venerdì 15 luglio 2011

MORIRE PER DELLE IDEE

La casa del professore Pinuccio Bini è foderata di libri e quadri, roba vecchia ma senza valore storico, se non per lui.
Le migliaia di dischi in vinile si notano subito entrando a sinistra, nel tinello che è anche studio e biblioteca.
I CD sono poche centinaia e occupano anche assai meno spazio.
È un grande appassionato di musica italiana, conosce tutti i cantautori di oggi e di ieri, da Dalla a Pelosi, Vecchioni, Locasciulli e Lolli, Rocchi, Gaber, Jannacci e perfino Kaballà.
Il professore insegna filosofia e storia alle scuole superiori, ma da’ anche lezioni private.
Lo sa bene che la gente non legge più, leggeva poco anche prima, che i computer e le larghe bande stanno diminuendo l’uso dei libri, che i giovani sono sempre meno attratti dalle materie di scuola.
Vivere nel terzo millennio per lui è una sfida giornaliera, però ci si diverte anche, ogni tanto.
Il suo cimento più consistente è rappresentato da Ugo Dati, che viene due volte alla settimana a casa sua per tentare di sviluppare in romanesco il pensiero dei filosofi, più le improbabili ma necessarie e conseguenti riflessioni, mandato a spinta da suo padre Teodoro, vecchio amico e collega, assai preoccupato per la sua mancanza di ideali.

Le sue lezioni hanno sempre musica di sottofondo, non tanto alta da disturbare, ma nei momenti di silenzio si possono distinguere le voci di Francesco De Gregori, Antonello Venditti prima maniera, Fabrizio De André, Ivano Fossati e così via.
La lezione parte sempre dal commento di una canzone, ascoltata a volume più alto.
Oggi Ugo entra e sente:


Da un mese sto insegnando in una scuola media

un mese fa studente, e adesso ho il potere, ma...



Ho conosciuto Baradel, che non sta fermo dietro il banco.

Non scrive i temi Baradel, perché compone nella testa.

Sei già schedato Baradel, sei ripetente Baradel

e ti han bocciato, tu lo sai, perché non rispondevi mai.

Hai fatto bene Baradel, non si risponde a chi vorrebbe

fare di te quello che lui si è messo in testa per paura.

Ma io ti parlo Baradel, non ti istruisco Baradel,

tu mi rispondi perché sai che non ti giudicherò mai.

Ma il preside dagli occhi morali di chi non fa mai l'amore

ha controllato temi e registri vari e ha deciso che così non va.

Io me ne frego Baradel, però ti dico chi domanda.

Non gira il vento Baradel, attento da che parte spira.

Nell'oro c'è la storia antica, la storia poi non è cambiata.

Menenio Agrippa conta palle che un certo Kissinger ripete.



È morto Allende Baradel, ci son le bombe dei padroni,

e chi li serve accusa me di far politica anche a scuola.

I vostri banchi in mezzo al mondo, i vostri temi poesie.

L'ortografia violentata dal voto non è vendicata.

È primavera Baradel, Pablo Neruda in classe muore.

Ai tuoi compagni Baradel, la vita scoppia nelle mani.

Vi ho portati un po' a giocare nel prato che c'è lì davanti,

e non ho chiesto alcun permesso perché credevo fosse giusto.

Ma il boia con quegli occhi morali di chi non fa mai l'amore

ha scritto che ho commesso peccato grave: ho preso e dato troppa libertà.



Mi han trasferito Baradel, ha dunque vinto quel bastardo.

Ti stangheranno Baradel, è proprio questo che ci vuole.

Non sei un servo Baradel, e non fai comodo lo sai,

perché tu porti in mezzo ai banchi la lotta che non si fa mai.

Mordi le labbra Baradel, quando hanno voglia che tu parli,

e grida sempre Baradel, se ti si impone di tacere.

Impara a scrivere per te e non ti fare emarginare.

