“Stasera potrei raccontarvi di quella volta che feci un giro di 6000 km per l’Europa con la mia Mercedes che aveva la pompa dell’acqua rotta, ma quella poteva essersi guastata solo un chilometro prima di arrivare e poi in quel viaggio non successe praticamente niente di interessante, sennonché conobbi il primo brasiliano di una lunga serie e che dette il via alla mia epopea brasileira, quella che poi non è ancora terminata.”
A volte mi figuro, per stimolare
la mia voglia di raccontare, di essere un nonno davanti al caminetto acceso,
con dei bambini intorno, figli di altri esseri umani, che avessero voglia di
chiedere e di ascoltare, interrompendomi di continuo fino a farmi perdere il
filo.
Tra l’altro credo che la nostra
lingua sia l’unica in cui i figli di fratelli o sorelle si chiamano esattamente
come i figli dei figli, cioè i nipoti.
L’età ce l’avrei già,
modestamente, purtroppo i nipoti però scarseggiano. Di quei pochi, che per ora
è uno solo, tra entrambi i tipi, non ha certo voglia di sedersi davanti al
caminetto ad ascoltare un vecchio nostalgico dei bei tempi andati.
I tempi sono cambiati purtroppo e
niente che non sia elettronico può interessare i giovani, in compenso io ho
imparato a fingere di credere in qualcuno che abbia veramente tanta voglia di
leggere. Qualcuno ancora c’è, a rigor del vero, ma diventano sempre meno.
Quando ne trovo uno, specialmente se insospettabile, è una grande
soddisfazione.
Comunque i virtuali nipoti miei o
di qualcun altro a quel punto si dimostrerebbero interessatissimi e io per fare
il prezioso, ma anche per un innato amore della verità, direi:
“No, forse è più divertente, o anche più
importante che voi ascoltiate dalle mie stesse romantiche parole quello che
successe quando con il brasiliano in questione, (lo stesso della prima storia
che vi ho accennato, ma che magari vi racconterò un’altra volta,) che aveva
lavorato per me al Caffè Voltaire, facemmo un altro grande viaggio, non so se
di seimila chilometri, forse anche di più. Victorinho era di Curitiba, nello
stato del Paranà. Suo padre era militare e venne trasferito a Joào Pessoa,
capitale del Paraiba, il punto più a est del Brasile e dell’intera America
Latina e forse era stato là, almeno mi pare, che era nato.”
I nipotini con questi nomi esotici
avrebbero già cominciato a sognare e a sfregarsi le mani forse, e io avrei
potuto ricordare, in mezzo alle mie stesse frasi, tante cose alle quali non
avevo più pensato.
“Eravamo io e Victorinho, un
emerito rompiscatole al quale però ho sempre voluto bene, anche quando ho
scoperto che mi prendeva in giro con espressioni brasiliane, che all’epoca non
comprendevo, ma solo dopo aver vissuto qua. Inizialmente sono rimasto
indignato, ma tutto era in linea con il personaggio, che magari un giorno
leggendo tutto questo si farà delle grasse risate alle mie spalle.
Victorinho l’avevo conosciuto in
Portogallo. Anche questa storia varrebbe la pena di raccontarla, magari in un
secondo o terzo momento. Su mio invito poi era venuto a lavorare da me, che
qualche anno prima avevo preso da solo il Caffè Voltaire, cominciando a
liquidare a rate il mio socio.
Per via dell’inizio dei controlli
sui lavoratori extracomunitari, Victorinho poi andò a lavorare al ristorante da
Leo e solo in un secondo momento al Caffè, però ha abitato per i primi anni e
senza pagare niente nel rustico appartamento che c’era sopra. Appena venduto il
locale a cambiali, decidemmo di scapparcela a gambe levate.
Correva l’anno 1993, era autunno,
con la mia Panda verdolina facemmo un giro per l’Europa, senza limiti di tempo
ma solo di soldi.
Il grande viaggio ebbe luogo, come
di solito succede a noi poveri esseri umani, dopo che una prigionia provvisoria
arrivò ad una fine. In quel caso la proprietà del Caffè Voltaire volgeva
finalmente al termine e non se ne poteva veramente più.
