internazionali sul libero arbitrio sono
sempre più liberali e liberistiche, insomma a volte ci si può imbattere, spesso
in presenza di grande movimento turistico, di ristoranti italiani dove si mangi
male o malissimo.
In
quello che sarebbe stato il mio primo ristorante, La Marmotta, ho lavorato inizialmente come lavapiatti, barista e
poi cameriere. Con quello che ho guadagnato vendendolo poi sono venuto in Argentina
dove ho inaugurato il grande e assai redditizio Magellano, che ho venduto dopo due anni, e ho avuto occhio, perché
è stato subito prima della bancarotta dello stato e dei Corralitos. Intanto io ero già in Brasile e ne ho aperto uno a Rio
De Janeiro, Da Gaetano, venduto poi tutto
in dollari, ma mi sono avanzati soldi che per fortuna non ho cambiato, giacché
la moneta brasiliana è sempre stata assai volatile. Poi qui a Sorano, provincia
di Grosseto, ne abbiamo messo su uno piccoletto, insomma una trattoria, Il Ciccia, io e mia moglie e mio figlio.
Essendosi poi lui sposato con una brava ragazza rumena, ora il ristorante è
passato in mano loro, ma io e mia moglie Clara non sappiamo staccarcene e
quindi stiamo qui a fare conversazione con i clienti. Anzi mia moglie, che sta un
po’ meglio di gambe, prende ancora le ordinazioni, quando c’è troppo lavoro per
Leontina e Giovanni. Casa nostra, che è anche dove io a suo tempo sono nato, non
c’è alcun bisogno di specificare quando, è a una quarantina di metri di
distanza, allora quando sono oberati ci chiamano e noi accorriamo, ma con calma.
Io
mi metto a fare l’imbonitore, il venditore di aria fritta, ma croccante e
romantica. Insomma comincio a raccontare le storie di ristoranti italiani
all’estero, che alla gente ci piacciono e mi garba anche a me di essere
ascoltato e oggetto di domande, ma anche di una specie di tacita ammirazione.
Nelle mie frasi ci metto dei begli errori di grammatica e di sintassi, perché
se parlassi correttamente non sembrerei uno che ha passato una vita galoppando
e bestemmiando tra la cucina e la sala, spesso anche oltreoceano, ma
l’atmosfera sempre quella era. È vero che nei ritagli di tempo libero leggevo
dei libri, perfino in spagnolo e in portoghese, ma se glielo dicessi tradirei un
po’ le mie origini e poi io a scuola non ci sono quasi mai stato.
Mio
figlio dice che più che aiutare rompo i coglioni, ma lo dice ridendo e lo sa
bene, che se il cliente aspetta per mangiare, deve avere un diversivo, sennò
s’innervosisce, e poi quella gente che parla diverse lingue che io conosco di
vista e uso maccheronicamente, tornata a casa si ricorderà e racconterà di una formidabile
lasagna beige con tartufo, scamorza e fiori di zucchino, come della mia faccia
piena di rughe e delle cicatrici fatte dal tempo e dallo spazio, a Rosario o a
Paraty, a Berlino e a Ushuaia.
Gli racconto anche che Ushuaia è una località di
villeggiatura argentina che si trova all'estremità meridionale del paese
nell'arcipelago della Terra del Fuoco, soprannominato "la fine del
mondo". Ushuaia è edificata su una collina scoscesa ed è circondata dai
monti Martial e dal canale di Beagle. La cittadina è il punto di partenza per
le crociere in Antartide e verso l'Isla Yécapasela, conosciuta come
"l'isola dei pinguini". Ho lavorato anche lì, il posto era
fottutamente bello, ma c’erano poche materie prime per la mia gastronomia troppo
improvvisata, per via del clima freddo e ventoso.
A Paraty invece c’è caldo assai, è un comune del Brasile nello Stato di Rio de Janeiro, parte della mesoregione del Sul
Fluminense e della microregione di Baía da Ilha Grande.
