“Si trattava di due personaggi bizzarri, Celo Cimici e Uncisifà, andavano insieme per i paesi, frazioni, case isolate, in zone difficili e montagnose del dopoguerra, quando le strade erano un polverone che alla prima pioggia diventava facilmente fango ed erano piene di buche.
Uno faceva l’arrotino e l’altro aggiustava gli ombrelli. Cioè Celo Cimici aveva la mola e faceva l’arrotino, l'altro oltre gli ombrelli aggiustava anche altre cose, tutto quello che capitava in giro, a quel tempo gli elettrodomestici non c’erano nemmeno nei film.”
“Perché li chiamavano così, allora?”
“Celo aveva studiato per diventare avvocato, poi si era reso conto che quel mondo non gli piaceva e aveva preferito quell’altro, dicevano che era di famiglia buona ma era scappato per non dover diventare come loro. Allora diceva frasi piene di pronomi diretti, indiretti e combinati tipo niente ci proibisce di vietarcelo o anche nulla ci vieta di proibircelo, che erano una specie di motto che rivolgeva alla moglie parlando dei figli, certi scavezzacolli come c’erano una volta.
Allora gridavano: ombrelli e coltelli, riparazioni di oggetti rotti di ogni tipo e misura!!!
E naturalmente anche: Uncisifà! Ce lo ci mi ci! Ce lo ci mi ci! Uncisifà!
La gente rideva, i bambini ripetevano a giornate i loro motti, li conoscevano tutti.”
“E Uncisifà che significato aveva nel loro caso?”
“Siccome avevano sempre parecchio lavoro, che a quel tempo la gente non si muoveva tanto, i negozi erano pochi, specialmente in campagna o in montagna, e coltelli e ombrelli si usavano di più, Uncisifà ripeteva il suo motto continuamente, per dire che non riuscivano a svolgere tutto il lavoro che dovevano fare.
Uncisifà riparava gli ombrelli, ma aveva meno lavoro di Celo Cimici, un arrotino aveva sempre più da fare, quindi Uncisifà era più bravo nel riparare gli oggetti vari, di ogni tipo, che a volte gli chiedevano cose assurde come fare da dentista improvvisato o ferrare un cavallo, ma lui era bravissimo a fare tutto e non diceva mai di no, se non l’aveva mai fatto imparava al momento, se il risultato non garbava ai clienti non si faceva pagare e quella era una garanzia, ma se rompeva di più quello che doveva riparare non risarciva i danni, e non lo diceva prima, ma solo dopo. Ma erano tutti e due così allegri e simpatici che raramente qualcuno gli contestava il loro lavoro che comunque era sempre buono o ottimo.”
“E quindi, se non ho capito male, diciamo che lavoravano sempre all’aperto…”
“Sempre, era forse quello che gli piaceva di più, a volte sotto un albero frondoso quando batteva forte il sole, quando pioveva sotto un portico, oppure se nevicava, a volte anche in una stalla che gli offrivano per farli lavorare più a loro agio, se era freddo o cose del genere.
Erano sempre sporchi e impolverati, il colore bruno della faccia abbronzata e delle braccia forti era lo stesso dei capelli e dei vestiti logori, un marrone scuro con dei riflessi dati dalla patina di polvere che poi sembrava quasi dorata, specialmente nelle giornate di sole. Allegri come cardellini, ripetevano le loro frasi a iosa e avevano sempre una cosa buffa di dire a tutti, qualche buona parola per chi passava o per chi era triste:
"Vai a fungi?"
"Vai via fanteria?"
"Vieni va' che si ribeve!"
Insomma cose stereotipate e poi ripetute di questo genere, udite e prese chissà dove, o inventate da loro stessi.
Insomma erano più famosi di chiunque in giro e tutti gli volevano bene, i bambini gli correvano intorno quando arrivavano e quando se ne andavano li accompagnavano per un bel pezzo gridando. Quando lavoravano gli stavano intorno a strillare le loro stesse frasi, ma a loro gli garbava, non li scacciavano, mai.”
“Ma te come facevi a conoscerli? Quelle lì non erano mica le tue zone!”
“Come no? Io ho abitato da piccolo a Culaccio, prima del Cipollaio, vicino al crinale che porta verso il Monte Forato, loro venivano anche lì, perché abitavano ad Arni che non era molto lontano, non ti saprei dire la frequenza, ma forse anche una volta alla settimana, in certe epoche anche ogni due settimane, o dieci giorni.”
“Culaccio? Diciamo che questo nome te lo sei inventato ora, dimmi un po' che mi sbaglio?”
“Nooo, ti sbagli propio! Ma guarda sulle cartine della provincia di Lucca, è una frazione piccola e si chiama proprio così.”
“Mah? Diciamo che controllerò più tardi, intanto vedi che il tuo galleggiante si muove.”
“Sì, è un bel po’ che gira, ma sono i buzzacchiotti, que' pesci piccoletti che non ce la fanno a ingollare il boccone e cercano di strappare pezzi del verme, ormai li conosco.”
“Che oggi quelli grossi un'abboccano.”
“No, un'è giornata, forse se si cambiasse esca…”
“Io un c’ho altro, ma te c’hai la polenta?”
“Sì, mi pare un po’ ammuffita, l’ho fatta cinque giorni fa... o prima ancora, ma forse a loro non gliene importa niente. E poi la muffa lo sanno tutti che sott’acqua cessa di esistere, ovviamente.”
“Dici? Un lo so, diciamo che bisognerebbe chiederglielo alle carpe. Ma dentro che c’hai messo?”
“Formaggio e anice.”
“Ah, bravo-bravo, la famosa ricetta del Martellacci! Chissà se è sempre vivo."