Insomma il mondo si apriva di
nuovo davanti a noi, se non tutto almeno l’Europa, che è già abbastanza estesa
e piena di cultura e vita, di strade interminabili, di sogni fatti di realtà
concreta e tangibile che noi - in alcuni casi - conoscevamo solo attraverso
libri o foto, qualche film.
Stavolta possedevo solo una Fiat
Panda, una macchinetta in gamba quella, che fece più che egregiamente il suo
dovere anche in un’altra vacanza di terribili strade, in Corsica. Ma fu prima o
dopo? Non mi ricordo tanto bene.
Insomma prima tappa un paesino in
provincia di Vicenza dove un certo amico brasiliano di Victorinho ci avrebbe
dovuto ospitare, ma forse non era stato avvertito, o forse sì, non si sapeva o
sono io che non me lo ricordo.”
Molte delle divagazioni erano mie
originali, ma altre più lunghe, fonti di ulteriori domande, erano dettate dalle
curiosità dei nipoti che volevano sapere sempre qualcosa che io non dicevo e
scoprivano subito quelle cose che non ricordavo, accidenti a loro.
Bisognerebbe anche specificare che
io e Victorinho attraversavamo una fase diversa e contraria della nostra vita,
in cui io avevo una gran voglia di parlare e di condividere impressioni e
sentimenti, diversamente dal mio solito, ero di una felicità euforica, forse
anche irritante.
Lui invece stava zitto quasi tutto
il tempo e alla fine mi zittivo anch’io, visto che mi trovavo di fronte a un
muro d’indifferenza.
Ricordo tratti di centinaia di
chilometri fatti in silenzio, pochi scarni commenti del paesaggio, veniva
voglia di tornare a casa, ma eravamo solo all’inizio.
Per farlo diventare simpatico e
pieno di energia bastava che arrivasse una femmina che dovendo per forza
tentare di conquistarla allora Victorinho diventava tutto pieno di energia e di
entusiasmo. Un tipo di comportamento che mi faceva arrabbiare, quindi ci
irritavamo a vicenda.
“Giunti che fummo già di sera a
casa di tale amico, lui non c’era e non si sapeva dove era e quando sarebbe
ritornato, aspettavamo che ci invitassero a cena, ma loro avevano già mangiato
e ci dettero dei minuscoli toast che ci venne ancora più fame e poi davanti
alla TV con il padre e le sorelline l’attesa fu troppa e articolata in varie
fasi di fame, sonno e noia. Con malcelata indifferenza parlammo di Airton
Senna, grande pilota di Formula Uno brasiliano, morto da poco a Imola, mi pare,
ci chiesero dove diavolo avremmo dormito, noi non lo sapevamo e loro
insistevano nel non invitarci a oltranza, il figlio non arrivava, forse lo
avrebbe fatto se noi ce ne fossimo andati via. Dovemmo già sul tardi avanzato
inventare una sistemazione notturna di emergenza e perciò telefonare e fare una
relativa scappata a qualche centinaio di chilometri, dal mio amico Fausto
Vavassori a Torbole sul lago di Garda.
Prima però una bella pizza e più
che copiosa birra lì vicino, che ci mettemmo in viaggio già mezzi ubriachi e la
cassiera della pizzeria ci aveva fregato sul resto, approfittando del nostro
stato di ebbrezza, me ne resi conto solo dopo qualche ora e relativi
chilometri.
Tale amico cuoco avevo già più
volte visitato e ci avevo in precedenza lavorato insieme a Lucca, non era uno
che lesinava in fatto di alcolici, tanto bevemmo e tanto parlammo che a letto
ci andammo quasi a gattoni e in più c’era anche da montare le scale.
Dormimmo in quella camera più
bella, con stupenda vista sul lago, ma le persiane erano chiuse e non ci
ricordammo nemmeno di guardare, voglio dire neppure la mattina seguente, sembrò
che cominciasse solo pochi minuti dopo. Partimmo sul tardi e mezzo, io con il
mal di testa, destinazione Austria, che non era lontana, ma c’erano troppe
curve, stranamente anche sull’autostrada, ma eravamo in montagna, e quelle
dovevano essere proprio le Alpi.
Cominciammo subito sul
tragicomico, con un passaporto scaduto, il mio, alla frontiera con l’Austria.