Di origini molto antiche, per essere in quel continente piuttosto giovane a
livello di storia, che è l’America Latina, dopo il sistematico massacro degli
indios. Fu il porto principale dal quale i portoghesi esportavano l'oro in epoca
coloniale. Posta tra due fiumi ed estesa fino all'oceano, ha un'altitudine di
soli 5 m La città fu infatti progettata in base al flusso delle maree, in
modo tale che molte strade si inondassero con l'alta marea, per poter
facilitare i trasporti fino alla parte più interna della città.
Per le
strade fatte di pietre irregolari circolano a piedi turisti di tutto il mondo
attratti dalla bellezza della tipica colonia brasiliana. Le fanno da sfondo
montagne ricoperte dalla verde foresta, è infatti circondata da parchi e riserve
naturali. Nel suo mare cristallino ha più di 60 isole e 90 spiagge, buona parte
di esse accessibili solo tramite barca o cammini sterrati.
Riassumendo,
io attualmente sono una specie di lupo di mare loquace sì, ma senza alcuna
fretta. Capace però di raccontare le cose più buffe senza ridere, un comico almeno
inizialmente involontario, che se ne è accorto da un bel po’, ma non cambia per
questo le sue espressioni di rabbia e di dolore, anche se sotto-sotto se la ride
abbastanza. Forse più lupo di terra, a dire il vero, ma mi piacciono anche il
mare e i relativi pesci e frutti, totani, gamberi e conchiglie.
Una
delle prima cose che dico agli avventori, alzando solennemente il dito indice è
che:
“Non
è vero che fare scarpetta è maleducazione, no, no, al contrario, oltre il
grande gusto nel farlo, quando il sugo è buono, più l’evidente apprezzamento
per chi ha cucinato, si aiuta anche chi lava i piatti e se chi li deve lavare
poi è la stessa persona, meglio ancora!”
Infatti
nel nostro piccolissimo Ciccia, chi
cucina lava anche i piatti e le pentole, ma chi serve in sala - se può - aiuta
pure, dipende dai flussi dei turisti, meno dai clienti locali.
Agli
stranieri spesso devo spiegare anche cosa è la scarpetta, ma se non conoscono
l’espressione, l’operazione la praticano e la apprezzano istintivamente da
sempre, o almeno da quando hanno avuto i primi contatti con i nostri sughetti, varcata
una qualsiasi soglia di ristorantino italiano, in patria o all’estero.
Esiste una scienza che spiega le
ragioni dell’aumento e della diffusione endemica dell’ignoranza: l’agnotologia.
La parola ha un’etimologia greca (agnosis, mancanza di conoscenza), ed è stata
coniata nel 1995 da Robert Proctor,
biologo e docente di Storia della Scienza all’Università di Stanford. Diversamente
dalla gnoseologia e dall’epistemologia, che indagano come funziona
l’acquisizione della conoscenza, l’agnotologia è la scienza che studia i
processi sociali e i fenomeni culturali che ci conducono alla perdita del
sapere. L’agnotologia è stata indagata nel libro Agnotology: The Making
and Unmaking of Ignorance, che Proctor ha scritto e pubblicato nel 2008 insieme
a Londa Schiebinger, anche lei docente di Storia della Scienza.
Alla fine del
Novecento, Proctor ha studiato il fenomeno arrivando a teorizzare
l’esistenza di un’ignoranza “costruita ad arte”, al fine di orientare
l’opinione delle masse senza che queste possano fare affidamento al proprio
spirito critico – proprio come accadeva nel romanzo di Orwell. Secondo Proctor
esisterebbero tre tipi di
ignoranza: allo stato nativo, di scelta selettiva e indotta. Se il
primo tipo è dovuto a semplice incompletezza di conoscenza, il secondo tipo si
verifica quando scegliamo, per mancanza di interesse o di tempo, di non
informarci su un certo argomento o di non approfondirlo. Ma è il terzo tipo,
l’ignoranza indotta, a costituire l’oggetto dell’agnotologia: una vera e
propria fabbricazione del dubbio al fine di seminare paura e diffidenza verso
il sapere scientifico.
Racconto
sempre le avventure di Giovan Pietro, il proprietario dell’Osteria Baracca dove ho
lavorato a Onano, provincia di Viterbo. Era un bugiardo naturale e inventava
cose non tanto per guadagnarci dei soldi, ma per divertirsi e far ridere il
personale del ristorante.
