In tanti casi, chi vive qui non ha optato per amore della pace e della natura, ma perché costa meno. Una volta Vila Nova era un villaggio poi è diventato un quartiere di Porto Alegre, ci sono favelas nascoste intorno e qui quasi tutti hanno un allacciamento clandestino alla luce elettrica.
Un giorno diventerà un quartiere
residenziale, forse, ma ora chi vive qui è gente che lavora parecchio e appena
può festeggia mettendo la musica ad alto volume.
Attorno a me ci sono dei vicini
normali, credo, almeno per questa parte del Brasile, dell'estremo sud, e comunque
di un quartiere decentrato e pressoché campagnolo. Sono io che non sono tanto
normale qui in giro, ogni tanto è bene ricordarselo, forse non lo sarei nemmeno
in Italia, dove sono nato e cresciuto fino più o meno ai 35 anni.
La salita per arrivare quassù sul
crinale della collina è ripida e foderata di parallelepipedi di cemento, nella
mia stradina invece è sterrata e quando piove si formano buche e avvallamenti
considerevoli.
Una volta la strada ha ceduto e c'era
un buco in mezzo, che cresceva ogni giorno, sulla salita pavimentata. La fogna pubblica di sotto, a cui siamo tutti
allacciati clandestinamente, si era aperta finché un enorme camion della birra
Brahma ci si è incastrato e ha bloccato il traffico, così dopo mesi di
latitanza sono venuti ad aggiustarlo.
Ci sono dei grossi uccelli che vivono
sulla collina di fronte, che ci divide dalla parte della città più fittamente
abitata, che essendo considerata zona verde è ancora ricoperta di foresta
vergine. Si chiamano Jacù, sono grossi più o meno come galline, però volano e
ogni mattina formano un numeroso corteo starnazzante che gira su nel cielo per
una mezz'ora o più.
In una certa epoca un rapace grande
come un piccione si era stabilito dentro casa mia e volava per le stanze non
facendo certo attenzione a dove sporcava, la notte usciva e si metteva sul
punto più alto della casa, oltre gli otto metri, e fischiava che a non saperlo
sembrava una persona umana, dormire era
un problema.
Ho cercato di dissuaderlo in tutte le
maniere, alla fine ho comprato una carabina ad aria compressa e gli ho sparato,
colpendolo più volte di striscio, ma lui non la capiva, magari pensava che
fosse un gioco, finché l'ho dovuto ammazzare.
Più volte pipistrelli e uccelli più
piccoli hanno svolazzato dentro, forse entrando per sbaglio. Un uccello
abbastanza comune qua veniva a beccare i vetri di una finestra e ci stava delle
ore. Non voleva entrare, perché se la finestra era aperta la beccava lo stesso,
non so se ce l'aveva con la sua immagine riflessa, forse un disturbo della personalità,
insomma anche lui ha fatto una finaccia.
Nella vita spesso apprezziamo soprattutto quello che
non abbiamo, se poi i desideri si realizzano ci sorprendiamo di constatare che
non erano poi quel granché. Quando ero piccolo sentivo meglio e di più l'importanza
di certe situazioni e cose quando ce le avevo in quantità limitata e in un
luogo lontano da tutto, dove era difficile procurarsele.
Tutto questo anche se poi questa lontananza o
difficoltà erano solo apparenti.
Per esempio i giornalini di Geppo o Braccio di Ferro mi
parevano molto più appassionanti se li leggevo nel letto di Mologno, in quella
camera freddissima dove potevamo resistere al gelo solo immergendoci
interamente sotto le pesantissime coperte. Le storielle dovevano essere seguite
in un fioco raggio di luce attraverso un piccolo varco tra le coltri.
L'effettiva distanza da un giornalaio era però la stessa di quella normale di
sempre, anche da lì.
A Massaciuccoli si mangiava di solito peggio che a casa
mia. Mio padre faceva dei goulash ignobili, pensava che fosse sufficiente
buttare tutto dentro la pentola e scaldare per un po'.
In seguito, un po' alla volta imparò a fare degli
spezzatini buonissimi, da lui detti firmati, che ci lavorava dei
pomeriggi interi.
Però a quei tempi lì alla baracca sul lago anche un
sudatissimo prosciutto e melone sembrava un cibo sopraffino, perché per tornare
sulla terra ferma si doveva addirittura usare la barca e remare per un quarto
d'ora, venti minuti.
Quassù sulla collina di Villanova, se si rimane senza
qualcosa, si deve fare dei chilometri in macchina. Prima c'era l'alimentari di
Tonico, non che c'avesse una grande scelta e spesso i suoi già ordinari
prodotti confezionati erano scaduti, ma per le emergenze anche i suoi tremendi
panini gommosi potevano soccorrerci. Dopo diverse rapine però Tonico ha chiuso
e scendere a valle per noi è diventata l'unica possibilità. Qualche volta
Tonico viene da me a bere qualche birra, se c'è qualche partita da vedere alla
TV, ma raramente. Di solito lo saluto da lontano, quando entrambi ci troviamo a
fare dei lavoretti fuori casa.
La spesa la faccio una volta alla settimana, stringendo
i denti resisto per 10 giorni. La mia vita da pensionato in uno spazio di 720
metri quadrati si anima di coraggio e soprattutto di necessità, per scendere
nel traffico infernale del quartiere Cavalhada, come se fossi in missione per
conto di Dio.
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