Tornati qualche chilometro indietro, con mano sicura Victorinho falsificò a
penna la data. Il nove del mese di settembre era diventato un più conveniente
dodici, che poi sarebbe dicembre. Ovviamente scegliemmo un'altra frontiera, non
troppo lontana per andare a Innsbruck.
Con i passaporti moderni non
sarebbe stato possibile, vedete che il passato era una roba molto più umana.”
“È vero, è una vergogna.”
“Uno scandalo vero e proprio.
Va detto a questo punto che tutto
il giro europeo era stato organizzato da Victorinho con tappe obbligate nelle
case dei vari compagni di corso di italiano, che erano fortunatamente di
diverse nazioni vicine o confinanti, che secondo lui ci avrebbero ospitato, in
alcuni casi però non mi parve con eccessivo entusiasmo. Se il suo piano avesse
funzionato avremmo potuto risparmiare più soldi per viaggiare di più.”
Victorinho da buon brasiliano con
la sua abile, ma spesso anche troppo forzata manipolazione, era riuscito a
farsi promettere un po’ da tutti che lo avrebbero ospitato, nel caso avesse
potuto fare un giro per il vecchio continente, anche se ormai da tempo
incontinente.
Forse un giorno, sulla mobilità in
progressivo e costante aumento degli esseri umani, questa moderna incontinenza,
scriverò un noioso trattato pieno di numeri e percentuali, o forse sarà meglio
di no.
A proposito, c’entra poco o
niente, ma ci dissero solo dopo, che avevano organizzato una competizione,
della pubblicità, forse anche dei premi, per chi faceva dei viaggi lunghi con
la Fiat Panda. Magari per evidenziare che aveva un motore instancabile, il che
era vero e in salita era una capra di montagna.
Poi quando l’ho saputo era troppo
tardi, ma c’era gente che era andata a Capo Nord o addirittura a Pechino e il
nostro giro non avendo una meta prestabilita, andava di qua e di là un po’ alla
rinfusa, probabilmente anche se lunghetto non sarebbe stato preso in
considerazione per la Pandata in questione.
Comunque sia, arrivati a
Innsbruck, essendo ospitati e accompagnati da due ragazze, Victorinho tornò a
essere goliardico e arzillo, tanto che tra di loro non mi riusciva parlare,
anche perché la conversazione era tutta sul corso e i loro compagni che io non
conoscevo.
Imparai però che in quell’epoca lì
c’era il fenomeno del Föhn, o Favonio, è
un fenomeno che si verifica nel versante sottovento di una catena montuosa e
che causa una rapida e marcata variazione dei parametri meteorologici. Quando
un intenso flusso si dirige verso una barriera come le Alpi, nel versante
esposto al vento la massa d’aria sale e di conseguenza si raffredda e forma
nubi e causa intense precipitazioni.
Una importante
curiosità, l’aria satura salendo si raffredda di 6°C ogni km. Ad
esempio, se la montagna è alta 1000 metri e la temperatura a fondovalle è 15°C,
in cima si riscontreranno 5°C. Nel versante sottovento, complice la
differenza di pressione e densità dell’aria, si ha un processo opposto, con
moti discendenti. L’aria si comprime, scaldandosi e seccandosi. Questo causa
mal di testa e malumori improvvisi nella gente, c’è chi ne risente di più e chi
meno.”
“Ma qui in Italia non c’è?”
Chiedono i bambini che non ne hanno mai sentito parlare.
“Certo, a quei tempi anche io non
lo sapevo, ma dopo mi sono documentato: il Föhn o Favonio in Italia si presenta
soprattutto in pianura Padana e nelle valli Alpine. In queste zone si
verifica in presenza di flussi settentrionali (nord föhn o föhn alpino). In
presenza di correnti intense da sud-ovest il föhn appenninico può irrompere in
Emilia-Romagna, Marche e Abruzzo causando temperature molto elevate.
Anche una singola montagna può
indurre condizioni di föhn, che assume nomi locali e avviene in quasi
tutte le regioni italiane.”
“E in Brasile?”