La
sua faccia tosta era fatta di bronzo di Riace, riusciva a dire le cose più
assurde in perfetta serietà e ci aggiungeva anche una falsa e orgogliosa umiltà
che sembrava spontanea, ma era solo posa e tattica.
Una
volta dei clienti abituali mi chiesero del vino rosé e Giovan Pietro stava
passando carico di piatti sporchi, intervenne e disse che era arrivato proprio
quella mattina un Pinot Rosé che era una favola. Io credetti alla sua bugia,
sia perché ero appena arrivato a lavorare lì e poi non lo conoscevo ancora, ma
la sua convinzione era veramente ammirevole e ben costruita. Detto fatto andò
in cantina e si fabbricò al momento il rosé promesso, con vino bianco laziale e
vino rosso toscano. I clienti furono così entusiasti che ritornarono sempre a chiederlo
e gli altri camerieri dovettero imparare a farne al momento, anche se le
proporzioni non furono mai divulgate da Giovan Pietro, anche perché non le
sapeva, e andavano eseguite a occhio, per non risultare eccessivamente scuro,
né troppo chiaro. Però in cantina ci si vedeva poco e i rosé che ne venivano
fuori erano troppo differenti per non accorgersene, eppure nessuno giammai protestò.
L’origine
del nome Onano, per quanto mi risulta, non è una chiamata da lontano a un uomo assai
piccolo di statura. Intanto da notare è la
particolarità di questo nome: è un palindromo, ovvero, che venga letto da
sinistra verso destra o da destra verso sinistra la parola resta immutata.
Le origini del nome sono incerte, ma due sono le ipotesi più
accreditate: la prima ipotesi fa derivare il nome dalla divinità etrusca Uni,
dea del cosmo, la Grande Madre, che si identifica alla dea greca Era e dalla
quale derivò la romana Iuno, Giunone. La seconda ipotesi si rifà invece alla
desinenza latina anus collocandoci nella probabilità che il
nome Onano ricordi il gentilizio di un antico latifondista che aveva grandi
proprietà nella zona, Haunano/ Honano, moderno Onano.
È
un centro di poco più di 1000 abitanti, che dista dal capoluogo Viterbo ,
circa 55 Km. Il paese sorge sui monti Volsini, nella parte settentrionale della
provincia, su di un territorio che si trova al confine tra Lazio e Toscana. A
pochi chilometri dal Lago di
Bolsena e dalla riserva naturale, Onano è un piccolo borgo
medievale con vicoli e piazzette molto suggestivi. L'economia del paese si basa
principalmente sull'agricoltura, vocazione che il paese ha avuto sin dai tempi
antichi. Alcuni reperti consentono infatti di affermare che già in epoca
etrusca, questa zona era una ricca colonia agricola. Tra i prodotti coltivati a
Onano, ritroviamo sicuramente la lenticchia,
da scoprire al meglio durante la sagra della lenticchia, uno degli eventi più
interessanti legati a questo paese. L'antico borgo medievale è ricco di
incantevoli scorci ed è dominato dal favoloso Palazzo dei Monaldeschi della
Cervara, oggi sede del Municipio.
Onano
però è anche natura. Tutto intorno all'abitato si estende una ricca distesa di
verde, tra sentieri, campi coltivati, prati e boschi, che contribuiscono a
rendere il panorama che si gode da Onano, veramente unico.
Più
che un ristorante quella era un’osteria con arredamento rustico e maremmano,
una mezza trattoria, con finte pretese di raffinatezza e in più Giovan Pietro si
vantava di essere anche un grande affarista, per la qual cosa essere bugiardi
aiuta abbastanza.
Una
volta comprò uno stock gigantesco di un pessimo whisky Cluny, fatto chissà
dove. Mi pare una decina di scatoloni, e per anni so per certo che restò l’unico
a disposizione, secondo le rigorose istruzioni di Giovan Pietro che voleva
sbolognarlo tutto, e a prezzi nemmeno lontanamente giustificati dalla qualità.
Questo
non gli impediva certo di interpretare una scena da teatro, specialmente quando
un cliente spocchioso voleva mostrare di intendersi di whisky e alla fine di
una lauta cena gli chiedeva quali fossero a disposizione lì al Baracca.
