venerdì 5 gennaio 2024

IN GIRO PER L'EUROPA


 

“Stasera potrei raccontarvi di quella volta che feci un giro di 6000 km per lEuropa con la mia Mercedes che aveva la pompa dell’acqua rotta, ma quella poteva essersi guastata solo un chilometro prima di arrivare e poi in quel viaggio non successe praticamente niente di interessante, sennonché conobbi il primo brasiliano di una lunga serie e che dette il via alla mia epopea brasileira, quella che poi non è ancora terminata.”

A volte mi figuro, per stimolare la mia voglia di raccontare, di essere un nonno davanti al caminetto acceso, con dei bambini intorno, figli di altri esseri umani, che avessero voglia di chiedere e di ascoltare, interrompendomi di continuo fino a farmi perdere il filo.

Tra l’altro credo che la nostra lingua sia l’unica in cui i figli di fratelli o sorelle si chiamano esattamente come i figli dei figli, cioè i nipoti.

L’età ce l’avrei già, modestamente, purtroppo i nipoti però scarseggiano. Di quei pochi, che per ora è uno solo, tra entrambi i tipi, non ha certo voglia di sedersi davanti al caminetto ad ascoltare un vecchio nostalgico dei bei tempi andati.

I tempi sono cambiati purtroppo e niente che non sia elettronico può interessare i giovani, in compenso io ho imparato a fingere di credere in qualcuno che abbia veramente tanta voglia di leggere. Qualcuno ancora c’è, a rigor del vero, ma diventano sempre meno. Quando ne trovo uno, specialmente se insospettabile, è una grande soddisfazione.

Comunque i virtuali nipoti miei o di qualcun altro a quel punto si dimostrerebbero interessatissimi e io per fare il prezioso, ma anche per un innato amore della verità, direi:

“No, forse è più divertente, o anche più importante che voi ascoltiate dalle mie stesse romantiche parole quello che successe quando con il brasiliano in questione, (lo stesso della prima storia che vi ho accennato, ma che magari vi racconterò un’altra volta,) che aveva lavorato per me al Caffè Voltaire, facemmo un altro grande viaggio, non so se di seimila chilometri, forse anche di più. Victorinho era di Curitiba, nello stato del Paranà. Suo padre era militare e venne trasferito a Joào Pessoa, capitale del Paraiba, il punto più a est del Brasile e dell’intera America Latina e forse era stato là, almeno mi pare, che era nato.”

I nipotini con questi nomi esotici avrebbero già cominciato a sognare e a sfregarsi le mani forse, e io avrei potuto ricordare, in mezzo alle mie stesse frasi, tante cose alle quali non avevo più pensato.

“Eravamo io e Victorinho, un emerito rompiscatole al quale però ho sempre voluto bene, anche quando ho scoperto che mi prendeva in giro con espressioni brasiliane, che all’epoca non comprendevo, ma solo dopo aver vissuto qua. Inizialmente sono rimasto indignato, ma tutto era in linea con il personaggio, che magari un giorno leggendo tutto questo si farà delle grasse risate alle mie spalle.

Victorinho l’avevo conosciuto in Portogallo. Anche questa storia varrebbe la pena di raccontarla, magari in un secondo o terzo momento. Su mio invito poi era venuto a lavorare da me, che qualche anno prima avevo preso da solo il Caffè Voltaire, cominciando a liquidare a rate il mio socio.

Per via dell’inizio dei controlli sui lavoratori extracomunitari, Victorinho poi andò a lavorare al ristorante da Leo e solo in un secondo momento al Caffè, però ha abitato per i primi anni e senza pagare niente nel rustico appartamento che c’era sopra. Appena venduto il locale a cambiali, decidemmo di scapparcela a gambe levate.

Correva l’anno 1993, era autunno, con la mia Panda verdolina facemmo un giro per l’Europa, senza limiti di tempo ma solo di soldi.

