-
Recentemente mi sono ritrovato con Mauro, dopo decenni e siamo andati a
mangiare in pizzeria da Carmelo, con Emanuele e le rispettive signore, due su
tre già con scadenza. Lì mi ha detto che per lui sono stato il primo amico, in
ordine di tempo. Non ci avevo pensato, forse perché io ce ne avevo già avuti
altri, tra cui Raffaello Paloschi del bar alimentari di S.Marta e mio fratello
Umberto.
- Pensi
sempre ai vecchi tempi?
- Per
forza, la prima metà della mia vita è stata in Italia, la seconda metà però è stata
molto più veloce.
- Levami una curiosità: ma te
vorresti tornare indietro e rimanere in Italia?
- No, a dire il vero non lo so
nemmeno, però questa scelta era stata dettata da tante altre fatte prima.
- Tipo quali?
- Tipo quella di non rimanere in Germania, per esempio.
- Ma anche quella non fu una fuga?
- Più che fughe le chiamerei
ritirate strategiche.
- Allora perché non affronti il
nemico una buona volta?
- Lo affronto solo quando posso
sconfiggerlo o perlomeno andarci alla pari.
- Ma secondo me quando abbandoni
non te ne rendi conto.
- E invece sì. Lo so e sono già
stanco di saperlo.
- E come fai a esserne sicuro?
- Sulla base di esperienze delle situazioni in
questione e di come mi sento io in relazione a quello sviluppo, a tutto ciò che
si è creato come conseguenza delle mie scelte precedenti.
- Fammi un esempio.
- A Berlino mi rendevo conto che
il tipo di vita che facevo era senza sbocchi, non aveva senso, me ne ero
stancato.
- Allora sei tornato in Italia
dove è successa la stessa cosa?
- Sì, ma allora mi sentivo già più
forte, avevo fatto un salto di qualità, apprezzavo di più tante cose
dell'Italia di cui prima non mi rendevo conto.
- Infatti poi non ha funzionato.
-
No, sono cascato di nuovo in una crisi di contenuti, un vuoto di senso.
- Le donne ti hanno deluso e sei è
scappato via?
- Indirettamente sì, ma prima di
tutto mi rendevo sempre più conto della gabbia del lavoro, di quella della
relazione sentimentale, dell’altra della fottuta società che ci obbliga a
determinate cose e ci proibisce le altre...
- Mi pare che tu idealizzi le
persone e le situazioni. E poi ne vieni deluso immancabilmente.
- È vero. Ma l’alternativa è anche
peggio.
- E quale sarebbe?
- Mentire a me stesso.
- Nooo, e allora come fanno gli
altri?
- Imparano a ingannarsi, a essere
meno sensibili, a chiedersi meno spesso quale sia il senso delle cose.
- Secondo te, allora, io faccio
proprio così?
- Non lo so. Dovresti dirmelo te.
- Forse sì. Potresti aver ragione.
- Ecco, ma non ne sei tanto
cosciente, mi pare.
- E chi se ne frega? Se questo poi
significa stare meglio... Forse è solo questione di osare di più.
- Come sarebbe?
- Beh, con le donne per esempio
non ti è mai successo di capire solo dopo, quando non era più possibile, che in
quel determinato caso avresti potuto osare di più e non lo hai fatto?
- Sì, mi è successo diverse volte.
- E dopo che cosa hai fatto?
- Come cosa ho fatto?
- Cosa hai pensato? Ti sei reso
conto di quello che era successo o meglio: che cosa avrebbe potuto succedere e
non era successo?
- Sì, ma dopo molto tempo, oppure
anche poco tempo dopo, ma ormai era tardi.
- Ma subito dopo non hai trovato
una giustificazione o una consolazione?
- Sì, ora che mi ci fai pensare…
ho detto a me stesso che la belloccia in questione era una stupidotta, o che io
non potevo certo far finta di essere quello che non ero.
- Quindi dicendo o pensando così,
non hai ingannato te stesso?
- Forse, magari quelle cose che mi
sono detto erano vere.
- Magari sì, ma se tu avessi fatto
finta per un po’ avresti avuto una risposta più autentica e definitiva.
- Il senno di poi è una scienza
esatta.
IL BENE E IL MALE
Non si può essere al di sopra del
bene e del male, è più facile ed efficace stare al di sotto. Senza dare mai
niente per scontato, osservare e trarre conclusioni, anche provvisorie e poi
metterle in pratica.
Se a qualcosa può servire la
filosofia, è per capire che non c'è nessuno, esseri divini e onnipresenti
inclusi, che si voglia accanire contro di te o che possa risolvere i tuoi
problemi.
Il mare delle leggi delle probabilità,
e la tua eventuale competenza a saperci navigare dentro stabiliscono, in un
ordine che purtroppo - o per fortuna - a noi non è dato di comprendere, la
sequenza di burrasche, venti propizi e bonacce, insomma il bene e il male, che
dovremo… o dovremmo, attraversare e affrontare ogni giorno.
Se un ipotetico marinaio non
sapesse cosa fare, non conoscesse le insidie dell'oceano del bene e del male,
scambierà, l'uno con l'altro. Insomma le secche con gli abissi, le bonacce con
le tempeste e la nave non può andare in porto. Nemmeno con la fortuna più
grande, anzi: chissà perché tutto gli sembrerà sfortuna.
PASQUA
In Brasile la Pasqua la facciamo
il primo Aprile, che fa anche rima, il picnic del lunedì, cioè il Merendino, lo
facciamo il giorno dopo.
Scherzavo, vivo un po’ fuori dal
mondo e il calendario mi frega sempre, come l’orologio. E pensare che ero
contento di aver passato indenne anche la Pasqua, nessuno mi aveva fatto gli
auguri, per me e per la mia famiglia.
Come avevo sospettato che fosse in
avvicinamento la Pasqua?
Beh, appena finito il carnevale,
qua nei supermercati bisogna camminare a testa bassa, ti fanno dei soffitti
bassi fatti di uova di pasqua che ci si passa appena.
A Natale la stessa cosa con i
panettoni.
I brasiliani sono piuttosto bassi
di statura, allora io per passare mi devo chinare, se devo comprare un prodotto
lo posso fare, ma mi fa male la schiena. C'è tanta gente alta anche di origine
tedesca qua nel nostro stato, certo non sono l'unico a considerarlo un assurdo.
E la bestemmia non fa parte della
cultura brasiliana.
FACEBOOK
Anche
io dunque, come tutti gli altri, ho imparato a ingannare me stesso, sennò non
sarei sopravvissuto e Facebook ha anche dei lati positivi, per esempio è un
innegabile veicolo di cultura e di integrazione, selezionando le amicizie
fittizie, se quello che uno desidera è accrescere la propria conoscenza e il
diametro della sua cosiddetta anima.
D’accordo:
per la massa di solito non è così, allora la sua funzione e tendenza diventa il
valorizzare un pettegolezzo e stimolare il battibecco, il bullismo e il rifiuto
delle differenze, di qualsiasi tipo siano. Per le elezioni si raggiunge il
massimo del minimo consentito, e il livello aumenta sempre, cioè diminuisce.
Però
non ci si può mettere una foto di una puppora, figuriamoci se due, anche se è
una copertina di una rivista come Espresso o di un disco di Lucio Battisti.
Tanta
gente che io conosco ha rifiutato Facebook come i computer a suo tempo, secondo
me hanno fatto bene, ma meno ne conosco che abbiano rifiutato i cellulari e gli
smartphones, che quelli sono anche strumenti di lavoro e soprattutto uno se li
porta sempre dietro.
Senza saperlo, poi ho fatto un esperimento su me stesso, stavo dicendo e dentro un ignaro e distratto Facebook. Ho diviso la mia personalità in due parti, Moreno Bartelloni è il mio nome, ma dall’altra parte da qualche anno c’è un personaggio che io pensavo fosse solo fittizio, Anatoli Orrico.
E
mi sbagliavo.
Non
mi ricordo perché avevo creato quest’altra personalità, almeno all'inizio,
forse solo per vedere se era possibile. C’avevo messo una foto in bianconero di
un capo indiano, ma era una faccia scura, in qualche maniera minacciosa, la
gente era spaventata e me lo ha fatto notare Maria Dina, io non me ne ero accorto.