Alla
domanda Giovan Pietro rispondeva quasi gridando TUTTI e alle più incredibili
richieste portava sempre lo stesso Cluny, si metteva di fronte al cliente e
aspettava che se lo assaggiasse, con la facciona seria, orgogliosa e fiduciosa.
Una
volta che avevano chiesto un whisky di torba Laphroaig, invecchiato dieci anni,
Giovan Pietro gli portò una complementare ma necessaria acqua di torba tufacea
di rubinetto che opportunamente sapeva un po’ di ruggine, in più mise un
goccetto di amaro Averna nel Cluny.
Nessun
cliente ebbe mai a dubitare o a lamentarsi di qualche disguido, la faccia di Giovan
Pietro bastava a convincere chiunque, clienti abituali e stanziali, viaggiatori
e turisti. A nessuno venne mai in mente di mettere in dubbio la credibilità di
Giovan Pietro, o meglio: anche lui sapeva bene a chi farle queste scene tragicomiche.
Naturalmente
io mi devo assolutamente mostrare indignato con questi fatti, quando racconto le
varie magagne da ristorante, perché non pensino che siano cose che possano
incidentalmente accadere anche al Ciccia,
ma secondo me lo pensano lo stesso.
Proctor, secondo il quale
staremmo vivendo “nell’età dell’oro dell’ignoranza”, afferma che
la parola agnotologia è stata coniata per “designare la scienza dell’ignoranza,
la storia dell’ignoranza, la politica dell’ignoranza e specialmente i sistemi
di produzione dell’ignoranza. I filosofi si sono sempre occupati della
conoscenza […], ma quello che abbiamo trascurato a lungo è l’ignoranza, una
realtà che ha una sua storia e una sua geografia. Noi siamo circondati
dall’ignoranza, che viene deliberatamente prodotta da potenti forze per
lasciarci nel buio”. Tra i casi di ignoranza prefabbricata, lo studioso
statunitense cita le fake news e le inserzioni pubblicitarie che diffondono
informazioni inesatte, manipolate o fuorvianti per soddisfare le esigenze del
mercato. Gli studi del docente della Stanford University si sono concentrati su
campagne come quella realizzata nella seconda metà del Novecento dall’industria
del tabacco, finalizzata a generare dubbi sugli effetti nocivi del fumo sulla
salute e incrementare così l’acquisto di sigarette. “La mia ricerca,”
dice Proctor,
“si concentra soprattutto sulla vasta influenza che hanno avuto i gruppi
economici organizzati, come big tobacco, produttori di sigarette,
o big oil, industria del petrolio, o ancora come big soda, le grandi
imprese che vendono bibite con dannosi quantitativi di zucchero. Questi soggetti
diffondono informazioni fuorvianti nella società: fanno credere che il fumo non
provochi il cancro, che la produzione di idrocarburi non sia poi così
inquinante e che le bibite zuccherate non siano una delle cause dell’obesità”.
A
Berlino ho lavorato come barista in un ristorante nel quartiere di Britz dove tra
il personale c'era un misto di napoletani, sardi, siciliani e albanesi. Un giorno
entra un cliente biondo e alto che in tedesco ordina a Natale da Frattamaggiore,
uno dei camerieri. Lui fa il buono alla cassa e me lo mette sul bancone di
marmo. Per non dover leggere il numero e collegarlo alla consumazione, chiedo
come facevo di solito a Natale cosa prendeva il signore il quale sedeva proprio
davanti al bar e lui ha risposto: “Un cappuccino prende ‘stu pezzente!”
Il
signore in questione a quel punto si è alzato e in perfetto italiano ha detto:
“No,
grazie, ho cambiato idea.” E se n'è andato.
Ora c'è da dire che a quei tempi, parlo del
1987-88, a Berlino i camerieri dei ristoranti dei bar prendevano poco di
stipendio, ma con le mance raddoppiavano e a volte triplicavano. E allora
valeva la pena di farsi il culo come si facevano immancabilmente. In Italia le
mance, essendo facoltative, hanno sempre reso meno, in Germania invece erano
obbligatorie e calcolate esattamente in percentuale sull'ammontare della spesa
totale del cliente.