“Beh, temperature in costante
cambiamento ci sono, ma non credo che si possa chiamare così,
là
da noi. Però nel sud, la regione dove ho vissuto quasi metà della mia vita, c’è
influenza dello scontro di temperature e umidità differenti, per via dei venti
provenienti dall’Antartide, che si scontrano con quelli che invece vengono
dalle zone calde dell’equatore. Malumori e mal di testa anche da noi erano
frequenti. Ci sono persone che lo sentono di più, altre che lo percepiscono ma
non lo sanno che è fenomeno che dipende meno da loro stessi e più da fattori
atmosferici…”
Quello di cui anche un nonno
virtuale si accorge, standoci insieme, è che i bambini è meglio trattarli da
adulti, che non è vero che certe cose non le capiscono, ma i genitori,
specialmente quelli italiani, vogliono proteggerli dal mondo e così invece li
indeboliscono.
“Tornando a noi e al viaggio, la
permanenza a Innsbruck fu rapida, mi sa che ci abbiamo dormito una notte sola o
al massimo due, la città era moderna e non c’era molto da vedere, o forse non
avevano voglia di mostracela e Victorinho non era uno che cercava della
cultura, almeno a quell’epoca. Ricordo il trampolino olimpico per il salto con
gli sci dei giochi invernali, lo stadio di calcio del Tirol, dove aveva giocato
anche il tedesco Hansi Muller, squadra che ora non esiste più, è fallita. Siamo
stati a un ristorante tipico sulle montagne, dove abbiamo mangiato assai bene.
Le ragazze erano simpatiche. Una timida, quella che ci ospitava e l’altra
espansiva, un po’ grassoccia, con Victorinho parlavano in inglese, io parlavo
il tedesco ma Victorinho no, insomma io non sono quasi mai riuscito a dire
niente.
Poi siamo andati a Vienna, che era
abbastanza vicina e molto più interessante come città. I nomi non me li ricordo
ma lì ci ha ospitato un ragazzo biondo, che parlava poco e viveva in uno
scantinato, era di un paese di fuori e studiava lì. Non andava molto d’accordo
con Victorinho, quindi il suo entusiasmo per stare insieme a noi era scarso o
nullo. C’era anche una ragazza di cui Victorinho era innamorato, era simpatica
ma l’abbiamo incontrata solo una volta, in una zona centrale della città, che
mi è sembrata molto bella, sebbene avessi sentito dire che era una città morta.
Forse ai tempi di Freud era più dinamica, non lo so.”
“Nonno! È vero che il cappuccino
l'hanno inventato in Austria?”
“Certamente. Il pensiero nostro
corre subito agli omonimi monaci cappuccini, nati dalla corrente
francescana e quindi ispirati a un modello di vita fatto di privazioni e
umiltà: abbigliamento povero, barbe lunghe e incolte, questi preti erano soliti
vagabondare coperti da un cappuccio (distinguibile da quello di altri ordini
poiché molto più piccolo). La loro tonaca era di un colore marrone chiaro,
ovvero proprio del colore dei nostri odierni cappuccini. A creare la bevanda
infatti pare sia stato proprio il monaco cappuccino Marco D’Aviano, che
all’epoca in questione era confidente dell’imperatore asburgico Leopoldo I.”
“Asburgico?”
“La geografia politica non sempre
ha avuto le nazioni come sono ora, ragazzi miei. Sapete quante sono
attualmente?”
“Circa duecento, ma cambiano
sempre il numero.”
“Infatti, molto bene, anche ora il
mondo attraversa una delle solite transizioni. Diciamo che ogni luogo, anche
l’Italia, è passato per guerre, conquiste, invasioni eccetera.”
“Quindi?”
“Beh, la casa d'Asburgo, detta
anche casa d'Austria, è una delle più importanti e antiche famiglie reali e
imperiali d'Europa. I suoi membri sono stati per molti secoli imperatori del
Sacro Romano Impero, hanno governato in Austria come duchi, arciduchi e
imperatori, e sono stati re di Spagna e re del Portogallo.”
“Insomma approssimativamente erano
gli austriaci.”
“Brava. Alla fine dell’assedio di
Vienna nel 1683, i turchi abbandonarono sul campo interi sacchi di caffè; fu il
soldato Franciszek Jerzy Kulczycki a requisirli e aprendo a Vienna,
l’anno dopo, la prima vera caffetteria europea: il Fiasco Blu. Qui
capita un giorno padre D’Aviano e non riuscendo a bere il caffè nero,
chiese qualcosa per addolcirlo, creando quindi la miscela di crema, spezie,
caffè e zucchero (qualcuno dice persino zabaione) che venne chiamata da
Franciszek kapuziner, dal colore della tonaca del frate.
