Pensieri
e parole, in tante lingue differenti.
La
sua modesta e scura abitazione era piena di frasi fondamentali incorniciate, ma
ce n’era una ripetuta più volte, in diversi idiomi e dialetti.
I zovins an la
memorie curte, e an voi dome par cjala’ la c’al jeve il soreli; la c’al va a
mont e cjalin dome i vecjos, chei che lu an viodut la’ a mont tantes voltes.
(Friulano)
Non
che tutte le cose che gli passavano per mano gli garbassero, anzi era piuttosto
selettivo, ma quando trovava qualcosa che gli sconfinferava era tutto contento.
Un
giorno, a Ladispoli, facendo uno sgombero di una cantina, insieme a Patrizia
sua saltuaria ma energica collaboratrice, trovò un volume ingiallito, carta beige
al confine approssimativo con il quasi marroncino scuro, probabilmente edito molti
anni prima, ma non c’era la copertina e quindi non si sapeva il titolo. Poi si
accorse che mancavano delle pagine, non più di quattro o cinque, pensava e
precisamente quelle dell’inizio e quelle della fine
Quella
sera stessa se lo divorò così avidamente che gli rimase fame, nel senso che dopo
la curiosità lo animava più di ogni logica, insomma gli piacque parecchiotto,
tanto che il mattino dopo si informò o almeno tentò di farlo. Riscontrò subito
che non era facile e la cosa gli piacque di più anche per quello, un meccanismo
più che umano.
Che
cosa avesse letto e come diavolaccio si chiamasse quel manoscritto, come
iniziava e dove finisse.
Trai
suoi conoscenti c’erano colleghi di altre città che facevano lo stesso tipo di
lavoro e se non come lui, amavano o si dilettavano nell’arte rarefatta del
ricercare qualcosa che andava sempre più perdendo importanza, e più ne perdeva
e più per loro ne acquistava.
La
maggioranza però, che vendeva anche altre anticaglie come mobili e
soprammobili, principalmente la nuova generazione, si informava perché era
necessario e lo faceva per lavoro. Insomma quelli - come lui - che ne avevano
trovato un motore di passione per vivere erano pochi, diventavano sempre meno,
ma forse li conosceva tutti, in Italia almeno.
Per
unire l’utile al dilettevole, senza stare a pensarci troppo, Carlomagno si era da
sempre dimenticato cosa fosse il tempo libero e non trovava più la frontiera
tra lavoro e hobby, forse non la cercava nemmeno.
La
sera non guardava quasi mai dei pratici dvd, se non fossero giustamente
dell’argomento desiderato e proprio mai la televisione. In compagnia della
cagnolina Mara e del gatto Duilio, si metteva su una vecchia e comoda poltrona
davanti al caminetto anche spento, ma regolarmente acceso d’inverno e autunno, a
spulciare e a leggere di solito le cose che aveva scovato durante il giorno
lavorativo. Raramente portava dei libri fino in fondo, solo quando gli
piacevano parecchio, caso raro, sennò uno zapping più o meno casuale tra le
pagine, facendo attenzione allo stile sì, ma anche ai contenuti.
I
libri che parlavano di spionaggio quelli no, li comprava perfino e li leggeva per
intero, lo appassionavano perché erano pieni di dettagli e poi per vedere come
andava a finire. John Le Carrè specialmente, era il migliore, lo aveva letto e
riletto tutto.
Les jeunes ont la
mémoire courte et les yeux sans cesse tournés vers l’est; A l’ouest personne
d’autre que les vieux ne regarde, ceux qui ont vu le soleil se lever tant de
fois.
Conosceva
diverse lingue, ma alcune solo di vista, il francese lo leggeva piuttosto
agevolmente, ma non capiva tanto quando lo parlavano, forse per via della loro
fonetica piuttosto incasinata. A rigor del vero Carlomagno anche l’italiano lo praticava
poco, dal punto di vista orale, diciamo che la lingua scritta gli era più
familiare, in generale.
Vendeva
parecchio per internet, la buona parte del suo fatturato, spediva in tutta
l’Europa o quasi, nei fine-settimana che il negozio era chiuso andava a vendere
ai mercatini all’aperto, nelle varie città. Patrizia era più giovane e assai più
disposta di lui, quello era un lavoro che esigeva anche forza fisica e
Carlomagno cominciava ad avere una certa età.
La
sua compagnia non gli dispiaceva, specialmente durante il viaggio, non era una
che parlava tanto per parlare e diceva cose utili e giuste, in più era sempre
di contagioso buonumore.
Lì il suo lavoro diventava più vivo e se anche
doveva lottare contro lo spazio e il tempo, come il maltempo per esempio, o le
città lontane e raggiungibili solo con parecchia fatica e ore di autostrada,
aveva più contatto con la gente e scambiava impressioni e notizie che gli
facevano un certo piacere.
