Una crociera
di venti giorni sul Mediterraneo, Egeo e Mar Nero avrebbe dovuto ritemprarci
dopo un anno difficile.
Proprio in
quei giorni, però, invece di distrarci, cominciammo a contrastarci anche in
maniera incrociata, si litigava non solo all’interno delle due coppie, ma anche
io con Elena e Giacomo, i miei figli.
Poi loro anche
con mia moglie Anna e così via, tutti a collaborare per rendere più infernali
le nostre vacanze.
Partiti da Napoli
facemmo tappa a Palermo, poi, dopo Taranto, prendemmo la rotta della Grecia,
dovevamo visitare per prima Mikonos, ma il mare era troppo mosso.
Ci limitammo
ad ancorarci a qualche miglia marina di distanza.
Curioso il
fatto che in mare non si usino i chilometri, ma le miglia marine, che poi sono
più lunghe di quelle terrestri, usate dagli inglesi, al posto dei chilometri e
direi che sono curiosi anche gli inglesi, che ci tengono tanto ad essere
diversi in tutto.
Dopo aver
aspettato quasi un giorno intero ce ne andammo a visitare un’altra isola, visto
che lì in giro ce n’erano in generosa abbondanza.
Quella che
visitammo non era Mikonos ma ci somigliava, disse qualcuno mentre sbarcavamo.
Non ricordo
l’effettivo nome, forse Delos, ma credo che se avessero detto che invece sì,
quella era proprio Mikonos, nessuno si sarebbe accorto della differenza.
La scarsa
vegetazione e l’abbondanza di pietre ne evidenziavano la natura selvaggia, la separazione
dal mondo, ma l’approdo era più sottovento, perciò più favorevole.
Scesi alle 15,
alle 19 dovevamo essere di nuovo tutti a bordo, ma una coppia di Frosinone ci
fece ritardare due ore.
Al loro
ritorno dovettero sfilare tra una folla di persone che li accompagnò con lo
sguardo e un brontolio che pareva quasi un ringhio, sulle barche, fin sulla
nave, finché non sparirono nella loro cabina.
In fondo due
ore in più o in meno non facevano differenza, ma c’è gente, tra cui mia moglie,
che prende queste situazioni come offesa personale e contano i secondi che
passano, incapace di occuparsi di altre cose.
Grazie
all’esempio negativo di Anna, sono migliorato in alcuni aspetti, tra cui quello
di non dover cercare la polemica ad ogni costo, pure il mio mestiere m’insegna
ad avere molta pazienza, anche se in famiglia ci riesco meno.
A tavola ci
trovavamo però tutti insieme e, proprio come a casa, infuriava la tempesta
verbale.
Meno male che
c’erano altre persone, allora mi davo da fare goffamente per conoscere più
gente possibile, per intavolare conversazioni di qualsiasi tipo.
Sulla nave,
per ogni eventuale dialogo con estranei, sarei stato un ragioniere.
Non che mi
vergognassi del mio mestiere, anzi, ma in vacanza mi piaceva assentarmi anche
dal mio ruolo di inquisitore, di quello che fa le domande per scoprire il
colpevole.
Quella signora
bionda, sulla sessantina, l’avevo già notata più volte sul ponte, passeggiare
col suo bastone di legno chiaro, ammirare il mare come se fosse veramente
incantata da quella vista, tanto meravigliosa per alcuni quanto fin troppo
svalutata per la gente comune, specie dopo qualche giorno di navigazione ed eventuale
mal di mare con relativi nausea, vomito e cose di questo genere.
Portava sempre
occhiali da sole, larghi cappelli di paglia con fasce e relativi fiocchi
variopinti, che più di una volta le volarono via e una di queste fui io a
riportargliene uno.
Era l’ora del
tramonto, scorrevano al nostro fianco terre elleniche, isole piccole, medie e
grandi, per noi senza nome, suggestive sagome tagliate dalle ombre e dalla luce.
“Grazie, molto gentile.” Disse. “Mi scappano
sempre questi dannati, ma mi permettono anche di conoscere certi cavalieri
misteriosi...”
Per parlarmi
si era tolta gli occhiali da sole e mi avevano impressionato gli occhi grandi e
blu.
Sorrise, ridacchiò e
riprese il suo cammino senza che riuscissi a dire niente.
Intanto io me
la scappavo come potevo dal mio disgraziato nucleo familiare, spesso ‘dovevo’
pedinare Elena per conto di mia moglie, giacché la sua era considerata un’età a
rischio.
Ebbi maniera
di conoscere varie altre persone, alcune anche incuriosite di sapere perché i
Musetti erano tanto spettacolarmente dediti alle discussioni agitate e al
torpiloquio.
A mia volta
m’informai sulla signora Lindenmaier, così si chiamava, che, pare, facesse
parte del Club del Capitano, cioè consumava i pasti in un ambiente esclusivo,
al quale si aggiugevano nobili e personaggi di riguardo, oltre al capitano
della nave e agli ufficiali.
Non l’avevo
mai vista nel salone delle refezioni, ma anche se dava abbastanza nell’occhio,
tra centinaia di persone, mi sarebbe anche potuta sfuggire.
Conobbi i
coniugi Mancino, di Caserta, osservatori attenti di ogni piccolo dettaglio e
ottime forchette, dalla mole generosa, ma dalle tasche cucite, pareva che
fossero in crociera per rimpinzarsi a sbafo.
La signorina
Bertè, di Carpi, era in realtà una zittella simpatica che parlava anche da
sola, ma se c’era qualcun altro aumentava il ritmo e il volume, per non farsi
interrompere...
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