Il
comportamento di Anatoli Orrico era già quasi delineato e differente da quello
di Moreno Bartelloni perché nascondendomi sotto una foto e un nome diverso, non
avevo paura di essere giudicato, quindi rendendomi conto poi che questa foto
del capo indiano mi faceva sembrare in una maniera che non era quello che a me
piaceva, ho cambiato e ho messo la foto con la faccia di Hermeto Pascoal. Si
tratta di un musicista jazz brasiliano molto simpatico, ma sconosciuto in
Europa come in Brasile, almeno in quanto foto, filmati eccetera. Un anziano e
bravissimo polistrumentista che ho visto in diverse interviste e mi è piaciuto
molto per quello che diceva e mi garba anche la sua musica, comunque non
tutta. Ho notato che dimostrava pure una certa autoironia, per
esempio in un programma di interviste, quello di Jo Soares, ha scherzato
dicendo che era sempre stata bello, anche da bambino, ma scherzava e lo
hanno capito tutti. Ha gli occhi storti ed è tutto fuori che carino, assomiglia
a una specie di Babbo Natale con i capelli lunghi bianchi, vestito spesso con
camicette sgargianti, che qualcuno sceglie per lui, perché è quasi cieco. Anche
per questo mi ricorda mia zia Magali e mi ci sono affezionato.
Insomma
questo era il mio primo e duraturo Alter Ego su Facebook, scelto abbastanza per
caso, solo per simpatia, il che non è poco, almeno per me. Era importante anche
che nelle foto fosse ritratto mentre cantava e suonava, questo gli dava un look
da artista che magari mi piaceva in misura supplementare.
Che
cos'è successo poi?
Dopo
un certo periodo, la routine di Facebook mi ha portato a rendermi conto che
tutte le volte che dovevo pubblicare qualcosa che mi lasciava dei dubbi, che mi
faceva temere qualche rischio, qualche critica, lo facevo fare ad Anatoli
Orrico. E allora anche quando facevo delle battute, cose stravaganti che mi
venivano poi naturali, non so perché, impersonavo lui. Attualmente succede
anche che quando sono Moreno Bartelloni capita che io vada dall'altra parte,
quando mi viene in mente qualcosa di più bizzarro. Anatoli pubblica meno,
faccio più cose con il mio nome vero, e la mia relativa foto vera e attuale, ma
mi sta molto più simpatico l’Orrico del Bartelloni, è molto più sincero e
spontaneo, mi garba di più insomma. E non solo a me, quando è il suo compleanno
a decine gli fanno gli auguri sebbene ogni volta io dica che il compleanno è
inventato e lui non esiste, è un personaggio fittizio, la gente se ne frega,
gli auguri arrivano a vagonate. Oltretutto anche i pezzi musicali che mette lui
sono migliori e non capisco perché. Forse perché lui è un musicista e io no, è
logico che se ne intenda di più e meglio.
In
precedenza c’ho avuto anche la foto di un koala, per Moreno Bartelloni, ed era
carino assai, ma ho finito per concludere che era ambiguo. Come poi Laszlo
Vaccariello, effimero terzo profilo, più intellettuale di Anatoli, certo meno
rude e anche un po’ più fighettino di Moreno, forse influenzato dal nome e
dalla foto, di non mi ricordo chi. Me lo hanno scoperto quasi subito però, e me
lo hanno chiuso, ma mi mandano inviti e riferimenti costanti a lui che non
riesco ad evitare, quasi come a prendermi in giro, ma non credo, è solo una
delle tante loro automazioni che non funzionano. E non possono impedirmi di
usare questo pseudonimo per i proverbi e le frasi fondamentali che invento ogni
tanto.
Diciamo
pure che nella vita mi sento anche troppo plurale, dentro di me c’è una tribù
che sta eleggendo continuamente - e a suon di mazzate - il nuovo capo, lo
stregone e lo scemo del villaggio.
A
proposito di inganni e di quello che non riesci a cancellare del tuo passato,
in una certa epoca ho dovuto aprire un altro Moreno Bartelloni, perché il mio
non me lo lasciavano più usare. Mi chiedevano oltre alla password di quando
avevo aperto il profilo, la data esatta, o altre cose che nessuno potrebbe
rispondere, a meno che non fosse un perfetto idiota che si segna anche quanti
rotoli di carta igienica e di quale marca ha usato nell’ultimo decennio o cose
del genere.
Così
hanno fatto anche con Laszlo Vaccariello, non me l’hanno chiuso dicendo che me
lo chiudevano, mi hanno fatto un test per vedere se ero proprio io e pur
essendolo innegabilmente, sennò non vedo chi, non avrei potuto rispondere a
quelle domande ipocritamente progettate per non aver risposta.
Quando
sono riuscito a riaprire il mio Moreno Bartelloni originale quell’altro non mi
serviva più. Ma su quello vero mio, a suo tempo fatto in Brasile, ero riuscito
a non mettere la data del compleanno, perché mi rompono le scatole i
compleanni, e non parlo solo del mio.
Forse
perché significa un anno di vita in meno e uno in più di romantici ricordi,
oppure giacché Mara Dina è fissata con il ricordarsi e fare l’obbligatorio
regalo a tutta la gente che conosce. Non è affatto poca, il che significa
praticamente uno o due regali da fare 365 giorni all’anno, tutti gli anni, per
tutta la vita, eventuali reincarnazioni incluse, magari auspicherei da
patteggiare.
Bene,
anzi male, il secondo profilo di Moreno Bartelloni, forse perché fatto in
Italia, ha avuto la data del compleanno automatica e l’avviso di ogni dannato
gancio di questo secondo profilo sulla cassa dei messaggi Gmail.
Ho
scoperto che il contrappasso non c’è solo nell’inferno, ecco vagonate di auguri
inarrestabili e cinquantine di avvisi su Gmail per ognuno di essi.
Con
il tempo poi ho notato, che senza volerlo mi sto trasformando, anche
fisicamente in Anatoli Orrico.
APPUNTI
E ANNOTAZIONI
“Finalmente
gli appunti che avevo preso cominciano a servirmi. Ho deciso che in un secondo
momento quelli che scrivo su un quaderno, appena sono abbastanza, poi
sviluppati e ampliati, saranno il mio libro.
Non
lo so se saranno racconti, magari un diario, o in un terzo o quarto momento
butterò via tutto, per ora sono solo idee.”
“Una
buona idea.”
“Di
buttarle via?
No.
Meglio se non mi rispondi stavolta, per carità.
Stavo
dicendo che me ne fregherò di tutto e di tutti e passerò a raccontare una
storia a me stesso, perché lo so che non interessa a nessuno e non mi garba
insistere.
Te
ne frega niente a te?
Meglio
che non mi rispondi, neanche stavolta.
Sono
proprio le storie che non interessano più, in generale, ora la gente non ha più
tempo per le cose lunghe, si vive di mezze robe spezzate e di interruzioni
frequenti e ripetute, si taglia ogni immaginazione prima che ci possa far
perdere tempo, che il tempo - anche se non è denaro - molti lo credono
indirettamente imparentato, quindi farci perdere qualcosa che non abbiamo mai
avuto significa farci del male, dimenticando che ci potrebbe fare anche del
bene.”
“Con
il solito beneficio dell’inventario: ma che senso ha raccontare una storia a sé
stessi?”
“È
una domanda retorica?”
“Sì,
cioè no, ma fa lo stesso. Tu fai finta di niente per favore e rispondimi. Più o
meno come se fosse stata una domanda pertinente.”
“Beh,
sei libero di non crederci, ma ho scoperto che scrivendo vengono fuori
particolari nuovi, che c’erano anche prima, ci sono sempre stati, non dico di
no, ma non avevo avuto tempo e modo di accorgermene.
Non
so se inconsciamente è per calcolo, ma per me la strada più difficile è sempre
stata la preferita. Per questo dico che non mi piace il romanzo, che il
racconto mi rispecchia di più, e mi ostino a cercare di scrivere romanzi.”
“Invano?”
“No,
è vero che poi li cestino, ma prima li smembro e ci faccio dei racconti. Oppure
metto insieme dei racconti e dopo ci faccio dei romanzi. Insomma uno schifo
reciproco, oppure se vuoi pure scambievole, il racconto e il romanzo non sono
mai stati nemici, dove sta scritto? No, no, possono anche simbolicamente fare a
cazzotti, ma in fondo si vogliono bene, non sono complementari, vabbene, ma non
sono neanche in concorrenza.”
