domenica 23 ottobre 2022

MANOSCRITTO RITROVATO A LADISPOLI

 



Pensieri e parole, in tante lingue differenti.

La sua modesta e scura abitazione era piena di frasi fondamentali incorniciate, ma ce n’era una ripetuta più volte, in diversi idiomi e dialetti.

 

I zovins an la memorie curte, e an voi dome par cjala’ la c’al jeve il soreli; la c’al va a mont e cjalin dome i vecjos, chei che lu an viodut la’ a mont tantes voltes. (Friulano)


Carlo Magno Occitano non per caso era friulano di Tarvisio, ma trapiantato in Lazio e precisamente a Cerveteri. Mercante ed estimatore di libri vetusti, manoscritti antichi ed edizioni rare, differentemente da tanti altri leggeva quello che gli capitava a tiro e gli piaceva anche parecchio farlo.

Non che tutte le cose che gli passavano per mano gli garbassero, anzi era piuttosto selettivo, ma quando trovava qualcosa che gli sconfinferava era tutto contento.

Un giorno, a Ladispoli, facendo uno sgombero di una cantina, insieme a Patrizia sua saltuaria ma energica collaboratrice, trovò un volume ingiallito, carta beige al confine approssimativo con il quasi marroncino scuro, probabilmente edito molti anni prima, ma non c’era la copertina e quindi non si sapeva il titolo. Poi si accorse che mancavano delle pagine, non più di quattro o cinque, pensava e precisamente quelle dell’inizio e quelle della fine

Quella sera stessa se lo divorò così avidamente che gli rimase fame, nel senso che dopo la curiosità lo animava più di ogni logica, insomma gli piacque parecchiotto, tanto che il mattino dopo si informò o almeno tentò di farlo. Riscontrò subito che non era facile e la cosa gli piacque di più anche per quello, un meccanismo più che umano.

Che cosa avesse letto e come diavolaccio si chiamasse quel manoscritto, come iniziava e dove finisse.

Trai suoi conoscenti c’erano colleghi di altre città che facevano lo stesso tipo di lavoro e se non come lui, amavano o si dilettavano nell’arte rarefatta del ricercare qualcosa che andava sempre più perdendo importanza, e più ne perdeva e più per loro ne acquistava.

La maggioranza però, che vendeva anche altre anticaglie come mobili e soprammobili, principalmente la nuova generazione, si informava perché era necessario e lo faceva per lavoro. Insomma quelli - come lui - che ne avevano trovato un motore di passione per vivere erano pochi, diventavano sempre meno, ma forse li conosceva tutti, in Italia almeno.

Per unire l’utile al dilettevole, senza stare a pensarci troppo, Carlomagno si era da sempre dimenticato cosa fosse il tempo libero e non trovava più la frontiera tra lavoro e hobby, forse non la cercava nemmeno.

La sera non guardava quasi mai dei pratici dvd, se non fossero giustamente dell’argomento desiderato e proprio mai la televisione. In compagnia della cagnolina Mara e del gatto Duilio, si metteva su una vecchia e comoda poltrona davanti al caminetto anche spento, ma regolarmente acceso d’inverno e autunno, a spulciare e a leggere di solito le cose che aveva scovato durante il giorno lavorativo. Raramente portava dei libri fino in fondo, solo quando gli piacevano parecchio, caso raro, sennò uno zapping più o meno casuale tra le pagine, facendo attenzione allo stile sì, ma anche ai contenuti.

I libri che parlavano di spionaggio quelli no, li comprava perfino e li leggeva per intero, lo appassionavano perché erano pieni di dettagli e poi per vedere come andava a finire. John Le Carrè specialmente, era il migliore, lo aveva letto e riletto tutto.

 

Les jeunes ont la mémoire courte et les yeux sans cesse tournés vers l’est; A l’ouest personne d’autre que les vieux ne regarde, ceux qui ont vu le soleil se lever tant de fois.

Conosceva diverse lingue, ma alcune solo di vista, il francese lo leggeva piuttosto agevolmente, ma non capiva tanto quando lo parlavano, forse per via della loro fonetica piuttosto incasinata. A rigor del vero Carlomagno anche l’italiano lo praticava poco, dal punto di vista orale, diciamo che la lingua scritta gli era più familiare, in generale.

Vendeva parecchio per internet, la buona parte del suo fatturato, spediva in tutta l’Europa o quasi, nei fine-settimana che il negozio era chiuso andava a vendere ai mercatini all’aperto, nelle varie città. Patrizia era più giovane e assai più disposta di lui, quello era un lavoro che esigeva anche forza fisica e Carlomagno cominciava ad avere una certa età.

La sua compagnia non gli dispiaceva, specialmente durante il viaggio, non era una che parlava tanto per parlare e diceva cose utili e giuste, in più era sempre di contagioso buonumore.

