Il
presente è detto indicativo proprio perché - al momento giusto - separa le acque per noi e ci indica da una
parte un passato e dall’altra un futuro.
Ci
dice che il passato - per quanto romantico - non è più; che il futuro - anche
se radioso -non è ancora.
Invece
il passato, anche se non sempre imperfetto, che sia prossimo o anche remoto,
non ha più energia, ma sulle sue macerie, magari ancora fumanti, saltella
proprio il presente, a indicarci la strada da scegliere.
Il
futuro, non importa se sarà semplice o anteriore, certo avverrà o sarà
avvenuto, ma purtroppo c’è ancora da aspettare.
Anche
se a volte ci viene il dubbio, siamo piantati qua in mezzo e pure se
condizionali e congiuntivi vari ci punzecchiano con ipotesi non sempre
realizzabili, pare proprio che esistiamo, effettivamente, in qualche misteriosa
maniera.
Dimentichiamoci
quindi, almeno per un po’ di essere professori d’italiano, o dei sedicenti
scrittori: il presente è proprio oggi, ora, in questo momento.
Però
se ci facciamo prendere dall’ansia, il tempo perde il suo valore, anzi sciupa
anche tutto il resto.
La
grande contraddizione degli esseri umani è il costante pensiero della morte, di
tempo noi qua ne abbiamo anche troppo, ma se pensiamo che è una cosa che un
giorno finirà, allora pare che ci manchi.
Non credo di essere uno di quelli che pensano spesso alla
morte come un qualcosa in un certo senso sgradevole.
Se però considerassi la mia nascita una delle cose
migliori che io abbia mai fatto, ecco che la fine dell’esistenza potrebbe provocarmi
un qualche disappunto.
Non penso di conoscere la morte, come non abbastanza la
vita, la prima però è solo un momento, l’altra invece ha una durata, perciò è
forse preferibile, in quanto maggiormente interattiva.
A noi umani il pensiero della fine della vita ci
accompagna e c’incuriosisce, se non sempre, almeno spesso, dalla nascita alla
morte.
Uno strano processo per cui una persona prima c’è e dopo
non c’è più.
È forse una magia?
La magia crea qualcosa dove in precedenza non c’era, o fa
sparire una cosa nel niente, ma è solo un trucco.
La filosofia, invece fa capire che quel qualcosa che noi
credevamo inesistente invece esiste, o quello che credevamo esistere - al
contrario - non c’è.
Insomma la filosofia è il contrario della magia, o
qualcosa del genere.
La morte dovrebbe essere il contrario della vita, o magari
no.
Se uno sapesse quando deve morire, potrebbe organizzarsi
meglio?
Come quando si va dalla cartomante e poi ci si fa eccessivamente
influenzare dalle sue previsioni.
Allora è meglio saperlo oppure no?
Personalmente preferisco di no, anche se mi dicessero che
morirò esattamente fra cinquant’anni a partire da adesso.
Sarebbero cinquant’anni troppo influenzati da questa
previsione e poi che fregatura se non fosse nemmeno vero!
Il principio di Heisemberg dice che l’osservatore
influenza inevitabilmente il risultato dell’esperimento.
Il mondo senza di me non sarebbe certo lo stesso, almeno
dal mio punto di vista.
Anzi, ho ragione di credere che non esisterebbe nemmeno.
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