“Ah
no?”
“No.
Il racconto offre un sacco di possibilità dinamiche in più, rispetto al
romanzo, perché non c’è bisogno di spiegare così tanto, le descrizioni fanno
addormentare, io c’ho già sonno di mio, anche quando devo solo leggere quelle
degli altri, per questo il poliziesco mi garba di più, perché è sbrigativo e
compatto come un uovo e bada al sodo.
Insomma
il racconto non ha una lunghezza prestabilita e quando uno, come me, non ha più
voglia di scriverlo ne comincia un altro. Lo stesso per chi legge.”
FACCE
“Facebook ricalca la voglia popolare di esprimere il proprio parere senza conoscere i fatti, ma dall’altro lato è un veicolo di cultura, tutto sta saperlo usare.”
“Beh,
una bella cosa Facebook ce l'ha, puoi far sparire qualcuno con un click,
altrimenti sarebbe molto più faticoso.”
“Lo sai che ogni tanto penso che non mi sarebbe piaciuto incontrare me stesso quando ero giovane, mi sarei rimasto antipatico di sicuro. Invece ora, come sono ora, voglio dire, mi piaccio come essere umano e mi garberebbe trovare uno come me, uno che avesse tante storie da raccontare e nessuno che lo ascolta.
Per questo uno scrive, così poi
nessuno lo legge.
Indipendentemente dagli altri, per
me le storie partono dalle frasi, quelle che fanno riflettere, da paesaggi di
luoghi che ho visitato, o che vorrei visitare, o che mi piace semplicemente
immaginare, che esistano o no, a volte sono un misto di queste cose.
E poi le facce, sono il più grande
osservatore di facce che io conosca, la mia stessa facciona la osservo con
curiosità, quello che mi salva è che ho bisogno di uno specchio, non ce n’è
sempre uno a disposizione.
Però, quante facce ho
immagazzinato dentro di me?
Tante, tantissime, forse troppe,
meno male che sono divise per tipo, in fondo i generi umani si rifanno a
modelli generali, non solo dal punto di vista estetico, ma anche dal loro
movimento, di cui fanno parte le espressioni, le smorfie... tutto quello che
rispecchia i sentimenti, ma anche la maniera di mostrarsi indifferenti. Il modo
di fare di una persona si concentra specialmente nella sua faccia.
Tutto questo archivio di volti
umani, in me ha volontà propria, le facce si incrociano e si riconoscono nella
mia memoria, nel confronto giornaliero con quelle in movimento, nella presa
diretta della vita... ma credo che quando poi le immagino e le scrivo, gli
faccio vivere un’avventura, allora sono più contente e si agitano meno nella
mia testa.
Allora mi sento meglio, si fa per
dire, più in pace con la natura, con il mondo intero, di conseguenza, tra
virgolette.”
“Di storie però oggi non me ne hai
ancora raccontata una.”
“Allora ci sarebbe questa: l’acqua
arriva con una piccola deviazione dal fosso in muratura che poi va al Mulin di
Cima, dopo si divide in due, prima di entrare nella Certosa, dopo esce e prende
anche dei nomi, diventando la Gora e il Rio. Il bacino artificiale è quadrato,
foderato con un materiale plastico speciale e sembra abbastanza profondo, c’è
anche una scaletta di corda che scende giù, probabilmente marcia. Tempo fa
c’era un allevamento di pesci, forse di trote. Una volta uno dei miei cani ci
si è buttato, ma dopo non riusciva a risalire e l’ho dovuto tirare su io.
Insomma in questo bacino ora ci sono rimasti, per caso due pesci abbastanza
grossi, forse di un chilo l’uno o meglio l’una, perché mi sembrano carpe.
Ho pensato di pescarle e di
portarle al fiume, ma forse stanno meglio lì, ormai sono anni che se ne stanno
lì da sole e dimenticate, forse è proprio quello che volevano. È circondato da
erba e alberi, si sono cresciute le alghe e si è creato un ambiente naturale,
ci cascano insetti e vermi, ci sono animaletti palustri anche dentro, come in
un laghetto. Il bacino dovrebbe servire per prendere acqua per gli eventuali
incendi, è recintato con la rete metallica e non so se è mai stato usato per
quello scopo, ma d’estate si prosciuga fino a metà o quasi, quando dal fosso
non arriva più acqua.
Inevitabile il paragone con una
prigione, magari mezza di lusso, ma onestamente non so se gli farei del bene a
portarle nel fiume. Per prenderle potrei ferirle e quindi fargli del male”
“E la morale quale sarebbe?”
“Un parallelo, forse, con la
nostra vita, quanto siamo poco importanti e non ce ne accorgiamo, pensiamo di
essere fondamentali e ci spostano e ci manipolano come vogliono.”
“Ma chi?”
“Le avversità naturali, il nostro
ambiente malato, gli stessi meccanismi della natura, Dio o chi per lui, i
ricchi e i potenti, le multinazionali e le banche, la dittatoriale quanto
sedicente democrazia, la psicopatia fisiologica della modernità, è lo stesso,
alla fine il risultato non cambia tanto.”
“Ti sei dimenticato delle stelle,
dei pianeti e dell’universo che si dilata.”
“Infatti, mettiamoci anche quello,
una meteorite indisciplinata e addio sogni di gloria! Se siamo attaccati da
tutti i lati, come possiamo difenderci?”
“Con una buona filosofia?”
“Ecco.”
“E come possiamo riconoscerne una
valida?”
“La gente cerca delle risposte, di
solito. Invece ci vogliono delle domande, le risposte arrivano dopo, con una
certa calma; ma prima si devono scegliere le domande giuste, per eliminare
tutto quello che non serve e vivere nella maniera più naturale, senza tutti
quei beni superflui indotti dalla società. Che sono tanti oppure eccessivi. In
alcuni casi, piuttosto spesso, questi beni ci abituano a una vita troppo
confortevole e si atrofizzano le sane abitudini spontanee dell’uomo a contatto
con la sua debita natura.”
“Lo sapevo che saresti andato a
cascare sulla filosofia.”
“Per forza, la filosofia è tutto,
anche e soprattutto quando non se ne sa niente e si stabilisce una specie di
codice di comportamento.”
“Sì, però che palle…”
“Possiamo parlare di cose più
terra-terra, tipo: perché le cose preziose sono le più difficili da trovare?”
“Come le persone simpatiche e
gradevoli?”
“Insomma è un rapporto scambievole
di causa ed effetto, quelli si mischiano e si confondono, non si sa chi ha
cominciato per primo. E alla fine non ha nemmeno importanza.”
COME MAI?
“A volte mi chiedo il perché delle
cose.”
“Quali cose?”
“Tutte.”
“Non capisco.”
“Vedi, finché mi mantengo su
un’indagine generale tutto funziona e quadra a mio ordine e capriccio.”
“Sì…”
“Se però entro nel singolo caso,
le cose cambiano, mi sorprendo con una grande voglia di uscirne.”
“Beh…”
“Nutrire dei dubbi è
caratteristica della persona intelligente, nel mio caso mi pare però che siano
un po’ troppo affamati.”
“Effettivamente…”
“Allora mi lascio prendere da
quella sensazione, sempre più tangibile, che non serva a niente.”
“Cosa?”
“Non è che il senso della vita
solo ora, magari provvisoriamente, mi sia sfuggito. Mi rendo proprio conto che
io storicamente non l’ho mai preso.”
“Ah…”
“Magari il guaio è che ne ho
trovati diversi, forse troppi.”
“Sì?”
“Però ogni giorno mi sorprendo a
pensare al perché delle cose, al come mai, o anche al poiché. O forse no…”
“No?”
“No, non mi sorprendo: mi
sorprendevo. Magari è proprio questo il problema, non mi stupisco più come
dovrei. Una volta era una cosa che mi riusciva meglio.””
EMIGRAZIONE
Intanto e
invece io passavo di palo in frasca, cercando un’indipendenza anche nel lavoro,
fino ad arrivare in Brasile ed estrapolandomi lentamente dalle classi, vivendo
di lezioni private di italiano, investivo sulla libertà e la letteratura,
cominciando qua a portare le storie fino in fondo e finalmente a scrivere dei
libri interi.