La vera e propria diffusione del
cappuccino come lo beviamo oggi, tuttavia iniziò solo nei primi anni del
Novecento quando un italiano, Luigi Brezzera, inventò la prima macchina
espresso per il cappuccino, nel 1901.
Va aggiunto che quest’ordine di
frati era a Vienna molto stimato, tant’è che tutti gli imperatori asburgici
sono sepolti nella cappella dei cappuccini. Una certezza è che il primo
cappuccino fu fatto con la panna; l’aggiunta di latte è arrivata probabilmente
solo nell’800, poiché tutte le fonti storiche concordano nel dire che prima di
quel momento il latte veniva usato solo per la creazione di formaggi e non come
bevanda.
Origini austriache quindi, ma non
vi è dubbio che il cappuccino di oggi, sia una bevanda del tutto italiana.
Tornando al viaggio, anche la
visita di Vienna è stata rapida, un giorno o due, poi siamo partiti per
Budapest. Passata la frontiera tra Austria e Ungheria, su entrambi i lati della
strada c’era una fila interminabile di banchetti che vendevano carne e verdura,
della roba brutta, scura e pochissima varietà. Un banchetto vendeva patate e
solo patate, un altro cipolle e solo cipolle e così via. Attorno una puzza
tremenda, probabilmente allevamenti di maiali.
Il Danubio divide Buda da Pest,
due belle città, con dentro dei palazzi antichi, spesso di tonalità beige,
molti monumenti militari, ma non avevamo nessuno che potesse ospitarci e non
abbiamo trovato nessuno che parlasse lingue straniere: né tedesco, né inglese,
né italiano, né spagnolo, né tantomeno portoghese.
Prima di entrare in Cecoslovacchia
siamo passati vicino a uno stadio dove stavano giocando una partita di calcio.
L’ingresso era libero, poi abbiamo scoperto che erano gli ultimi minuti.
Abbiamo cercato di chiedere dove eravamo e che squadre giocavano, ma nessuno
parlava le nostre potenziali lingue e se ne vergognavano, tanto che attorno a
noi sulla gradinata si è formato un vuoto, un paio di metri liberi in mezzo
alla folla.
Abbiamo visto anche un bel gol, la
squadra verde ha segnato contro quella azzurra e bianca, penso che fossero
tutte e due ungheresi.
A sera siamo arrivati a Praga. Lì
ci ospitava una ragazza che non aveva fatto il corso con Victorinho, ma era
sorella di una che viveva a Lucca. Il nome non me lo ricordo, forse lei è
ancora a Lucca, stavamo per avere una storia d’amore, una volta…”
“Ma la nonna perché
noi non ce l’abbiamo?
Tutti ce l’hanno
o ce l’hanno
avuta e noi no:”
“Di nonne voi ne avete avute
tante, tutte nonne virtuali, intendiamoci, cari bambini miei, tanto per
cominciare anche noi qui siamo virtuali, proprio perché io di figli non ne ho
mai avuti. Quindi nemmeno nipoti del tipo: figli dei miei figli. Perlomeno
nessuno mi ha mai chiesto il test del DNA…”
“Ma costa una cifra! E poi per
quello bisogna essere famosi e pieni di soldi, nonno!”
“Guarda-guarda, vedi come siete
fottutamente precoci, meno male che non ho ancora detto quanti anni avete, anzi
meglio lasciar perdere questo dettaglio.”
“Infatti, ma in fondo chi se ne
frega? Insomma tu hai avuto tante fidanzate vere, di ciccia. Parliamone!”
“Nooo. Mi toccherebbe diventare
bugiardo come un venditore di automobili. Se è per quello c’è stata anche una
cicciona, una volta, a Berlino… ma torniamo a noi, piuttosto, che ora mi sono
ricordato il nome di questa ragazza che poi proprio in quegli anni è diventata
ceca…”
“Come? Lei non… improvvisamente
non ci vedeva più?”
“Aha! Vi siete preoccupati? Vi ho
fregato! E meno male che ogni tanto ci riesco! Proprio in quegli anni, dovete
sapere, dopo la caduta del blocco orientale, la Repubblica Slovacca chiese e
ottenne la separazione dalla Repubblica Ceca, ma senza una I dopo la prima C.”