 Lì il suo lavoro diventava più vivo e se anche doveva lottare contro lo spazio e il tempo, come il maltempo per esempio, o le città lontane e raggiungibili solo con parecchia fatica e ore di autostrada, aveva più contatto con la gente e scambiava impressioni e notizie che gli facevano un certo piacere.

La sua abitazione era dietro il negozio ed era piuttosto piccola, ma per lui era più che sufficiente, poi dietro aveva un cortile, una specie di giardino alberato e abbandonato, abbastanza spazioso, dove Mara e Duilio, rispettivamente cagnolina e gatto, vivevano in libertà condizionata, come la sua del resto, uno piuttosto prigioniero del mondo, ma da sempre indipendente e come dicono in Brasile di chi ha questa fortuna non indifferente: proprietario del suo naso. Alludendo sì ai relativi possessi materiali, ma anche a quelli del laterale e in un certo modo conseguente destino in corso.

Patrizia, valida collaboratrice part-time, anche si era messa alla ricerca, insomma. Il primo che Carlomagno interpellò fu un suo amico di lunga data e siciliano, che viveva però ad Arles, in Francia o per meglio dire in Provenza, nel sud transalpino.

Anche lui ne rimase subito incantato e si fece spedire prima le fotocopie delle prime dieci pagine, poi passati solo due giorni, il libro intero, si fa per dire.

Se fosse stato come tanti libri che recano sul bordo superiore o anche inferiore il titolo dell’opera stessa tutto sarebbe stato più facile, ma anche così non era necessariamente attuabile un risultato di una ricerca, trattandosi di manoscritto vecchio assai.

Rosario disse che gli era piaciuto parecchiotto e che lo avrebbe più che volentieri aiutato nelle ricerche.

Ironicamente il libro parlava di un antico rilegatore di Antwerp, o Anversa, in Belgio, che scriveva per ragionare tra sé e sé dei fatti della vita, della sua esperienza nel disumano pianeta umano, ma senza volerlo pubblicare, anzi ne era geloso, non lo voleva far leggere a nessuno. Ma un suo amico - anche troppo burlone - lo aveva scoperto, letto e pubblicato a sua insaputa.

Quello che lo incuriosiva era perché lo aveva fatto, Carlomagno si chiedeva perché il suo amico lo aveva letto e pubblicato di nascosto e logicamente poi come andava a finire quella storia, che gliene pareva già una di spionaggio. Era sospetto però che questa iniziativa dell’amico birichino fosse scritta nello stesso testo del romanzo, poteva essere solo un’invenzione, insomma per fare del sano marketing, che a lui però stava piuttosto antipatico.

Nell’andare delle pagine si facevano poi supposizioni e ragionamenti concatenati e coerenti sul perché uno scrive, interrogativo sempre più misterioso, con il passare del tempo e arrivare in questa modernità senza eccessiva anima, e il relativo parallelo con le confidenze che le persone si fanno tra di loro, che magari è un po’ come scrivere, ma decisamente non è la stessa cosa.

Carlomagno approvava quei discorsi, lui stesso non parlava quasi con nessuno e scriveva a tempo perso. Cose assai diverse tra loro, riflessioni lunghe e medie, più delle specie di racconti atipici, o forse erano solo pensieri sparsi, che nessuno leggeva, se non per caso entrando in casa sua, si rimaneva incuriositi da quelle cornici senza figure dentro, ma solo assembramenti di parole.

In un racconto che parlava della sua storia di vita in generale, senza entrare però troppo nei particolari, come di solito faceva, Carlomagno dichiarava:

“Lo scrivere è un'attività dissociativa, più che unire separa, la gente ignara comincia a battere sui tasti, mitragliando vocali e consonanti... e più mitraglia e più se ne va via col proprio cervello e cuore, da un'altra parte, non importa dove.

Importa o no?

Forse sì. Però anche se ci si creano delle realtà fantastiche e parallele, a me piace assai scrivere romanzi corti e racconti lunghi, che poi sono la stessa cosa.

Di che cosa parlano?

Non l’ho ancora capito, forse sono solo un gradevole sfogo, necessariamente piacevole mentre lo scrivo, sennò lascio perdere. Le frasi sono pensate e scritte lentamente, poche ogni giorno, piuttosto calibrate. Non le correggo, non le rileggo e nessun altro vi ha accesso.”

Chiamò insomma tutti i suoi conoscenti e conoscitori, per via delle sue ricerche, uno ad uno, ma senza risultato.

Rosario non fece analizzare la carta, ma gli sembrava dell’inizio del secolo. Ma quale? Ovviamente del 1900. Però lui diceva che esisteva il ragionevole dubbio che l’inchiostro fosse molto più recente. Quindi era un falso? Ma che cosa avrebbe dovuto imitare o simulare? Perché se era una storia belga poi, era scritto in italiano?