Anche il
Caffè Voltaire, in precedenza, mi aveva portato lontano dalla mentalità comune,
vivendo di notte e dormendo di giorno bevendo tutti i giorni, ma allontanandomi sempre più dagli ubriachi, fino a
smetterla con gli alcoolici già in Brasile, poi con le sigarette, trovata la
seconda moglie, quella più paziente che rispettava la mia pazza indipendenza
fino poi a fuggire via, ma intanto erano passati venti anni.
Non sono un emigrante comune, me
ne sono andato dall’Italia un po’ per noia, un po’ per cercare d’imparare
qualcosa di nuovo. Viaggiare è stata una passione che mio padre mi ha
trasmesso, a volte quasi a manate. Da piccolo ha cominciato a portarci in giro,
anche per forza, io mi ribellavo e non volevo andarci, ma lui sapeva che era
solo per contrariarlo e mi obbligava. Poi, ogni volta, mi piaceva tantissimo,
ma non volevo dargli soddisfazione.
Lo spazio è importante, come il
tempo, sono sempre legati e relativi l’uno all’altro, viaggiando e vivendo in
un paese che non è il nostro si ampliano gli orizzonti, si trascende il limite
di spazio e il tempo diviene anche più malleabile.
Se uno resta sempre sul posto, non
si rende conto né che il tempo passa, né che altrove è differente, cioè non sa
come è il mondo, in sostanza non conosce la vita. La nostra città, il buco dove
siamo nati, ci anestetizza e ci fa sembrare tutto normale, indolore, incolore,
senza stimoli. Trascendendo i propri limiti si impara di più, questo non
significa che la nostra vita diventi più facile, ma certo più interessante.
La maggior parte vive nell’altra
maniera, non significa che non possa essere soddisfatta, ma che s’inganna di
più, rispetto al piano generale.
Non so quando, ma a un certo
punto, o un poco alla volta, ho capito che quella realtà non era l’unica, se lo
fosse stato io mi sarei rassegnato, forse, a non scrivere, il che può anche non
essere necessariamente una tragedia, ma certo a vivere trascinando i giorni in
una maniera insoddisfatta.
Ho scoperto che potevo interferire
sul mio destino, che potevo cambiare le carte in tavola, che potevo conoscere
persone che vivevano meno stancamente.
Quando sono a letto e non mi
addormento facilmente, cosa niente affatto rara, vado a cercare conforto nelle
cose del passato remoto, nei ricordi nebbiosi e lontani, almeno mi sento bene e
- anche se non dormo - la respirazione prende un ritmo più umano, più a misura
di polmoni conosciuti e rassicuranti.
Non ho potuto fare a meno di
notare che le idee migliori mi vengono quando sono sdraiato e al buio, forse
perché così non le posso annotare. Quelle che leggete qui ora sono solo una
seconda o terza scelta, un ricordo ormai assai sfocato di quelle belle frasi,
complete di virgole e punti, che mi sono automaticamente dimenticato appena
infilate le ciabatte. Svanite che mi sono dalla mente, una volta che sto con la
vorace penna in mano, o addirittura davanti al computer acceso e scalpitante,
trepido e impaziente mi scopro piuttosto incapace, scrivo l'elenco della spesa
da fare al supermercato, dimenticandomi che poi non ho nemmeno la stampante.
L'uomo è nevrotico. E il fenomeno
non riguarda soltanto me o un limitato numero di casi, è l'umanità, in sé, a
essere nevrotica. Il problema non è quindi quello di prendersi cura di alcuni
individui; si tratta di curare l'umanità in quanto tale. La nevrosi è la
condizione dell'uomo poiché ciascuno attraversa un'esperienza educativa
condizionante. Non gli si consente di essere semplicemente quello che è... no,
ognuno si sforza invano di sembrare normale, ma non lo è, la normalità è una
convenzione scomoda per tutti.
Personalmente non sono uno
specialista, ma solo figlio di uno che in vita lo è stato e modestamente la
nostra casa era nel bel mezzo del recinto dell'Ospedale Psichiatrico di
Miggiano. Figurarsi che mi hanno chiamato poi a fare lo scrutatore per tre
volte nello stesso manicomio, dove anche i pazienti votano, come ovunque in
Italia, giacché è difficile stabilire con certezza se una persona è incapace
d'intendere e di volere.
A mio modesto parere quasi nessuna
lo è, anche se a vari e distinti livelli, il voto e i suoi stessi risultati
sono una manifestazione di questa mia teoria, piuttosto difficilotta da
dimostrare.
Bisognerebbe fare prima
dell'improbabile autocritica e sarebbe pure una salutare ginnastica, ma
purtroppo preclusa ai più, per la stessa tendenza auto-affermativa della
società e quindi di riflesso dell'individuo, o viceversa. Causa ed effetto
girano a loro piacere, si scambiano il posto, in questo caso, ma anche in altri
che non sto qui a spiegare, io stesso non li capisco.
A mio favore c'è anche la famosa
legge Basaglia, ma forse avrebbe liberato meglio i pazzi dai manicomi, se
avesse dichiarato apertamente l'inutilità degli stessi, visto che fuori ci sono
più e migliori matti che dentro. Gente che fa dei danni allargati anche a
livelli regionali, nazionali e internazionali. Stendiamo un velo pietroso, ci
vogliono dei macigni, eventualmente marmorei e apuani.
La menzogna è un passato senza eccessivi
testimoni, si potrebbe anche dire, se qualcuno ci ascoltasse, ma non è questo
il nostro caso attuale. Almeno negli ultimi decenni, tutti parlano, ma
l'importante è che nessuno ascolta veramente, qualcuno fa finta. Ogni tanto
qualche parola, esigue parti di frase, più raramente un'ombra di concetto,
trapelano tra le dichiarazioni auto-celebrative, perché sfuggono al loro
controllo, distratti da cose effettivamente assai più importanti.
Mio padre tecnicamente non era affatto
bugiardo, era solo piuttosto esagerato. La parte migliore veniva quando, dopo
aver gonfiato a dismisura la sua storia, chiedeva relativa conferma a mia
madre, che pur senza eccessivo entusiasmo assentiva e poi cercava
ripetutamente, ma invano, di cambiare argomento. Noi bambini qualche volta
siamo intervenuti in quei discorsi da grandi, pur non direttamente
interpellati, per puntualizzare le effettive misure di quelle situazioni alle
quali avevamo casualmente e nostro malgrado partecipato. Ci hanno sempre e
malamente scoraggiato però, anche se non ne abbiamo capito bene il motivo ci
siamo adeguati a tacere, soffrivamo, come mia madre, ma in silenzio.
Una volta adulto non sono affatto
diventato un intellettuale, per carità, né un antropologo, no, però mi
sorprendo spesso a studiare il comportamento umano. Come ieri al banchetto dei
libri usati, nell'omonima piazzetta poco frequentata. Quasi senza accorgermene
mi sono progressivamente avvicinato a quei due, apparentemente attirato dai
volumi grossi e pieni di pagine, che invece non avrei mai comprato giacché
assai poco pratici da leggere a letto. Solo per ascoltare quel dialogo seduto
tra la commessa e un suo amico barbuto con l'accento sudista. Parlavano di
amore senza mai nominarlo, di vibrazioni ricordandone spesso la natura tremula
e incontrollabile. Mi sono incuriosito, all'inizio senza rendermene conto, ma
mi muovevo già in loro direzione.