Da
bambino con mio padre e mia madre sono stato più volte al Parioli nei dintorni
di Gloucester Road a Londra, si mangiava bene e facevano dei sughetti dove era
impossibile non fare scarpetta, scarpa e pure qualche scarpone da montagna.
Purtroppo però il pane era piuttosto razionato in quel ristorante, perché gli
inglesi non ne mangiavano così tanto. Dopo averglielo chiesto più volte, il
cameriere, che forse era anche uno dei padroni, sorrise e prese tutto il cesto del
pane, avvicinò un tavolo di servizio al nostro e lo mise tutto lì sopra, che
potessi servirmene a volontà, quando volevo. Ai tavoli vicini li inglesi si
misero a ridere.
Il
time-to-market e la globalizzazione, le crisi e le politiche dissennate hanno
portato alle pandemie, ma non solo, anche all’abbassamento dei salari e al
contemporaneo aumento dei prezzi e delle tasse, così il cittadino potrà
sentirsi opportunamente strangolato e dedicarsi al suo hobby preferito, in
progressivo aumento da noi: il suicidio.
Nella
ristorazione poi c’è sempre stata questa tendenza di pagare poco in
proporzione, alla disgraziata gente che confondeva spesso il farsi il culo con
le quarant’ore teoriche di lavoro, e bisognava galoppare, ora come allora.
Tutti si lamentano e si sono sempre lamentati
dei prezzi, nessuno si sente mai responsabile, lo scarica-barile è istintivo e
automatico, non si può vivere senza, com'è possibile?
Quanto
all'evasione è un male necessario, la legge chiede cento per ottenere cinquanta
o forse meno, poi si dà la colpa l'imprenditore specialmente quello piccolo, ma
si sta tentando in tutte le maniere di eliminarlo.
Anche
qui so che ci riusciranno, ci sono già abbastanza vicini e io mi rallegro di essere
vecchio e sufficientemente malato, buona forchetta e ancor miglior bicchiere, affatto
disdegnatore di vino, birra e superalcolici. Le sigarette me le hanno tolte,
anche se il medico curante fumava più di quanto fumassi io e nel frattempo è casualmente
defunto.
Lobby e industrie capaci di
orientare l’opinione pubblica diffondendo dati falsificati sarebbero i
principali fautori dell’ignoranza indotta. Ma nell’ambito dei suoi studi
sull’agnotologia, Proctor ha fatto riferimento anche a un certo tipo di propaganda
politica, che mistifica la realtà e manipola i dati per ottenere consensi. In
particolare ha citato la
campagna per le presidenziali americane del 2016, con Trump che “ha condotto
attacchi diretti, personali contro gli avversari repubblicani e contro Hilary
Clinton”, facendo uso su
larga scala dello strumento delle fake news e servendosi anche del meccanismo
dell’omissione (“Trump
non ha mostrato la sua dichiarazione dei redditi e quindi non sappiamo quali
siano le sue relazioni d’affari”).
Io
comunque sono emigrato non per mancanza di soldi, o perlomeno non solo per
quello, me ne sono andato anche per vedere quello che c’era fuori e non me ne
sono pentito, spiego malinconicamente qualche volta alla gente. Se non altro,
in un paese differente dal tuo, ti trovi di fronte a realtà variegate, che per
quanto incredibile sembri, ti fanno capire poi meglio la tua, quello del tuo
paese, inteso come nazione, ma anche come villaggio, o luogo di nascita
insomma.
Anche
a livello di gastronomia si imparano cose non indifferenti, con prodotti che
magari in Italia costano cari, ma la globalizzazione a qualcosa serve, non solo
a complicare le cose a tutti. Per esempio se un avocado si trova difficilmente e costa più della frutta italiana,
piano-piano le cose cambiano, se c’è da guadagnarci, se il mercato lo esige,
che poi è lui quello che comanda, e non gli uomini come si crede.
Figurarsi
che in Brasile ce ne avevamo diversi alberi in giardino e specialmente quando
c’era vento ne cadevano giù di non completamente maturi, che la gente per
portarli al punto giusto li incarta con fogli di giornale e in qualche giorno
sono pronti.