La mela marcia sparirà, il verme poi sarà farfalla.

Non sei un servo Baradel, e non fai comodo lo sai,

ma porta sempre in mezzo ai banchi la lotta che non si fa mai.
 
“Che ti sei segnato, Ugo?”
“Quarche imputte, professó.”
“Bene, allora questa era ‘Baradel’, anno 1976, scritta ed eseguita da un cantautore torinese, Enzo Maolucci.
Non ti è piaciuta?”
“ ‘nzomma...”
“Ecco, lo sapevo. Ti pare di assomigliare a questo allievo del professore della canzone?”
“Manco pe’nniente.”
“Ed io assomiglio al professore, o no?”
“Nun me bare broprio.”
“Allora secondo te, fra noi e loro non c’è nessuna attinenza?”
“I tempi só cambiadi, professó...”
“Questo è vero, hai notato qualcos’altro?”
“Nun sabrei...”
“Ugo, prova a parlare in italiano, lascia perdere per un po’ il dialetto romanesco, è simpatico e tutto, ma noi dobbiamo parlare in italiano, va bene?”
“Vabbè... va bene professó... re.”
“Che ti sei segnato lì?”
“Niente, le cose che devo fare dopo la lezione.”
“Bravo, tu pensa sempre a qualcos’altro, è la bandiera della tua generazione, non vivere mai il presente, scappare sempre con la mente, posteggiare il corpo in divieto di sosta, fare tutto insieme e alla svelta, possibilmente male, ma senza mai terminare nulla.”
(Silenzio)
“Secondo te la filosofia è morta?”
“Professó segondo me, nun è manco nata.”
“Bravissimo, ma il tuo punto di vista magari è solo personale, non ha quel certo abbordaggio di visione d’assieme, che sarebbe consigliabile, in questo caso.
Ed è proprio da un punto di vista personale, che alcuni dicono che la filosofia è morta, dal momento che Carlo Marx ci ha lasciato, secondo alcuni l’unico filosofo che oltre al catalogare l’umanità e deliberare le possibili soluzioni ai suoi guai, aveva cercato di cambiare il corso delle cose.”
“E invece gli altri?”
“Ecco, questo è il punto: anche gli altri filosofi ci hanno mostrato, oltre alle diverse istruzioni di come comportarsi nella vita, anche il loro esempio personale e confrontando la loro teoria con la loro pratica, possiamo capire, qualcosa d’importante che potremo applicare, se vogliamo, nel nostro quotidiano.”
“A me pare una perdita di tempo, professó. Se posso esprimere la mia opinione di ghi nun ha mai fatto gnente del genere, o che magari mai si sognerà di farlo.”
“Posso non essere d’accordo con quello che hai detto, ma farò di tutto perché tu possa continuare ad esprimere il tuo parere. Chi ha detto per primo  qualcosa del genere?”
“Io non lo so, lo giuro. Se lei lo sa, come mi par di capire, lo dica pure, nun se vergogni. Chi l’ha dddetto?
“Voltaire.”
“Quello del Caffè Voltaire?”
“Beh, in un certo senso sì: il nome della birreria è venuto fuori da un discorso di apertura mentale, che Voltaire fece di tutto per promuovere ai suoi tempi.
Ecco già un altro che ha cercato di cambiare il corso delle cose, oltre a Carlo Marx.”
“Me lo immaginavo.”
“Bravo. Molto tempo prima, i primi filosofi, che però non si chiamavano ancora così, a partire da Talete, ci hanno insegnato non tanto teorie un po’ velleitarie, come l’essenza di tutte le cose, che magari per noi non ha grande rilevanza, ammesso che esista, ma in comune loro avevano qualcos’altro, però.”
“E che cosa, professo’?”
“Era gente che viaggiava e che non lavorava, nel senso stretto.”
“Non lavorare piace anche a me, professó.”
“Bravo! E viaggiare non ti piace?”
“No. Non ho niente contro, intendiamose, ma sono soldi buttati‘vvia, vuoi mette se compri un bello stereo, o un computer novo, che ne so? Qualcosa di ciccioso e solido, nooo?
“Beh, vedo che Bergson aveva proprio ragione.”
“E de ghe? E chi è ‘sto Bberso?”
“Un filosofo francese. Diceva che l’essere umano ragiona inevitabilmente in termini di spazio, ma invece è il tempo che ci dà la misura più fedele delle cose della vita...”
“Sarà, ma che c’entra con quello che abbiamo detto mo’?”
“Niente, niente, per ora, poi ci arriviamo.
Ma prima ti stavo parlando di Socrate. Socrate ha detto tante cose e non ne ha scritte nessuna, ma le discuteva con chiunque a partire dal suo principio che un uomo doveva seguire le proprie idee fino in fondo.”
“Sogra nun è guello che hanno avvelenado?”
“Già.”
“E perché lo fecero?”
“Perché si rifiutò di ritrattare, di tradire le proprie idee.”
“Come Galiseo?”
“Sì, come Galileo, ma al contrario.”
“In che senso, professo’?”
“Nel senso che Galileo, per non fare la fine di Giordano Bruno, cioè bruciato sul rogo, disse che aveva scherzato, che il sole non era il centro dell’universo e così via...
Da sempre chi dice la verità deve pagarne un prezzo durissimo.”
“Ma er sole nun è er centro dell’universo!”
“Bravo! E qual’è invece?”
“Boh?”
“Ecco.”
“E chi fu ad avvelenarlo?”
“Chi, Socrate? Il parlamento di Atene. I greci, insomma, che erano avanti su tutti, nei progressi della democrazia... ma forse Socrate era troppo avanti, anche per i più democratici dell’epoca.
Ancor oggi la democrazia è una parola grossa, per un significato piccolo-piccolo.”
“E come no? Ce stava pure ‘na canzone, che parlava di morire per delle idee, mi pare che fosse de Toto Cotugno o de Gianni Nazzaro. Nun me ricordo.”
“Bravo, è vero, ‘Morire per delle idee’  è stato un ritornello di una ironica canzone, né di Toto Cotugno, né di Gianni Nazzaro, piuttosto di Brassens.”
“Chi?”
“Vabbè, in Italia conosciamo la bellissima traduzione di Fabrizio De André.
E per una strana coincidenza è una delle mie preferite, la vogliamo ascoltare?”
“Vai!”