A Carlomagno i soldi non gli mancavano, non era ricco, ma non aveva nemmeno spese e viveva con poco o nulla. Non aveva vizi, né perversioni. Decise d’impeto di copiare e ripubblicare quel manoscritto misterioso, per vedere se così venisse fuori il suo autore rimpiattato, o qualcuno che lo conoscesse, o comunque uno che sapesse la verità sui fatti e i necessari contro-fatti.

Doveva essere stato pubblicato in Italia, ma la situazione che raccontava era fiamminga, poteva essere una storia inventata o anche una vera, la descrizione degli ambienti poteva essere di fantasia perché non entrava tanto nei particolari, di come si vivesse in quel posto, agli inizi del 1900, ma ragionava piuttosto sui meccanismi umani, sul pensare, parlare e agire di conseguenza, ma anche spesso in concorrenza tra di loro, o comunque cose che avevano poco a che fare l’una con l’altra, che avrebbero invece dovuto essere più collegate tra di loro, per vivere in maniera migliore, almeno in un mondo un po’ più decente.

In fondo le tante idee e i pochi fatti scritti su quelle pagine gli appartenevano in qualche maniera, magari solo perché gli piacevano e lo incuriosivano.

Specificava comunque all’inizio e alla fine che non lo aveva scritto lui, ma cercava la verità: chi lo aveva scritto, come si intitolava, come iniziava e come finiva. Praticamente il perché e tutto il resto delle domande che ci si potevano logicamente porre e che non avevano avuto l’agognata risposta.

Lo intitolò Misterioso manoscritto trovato a Ladispoli e ci spese dei bei soldoni, perché potesse essere pubblicizzato a dovere e potesse diventare abbastanza conosciuto, sapendo che nel mondo moderno un’opera letteraria aveva poca o nessuna speranza di avere successo, se non avesse un autore altisonante e famoso per qualche altro motivo. Assai raramente perché fosse un buono scrittore, meglio se era un attore porno, o un ex calciatore famoso che volesse sussurrare, con l’apposito megafono, i falsi segreti che ci sono dietro le quinte, di qualsiasi tipo fossero, ma che fosse una storia di celebrità e di glamour, se Dio vuole. Della letteratura non interessava niente alla gente, specialmente di quella vera, se ancora esistesse.

Visto che non si trattava di celebrità, né di pettegolezzi, i soldi furono piuttosto buttati al vento. Carlomagno, pagando s’intende, fu chiamato anche alla TV e spiegò le sue vere ragioni, ma fu un fuoco di paglia, la gente non si interessò, come ci si poteva aspettare e dopo cinque anni il macero divenne il triste destino delle copie invendute, che erano poi quasi tutte.

Ma in quel quasi si annidava la risposta e fu attraverso Nino Casoli detto anche Castelvecchio di Compito, un antiquario suo conoscente, che nato in quel luogo della provincia di Lucca, al confine con quella di Pisa e abitante da tempo a Budapest, gli mandò un’e-mail che all’inizio fece gioire Carlomagno.

“Carissimo

Trai miei clienti c’è un bielorusso che dice che ha vissuto a Jever, nel nord della Germania, dove ha avuto occasione di conoscere un tale pittore, amico di un cugino del tuo autore misterioso, di cui mi hai mandato il materiale in questione. Vi metto in comunicazione?”

Gli disse subito di sì e appena ricevuto l’indirizzo di email si mise in comunicazione con lo scultore Kolev, che gli disse che invece era bulgaro e che non parlava l’italiano, ma un po’ di tedesco arrugginito, che per fortuna Carlomagno aveva imparato da giovane ma il suo anche aveva su un po’ di ruggine accumulata.

 

Junge Leute haben kurzes Gedächtnis und haben nur Augen, um ostwärts zu blicken; westwärts blicken nur die älteren, diejenigen, die die Sonne schon vielmals haben untergehen sehen.

 

Le trattative furono lunghe, e durante le quali l’ex sedicente bulgaro disse che non si chiamava veramente Kolev e anche la sua vera nazionalità in fondo non era importante. Ripetè più volte che Carlomagno avrebbe avuto quello che voleva: ampie notizie su titolo, inizio e fine del suo libro, non c'era alcun problema, ma in cambio doveva fargli un piccolo favore che gli avrebbe rivelato in seguito.