Uno strano fenomeno si stava
verificando, mentre io senza fingere credevo d'interessarmi davvero a quei
pesantissimi tomi lì accanto, i due parlavano a turno, forse di rapporti tra
uomini e donne, di casi specifici ai quali avevano preso parte attiva. Senza
interrompersi però, né cambiare continuamente argomento, sembravano addirittura
ascoltarsi a vicenda e per sincerarmene, ogni tanto, da qualche finestrella
trai libri degli scaffali, ne scrutavo attentamente le facce, che parevano
autenticamente assorte, dalla maniera di guardarsi negli occhi e dalle prossime
e relative orecchie persino seguire le vibrazioni tra le righe delle
scambievoli frasi. Un tenero affresco dei tempi che furono: commentavano a tono
quello che avevano poc'anzi udito, e niente affatto a sproposito. Non voglio
entrare nel merito dell'intelligenza delle loro affermazioni, ma era tanto
tempo che non assistevo a uno spettacolo così ammirevole, che quei libroni
enormi che non avrei accettato nemmeno in regalo, per una qualche proprietà
transitiva, improvvisamente mi sembravano cose rare e auspicabili perfino per
una futura lettura, o anche solo per guardare le figure. Io stesso, che come
attore sono il peggiore che conosco, dovevo parere così assorbito da
quell'indagine letteraria, che loro non ci hanno fatto caso più di tanto, anche
se ero a un metro e mezzo di distanza, hanno continuato a confessarsi i
reciproci fatti personali più intimi totalmente a loro agio, finché lui se n'è
andato e io ho comprato una monumentale storia degli ebrei di Mordecai Cohen
Vicarello, solo per quattro euri, perché la copertina era rovinata e mancavano
sei pagine strappate. Mi sono avviato verso la macchina schiacciato da quel
peso non indifferente, è vero, ma alleggerito in tutti gli altri sensi.
La storia illustrata degli ebrei
mi ha sempre affascinato, a suo tempo me ne avevano prestata una bellissima in
portoghese, piena di foto, pitture, papiri e testimonianze. Però avevo fatto
l'errore di restituirla, anche sapendo che al proprietario non gliene fregava
niente, non l'aveva e non avrebbe mai letta, si era addirittura scordato di
averne mai posseduta una, cercò perfino di convincermi a tenermela. L'onestà è
una cosa incontrollabile, come la puntualità, non so da chi le ho ereditate, la
colpa credo che sia ancora di mio padre. Certo che una volta erano robe più
scusabili e tollerate, ma ora non più.
Tornando alla letteratura, questa
sconosciuta, riesco a perdonare molti difetti ai libri gialli e a quelli
comici, quelli buoni sono i più difficili da scrivere, ma sono pochi che ci
riescono. Lo stesso ai film corrispondenti. Tolleranza zero ai film d'amore e
alle tragedie, parimenti ai libri da cui sono tratti. È così facile
identificarcisi che si possono fare a occhi chiusi e si assomigliano un po'
tutti. Chi riuscisse poi in un'unica opera a ficcarci dentro tutto, in un
ordine anche sparso ma comprensibile, senza perdersi nel mare dello spazio
siderale, dono tutta la mia massima considerazione, per quel poco che vale, gli
posso perdonare quasi tutto, ma anche in questo caso non posso esagerare.
Premesso ma non concesso che non
interessa a nessuno del mio giudizio, terminerei dicendo che non riesco proprio
a giustificare i film o i libri che ricalcano storie già lette e rifilmate, che
se ne vadano rispettivamente affanculo. Lo so che sono la maggior parte, di
tante o forse troppe disponibili, pazienza. Tutti scrivono e nessuno legge,
tutti filmano e nessuno sa distinguere un pastrocchio d'ingredienti cucinati a
caso da un'opera d'arte.
Meno male che non siamo tutti
uguali, d'accordo, ma non c'era bisogno di esagerare tanto, dico io.
Chi siamo noi si riassume nei
ricordi, poi, il risultato di tante cose passate è quello che oggi vediamo allo
specchio. Riflettere è sinonimo di specchiarsi, in alcuni casi, di vedere il
proprio riflesso, di pensare alla situazione, a sé stessi, alla vita, alla
nostra porzione attuale. Intanto scene del passato spuntano fuori da un quadro,
da un calendario, da un libro, dallo stesso computer, perfino da uno specchio.
Mi riconosco poco in questa
faccia, certo molto di più mi ci ritrovavo quando ero giovinotto, capisco mio
padre che quando si guardava allo specchio si sorprendeva di vedere un vecchio.
Come dicevo prima mio padre era uno specialista della mente umana, di quella
degli altri, che nella sua non ci capiva altrettanto bene.
LA ROTTA
È un eterno ragazzone, capelli
corti a 64 anni non ancora bianchi, un naso invadente, occhi attenti, una certa
tendenza a mettere su pancetta, è vestito in pantaloni corti, cannottiera e
ciabatte. Pensa profondamente prima di rispondere, ma pare che non dica niente
di ciò che ha pensato o forse solo l’ultima cosa che gli è venuta in testa,
quasi improvvisando.
“L’uomo aveva bisogno di una rotta
da seguire, insomma, la cui mancanza anche nella donna provocava disagi.
Fare un passo avanti e due
indietro era forse il destino di tutti, fingere di non ingannarsi era magari un
altro parallelo, purtroppo o per fortuna, a volte anche perpendicolare. Credere
di avere una missione… ma quale? Qua sopra la terra almeno, era una guerra
persa, su altri pianeti non lo sapeva.
Credeva di essere un filosofo e
invece si era perso subito nella pratica di quello che era convinto che fosse
la sua teoria.
Forse aveva capito che l’imbecillità a volte
era più efficace. Che non doveva farsi domande, se ci riusciva, ma così facendo
aveva notato che le risposte tardavano, anzi non arrivavano proprio. Allora
aveva evitato di pensare alle risposte, o almeno si era proposto di farlo, cioè
di non farlo.
A volte l’imbecille viveva meglio
dell’intelligente, almeno qua da noi, perché non si faceva domande e continuava
determinato, alla sua maniera, la propria battaglia navale e se non si
ricordava dove aveva mandato i siluri ce li mandava di nuovo. Ma si poteva
sforzarsi di essere imbecilli a comando?
Lo studio involontario ma continuo
dell’essere umano lo aveva portato a capire che molta gente mentre faceva una
cosa, pensava ad un’altra, una qualsiasi, bastava che non fosse quella. Mentre
succedeva una cosa in un determinato momento, la persona veniva sorpresa pensando
ai cazzi suoi, a un problema o a una soluzione per la sua vita, o di quella di
un altro, o di un’altra.”
DICIAMOCELO
DICENDOCELO
Il presente è detto indicativo proprio perché - al
momento giusto - separa le acque per noi e ci indica da una parte un
passato e dall’altra un futuro.
Ci dice che il passato - per quanto romantico - non è
più; che il futuro - anche se radioso -non è ancora.
Invece il passato, anche se non sempre imperfetto, che
sia prossimo o anche remoto, non ha più energia, ma sulle sue macerie, magari
ancora fumanti, saltella proprio il presente, a indicarci la strada da
scegliere.
Il futuro, non importa se sarà semplice o anteriore,
certo avverrà o sarà avvenuto, ma purtroppo c’è ancora da aspettare.
Anche se a volte ci viene il dubbio, siamo piantati
qua in mezzo e pure se condizionali e congiuntivi vari ci punzecchiano con
ipotesi non sempre realizzabili, pare proprio che esistiamo, effettivamente, in
qualche misteriosa maniera.
Dimentichiamoci quindi, almeno per un po’ di essere professori
d’italiano, o dei sedicenti scrittori: il presente è proprio oggi, ora, in
questo momento.
Però se ci facciamo prendere dall’ansia, il tempo
perde il suo valore, anzi sciupa anche tutto il resto.
La grande contraddizione degli esseri umani è il costante
pensiero della morte, di tempo noi qua ne abbiamo anche troppo, ma se pensiamo
che è una cosa che un giorno finirà, allora pare che ci manchi.
Non
credo di essere uno di quelli che pensano spesso alla morte come un qualcosa in
un certo senso sgradevole.
Se
però considerassi la mia nascita una delle cose migliori che io abbia mai
fatto, ecco che la fine dell’esistenza potrebbe provocarmi un qualche
disappunto.
Non
penso di conoscere la morte, come non abbastanza la vita, la prima però è solo
un momento, l’altra invece ha una durata, perciò è forse preferibile, in quanto
maggiormente interattiva.
A
noi umani il pensiero della fine della vita ci accompagna e c’incuriosisce, se
non sempre, almeno spesso, dalla nascita alla morte.
Uno
strano processo per cui una persona prima c’è e dopo non c’è più.
È
forse una magia?
La
magia crea qualcosa dove in precedenza non c’era, o fa sparire una cosa nel
niente, ma è solo un trucco.
La
filosofia, invece fa capire che quel qualcosa che noi credevamo inesistente
invece esiste, o quello che credevamo esistere - al contrario - non c’è.
Insomma la filosofia è il contrario della magia, o qualcosa del genere.