“Aaaah! Infame mentitore! Ma come
si chiamava ‘sta ragazza Ceca?”
“Aspetta che non mi ricordo…
Ah! Ecco: si chiamava Lenka, un
nome assai comune là da quelle parti.”
“E la sorella com’era?”
“Ma voi pensate già
alle ragazze? Io all’inizio quando ho cominciato a
scrivere questa storia mi figuravo dei nipoti un po’ meno cresciutelli.”
“…ma noi siamo dei bambini come
tanti altri, nonno, oggigiorno tutto è più rapido. Il mondo occidentale oggi è
fatto così, magari anche quello orientale, insomma non è più come una volta…”
“Va bene che io c’ho
i miei pesanti sessantadue quasi sessantatré anni, comunque a me mi pare
un’esagerazione…”
“A me mi pare non si può dire.”
“Ah già, è vero! Ma che sappiate
la grammatica e la sintassi, mi fa proprio piacere.”
“No, è il programma di riconoscimento
vocale che ci ha segnato un errore blu, certo se fosse stato rosso sarebbe
stato meno grave…”
“Vi state registrando questa
lezione di vita, eh? Voi con il cellulare fate dei miracoli. Un giorno
arriverete a fare ogni cosa da lì, tirarci fuori un cappuccino con la schiuma
fatta a cuore o una succulenta pizza ai frutti di mare, ma io spero proprio di
non esserci più al mondo.
Insomma la sorella di Yonika era
simpatica, il nome non me lo ricordo. Era meno bella di lei, ma più simpatica,
come spesso succede. E tutte e due avevano capelli tra il biondo e il
rossastro, una cosa piuttosto rara. Dicono che stanno diventando sempre meno al
mondo i rossi di capelli.
Comunque là c’erano anche un
cineasta Macedone e un pittore di Santo Domingo, che abitavano in quella casa,
che era quasi una comune, molto pittoresca e confortevole, nella nostra camera
c’erano anche le pulci, ma non si può avere tutto dalla vita. Anzi piuttosto
qui di roba ce n’era d’avanzo.
Praga è molto bella, c’è la birra
più buona del mondo, i prezzi erano bassi assai e tutti erano molto alla mano e
disponibili. Tanto che ci rimanemmo quasi una settimana, facendo giri attorno
non indifferenti.”
E dopo la Cecoslovacchia siamo
andati a Berlino, dove avevo vissuto due anni, fino a cinque prima del viaggio,
l’ho trovata molto cambiata, dopo la caduta del muro.
Se c’erano musei, esposizioni e
altre cose da pagare il biglietto dicevamo che avevamo risparmiato quei soldi e
non ci andavamo mai. A lungo andare può essere una schiavitù anche quella
girare i posti e non approfittare mai di quello che offrivano, in pratica
spendevamo solo per mangiare, bere e la benzina.
Siamo andati a vedere a casa di
Sabine, mio grande amore di quell’epoca, ma quando sul campanello ho visto
scritto il cognome del suo ex, accanto al suo, che magari era tornato a essere
effettivo, non ho nemmeno suonato.
Il ristorante La Marmora, dove
avevo lavorato non era più di Pasquale e Mario, la Benetton, dove avevo
lavorato dopo, anche aveva cambiato tutto e tutti.
Michele il napoletano e Rosario,
il siciliano che erano rimasti, non ci hanno voluto ospitare inventando scuse e
li ho capiti, prendersi in casa della gente quando si vive con la propria
moglie o innamorata, è difficile.
Io volevo tornare a casa, mi ero
rotto della compagnia di Victorinho, abbiamo anche litigato. Mi ha accusato di
lasciarlo nei guai perché senza la macchina e la divisione delle spese, per lui
sarebbe stato molto più caro viaggiare. Io gli ho detto e ribadito che lui era
un pessimo compagno di viaggio e gliene ho spiegato le ragioni, non che dopo
sia cambiato qualcosa.
Mi pare che fossimo rimasti
d’accordo che lo dovevo portare un po’ più vicino all’Italia, forse in Francia,
ma non ne sono sicuro. Alla fine siamo andati in un ostello e il giorno dopo
siamo ripartiti.
A Dusseldorf abbiamo visitato Luiz
e lì c’era anche sua cugina tra la quale e Victorinho è nato un grande amore.