Il grande viaggio ebbe luogo, come di solito succede a noi poveri esseri umani, dopo che una prigionia provvisoria arrivò ad una fine. In quel caso la proprietà del Caffè Voltaire volgeva finalmente al termine e non se ne poteva veramente più.

Insomma il mondo si apriva di nuovo davanti a noi, se non tutto almeno l’Europa, che è già abbastanza estesa e piena di cultura e vita, di strade interminabili, di sogni fatti di realtà concreta e tangibile che noi - in alcuni casi - conoscevamo solo attraverso libri o foto, qualche film.

Stavolta possedevo solo una Fiat Panda, una macchinetta in gamba quella, che fece più che egregiamente il suo dovere anche in un’altra vacanza di terribili strade, in Corsica. Ma fu prima o dopo? Non mi ricordo tanto bene.

Insomma prima tappa un paesino in provincia di Vicenza dove un certo amico brasiliano di Victorinho ci avrebbe dovuto ospitare, ma forse non era stato avvertito, o forse sì, non si sapeva o sono io che non me lo ricordo.”

Molte delle divagazioni erano mie originali, ma altre più lunghe, fonti di ulteriori domande, erano dettate dalle curiosità dei nipoti che volevano sapere sempre qualcosa che io non dicevo e scoprivano subito quelle cose che non ricordavo, accidenti a loro.

Bisognerebbe anche specificare che io e Victorinho attraversavamo una fase diversa e contraria della nostra vita, in cui io avevo una gran voglia di parlare e di condividere impressioni e sentimenti, diversamente dal mio solito, ero di una felicità euforica, forse anche irritante.

Lui invece stava zitto quasi tutto il tempo e alla fine mi zittivo anch’io, visto che mi trovavo di fronte a un muro d’indifferenza.

Ricordo tratti di centinaia di chilometri fatti in silenzio, pochi scarni commenti del paesaggio, veniva voglia di tornare a casa, ma eravamo solo all’inizio.

Per farlo diventare simpatico e pieno di energia bastava che arrivasse una femmina che dovendo per forza tentare di conquistarla allora Victorinho diventava tutto pieno di energia e di entusiasmo. Un tipo di comportamento che mi faceva arrabbiare, quindi ci irritavamo a vicenda.

“Giunti che fummo già di sera a casa di tale amico, lui non c’era e non si sapeva dove era e quando sarebbe ritornato, aspettavamo che ci invitassero a cena, ma loro avevano già mangiato e ci dettero dei minuscoli toast che ci venne ancora più fame e poi davanti alla TV con il padre e le sorelline l’attesa fu troppa e articolata in varie fasi di fame, sonno e noia. Con malcelata indifferenza parlammo di Airton Senna, grande pilota di Formula Uno brasiliano, morto da poco a Imola, mi pare, ci chiesero dove diavolo avremmo dormito, noi non lo sapevamo e loro insistevano nel non invitarci a oltranza, il figlio non arrivava, forse lo avrebbe fatto se noi ce ne fossimo andati via. Dovemmo già sul tardi avanzato inventare una sistemazione notturna di emergenza e perciò telefonare e fare una relativa scappata a qualche centinaio di chilometri, dal mio amico Fausto Vavassori a Torbole sul lago di Garda.

Prima però una bella pizza e più che copiosa birra lì vicino, che ci mettemmo in viaggio già mezzi ubriachi e la cassiera della pizzeria ci aveva fregato sul resto, approfittando del nostro stato di ebbrezza, me ne resi conto solo dopo qualche ora e relativi chilometri.

Tale amico cuoco avevo già più volte visitato e ci avevo in precedenza lavorato insieme a Lucca, non era uno che lesinava in fatto di alcolici, tanto bevemmo e tanto parlammo che a letto ci andammo quasi a gattoni e in più c’era anche da montare le scale.