La
morte dovrebbe essere il contrario della vita, o magari no. Se uno sapesse
quando deve morire, potrebbe organizzarsi meglio? Come quando si va dalla
cartomante e poi ci si fa eccessivamente influenzare dalle sue previsioni.
Allora è meglio saperlo oppure no?
Personalmente
preferisco di no, anche se mi dicessero che morirò esattamente fra
cinquant’anni a partire da adesso.
Sarebbero
cinquant’anni troppo influenzati da questa previsione e poi che fregatura se
non fosse nemmeno vero!
Il
principio di Heisemberg dice che l’osservatore influenza inevitabilmente il
risultato dell’esperimento.
Il
mondo senza di me non sarebbe certo lo stesso, almeno dal mio punto di vista.
Anzi, ho ragione di credere che non esisterebbe nemmeno.
BASTIANI DI VARIO TIPO
Una meditazione può essere utile
nei tempi morti, come in sala d'aspetto dal dentista. Lo so che lì c'è anche la
TV accesa e ci sono altri pazienti che discutono gridando di argomenti poco
interessanti, come di quello che ha detto un presentatore, alla cerimonia degli
oscar, della moglie di Will Smith per meritarsi di prendere uno schiaffo da lui
medesimo.
Ma la gente è proprio di queste
cose che parla e la tua profonda respirazione collegata alla tua vista
strettamente periferica è proprio da queste calamità che dovrebbe proteggerti.
Concentrarsi quindi nella non
concentrazione è un esercizio utile assai, ma piuttosto difficile, anche perché
ti chiederanno inevitabilmente un tuo parere, ma tu farai il finto tonto,
concordando con uno dei conversanti o ripetendo a pappagallo le sue parole
appena dette.
La signora interlocutrice però
prenderà le difese di Will Smith, o del presentatore, non importa. Quello che
le interessa è di essere una bastiancontraria, si capisce subito. Il Dalai Lama
nella tua situazione saprebbe sostenere la sua espressione cortesemente assente
e si manterrebbe neutrale più possibile, ma sentirebbe un certo fisico sollievo
se e quando il dottor Gonzalo lo chiamasse dentro per sottoporlo a un
evidentemente preferibile dolore solo corporale e localizzato.
API
Se le api stiano morendo io non lo
so, ma qui a casa mia ce ne sono tante. Sotto un albero altissimo di cui non so
il nome ma mi sto documentando, sono migliaia e c'è un ronzio che pare di
essere in guerra, con gli aerei bombardieri in arrivo.
I fiori gialli di questa pianta,
che assomiglia a quelle dei film sui dinosauri, che poi sono girati in Patagonia
Cilena, cadono giù e le api li visitano anche a terra. Il cielo attorno è
quello fatto di azzuro intenso, nuvolette bianche e gonfie in lento movimento.
Il ronzio va a ondate, forse dipende dalla brezza. Passa un aereo forse per
farmi sentire la differenza tra i rumori, il suo è un brontolio più forte e
basso.
PORTAFOGLIO
Quando mi faccio avanti baldanzoso
per pagare io per tutti, di solito ho dimenticato il portafoglio a casa se non
l'ho proprio perso.
Mi è successo diverse volte, la prima eravamo
a Viareggio con mio padre e un suo amico, avevamo mangiato in una pizzeria al
taglio, quella che dicevano fosse la migliore della città, una spesa
relativamente bassa. Credo che mio padre pensò che lo avessi fatto apposta, che
sia morto con questo fastidioso dubbio.
A Empoli a fare colazione recentemente ecco la
stessa storia e poi tutto il giorno ha pagato il mio amico Martino, non ero
nemmeno sicuro di non averlo perso, il portafoglio, ma poi l’ho ritrovato a
casa.
Qualche giorno dopo, proprio mentre raccontavo
questi fatti, in un ristorante in fila tra amici per pagare il conto alla
romana, mi sono reso conto che non trovavo più il solito portafoglio ed ero
disperato, perché oltre ai soldi ci avevo anche la carta d'identità brasiliana
e mi trovavo in Italia.
Poi l'avevo messo in una delle
maledette tasche di quei pantaloni, all'altezza delle ginocchia, che mi
dimentico sempre che esistono.
Uno dei miei amici aveva avuto il
sospetto che proprio in quel momento io stessi raccontando quella storia, di quella
cosa che mi succedeva così dannatamente spesso, proprio per far pagare a loro
la mia parte.
Una volta perdevo le chiavi e il
portafoglio con una certa frequenza e senza sforzo, anche contemporaneamente,
con una certa disinvoltura. Ora però gli occhiali sono la mia specialità.
In Brasile è caldo e umido e a
volte il cervello è affettato da un calore che penetra dentro e che gli
impedisce di pensare con un minimo di ordine, metti insieme tutte questa cose
alla normale stanchezza congenita e alla sopraggiunta vecchiaia dell’individuo
e allora tutto diventa un’assurda commedia di Ionesco.
Con gli occhiali poi c’è un
vantaggio in più, un bel tocco di comicità supplementare: puoi cercarli bene e
meglio se ce li hai sul naso, ma anche così – chissà perché - non li trovi.
Un classico.
Basta non avere fretta.
ANCELOTTI E KLOPP
Accendo
il computer e guardo qualche video, tanto per rimanere informato di tutte le
cose inutili. Vabbè non tutte, mi bastano quelle su cui si possa fare
conversazione con qualcuno.
Tra
Klopp e Ancelotti non mi so decidere, a Parigi sarà il campo a farlo e i loro
giocatori. Ancelotti contro Klopp era la notizia più importante. Due esempi
notevoli anche se assai diversi, Klopp è un tedesco piuttosto umano e
innovatore, invece Ancelotti è un anziano allenatore italiano e ogni cosa che
vede in campo la riconosce subito, perché l’ha già vista in precedenza. Gli è
rimasto anche un sopracciglio alzato, in una antica espressione di stupore, che
ora però non prova più.
“Non
posso fare il pressing alto, dice ai giornalisti, perché ho giocatori troppo
vecchi, allora mi adatto a quello che ho e, per caso oppure no, abbiamo vinto
il campionato spagnolo e siamo in finale della Champions.”
Ho
spento il computer, sono andato fuori e ho messo due coperte in terra, due
gatti e due cani a caso si sono avvicinati, uno alla volta, si sono sdraiati
attorno a me sotto un nespolo in fiore, con un gran traffico di api che
ronzano.
Mi
sono messo a studiare il comportamento di una piccola Lagartixa che è venuta a
unirsi a noi cinque, con tutto il pericolo che le offriamo è venuta in mezzo a
noi al sole. Mi sono distratto un attimo forse e un gatto se l'è mangiata. No,
ora è uscita da un buco, magari siamo noi che stiamo sul suo territorio.
Qua
non esistono le lucertole come le nostre, ci sono le Lagartixas,
delle specie di gechi in mimetica chiazzata che se ne stanno sui muri dentro e
fuori casa, cacciando insetti di ogni tipo. Senza volere se ne schiacciano
spesso aprendo e chiudendo le finestre.
La
nostra vita e quella degli animali sono collegate, ce lo dimentichiamo spesso,
ma siamo animali anche noi, mi ripeto ogni tanto.
Tecnicamente
non sono un bugiardo, ma la mia mente vive in spazi molto più ampi di quelli
del corpo, attenermi alla verità propriamente detta spesso mi fa sentire una
certa e indesiderata claustrofobia. Insomma la realtà più che altro mi serve da
ispirazione, c’è chi abita ambienti angusti e torna sempre sulle stesse cose
ripetendosi all’infinito… finché poi la morte li interrompe.
Vorrei
vivere in mezzo ai boschi io, e lontano dalle strade e dall’energia elettrica,
ma ormai mi sono abituato a queste comodità e a sessantatré anni è difficile
fare l’eremita, magari bisognava cominciare prima. Però nelle opportune
condizioni so apprezzare la nebbia, o la pioggia, come una giornata di sole. Un
albero di mandarini stracarico dal quale allungando un braccio staccare un
frutto e mangiarselo sotto i raggi caldi che vengono giù, in mezzo al vento
autunnale freddo e umido. Ho imparato dai cani a sostare con il corpo all'ombra
per metà e a scrivere forse da chi non se lo poneva come risultato, ma come
cammino, in movimento senza fretta e senza pretese.