La
sua abitazione era dietro il negozio ed era piuttosto piccola, ma per lui era più
che sufficiente, poi dietro aveva un cortile, una specie di giardino alberato e
abbandonato, abbastanza spazioso, dove Mara e Duilio, rispettivamente cagnolina
e gatto, vivevano in libertà condizionata, come la sua del resto, uno piuttosto
prigioniero del mondo, ma da sempre indipendente e come dicono in Brasile di
chi ha questa fortuna non indifferente: proprietario
del suo naso. Alludendo sì ai relativi possessi materiali, ma anche a
quelli del laterale e in un certo modo conseguente destino in corso.
Patrizia,
valida collaboratrice part-time, anche si era messa alla ricerca, insomma. Il
primo che Carlomagno interpellò fu un suo amico di lunga data e siciliano, che
viveva però ad Arles, in Francia o per meglio dire in Provenza, nel sud transalpino.
Anche
lui ne rimase subito incantato e si fece spedire prima le fotocopie delle prime
dieci pagine, poi passati solo due giorni, il libro intero, si fa per dire.
Se
fosse stato come tanti libri che recano sul bordo superiore o anche inferiore
il titolo dell’opera stessa tutto sarebbe stato più facile, ma anche così non
era necessariamente attuabile un risultato di una ricerca, trattandosi di
manoscritto vecchio assai.
Rosario
disse che gli era piaciuto parecchiotto e che lo avrebbe più che volentieri
aiutato nelle ricerche.
Ironicamente
il libro parlava di un antico rilegatore di Antwerp, o Anversa, in Belgio, che scriveva
per ragionare tra sé e sé dei fatti della vita, della sua esperienza nel
disumano pianeta umano, ma senza volerlo pubblicare, anzi ne era geloso, non lo
voleva far leggere a nessuno. Ma un suo amico - anche troppo burlone - lo aveva
scoperto, letto e pubblicato a sua insaputa.
Quello
che lo incuriosiva era perché lo aveva fatto, Carlomagno si chiedeva perché il
suo amico lo aveva letto e pubblicato di nascosto e logicamente poi come andava
a finire quella storia, che gliene pareva già una di spionaggio. Era sospetto
però che questa iniziativa dell’amico birichino fosse scritta nello stesso
testo del romanzo, poteva essere solo un’invenzione, insomma per fare del sano
marketing, che a lui però stava piuttosto antipatico.
Nell’andare
delle pagine si facevano poi supposizioni e ragionamenti concatenati e coerenti
sul perché uno scrive, interrogativo sempre più misterioso, con il passare del
tempo e arrivare in questa modernità senza eccessiva anima, e il relativo parallelo
con le confidenze che le persone si fanno tra di loro, che magari è un po’ come
scrivere, ma decisamente non è la stessa cosa.
Carlomagno
approvava quei discorsi, lui stesso non parlava quasi con nessuno e scriveva a
tempo perso. Cose assai diverse tra loro, riflessioni lunghe e medie, più delle
specie di racconti atipici, o forse erano solo pensieri sparsi, che nessuno
leggeva, se non per caso entrando in casa sua, si rimaneva incuriositi da
quelle cornici senza figure dentro, ma solo assembramenti di parole.
In
un racconto che parlava della sua storia di vita in generale, senza entrare
però troppo nei particolari, come di solito faceva, Carlomagno dichiarava:
“Lo
scrivere è un'attività dissociativa, più che unire separa, la gente ignara
comincia a battere sui tasti, mitragliando vocali e consonanti... e più
mitraglia e più se ne va via col proprio cervello e cuore, da un'altra parte,
non importa dove.
Importa
o no?
Forse
sì. Però anche se ci si creano delle realtà fantastiche e parallele, a me piace
assai scrivere romanzi corti e racconti lunghi, che poi sono la stessa cosa.
Di
che cosa parlano?
Non
l’ho ancora capito, forse sono solo un gradevole sfogo, necessariamente
piacevole mentre lo scrivo, sennò lascio perdere. Le frasi sono pensate e
scritte lentamente, poche ogni giorno, piuttosto calibrate. Non le correggo,
non le rileggo e nessun altro vi ha accesso.”
Chiamò
insomma tutti i suoi conoscenti e conoscitori, per via delle sue ricerche, uno
ad uno, ma senza risultato.
Rosario
non fece analizzare la carta, ma gli sembrava dell’inizio del secolo. Ma quale?
Ovviamente del 1900. Però lui diceva che esisteva il ragionevole dubbio che
l’inchiostro fosse molto più recente. Quindi era un falso? Ma che cosa avrebbe
dovuto imitare o simulare? Perché se era una storia belga poi, era scritto in
italiano?