Dormimmo in quella camera più bella, con stupenda vista sul lago, ma le persiane erano chiuse e non ci ricordammo nemmeno di guardare, voglio dire neppure la mattina seguente, sembrò che cominciasse solo pochi minuti dopo. Partimmo sul tardi e mezzo, io con il mal di testa, destinazione Austria, che non era lontana, ma c’erano troppe curve, stranamente anche sull’autostrada, ma eravamo in montagna, e quelle dovevano essere proprio le Alpi.

Cominciammo subito sul tragicomico, con un passaporto scaduto, il mio, alla frontiera con l’Austria. Tornati qualche chilometro indietro, con mano sicura Victorinho falsificò a penna la data. Il nove del mese di settembre era diventato un più conveniente dodici, che poi sarebbe dicembre. Ovviamente scegliemmo un'altra frontiera, non troppo lontana per andare a Innsbruck.

Con i passaporti moderni non sarebbe stato possibile, vedete che il passato era una roba molto più umana.”

“È vero, è una vergogna.”

“Uno scandalo vero e proprio.

Va detto a questo punto che tutto il giro europeo era stato organizzato da Victorinho con tappe obbligate nelle case dei vari compagni di corso di italiano, che erano fortunatamente di diverse nazioni vicine o confinanti, che secondo lui ci avrebbero ospitato, in alcuni casi però non mi parve con eccessivo entusiasmo. Se il suo piano avesse funzionato avremmo potuto risparmiare più soldi per viaggiare di più.”

Victorinho da buon brasiliano con la sua abile, ma spesso anche troppo forzata manipolazione, era riuscito a farsi promettere un po’ da tutti che lo avrebbero ospitato, nel caso avesse potuto fare un giro per il vecchio continente, anche se ormai da tempo incontinente.

Forse un giorno, sulla mobilità in progressivo e costante aumento degli esseri umani, questa moderna incontinenza, scriverò un noioso trattato pieno di numeri e percentuali, o forse sarà meglio di no.

A proposito, c’entra poco o niente, ma ci dissero solo dopo, che avevano organizzato una competizione, della pubblicità, forse anche dei premi, per chi faceva dei viaggi lunghi con la Fiat Panda. Magari per evidenziare che aveva un motore instancabile, il che era vero e in salita era una capra di montagna.

Poi quando l’ho saputo era troppo tardi, ma c’era gente che era andata a Capo Nord o addirittura a Pechino e il nostro giro non avendo una meta prestabilita, andava di qua e di là un po’ alla rinfusa, probabilmente anche se lunghetto non sarebbe stato preso in considerazione per la Pandata in questione.

Comunque sia, arrivati a Innsbruck, essendo ospitati e accompagnati da due ragazze, Victorinho tornò a essere goliardico e arzillo, tanto che tra di loro non mi riusciva parlare, anche perché la conversazione era tutta sul corso e i loro compagni che io non conoscevo.

Imparai però che in quell’epoca lì c’era il fenomeno del  Föhn, o Favonio, è un fenomeno che si verifica nel versante sottovento di una catena montuosa e che causa una rapida e marcata variazione dei parametri meteorologici. Quando un intenso flusso si dirige verso una barriera come le Alpi, nel versante esposto al vento la massa d’aria sale e di conseguenza si raffredda e forma nubi e causa intense precipitazioni.

Una importante curiosità, l’aria satura salendo si raffredda di 6°C ogni km. Ad esempio, se la montagna è alta 1000 metri e la temperatura a fondovalle è 15°C, in cima si riscontreranno 5°C. Nel versante sottovento, complice la differenza di pressione e densità dell’aria, si ha un processo opposto, con moti discendenti. L’aria si comprime, scaldandosi e seccandosi. Questo causa mal di testa e malumori improvvisi nella gente, c’è chi ne risente di più e chi meno.”

“Ma qui in Italia non c’è?” Chiedono i bambini che non ne hanno mai sentito parlare.