Per
buona sorte siamo nati e cresciuti in un’epoca più sana e abbiamo conosciuto
persone valide, esempi da seguire se non totalmente almeno in parte, perché
ognuno è fatto alla sua maniera, anche se poi ci si rifà a modelli conosciuti…
o meglio ancora se non si conoscono.
La
fortuna che abbiamo non è da quantificarsi in denaro bensì in opportunità, è
vero che qua attorno il mondo si scanna ogni giorno di più, ma per fortuna
siamo già vecchietti e senza figli.
Non
generalizziamo, io parlo per me ed è già un abisso assai profondo. Possessore
di settecentoventi metri quadrati di terreno brasiliano in ripida salita, o
forse meglio in burronesca discesa, dall’entrata verso la casa. Ho letto
migliaia di libri, altre migliaia li ho cominciati e non mi sono piaciuti,
forse meno ne ho portati oltre la metà e abbandonati. Ho attraversato una
cinquantina di volte la pozzanghera dell'oceano e ho percorso migliaia di
chilometri avanti e indietro, per una trentina abbondante di nazioni. Ho
conosciuto tante facce che quando ne incontro una nuova mi pare di averla già
trovata sul mio cammino. Ho fatto di necessità virtù, mio malgrado e a un certo
punto della mia carriera di essere umano non so più qual è l'uno e qual è
l'altra, e non me ne importa più, sono diventati la stessa cosa, non so più
distinguerli.
Si
può essere soddisfatti della vita, eliminando la perfezione come risultato da
ottenere, considerando i vari aspetti, non ogni tanto, ma in maniera più o meno
costante. Considerare l’esistenza come un miracolo, così ogni sua
manifestazione, a partire dalla natura, ci può aiutare a trovare un consistente
motivo per cui vivere.
Mi
sento fortunato di aver compreso la bellezza di tanta gente che conosco e ho
conosciuto, tra cui anche alcuni miei familiari e parenti, poi di aver avuto
occasione di costruire una mia filosofia di vita che mi permetta di distinguere
il bene dal male, per quanto siano mischiati e confusi oggigiorno,
probabilmente lo sono anche sempre stati.
Insomma
per fortuna che sono stato fortunato, la mia è stata anche una vita di scelte e
di esclusioni, tolto quello che non mi interessava, che è cresciuto fino a
diventare una montagna, questo che mi è rimasto forse è poco, ma è mio e mi
assomiglia, nel bene e nel male di ogni giorno. Non è stata una passeggiata da
pecore, né da leoni, né facile né difficile, piena di alti e bassi, ma sempre
seguendo il cuore e le mie stesse regole, a volte anche sbagliate, ma in
costante tentativo di migliorare, soprattutto senza paura di confessarmelo e
cambiare di conseguenza.
Non
si può dire che l'essere umano abbia fallito in tutto, forse ha solo perso di
vista i suoi obiettivi, magari ora c’è troppa gente e le mafie associate hanno
il controllo del pianeta, ogni tanto si fanno la guerra, il potere e il denaro
accecano tutti coloro che sono predisposti. Le buone notizie non sono molto
ricercate, quelle cattive vendono assai meglio, sono diventate una merce come
le altre e in più non devono necessariamente essere di buona qualità, anzi. Il
consenso obbliga a mentire più di un tempo, il qualunquismo e le notizie false
convivono bene, prosperano come non mai. Le buone idee sono sommerse dalle
tante inutili o dannose. Le mezze verità sono sempre state bugie intere, ma la
maggior parte della gente si accontenta di apparenze di plastica, se gli fai
vedere una cosa vera non la riconosce più.
La
solitudine che tu mi hai regalato, io la coltivo come un fiore, cantava
Sergio Endrigo. Ieri dicevo che la vita di coppia era meravigliosa e oggi, solo
perché mi hanno lasciato, canto gli elogi della solitudine.
LA FILOSOFIA DEI SOGNI
Ho
sempre avuto un rapporto discontinuo con i sogni, e quasi sempre non me li
ricordo, forse vado a epoche, o a fasi.
Quella
di ora è che nei sogni, specie verso la mattina e dopo la necessaria gita al
gabinetto, mi metto a ragionare e a ricordare lucidamente, come se stessi
sveglio e mi rammento poi tutto, nei particolari, come non mi è mai successo
prima.
Ultimamente
ho avuto un contatto ripetuto e continuato con Socrate, che è forse, tra i
filosofi, quello che mi piace di più. Mi è venuto perfino il dubbio che in
qualche altra dimensione esistesse ancora veramente, che volesse davvero
parlarmi e aiutarmi.
La
prima volta eravamo in tre e stavamo seduti sul bordo del lavatoio di Tuscania
detto delle Sette Fontane.
Socrate
era in un virato seppia marroncino, come tutto il resto, forse in ricordo di
quello che è stato, quando non esistevano le foto. Insomma il virato dà alla
scena un'idea di antichità notevole e romantica. Socrate però è ancora attuale
oggigiorno, quello che ha detto e soprattutto le domande che ha fatto, nelle
sue discussioni spesso riportate da Platone, ancora funzionerebbe con la logica
attuale, se mai ce ne fosse una in giro.
Nel
sogno lui ha taciuto pensieroso, poi ha parlato per un po’ di alcuni problemi
tipicamente ateniesi, che a me logicamente interessavano meno, finché gli ho
detto:
“Ti
rendi conto che l'acqua appare quasi sempre nei miei sogni, o proiezioni
mentali che siano, ci deve essere un motivo o no?” Mi ha guardato e ha sorriso
malinconico.
“Anche
le foto stesse o i video che metto su Facebook.” Ho aggiunto io.
“È
un sogno ricorrente?” Ha poi chiesto lui.
“No,
quello è senza acqua, quelli cioè, mi sogno che sono ancora a scuola, a fare il
servizio militare, o al Caffè Voltaire.
“Situazioni
in cui ti sei sentito prigioniero?” Chiede Socrate.
“Sì,
infatti!” Qui è intervenuto Freud, che nei miei sogni invade spesso.
“Ecco
l'acqua invece ti fa sentire libero, è instabile e incontrollabile, figuriamoci
che segue le fasi della luna e cose di questo genere. O anche di altri.”
Sigmund, pur se non invitato troppo volentieri, è ovviamente contemporaneo mio
e di Socrate. Il quale sorride e chiede:
“Ma
che tipo di acqua ti sogni: stagnante? Piena di limo e alghe? Acqua che scorre,
come un torrente? Oppure il mare?”
“Tutte.
Spesso è limpida, mai acqua torbida.”
“Allora
è la libertà.” Interviene lesto Sigmund. “Sei così privo di regole e lunatico,
non sai limitare la tua libertà, fino al punto di esserne schiavo, non vuoi un
lavoro come dipendente né come imprenditore. Non vuoi una famiglia, anche se ti
piacciono quelle degli altri. Non vuoi un figlio, ma per cinque minuti adori il
figlio di qualcun altro. Non vuoi legarti a niente e a nessuno, ma ti senti
solo.”
“Vero,
ma allora cosa devo fare?”
“Niente.
Hai i tuoi bei sessantatré anni, pensi ancora di poter cambiare?” Ha risposto
Socrate domandando.
Sono
rimasto piuttosto deluso. Sigmund mi ha guardato, poi ha sorriso e approvato
con un cenno della testa.
Vaffanculo.
L’ESISTENZA
DEL VIVENTE
“L’esistenza
è assurda e ingiusta, forse solo per i nostri criteri umani, ma altri non ne
conosciamo.”
“Forse
la metamorfosi di Kafka è esagerata, ma che la vita sia un continuo cambiamento
non si può certo negare.”
“Non
per tutti è così.”
“Certo,
tu per esempio sei un totem, assai ben colorato e tutto, ma non so ancora di
quale materiale. Per essere legno resiste troppo bene alle intemperie. Potresti
aiutarmi?”
“No.
Ma forse il pensiero umano è troppo limitato e copia sé stesso all’infinito.
Non sono io a scoprirlo, ma è una verità, tra le altre. Anche se nessuno
mai è stato d'accordo con gli individui che hanno detto la verità, a tutti
piace da morire, ne sono terrorizzati, pur se non lo ammetterebbero facilmente,
più ne hanno paura e meno lo possono ammettere.”