REm    FA      SOL REm     FA       SOL             
Morire per delle idee, l'idea è affascinante
REm     FA   SOL   LA7              REm
per poco io morivo senza averla mai avuta
REm       FA      SOL  REm        FA   SOL 
perché chi ce l'aveva, una folla di gente
REm       FA      SOL    LA7      
gridando "Viva la morte" 
 REm
proprio addosso mi è caduta.
SOLm                DO7
Mi avevano convinto e la mia musa insolente
FA
abiurando i suoi errori, aderì alla loro fede
LA7
dicendomi peraltro in separata sede
    REm
moriamo per delle idee,
   SIb  DO             FA
va bè, ma di morte lenta
   SIb  LA7            REm
va bè, ma di morte lenta

Approfittando di non essere fragilissimi di cuore
andiamo all'altro mondo bighellonando un poco
perché forzando il passo succede che si muore
per delle idee che non han più corso il giorno dopo.
Ora se c'è una cosa amara, desolante
è quella di capire all'ultimo momento
che l'idea giusta era un'altra, un altro movimento
moriamo per delle idee,
va bè, ma di morte lenta
va bè, ma di morte lenta

Gli apostoli di turno che apprezzano il martirio
lo predicano spesso per novant'anni almeno.
Morire per delle idee sarà il caso di dirlo
è il loro scopo di vivere, non sanno farne a meno.
E sotto ogni bandiera li vediamo superare
il buon Matusalemme nella longevità
per conto mio si dicono in tutta intimità
moriamo per delle idee,
va bè, ma di morte lenta
va bè, ma di morte lenta



