venerdì 29 luglio 2011

ZIO HENRY



Lo sfrigolio del bacon nella padella era musica dolce per le sue orecchie, mentre il profumo si spandeva inebriante nel piccolo appartamento.
Indugiò qualche minuto per renderlo croccante, sapendo che sarebbe stato più gradito; da ultimo, ruppe due uova direttamente nella padella, osservando con compiacimento l’albume che si rapprendeva rapidamente al contatto col ferro ed il condimento roventi.


Questo si era immaginato, prima di cominciare, la pratica invece differì in alcuni particolari.
Zio Henry lodò la sua buona volontà, alla fine, ma forse non avevano fame, o forse sarà stato perché quell’ammasso bruciacchiato non corrispondeva alla loro idea di uova e bacon?
Henry non era veramente suo zio, era il marito di zia Pina, figlia di Luigi, zio di sua madre.
Dopo cercarono di cambiare discorso, il disprezzo si mitigò un poco sulla faccia arrossata di zia Pina, la figlia Ann si mise a parlare di cose da donne.
Mentre loro lavavano i piatti, Mario e Henry andarono sul terrazzetto, lo zio si accese la pipa.
“Vedi Mario, zia Pina è una brava donna, solo che la vita l’ha resa un poco troppo decisa, autoritaria, insomma.”
“Sì, zio, lo so. E poi le uova facevano proprio schifo.”
“Dimmi una cosa, piuttosto: nella vostra famiglia, una come zia Pina,  non è un tipo di personaggio inusuale, vero?”
“No, anzi, abbiamo diversi eccessivamente autoritari rappresentanti della nostra famiglia.”
“Sai che l’inglese che parli è troppo perfettamente buono?”
Zio Henry gli aveva fatto capire con quella sua frase, soavemente, che la sua struttura era un po’ eccessiva, forse anche leggermente maccheronica.
Ne risero insieme.
“Perché sei venuto in Inghilterra, Mario?”
“Vi ammiro, voi inglesi, come cultura, poi ero anche stanco dell’Italia.”
“Ah. Però, non lo dire a tua zia, che eri stanco dell’Italia, per favore.”
“Perché?”
“Per lei l’Italia è sempre il massimo...”
“Se fosse il massimo la gente non sarebbe costretta ad andarsene, solo per cercare un poco di dignità.”
“Io sono d’accordo con te, ma lei è praticamente sempre stata qui, andiamo in Italia solo in vacanza, quindi ha una visione delle cose un po’...”
“Parziale?”
“Ecco, bravo.”

Lo zio Henry, anche se non era suo zio, gli spiegò che la pancetta italiana è diversa, perché non è affumicata.
Gli insegnò a fare le uova col bacon, a casa sua, quando sua moglie non c’era; poi lo prese a lavorare con sé, nel suo Fish and Chips.
Carlisle era una cittadina di circa 72.000 abitanti, più o meno come Lucca, un nuovo arrivato saltava subito all’occhio.
Ben presto Mario divenne ‘l’italiano’ e questo gli piacque, perché in un certo senso era una cosa da altri tempi.
Spesso si trovava a bersi una birretta collo zio, dopo aver fritto pesce e patate per tutto il giorno e non riuscire a sentire più altri odori se non di olio e di fritto.
Andavano da Christie, a pochi metri dall’appartamento di Mario, dove la gente li salutava senza voltarsi, quando quella tipica fragranza apriva la porta e faceva trionfale ingresso.

“Perché l’Italia è uno dei paesi che ha sparso più gente per il mondo? Perché siamo un popolo di eterni emigranti?”
“Il mondo è fatto di emigranti, Mario, tutti sono in movimento, il cosmo funziona così, ci dilatiamo sempre…”
“Sì, ma alcuni si dilatano di più.”
“E alcuni di meno. Però, di più o di meno che sia, se è per caso oppure no, la nostra vita è soprattutto accettazione. Se accettiamo quello che abbiamo, non pensiamo a quello che ci manca e se guardi bene, vedrai che ne abbiamo sempre più che a sufficienza.”
Zio Henry riusciva sempre a farlo andare a letto rilassato, era diventato il suo grande amico più vecchio, come non ne aveva mai avuti.
Se non lo vedeva, stava male; la domenica, che era il giorno libero, lo andava a cercare a casa, anche solo per salutarlo e scambiare una o due frasi.