I
cani non solo se li mangiavano, ma se li litigavano addirittura. Franco, un
bastardino bianco a macchie nere e marroni, se ne portava uno nella cuccia, non
completamente maturo, ne mangiava la parte che era più molle e poi gli faceva
la guardia per giorni, aspettando che maturasse, ringhiando a chiunque si
avvicinasse.
Agata,
era una bastardina beige più anziana e sapeva però come fare per fregarlo
sistematicamente. Quando lui era addormentato o distratto, arrivava come un
lampo abbaiando a tutta forza e prendendolo di sorpresa gli portava via l’avocado
restante.
A proposito del legame tra
politica e fake news, viene subito in mente la lunga schiera di leader
nostrani le cui dichiarazioni fallaci – diffuse con particolare
frequenza durante la pandemia –
vengono sempre più spesso smascherate. Il
web, infatti, in alcuni casi diventa servo dell’agnotologia: è qui che, per
esempio, i fautori della teoria del complotto instillano il terrore in chi
prova a orientarsi nel caotico serbatoio dell’informazione, e della tanta
disinformazione. La velocità di circolazione delle notizie sui social media
diventa terreno fertile per negazionisti e complottisti che con la loro
propaganda seminano panico, diffidenza e disinformazione tra coloro che mancano
di un bagaglio di conoscenze solido e di strumenti per riconoscere e
selezionare le fonti autorevoli.
Per arginare il dilagare della
cattiva informazione, bisogna prendere coscienza che l’ignoranza indotta è una
realtà da cui metterci in salvo tempestivamente, affidandoci a fonti
attendibili, facendo sempre riferimenti a dati certi e mai approssimativi e
imparando a discernere la verità dalla menzogna. Per farlo è necessario
investire energie, tempo e soprattutto maggiori risorse nell’istruzione e nello
sviluppo del pensiero critico, perché crearsi un bagaglio di conoscenze è un
requisito essenziale per destreggiarsi nella moltitudine di stimoli e
informazioni che riceviamo ogni giorno.
La
mia idea personale di buon ristorante è quello dove oltre a mangiare bene ci deve
essere una atmosfera casalinga, campagnola e accogliente, una specie di
imitazione del desco familiare della vecchia fattoria, quindi non può essere
molto grande e poi ci vuole anche uno come me, che si sieda ai tavoli per
raccontare storie di ieri, insomma di quando il mondo era un po' meno brutto e
un po' più umano di adesso.
La scelta dei piatti non può essere che in
linea con questa mia idea, nella quale non c'è posto per cose troppo raffinate
o per prezzi esosi. La musica meglio di no, ma ammetto che all'estero ci stava
di più, mi suonava meglio, per esempio qualche raccolta di vecchie canzoni tipo
Fred Bongusto e Bruno Martino.
Mio
figlio è appassionato di Fossati e De André, sua moglie di quelle vecchie
canzoni degli zingari rumeni, e mi piacciono anche a me, confesso, ma senza è
meglio. Il Ciccia è loro e
giustamente ora comandano e mettono a basso volume anche un po' di questa robetta.
Nella
tacita polemica tra Farinetti della Eat Italy (o come cacchio si scrive) contro
lo Slow Food di Petrini, non c'è nemmeno bisogno di dire da che parte sto. Infelicemente
so che il moderno, anche e soprattutto quando fa schifo, vince contro il
passato, perché il passato, anche quando non vuole passare, purtroppo è solo
una questione di tempo.
Tutte
queste nuove tendenze culinarie sono tremende, lasciatemelo dire, come tutte
quelle opere scultoree moderne in città storiche o villaggi, come Peccioli per
esempio, che non ne avrebbero bisogno, se non fosse per richiamare turisti
caciaroni e ignoranti. Il portafoglio insomma comanda sempre, qui e altrove,
purtroppo, e non solo sulle terre emerse, in questo caso. Nei mari di tutto il
mondo la pesca intensiva fa solo danni e non si preoccupa certo di ammazzare e
distruggere specie in estinzione, insieme ad altre che non lo sono ancora, ma è
solo una questione di tempo, di ignoranza e di prepotenza.