A chi va poi cercando verità meno fittizie
ogni tipo di setta offre moventi originali
e la scelta è imbarazzante per le vittime novizie
morire per delle idee è molto bello ma per quali.
E il vecchio che si porta già i fiori sulla tomba
vedendole venire dietro il grande stendardo
pensa "speriamo bene che arrivino in ritardo"
moriamo per delle idee,
va bè, ma di morte lenta
va bè, ma di morte lenta

E voi gli sputafuoco e voi i nuovi santi
crepate pure per primi noi vi cediamo il passo
però per gentilezza lasciate vivere gli altri
la vita è grosso modo il loro unico lusso
tanto più che la carogna è già abbastanza attenta
non c'è nessun bisogno di reggerle la falce
basta con le garrote in nome della pace
moriamo per delle idee,
va bè, ma di morte lenta
va bè, ma di morte lenta


“Beh, questa me pare un po’ meio...”
“Eh sì, anche perché stavolta cercavi di ascoltare... Fabrizio era un grande fumatore, come te, con una sigaretta ci accendeva la seguente, senza pause, anche durante i suoi concerti. Sai che l’ho conosciuto?”
“Personalmente? Broprio-proprio?”
“Eh sì, ci ho fatto delle belle chiacchierate, come ora con te, o quasi, quando vivevamo in Sardegna.”
“E com’era? Era brillante, professo’?”
“Beh, non lo so se era brillante, ma era un uomo schietto, spigoloso, molto riflessivo e certo pure capace di morire per delle idee, anche se diceva di essere un vigliacco, non era vero, io non ci credo.
Quasi 2500 anni dopo Socrate, Fabrizio suggeriva, facendoci conoscere la traduzione di Brassens, che magari era meglio se fosse di morte lenta, però, come dice nella canzone.
Socrate invece ha accettato di farlo di schianto, bevendo la cicuta.
Forse-forse ci vuole più coraggio, Fabrizio diceva di sì, ma secondo me  pensava il contrario...
Erano altri tempi, comunque.
Che cosa è cambiato, secondo te,  durante questa porzione di secoli?”
“Hanno inventato la televisione e il computer?”
“Bravo. E il risultato qual è stato?”
“Che si sta più a casa, si esce meno, via...”
“Anche, ma io pensavo piuttosto che la questione di principio ha sempre meno valore, oggi si dice tutto e il contrario di tutto.
Si parla addirittura della morte della verità, eppure, sotto la superficie, la verità esiste ancora, anche se la gente non se ne interessa più.”
“Perché?”
“Perché i contenuti sono andati a farsi friggere, ora sono le apparenze che contano. A te, Ugo, ti pare un miglioramento o un peggioramento?”
“Un miglioramento, professo’, nun c’è da sbagliasse!”
“Molto bene, ma come giustificheresti la tua affermazione, se qualcuno te lo chiedesse?”
“Facile: è più rapido e quindi più efficace.”
“In che senso, scusa?”
“In tutti i sensi, professo’, quei contenuti lllà sono una barba mortale, chi ha voglia di stasseli a lègge? L’apparenza in un secondo ti dice tutto quello che c’è da sapere... mi corregga se sbaglio, il mondo è cambiato e sta cambiando ancora, e per fortuna, digo io!
“Molto bene, la lezione è finita.”
“Ma mancano ancora dieci minuti...”
“Li recuperiamo la prossima volta, devo uscire per una cosa urgente. Ti dispiace?”
“Vabbuo’ professo’, non è che tante volte c’è rimasto male di qualcosa che ho dddetto, no?”
“Veramente ho parlato solo io, ci sono rimasto male, semmai, per quello che non hai detto... tutte le cose belle che so che hai dentro e invece tiri fuori solo questa immagine da bulletto de Trastevere...
C’avrei voglia proprio de mannatte affanculo, se lo voi sapé, ma nun lo posso fa’...
Vabbè, pazienza, se vedemo Ughé.”
“Me stia bene professo’. Ma ce lo sa che ‘sto gazzo de filosofia nun è na stronzata come stavo a pensà?”
“No? Bene, Meno male. Ciao.”