"Non credo."
"No, infatti. Ma tornando a noi, perché que' due intellettuari andavano in giro insieme? Di solito l’arrotino va da solo e chi aggiusta ombrelli anche…”
“La loro era una specie di tacita società che ha funzionato per decenni, girava voce, che il sodalizio in questione nacque quando si sposarono due sorelle, una a testa però, l’avrai intuito, sei sempre stato un ragazzo perspicace."
[...]
"Sembra che Uncisifà fosse di Capezzano Pianore e Celo Cimici di Poveromo, località pianeggianti e pure vicine al mar Tirreno."
"Diciamo che secondo gli scienziati cartografi e mappatori il nostro sia già mar Ligure..."
"Va bene, quello lì davanti, insomma.
Ma non mi sono andati a vivere ad Arni? Che è in montagna, proprio per via della casa delle mogli? Qui non c’è bisogno che tu risponda.
No, non mi devi rispondere, chiudi pure la boccuccia, che con quei baffetti mi sembri una tinca. La domanda è puramente retorica.
Nella quale casa delle mogli si misero a vivere insieme, insomma, con i suoceri in comune, che poi morirono e loro però restarono sempre lì. Ad Arni.”
“Sì, però più vicino a Culaccio, correggimi se sbaglio. Ma ora ti sei inventato un altro nome, Poveromo non l’ho mai sentito io!”
“E invece no, sei deboluccio in geografia limitrofa, mi pare a me. Poveromo è sul litorale, vicino a Ronchi, dopo Forte dei Marmi, già in provincia di Massa, te lo faccio vedere sulla cartina, ricordamelo.”
“Vabbè, faccio finta di crederci. Complimenti per questo bel pronome combinato con l'imperativo. Ma la mettiamo o no questa bella polenta ammuffita?”
“Sì. È meglio. Tanto a me il verme me lo hanno già cianciato tutto, lo vedi il mio galleggiante? Non si muove più…”
“Infatti, avrei voluto suggerirtelo. Diciamo che la tua storia ci ha portato progressivamente e inopinatamente verso i pronomi combinati, con l'imperativo - anche se parlando non si sente - diventa tutta una parola. Che a dir la verità si chiamerebbero anche accoppiati, vero?"
"Ecco."
"Ma poi come è andata a finire la storia di quei due?”
“Male, come di solito succede, almeno qui sulla terra. Uncisifà morì schiantato sotto una frana, Celo Cimici si salvò per miracolo, ma rimase su una sedia a rotelle, non si mosse più di casa. La gente più vicina gli portava il lavoro lì e lui lo faceva, certo non era più tanto allegro, ma non si perse mai d’animo, quello mai. Le mogli e i figli lo aiutavano un po’. Questo è ciò che narrano certi barbieri della Garfagnana e della Versilia, ma anche dell’Alto Frignano.”
“Ma se sei quasi pelato!”
“Che c'entra? Anche i quasi pelati hanno bisogno di una aggiustatina, ogni tanto. Poi mi piace farmi tagliare la barba con il rasoio come una volta e tutto il resto, i panni caldi sulla faccia, insomma una cosa romantica. Ma te come fai ad avere tanti capelli ancora sul capoccione?”
“Lo sai che non lo so? Diciamo che per me è una rotta di coglioni non indifferente. Crescono troppo alla svelta e sono fitti, duri e appiccicati che è difficile anche pettinarli.”
“Hai provato a lavarli?”
“No, diciamo che non mi è mai venuto in mente, dici che possa essere una trovata interessante e tutto? Una specie di uovo di Colombo?”
“Un lo so io! Te prova. Io c’ho la testa come un uovo spelacchiato, ma quando ce li avevo, i capelli, li lavavo regolarmente, loro mi erano grati, alla loro tacita maniera, diventavano più docili.”
“Ecco perché sei pelato, lo sai che lo sciampo è un veleno?”
“Forse hai ragione, dopo ho anche provato a incollarli ma non funzionava.”
“Ecco una battuta nuova, la faceva anche mio nonno. Ma che tristezza…”
“Eh sì, era un sant’uomo, tuo nonno, purtroppo morto giovane, mi pare, quant’anni aveva?”
“Novantotto, guasi novantanove.”
“Beh… allora torniamo a noi, stavamo parlando di Celo e Uncisifà. Non solo metaforicamente: diciamo che la vita ti stronca le gambe. Qui, in questo caso, non solo in senso figurato.”
“Vabbè, ma che alternativa avremmo?”
“Tutte e nessuna. La morte forse, il senso naturale della vita è la morte.”
“Sì, ogni tanto me lo ricordi, e io ti manderei piuttosto affanculo, anche spesso e volentieri, se non mi costasse del fiato.”
“Lo so.”
“Per questo te ne approfitti?”
“Infatti. Però diciamo che se mi sgami sempre, non c’è più tanto gusto.”
“Giangio! Ora è il tuo galleggiante che gira intorno senza posa.”
“Questa è una carpa, me lo sento.”
“Per forza. Con la polenta gli altri pesci un abboccano.”
“Sì, con la polenta normale, ma con quella ammuffita gli scienziati asseriscono che c’è un ventaglio ben maggiore di possibilità.”
“Ah sì? A buon intenditore poghe parole! Cuoio, a specchio o reina?”
“Diciamo che da come gira in maniera anti-oraria, piuttosto tipicamente, a scatti brevi, o medi, assolutamente non lunghi, direi che dovrebbe essere una reina, o a limite a specchio.”
“La tua analisi e successiva brillante deduzione non fa una grinza. E poi di cuoio qui non ce ne sono.”
“Appunto.”
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