A
Carlomagno i soldi non gli mancavano, non era ricco, ma non aveva nemmeno spese
e viveva con poco o nulla. Non aveva vizi, né perversioni. Decise d’impeto di copiare
e ripubblicare quel manoscritto misterioso, per vedere se così venisse fuori il
suo autore rimpiattato, o qualcuno che lo conoscesse, o comunque uno che
sapesse la verità sui fatti e i necessari contro-fatti.
Doveva
essere stato pubblicato in Italia, ma la situazione che raccontava era fiamminga,
poteva essere una storia inventata o anche una vera, la descrizione degli
ambienti poteva essere di fantasia perché non entrava tanto nei particolari, di
come si vivesse in quel posto, agli inizi del 1900, ma ragionava piuttosto sui
meccanismi umani, sul pensare, parlare e agire di conseguenza, ma anche spesso
in concorrenza tra di loro, o comunque cose che avevano poco a che fare l’una
con l’altra, che avrebbero invece dovuto essere più collegate tra di loro, per
vivere in maniera migliore, almeno in un mondo un po’ più decente.
In
fondo le tante idee e i pochi fatti scritti su quelle pagine gli appartenevano
in qualche maniera, magari solo perché gli piacevano e lo incuriosivano.
Specificava
comunque all’inizio e alla fine che non lo aveva scritto lui, ma cercava la
verità: chi lo aveva scritto, come si intitolava, come iniziava e come finiva.
Praticamente il perché e tutto il resto delle domande che ci si potevano
logicamente porre e che non avevano avuto l’agognata risposta.
Lo
intitolò Misterioso manoscritto trovato a
Ladispoli e ci spese dei bei soldoni, perché potesse essere pubblicizzato a
dovere e potesse diventare abbastanza conosciuto, sapendo che nel mondo moderno
un’opera letteraria aveva poca o nessuna speranza di avere successo, se non
avesse un autore altisonante e famoso per qualche altro motivo. Assai raramente
perché fosse un buono scrittore, meglio se era un attore porno, o un ex calciatore
famoso che volesse sussurrare, con l’apposito megafono, i falsi segreti che ci
sono dietro le quinte, di qualsiasi tipo fossero, ma che fosse una storia di
celebrità e di glamour, se Dio vuole. Della letteratura non interessava niente
alla gente, specialmente di quella vera, se ancora esistesse.
Visto
che non si trattava di celebrità, né di pettegolezzi, i soldi furono piuttosto buttati
al vento. Carlomagno, pagando s’intende, fu chiamato anche alla TV e spiegò le
sue vere ragioni, ma fu un fuoco di paglia, la gente non si interessò, come ci
si poteva aspettare e dopo cinque anni il macero divenne il triste destino
delle copie invendute, che erano poi quasi tutte.
Ma
in quel quasi si annidava la risposta e fu attraverso Nino Casoli detto anche Castelvecchio
di Compito, un antiquario suo conoscente, che nato in quel luogo della
provincia di Lucca, al confine con quella di Pisa e abitante da tempo a
Budapest, gli mandò un’e-mail che all’inizio fece gioire Carlomagno.
“Carissimo
Trai
miei clienti c’è un bielorusso che dice che ha vissuto a Jever, nel nord della
Germania, dove ha avuto occasione di conoscere un tale pittore, amico di un cugino
del tuo autore misterioso, di cui mi hai mandato il materiale in questione. Vi
metto in comunicazione?”
Gli
disse subito di sì e appena ricevuto l’indirizzo di email si mise in
comunicazione con lo scultore Kolev, che gli disse che invece era bulgaro e che
non parlava l’italiano, ma un po’ di tedesco arrugginito, che per fortuna Carlomagno
aveva imparato da giovane ma il suo anche aveva su un po’ di ruggine accumulata.
Junge Leute haben
kurzes Gedächtnis und haben nur Augen, um ostwärts zu blicken; westwärts
blicken nur die älteren, diejenigen, die die Sonne schon vielmals haben
untergehen sehen.
Le
trattative furono lunghe, e durante le quali l’ex sedicente bulgaro disse che
non si chiamava veramente Kolev e anche la sua vera nazionalità in fondo non
era importante. Ripetè più volte che Carlomagno avrebbe avuto quello che voleva:
ampie notizie su titolo, inizio e fine del suo libro, non c'era alcun problema,
ma in cambio doveva fargli un piccolo favore che gli avrebbe rivelato in
seguito.