Luiz era stato ospitato al Caffè Voltaire, quando era venuto a Lucca, era
simpatico e intelligente, in Brasile poi ho conosciuto anche suo fratello Guto,
un grande sassofonista che ora vive in Svezia, ma sua cugina era stupida, brutta,
antipatica, in più si credeva il massimo assoluto… e ci tengo a farvi notare
che lo dico con tutto il rispetto.”
“Meno male.”
“Al confine con l’Olanda non c’era
nessuno a controllare i passaporti, forse perché era domenica, abbiamo
commentato ridendo.
Siamo andati in Belgio, dove
avevamo due posti dove essere ospitati, uno a Gent e l’altro non ricordo la
cittadina, ma era una piccola e molto graziosa. L’architettura assai
accattivante, simile a quella dell’Olanda, con i mattoni a vista e i tetti a
punta, gli infissi bianchi.
Le ragazze del Belgio poi, sarà
stato un caso, o forse no, le ex colleghe di Victorinho, erano tutte carine e
affabili, intelligenti ma senza quella antipatica voglia di farsi notare.
Sembrava il paradiso delle donne, perché oltre a quelle che erano con lui,
vivevano altre amiche in queste specie di comuni studentesche, avevano
caratteristiche fisiche molto differenti, alcune bionde, altre scure, capelli
lunghi o corti, ma moralmente abbastanza simili, in definitiva non parlavano né
tanto né poco, mettevano spesso in dubbio le cretinate che Victorinho diceva,
senza mettersi a fare polemiche inutili all’italiana. Insomma erano molto più
giovani di me, ma mi sono quasi innamorato una decina di volte.
A Gent (nome fiammingo) o Gand
(nome francese) vivono non molte persone stabilmente, ma tanti studenti in
maniera provvisoria, che vengono da altre città. Però i bar e le discoteche
sono insonorizzate in maniera che non si sente niente da fuori.
Ad Anversa ci sono le prostitute
in vetrina come ad Amsterdam, ma poi lì non ci siamo stati perché a Rotterdam
ci hanno rotto il vetro di notte e ci hanno rubato la roba in macchina e allora
siamo andati verso la Francia.
I silenzi in macchina erano
lunghi, se guidi per centinaia di chilometri e nessuno parla sembrano migliaia
e a Victorinho non c’era argomento che gli interessasse. Qualcuno ha detto che
se vuoi conoscere qualcuno devi fare un viaggio insieme, secondo me non è vero.
Prima di tutto bisogna vedere in che momento della tua vita fai questo viaggio,
poi io penso che viaggiare, secondo e come, cambia parecchio la persona, anche
solo provvisoriamente, perché rivoluziona la sua routine.
Per entrare in Francia si deve
passare di nuovo per il Belgio, alla frontiera ci hanno chiesto se eravamo stati
in Olanda, certo per via della droga. Noi prontamente abbiamo detto di no. Ci
hanno fatto altre domande e poi ci hanno di nuovo chiesto, quasi come fosse per
caso, se eravamo stati in Olanda e abbiamo subito risposto di no. Alla fine
hanno chiesto a me dove ci avevano rotto il vetro e Victorinho si è infilato
svelto e astuto e ha detto che era stato a Rotterdam.
Ci hanno smontato la macchina,
hanno portato i cani specializzati ma non hanno trovato niente. Forse perché il
pezzettino di hashish che avevamo, ce lo avevano dato i ragazzi di Praga, era
dentro uno di quegli scatolini del rullino della macchina fotografica, dove era
stato in precedenza, devo dire senza alcun calcolo mio, un po’ di shampoo, che
forse ha un odore molto forte.”
“Ma come, esistevano ancora i
rullini di pellicola?”
“Credo che esistano ancora, per
gli amatori fanatici, solo che non è facile vederne in giro.”
“Che anno era?”
“Il 93. Lo so che per voi questo è
impensabile.”
“Non eravamo ancora nati. Ma
quando è
che il digitale ha sostituito i rullini?”
“Intorno al 2000. Nel cinema è
successo anche prima, nel nostro caso quando è stata maggiore la necessità di
rendere più miniaturizzate e portatili le fotocamere anche per ambiti di tipo
professionale.
Nel 2000, le fotocamere digitali
vendute erano 10 milioni e nel 2010 oltre 140 milioni.”