‘La vita è tragicomica.’ Pensa il professore scendendo le scale. ‘E Ugo non è così stupido come sembra, il suo bravo cervello ce l’ha, ma non gli hanno ancora insegnato ad usarlo.’
Una volta, quando il suo allievo più resistente era andato in bagno, incuriosito gli aveva fregato il diario, se lo era letto con calma poi a letto, col sottofondo di un disco di Edoardo Bennato:

Do                    Do7          Fa               Do
Si è bella, lo so che è bella, è la mia città
Do                  Do7          Fa     Sol    Sol4    Sol
si è stanca ed ammalata e forse non vivrà
Re-7                  Sol
Si lo so che va di male in peggio
Mi7                           Fa               Fa#dim
si lo so quì è tutto un arrembaggio
Do             Re7                    Sol          Do
qui si dice : tira a campare  tanto niente cambierà.....si dice:
Fa             Do    Mi7            La-
Tira a campare, non cambierà
Fa              Do
tutto passa bene o male
Re7                  Sol
ma per noi non cambierà.....si dice :
Fa              Do   Mi7
Tira a campare , non cambierà
Fa             Do
tutto passa bene o male
Re7                         Sol
ma per noi non cambierà.
Re                     Re7
Io che son nato, io che ho vissuto
Sol                  Re
in mezzo a questa gente
Re                        Re7
io a volte straniero in queste strade
        Sol          La      La4     La
dove non funziona niente....
Mi-7                 La
Si lo so, l'avevo detto io stesso
Fa#7                    Sol           Sol#-
che è sbagliato e che non è giusto
Re              Mi7
che si deve fare qualcosa
La                                Re
ma adesso tu non capirai, se dico :
Sol             Re   Fa#7      Si-
Tira a campare, non capirai
Sol             Re
pure io che son dottore
Mi7             La                      Re
che ho fatto l'università, si dico :
Sol            Re   Fa#7               Si-
tira a campare, è un po’ meglio qua



Sol               Re
qua almeno, bene o male
Mi7                      La
c'è ancora un po’ d'umanità.....
              Re               Sol       Re
E allora dico anch'io : tira a campare
Fa#7     Si-     Sol
è meglio qua, tu che vuoi
Re                Mi7               La
tu che ne sai, tu che non ci hai vissuto mai,




C’era una rubrica, nel diario di Ugo, che traduceva in italiano espressioni romanesche, o meglio, faceva il contrario.
Ne dedusse che Ugo considerasse troppo affettato, o addirittura mezzo finocchio chi parlava l’italiano ufficiale.
Esempio:
“La mia più sublime speranza è che tu defunga per cause di efferata violenza!”
Che tradotto in romanesco era: “Ma vá a morì ammazzado!”
Oppure:
“Decisamente non approvo né te, né i tuoi parenti e relativi antenati, probabilmente morti in poco nobil maniera!”
Che diventava in gergo: “A li mortaccia tua, ahó!”
Eppure la parlata di Ugo, per becera e scontata che sembri, ora preservarla gli pare una bella ribellione.

La sera, cucinandosi un uovo fritto con contorno di ceci in lattina, il professore pensa che la morte lenta per delle idee, che proprio Fabrizio de André ha vissuto in prima persona, può essere peggio di quella veloce.
Vivere in un mondo che cerca la maniera più rapida e lucrativa per fare ogni cosa, includendo quella che dovrebbe essere l’arte, gli pesa sempre di più.
Non capita tutti i giorni di trovare un modo per morire simpaticamente, diceva Giorgio Gaber, che infatti poi è morto di cancro.






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