Quando fu il momento R , come si autonominò, disse che il favore sarebbe stato pubblicare da un editore di Itzehoe, cittadina in quella regione della Germania settentrionale chiamata Friesland, per l’appunto tra l’Olanda e la Danimarca, un altro romanzo da lui stesso scritto. Non poteva dirgli perché non poteva farlo direttamente lui, ma in compenso gli forniva un pingue conto in banca dal quale, con le opportune password, prendere i soldi necessari per le spese, solo dopo avrebbe saputo tutto quello che gli interessava sul manoscritto antico casualmente ritrovato a Ladispoli. Carlomagno accontentì e dal testo in Word capì subito che si trattava di una storia di spionaggio, magari anche veramente accaduta, se lo copiò e lo lesse. Non poté dire che gli piacque, anche perché nessuno glielo chiese, ma sicuramente lo impressionò e lo spaventò addirittura.

 Però per internet fece tutto quello che gli era stato richiesto. Attraverso fonti che lui non sapeva, R aveva poi riscontrato che la missione era stata compiuta e mantenne la promessa.

Il manoscritto ritrovato a Ladispoli in realtà non era così antico come voleva sembrare, era un falso incompiuto e senza titolo, usando finta carta vecchia. Non era stato l’amico burlone a pubblicarlo di nascosto, ma lui stesso.

E lui chi era?

Sì, l'autore, il belga De Vrincke, pluriartista beone e poliedrico, aveva avuto l'idea di pubblicare questa roba tralasciando inizio e fine, perfino senza l’uso di una copertina, magari per incuriosire i lettori. Quelli però non si erano incuriositi e la storia era stata pressoché dimenticata, fino all'arrivo di Carlomagno qualche annetto dopo, il quale però anche ne rimase piuttosto deluso.

In ogni modo comprò lo stesso il giornale Berliner Morgenpost del giorno prima, come il suo amico Nino gli aveva detto di fare. Manco a farlo apposta, in terza pagina, c'era la foto di R ammazzato come un cane, da non si sapeva chi, ma probabilmente perché era uno dedito più che altro allo spionaggio, con ampio diritto al doppio o triplo gioco, per coincidenza anche in quell’articolo lo chiamavano Kolev.

 Il libro in questione ora diventava automaticamente l’altro, che parlava dei retroscena del suo alto tradimento, del suo triplo e doppio gioco ed era così preciso nei particolari che si poteva paragonare ai libri di Le Carrè, solo che magari era tutto vero, anzi assai probabilmente. Piuttosto quello e non l’altro fu un fottuto bestseller, all'editore in questione fruttò parecchio denaro, ma anche a Carlomagno che si vide riempire il conto blindato delle Kayman di soldi in un certo senso sporchi, ma che almeno da lontano sembravano uguali agli altri.

 Ben presto era stato tradotto se non in tutte le lingue almeno in quelle principali e Carlomagno da vecchio si trovò da un momento all’altro arricchito di denaro, anche se per fare la vita che faceva non ne aveva alcun bisogno… e di una paura abbastanza forte e continua di essere anche lui ammazzato.

 

Catalano: “Els joves tenen la memòria curta, i tenen els ulls per mirar cap a llevant; i a ponent no hi miren sinó els vells, els que han vist pondre’s el sol moltes vegades.”

Lo spagnolo lui lo aveva quasi imparato senza studiarlo, attraverso fumetti, canzoni, poesie e roba che aveva trovato in giro. Imparare le lingue gli pareva quasi come viaggiare, ma fisicamente non era mai uscito dall’Italia.

Aveva sempre vissuto in quella maniera, senza rischi, riposando e leggendo la sera davanti al caminetto, persino quando era spento, anche quando era giovane. Senza vizi, senza rapporti personali molto stretti, soprattutto senza grandi emozioni.

Non lo sapeva se ora stava rischiando la vita, forse sì, ma stranamente gli piaceva, faceva sembrare tutto più bello ed effimero, due cose che al mondo spesso vanno a braccetto.

Forse avrebbe dovuto maledire Kolev, detto anche R, invece lo benediva e sorprendentemente Patrizia gli sembrava sempre più simpatica e perfino sexy.

Era una donna alla mano eppure colta, una persona pratica e sempre allegra, sapeva cucinare bene e tagliarti perfino i capelli, giocava bene a scacchi e ti teneva la fottuta amministrazione del negozio.

Proprio recentemente si era lasciata dal suo eterno e vecchio fidanzato, perciò Carlomagno stava pensando pure che doveva sbrigarsi, la doveva invitare al più presto a cena al ristorante Petecchioli, appena fuori Cerveteri, sulla strada che portava a Roma, come tutte le altre, del resto.

Lei stessa glielo aveva detto - lanciandogli forse un invito, magari un segnale di via libera - che quelli avevano cominciato a fare pure dei piatti di pesce non indifferenti, pur mantenendo dei prezzi abbordabili.

E poi ora non era più il caso, né il momento, di mantenere il solito profilo basso, non essendoci, come diceva il Boccaccio, nessuna certezza di un domani.

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