Quando
fu il momento R , come si autonominò, disse che il favore sarebbe stato
pubblicare da un editore di Itzehoe, cittadina in quella regione della Germania
settentrionale chiamata Friesland, per l’appunto tra l’Olanda e la Danimarca,
un altro romanzo da lui stesso scritto. Non poteva dirgli perché non poteva
farlo direttamente lui, ma in compenso gli forniva un pingue conto in banca dal
quale, con le opportune password, prendere i soldi necessari per le spese, solo
dopo avrebbe saputo tutto quello che gli interessava sul manoscritto antico casualmente
ritrovato a Ladispoli. Carlomagno accontentì e dal testo in Word capì subito che
si trattava di una storia di spionaggio, magari anche veramente accaduta, se lo
copiò e lo lesse. Non poté dire che gli piacque, anche perché nessuno glielo
chiese, ma sicuramente lo impressionò e lo spaventò addirittura.
Però per internet fece tutto quello che gli
era stato richiesto. Attraverso fonti che lui non sapeva, R aveva poi riscontrato
che la missione era stata compiuta e mantenne la promessa.
Il
manoscritto ritrovato a Ladispoli in realtà non era così antico come voleva
sembrare, era un falso incompiuto e senza titolo, usando finta carta vecchia.
Non era stato l’amico burlone a pubblicarlo di nascosto, ma lui stesso.
E
lui chi era?
Sì,
l'autore, il belga De Vrincke, pluriartista beone e poliedrico, aveva avuto
l'idea di pubblicare questa roba tralasciando inizio e fine, perfino senza l’uso
di una copertina, magari per incuriosire i lettori. Quelli però non si erano
incuriositi e la storia era stata pressoché dimenticata, fino all'arrivo di Carlomagno
qualche annetto dopo, il quale però anche ne rimase piuttosto deluso.
In
ogni modo comprò lo stesso il giornale Berliner Morgenpost del giorno prima, come
il suo amico Nino gli aveva detto di fare. Manco a farlo apposta, in terza
pagina, c'era la foto di R ammazzato come un cane, da non si sapeva chi, ma
probabilmente perché era uno dedito più che altro allo spionaggio, con ampio
diritto al doppio o triplo gioco, per coincidenza anche in quell’articolo lo
chiamavano Kolev.
Il libro in questione ora diventava automaticamente
l’altro, che parlava dei retroscena del suo alto tradimento, del suo triplo e doppio
gioco ed era così preciso nei particolari che si poteva paragonare ai libri di Le
Carrè, solo che magari era tutto vero, anzi assai probabilmente. Piuttosto
quello e non l’altro fu un fottuto bestseller, all'editore in questione fruttò
parecchio denaro, ma anche a Carlomagno che si vide riempire il conto blindato
delle Kayman di soldi in un certo senso sporchi, ma che almeno da lontano
sembravano uguali agli altri.
Ben presto era stato tradotto se non in tutte
le lingue almeno in quelle principali e Carlomagno da vecchio si trovò da un
momento all’altro arricchito di denaro, anche se per fare la vita che faceva
non ne aveva alcun bisogno… e di una paura abbastanza forte e continua di
essere anche lui ammazzato.
Catalano: “Els joves
tenen la memòria curta, i tenen els ulls per mirar cap a llevant; i a ponent no
hi miren sinó els vells, els que han vist pondre’s el sol moltes vegades.”
Lo
spagnolo lui lo aveva quasi imparato senza studiarlo, attraverso fumetti,
canzoni, poesie e roba che aveva trovato in giro. Imparare le lingue gli pareva
quasi come viaggiare, ma fisicamente non era mai uscito dall’Italia.
Aveva
sempre vissuto in quella maniera, senza rischi, riposando e leggendo la sera
davanti al caminetto, persino quando era spento, anche quando era giovane. Senza
vizi, senza rapporti personali molto stretti, soprattutto senza grandi
emozioni.
Non
lo sapeva se ora stava rischiando la vita, forse sì, ma stranamente gli
piaceva, faceva sembrare tutto più bello ed effimero, due cose che al mondo spesso
vanno a braccetto.
Forse
avrebbe dovuto maledire Kolev, detto anche R, invece lo benediva e sorprendentemente Patrizia gli sembrava sempre più simpatica e perfino sexy.
Era
una donna alla mano eppure colta, una persona pratica e sempre allegra, sapeva
cucinare bene e tagliarti perfino i capelli, giocava bene a scacchi e ti teneva
la fottuta amministrazione del negozio.
Proprio
recentemente si era lasciata dal suo eterno e vecchio fidanzato, perciò
Carlomagno stava pensando pure che doveva sbrigarsi, la doveva invitare al più
presto a cena al ristorante Petecchioli, appena fuori Cerveteri, sulla strada
che portava a Roma, come tutte le altre, del resto.
Lei
stessa glielo aveva detto - lanciandogli forse un invito, magari un segnale di
via libera - che quelli avevano cominciato a fare pure dei piatti di pesce non
indifferenti, pur mantenendo dei prezzi abbordabili.
E
poi ora non era più il caso, né il momento, di mantenere il solito profilo
basso, non essendoci, come diceva il Boccaccio, nessuna certezza di un domani.
Nessun commento:
Posta un commento