“Dicono che nel cinema ha causato
un livellamento basso della qualità.”
“Bravo. Infatti, la pellicola era
un costo enorme che improvvisamente è diventato pari a zero, tutti
potevano fare un film, anche schifoso magari ma filmato, tanta gente che prima
non poteva permetterselo.”
“Un po’ come i social che hanno
precipitato il livello della discussione sociale.”
“Madonna mia, siete degli
intellettuali a meno di dieci di anni di età?”
“Ma quando mai! E perché
non è
vero?”
“No, è verissimo, lo ha detto anche
Umberto Eco poco prima di morire.”
“La gente che prima al bar bevendo
un bicchierotto o due di vino diceva delle bischerate e veniva subito zittito,
ora che esiste Facebook ha voce in capitolo su tutto?”
“Ecco.”
“Al bar i pensionati non ci vanno più?”
“Meno direi.”
“La gente si incontra meno, in
generale. Anche voi giovani ve ne state lì davanti lo smartphone e non vi
trovate mai personalmente.”
“E chi ce lo fa fare?”
“È molto più comodo ognuno a casa sua.”
“Una volta l’uomo era un animale sociale?”
“E anche piuttosto socievole, ma
ora è
solo un animale. Tra l’altro dopo che mi avevano rubato
la macchina fotografica a Rotterdam, con tutta la mia attrezzatura di
obbiettivi e cavalletti vari, sono stato diversi anni senza, ne ho comprato una
proprio quando stava per cambiare tutto il mercato della fotografia mondiale.”
“Naturalmente i fotografi lo
sapevano, ma non ti hanno detto niente.”
“Infatti.”
“Insomma alla fine siete entrati
in Francia.”
“Sì, fatti pochi chilometri ci siamo
fermati a fare benzina e appena ci ha visti la polizia è venuta da noi, forse attirata dal
vetro rotto. Ci hanno chiesto separatamente dove era successo e io ho detto in
Olanda, pensando che ormai fossimo stati segnalati dalla polizia della
frontiera, che non si era convinta che non avessimo droga in macchina, dopo
essere stati in Olanda. Victorinho invece ha detto in Belgio.
Ci hanno rismontato la macchina e
non hanno trovato niente di nuovo.”
“Meraviglioso!”
“Non tanto, a dire la verità,
ci hanno fatto aspettare un bel po’ di tempo, tra tutte e due le
volte. In più
alla banca lì
vicina si sono rifiutati di cambiarci le lire, dicendo che la nostra moneta era
troppo fluttuante.”
“Bella roba, la Francia vi ha
rovinato la carriera!”
“I francesi che avevo conosciuto
in precedenza mi erano rimasti simpatici, un po’ come i belgi, e soprattutto le
belghe, senza quella grande voglia di mostrare il loro potenziale a tutti i
costi. La gente a me mi garba così, che ci posso fare?”
“Forse perché anche tu sei così?”
“Ecco, hai messo il dito nella
piaga. La voglia di protagonismo è una delle malattie della nostra
epoca. Forse la televisione e il cinema ci hanno messo questa insensata voglia,
i social, i selfie…”
“Sì. D’accordo. Ma ora ci dirai anche te il
solito fermate il mondo che voglio scendere…”
“Noo, lo penso tutti i giorni, non
lo nego, ma io ormai sono un vecchietto e tra poco tolgo il disturbo e saranno
tutti cazzi vostri. Non dite ai vostri genitori che io dico queste parolacce,
sennò pensano che ve lo ho insegnate io.”
“Ah, ah! Lo pensano già.”
“Vabbè, chi se ne frega.
Parigi comunque è bellissima e io,
che c’ero stato già, sono rimasto stupito lo stesso. Una ragazza portoghese ci
ha ospitato ed era simpatica e tutto, anche lei più timida che invadente, la
metropoli è affascinante, ma io avevo quasi finito i soldi e anche la pazienza,
me ne sono voluto tornare a casa e Victorinho è rimasto lì.”
I bambini forse non parlano così,
non ne conosco molti, a dir la verità, ma il figlio di mio fratello Stefano
forse è stato un po’ simile a questi tre qui, che mi sono solo immaginato.
Ormai Francesco è un adolescente avanzato e io sono un estremo sessantatreenne
che non si guarda quasi mai allo specchio.
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