Una sera dopo la seconda birra gli disse:
“Tu non sei un tipico inglese, zio.”
“No?”
“Voglio dire, tu sei tranquillo, una persona soddisfatta, come non ne ho mai conosciute, chissà come sei caduto qui sulla terra, rifuggi alla violenza, già la polemica ti pare stupida ed hai proprio ragione, te lo voglio proprio dire.
Però, non mi pare che la gente qua attorno sia così.”
“E la famosa flemma inglese?”
“La flemma è un’altra cosa, spesso non significa capire la situazione, ma solo prendere tempo, cercare di prendere le cose con calma, che anche quella va bene, la calma, ma tu hai qualcosa in più.”
“Bene, ti ringrazio, ma credo che le cose non stiano esattamente così.”
“E come stanno, allora?”
“L’inglese, come tutti i popoli nordici è più riflessivo, tipo autunno-inverno, fa parte di una cultura che il clima ha forgiato e la storia di conseguenza.”
“E noi?”
“E voi siete primavera-estate, più pieni di energia, movimento, peperoncino, parlate prima di pensare, noi invece prima pensiamo e poi parliamo.”
“Hai ragione. E la polemica, la violenza?”
“La polemica è tutta vostra, voi polemizzate anche quando non è necessario, tanto per allenarvi, per fare gli avvocati del diavolo.
La violenza invece è più nostra, noi stiamo zitti, quando non è necessario parlare,  ma quando dobbiamo far valere i nostri diritti allora spacchiamo tutto, con la massima naturalezza.”
“E tu perché ti sei messo con zia Pina?”
“Ah, questa è la domanda.”
“E la risposta?”
“La risposta è la storia.”
“Nel senso che sarebbe troppo difficile spiegarmelo?”
“No, no, te lo dico subito e in poche parole:  perché era il contrario di tutto quello che conoscevo.”
“Ma non è stancante, zia Pina?”
“Certo, ma se fossi sposato con una che è uguale a me, ti rendi conto che noia sarebbe la mia vita?”
“Allora cerchiamo sempre quello che non abbiamo?”
“In parte, niente nella vita è completo o totale, vedrai che anche tu cerchi tua madre nella donna che vorrai sposare, ma poi, se fosse troppo simile, dopo non la sopporteresti.”

Una mattina, mentre si cambiavano, prima del lavoro, Mario chiese a Zio Henry:
“E il governo inglese com’è?”
“Insomma... meglio di quello italiano, direi, il che non è difficile, ma penso che potrebbe essere migliore.”
“In che cosa è migliore?”
“È più serio.”
“In cosa è peggiore?”
“Beh, è troppo serio.”

Una sera, passeggiando per la città deserta Mario gli chiese:
“E Ann com’è?”
“Nel senso: se ha un fidanzato o no?”
“No, che c’entra? Volevo solo sapere se è come zia Pina o come te...”
“È come la fusione dei nostri caratteri e l’opposto di noi due, i giovani sono già un altro mondo a sé stante, anche se sono cresciuti con noi.
Il fidanzato ce lo ha già, comunque.”
“È simpatica e carina, zio, ma io non ci pensavo per niente e poi ti somiglia troppo.”
“Fisicamente sì, ma il carattere è più quello di tua zia Pina, forse se fosse nato un maschio sarebbe successo il contrario.”

All’aeroporto di Gatwick, a Londra, prima di partire per l’Italia, per la morte di suo padre, Mario chiese a Henry:
“Tu ci credi alla patria?”
“Io no.”
“Perché?”
“Una volta sono stato in Brasile, a trovare dei parenti, a S.Paulo, al Memoriale dell’Immigrato, in una bacheca c’era la risposta di un emigrante italiano ad un ministro (anche quello italiano):

-Cosa intende per nazione, signor Ministro? Una massa di infelici? Piantiamo grano ma non mangiamo pane bianco. Coltiviamo la vite, ma non beviamo il vino. Alleviamo animali, ma non mangiamo carne. Ciò nonostante voi ci consigliate di non abbandonare la nostra Patria. Ma è una Patria la terra dove non si riesce a vivere del proprio lavoro?-

Ecco perché non credo alla patria, sono solo discorsi, per manipolare la gente ignorante, i fatti sono altri e assai differenti.”
“Bello.”
“Bello sì, ma anche brutto, se ci pensi.”
“E la domanda del ministro qual’era stata?”
“Beh, qui, a differenza dell’altra volta, la domanda è la storia, Mario, e pure la geografia, per come la vedo io.”




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