“Le
menzogne sì che sono dolci. Le bugie fanno un porco comodo, sì, fanno troppo
comodo, sono eccessivamente convenienti e nessuno vuol fare l’eroe, perché
dovrebbero?”
“La verità non accetta compromessi. No, sei tu
a dover cambiare, a doverti adattare alla verità. La verità non cambia, non si
adatta alla tua convenienza, non è per niente elastica.
Le
menzogne si comportano diversamente, sono più democratiche, hanno un profondo
senso della politica e non solo di quella moderna: sono disposte a
sacrificarsi, a cambiare a seconda di quello che fa comodo a te. Per questo le
menzogne hanno dominato l'umanità, mentre la verità è stata crocifissa.
Parliamoci chiaro, guardiamoci in faccia, questa è l’epoca in cui si è mentito
di più e sistematicamente e non è ancora finita, è appena cominciata.
Non
sono state inventate oggi le fake news, ma oggi con tutto il bombardamento di
notizie che ci dobbiamo sopportare, scopriamo che le notizie sono diventate una
merce e quindi le progettano come gli pare, tutto e il contrario di tutto a
rotazione, a cosa serve il potere se non a legittimare sé stesso e a schiacciare
il poveraccio?”
NOTIZIE
NON NECESSARIAMENTE FALSE
Qualcuno
ha detto che l’internet e le fake news sono una cosa di destra, ma non è vero,
è a disposizione di tutti e tutti ne stanno approfittando schifosamente, anche
se in parti disuguali, ma non sono divise affatto per partito, solo tra chi -
più o meno - ha veramente assimilato che sono uno strumento di potere, anche
per un altro motivo.
Il
consenso è una cosa abbastanza recente, per carità, una volta i potenti
spiaccicavano apertamente chi li ostacolava e non chiedevano neppure perdono,
ora invece no. Certo per loro è molto più facile, ma devono simulare e
dissimulare, non ne avrebbero certo voglia, non ne sentirebbero alcun bisogno,
per questo oggi siamo molto più ipocriti di una volta, dobbiamo tutti fingere e
aver paura, sempre, anche solo di essere scoperti a dire la verità.
Per
questo le menzogne sono state incoronate e la verità è stata condannata a
morte. L’invenzione del consenso non ha cambiato certo la sostanza, solo la
maniera.
La
situazione non è affatto cambiata, è sempre la stessa, l’internet sembrava uno
strumento di cultura, perfino tutto il contrario della Tv, ma è bastato che se
ne accorgessero ed è diventata la stessa cosa, più larga, meno controllabile
capillarmente. È un costo in più, d’accordo, ma basta mettere su una rete di
gente pagata per dire bugie mirate, e poi una rete di reti, collegate alla Tv
eccetera.
Oggigiorno
basta che tu dica la verità e tutti sono in collera con te. Basta che tu dica
la verità per irritare tutti coloro che vivono comodamente nelle menzogne. Hai
turbato la loro pace, hai interrotto il loro sonno, hai disturbato i loro dolci
sogni. E se ti scappa anche un piccolo vaffanculo sei un violento, non sei per
niente democratico.
Vaffanculo
a te e a tutti quelli come te.
Quando
un ti garba più nulla è meglio andà a letto, penso spesso
in lucchese puro e ci vado. Però ci sono giorni che non mi alzerei nemmeno. Poi
inaspettatamente mi diverto, mi sento bene, penso che nonostante tutto valga la
pena, insomma a volte è solo stanchezza, anche delle ripetizioni, i già visti e
rivisti e la famigerata routine.
ATTAVOLA!!
Noi
italiani siamo gli unici al mondo per i quali il tavolo, quello dove si
apparecchia e poi si mangia, diventa automaticamente femminile, forse perché
una volta a cucinare era solo la mamma.
La stanza
che mi piace di più in una casa è la cucina, la più sincera e la più gradevole,
per tutto quello che, volente o nolente, evoca. In cucina non si bara e non si
può bleffare, si riconosce subito il falso e l'ipocrita. E poi non solo la
donna, ma anche l’uomo deve saper cucinare, lavare i piatti, pulire la casa
eccetera, nella vita non si sa mai cosa succede e più cose si sanno fare e
meglio è.
La
famiglia è una cosa complicata, non sempre funziona come dovrebbe, forse perché
il mondo attorno è diventato sempre più complesso e disumano, materialista e
senza valori, si è perso ogni romanticismo in nome di un non si sa cosa di
plastica.
Meglio
una famiglia che non funziona pienamente che essere orfani, siamo d’accordo, ma
anche qui ci sono vari livelli e interpretazioni.
Ammiro
quelle degli altri, di famiglie, quando sono efficaci, almeno a tavola. La
cucina ha a che fare molto con la famiglia, posso dire di non averne una,
quella che ho avuto prima non mi piaceva, mia madre però cucinava bene.
Nei film
in generale, in particolare in quelli italiani, la parte culinaria, quella cioè
della riunione di persone di fronte a un desco, merende e colazioni incluse,
sono le scene che mi piacciono di più. Danno
un'idea pratica e sintetica di come vive la gente, attraverso le relative
epoche e le diverse latitudini. Nei polizieschi e nei noir fanno da contrappeso a inseguimenti, sparatorie e scazzottate
che mi annoiano e mi assordano, nei film e serie TV, nei libri non esistono
nemmeno e meno male.
Una volta
non capivo perché quando guardavo Montalbano, e lo vedevo mangiare da solo la
sera di fronte alla TV, mi ci immedesimavo parecchio, eppure ero sposato e
credevo sarebbe durata per sempre.
Ora sono
tornato a vivere da solo e capisco perché quella scena ricorrente me la sentivo
mia, mi ci vedevo come ero stato e sono tornato a essere. Era una scena che mi
faceva un po’ tristezza ma anche tenerezza, in fondo nella vita, anche se non
sembra, siamo sempre soli.
Il
commissario poi veniva sempre interrotto da una telefonata, da una visita
necessaria o inopportuna, immancabilmente non finiva mai di mangiare e mi
pareva uno spreco. A me però non mi interrompe nessuno, per fortuna o per
sfortuna, nessuna visita e nessuna telefonata, insomma posso mangiare in pace.
La cucina
rappresenta la convivialità, lo stare insieme, se non l'unico momento è il più
frequente e ripetibile in cui gli amici o la stessa famiglia si riuniscono e
parlano è a tavola, così per me si dovrebbe cucinare e mangiare nella stessa
stanza, come si faceva una volta.
Nel
contesto della storia raccontata, la parentesi del mangiare è fondamentale,
specialmente in Italia è il momento nel quale si scambiano opinioni con più
calma, anche nell'epoca moderna, in cui la gente vive in uno stato di stress
costante e non si ferma per pensare, non fa mai una cosa sola per volta, se non
in vecchiaia, in presenza di problemi di locomozione, di limiti fisici e
logistici per poter approfittare appieno di ogni possibilità.
Ho avuto ed ho ancora amici
cuochi, ho lavorato nella ristorazione per un po’ di tempo, anche all’estero. Se io mi
sento anche un po' italiano è per lo più a causa della lingua e della nostra
gastronomia, per il resto mi sento piuttosto un cittadino del mondo.
Non sono mai stato un appassionato
di culinaria, ma ultimamente ho notato che nel mio passato, sia per lavoro che
per amicizie varie, c’ho avuto a che fare spesso, se non volentieri e ci faccio
attenzione, perché mi affascina, ci sono legato in maniera sottile ma
indissolubile.
A farci caso, sia in casa che al
ristorante ci sono cose belle e romantiche, che attraversano la cultura di un
paese, sia inteso come villaggio che come nazione.
Guardo i filmati delle ricette su
Youtube, noto che ci sono diverse tendenze, alcuni non fanno vedere nemmeno la
faccia e partono con le varie fasi della preparazione, di come si fa quel
piatto, altri invece vogliono fare i comici per forza e non ci riescono, appare
tutto forzato e se la ricetta poi è ben sviluppata non lo so, ma quelli che mi
piacciono sono coloro che spiegano con calma e lo fanno con passione, bene o
male t’invitano a continuare e sono la minoranza.
Come in ogni altro compartimento
umano, io vado dietro alla simpatia naturale, quella che non si può imitare,
perché ognuno ha la sua, differente da quella degli altri, sottile e semplice,
non imita e non vuol convincere nessuno.
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