L'umanità
segue troppo spesso i desideri dimenticandosi dei bisogni, ma nel caso della
cucina italiana coincidono o dovrebbero coincidere, anche qui le
interpretazioni abbondano e ognuno ha le sue idee, però spesso la loro assenza
porta a dei locali plastificati e asettici dove si servono cibi indecenti e
tossici, attraverso marketing e franchising, che spingono soprattutto sulla vulnerabilità
dei giovani e della gente condotta come pecore al pascolo.
Intanto
i giovani però sono sempre meno, chissà perché e se ne approfittano soprattutto
da noi in Italia per essere protetti e giustificati, qualsiasi cosa facciano, e
i professori a scuola hanno sempre torto. Oggi la scuola invece di insegnare
qualcosa di utile prepara ad essere stupidi in un mondo di idioti, è questo che
le si chiede e i risultati ci danno ampiamente ragione.
Ad attenuare gli effetti
dell’ignoranza indotta, dice
Proctor, devono essere anche i
media, dando risalto a fatti comprovati da studi scientifici e a dati certi
piuttosto che all’opinione del singolo, utile ad accendere il dibattito sul web
ma capace di generare dubbi e disinformazione in lettori e utenti.
Ciascuno deve poi praticare un costante lavoro di vaglio critico delle notizie
perché, essendo costantemente sommersi da input e informazioni contrastanti, se
assorbissimo ogni cosa senza applicare un filtro ci ritroveremmo in balia della
disinformazione e dell’ignoranza indotta. Per questa ragione, quando ci si
trova davanti a una notizia bisognerebbe applicare le tre regole citate da
Proctor per stabilirne la credibilità: chiedersi quale sia la fonte, capire
quale sia la reputazione di questa fonte e infine domandarsi se c’è qualcuno
che può trarre vantaggio dalla diffusione della notizia. Se riuscissimo a
seguire queste accortezze, investendo del tempo nel selezionare ciò a cui dare
credito piuttosto che accumulare informazioni senza sosta, forse riusciremmo a
non farci sopraffare da esse.
Contrariamente
a quando si crederebbe io c’ho anche un computer attualizzato e su Facebook
sarei quasi un mezzo influncer, se
non fosse che mi accusano di metterci delle foto di puppore, ne basta una per
essere tempestivamente tolta, anche se è di una statua di marmo o una copertina
di un disco di musica classica. Mi fanno sentire colpevole di aver pubblicato materie
sui lupi che potrebbero trarre in inganno la gente, o frasi di Osho che invece
sono del Dalai Lama, o viceversa.
Insomma
si attaccano alle bischerate, per far vedere che fanno un bel lavoro di
setaccio, ma i virus a nome di Elon Musk e le propagande grandi e determinanti di
notizie false quelle non le toccano nemmeno di striscio.
Tutto
va nella stessa direzione, se si pensa a Draghi che ha dato un bonus a chi
comprava tende esterne per il sole e tassava pesantemente merci molto più
comuni ed essenziali. La stessa cosa aveva fatto Renzi diminuendo le tasse
sugli yacht e aumentando quelle sugli articoli di cui le famiglie italiane
medio-povere non potevano fare a meno.
Il
papa di ora mi garba, non mi è quasi mai successo, anche se c’è tutta una schiera
di gente che ne parla male per partito preso, purtroppo è una posa necessaria e
fisiologica anche questa.
In
ultima analisi stanno cercando di convincerci che mangiare gli insetti è cosa
buona e giusta, lo fanno anche in oriente, forse il nostro
futuro sarà questo, io però spero proprio di non esserci più e ho buone
probabilità di farcela.
Una
volta alla Marmotta una signora anziana, cliente abituale si lamentò che si era
sentita male dopo aver mangiato da noi. Prospero, uno dei soci, si informò
allora su che cosa aveva mangiato. Lei disse gamberoni in guazzetto al vino
bianco. Prospero chiese cosa ci aveva bevuto e lei come se fosse la scelta più
ovvia: ma un cappuccino! No, anzi, due.
Le
notizie sull’Agnotologia le ho prese pari pari da qui
https://thevision.com/attualita/agnotologia/?fbclid=IwAR2-4UyMZZr6V8bxDNM8Sl7cAvF1ERDmt2P1gYtOrR9r2XRWMPXI0HMuc1Q
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