“Certo, a quei tempi anche io non lo sapevo, ma dopo mi sono documentato: il Föhn o Favonio in Italia si presenta soprattutto in pianura Padana e nelle valli Alpine. In queste zone si verifica in presenza di flussi settentrionali (nord föhn o föhn alpino). In presenza di correnti intense da sud-ovest il föhn appenninico può irrompere in Emilia-Romagna, Marche e Abruzzo causando temperature molto elevate.

Anche una singola montagna può indurre condizioni di föhn, che assume nomi locali e avviene in quasi tutte le regioni italiane.”

“E in Brasile?”

“Beh, temperature in costante cambiamento ci sono, ma non credo che si possa chiamare così, là da noi. Però nel sud, la regione dove ho vissuto quasi metà della mia vita, c’è influenza dello scontro di temperature e umidità differenti, per via dei venti provenienti dall’Antartide, che si scontrano con quelli che invece vengono dalle zone calde dell’equatore. Malumori e mal di testa anche da noi erano frequenti. Ci sono persone che lo sentono di più, altre che lo percepiscono ma non lo sanno che è fenomeno che dipende meno da loro stessi e più da fattori atmosferici…”

Quello di cui anche un nonno virtuale si accorge, standoci insieme, è che i bambini è meglio trattarli da adulti, che non è vero che certe cose non le capiscono, ma i genitori, specialmente quelli italiani, vogliono proteggerli dal mondo e così invece li indeboliscono.

“Tornando a noi e al viaggio, la permanenza a Innsbruck fu rapida, mi sa che ci abbiamo dormito una notte sola o al massimo due, la città era moderna e non c’era molto da vedere, o forse non avevano voglia di mostracela e Victorinho non era uno che cercava della cultura, almeno a quell’epoca. Ricordo il trampolino olimpico per il salto con gli sci dei giochi invernali, lo stadio di calcio del Tirol, dove aveva giocato anche il tedesco Hansi Muller, squadra che ora non esiste più, è fallita. Siamo stati a un ristorante tipico sulle montagne, dove abbiamo mangiato assai bene. Le ragazze erano simpatiche. Una timida, quella che ci ospitava e l’altra espansiva, un po’ grassoccia, con Victorinho parlavano in inglese, io parlavo il tedesco ma Victorinho no, insomma io non sono quasi mai riuscito a dire niente.

Poi siamo andati a Vienna, che era abbastanza vicina e molto più interessante come città. I nomi non me li ricordo ma lì ci ha ospitato un ragazzo biondo, che parlava poco e viveva in uno scantinato, era di un paese di fuori e studiava lì. Non andava molto d’accordo con Victorinho, quindi il suo entusiasmo per stare insieme a noi era scarso o nullo. C’era anche una ragazza di cui Victorinho era innamorato, era simpatica ma l’abbiamo incontrata solo una volta, in una zona centrale della città, che mi è sembrata molto bella, sebbene avessi sentito dire che era una città morta. Forse ai tempi di Freud era più dinamica, non lo so.”

“Nonno! È vero che il cappuccino l'hanno inventato in Austria?”

“Certamente. Il pensiero nostro corre subito agli omonimi monaci cappuccini, nati dalla corrente francescana e quindi ispirati a un modello di vita fatto di privazioni e umiltà: abbigliamento povero, barbe lunghe e incolte, questi preti erano soliti vagabondare coperti da un cappuccio (distinguibile da quello di altri ordini poiché molto più piccolo). La loro tonaca era di un colore marrone chiaro, ovvero proprio del colore dei nostri odierni cappuccini. A creare la bevanda infatti pare sia stato proprio il monaco cappuccino Marco D’Aviano, che all’epoca in questione era confidente dell’imperatore asburgico Leopoldo I.”

“Asburgico?”

“La geografia politica non sempre ha avuto le nazioni come sono ora, ragazzi miei. Sapete quante sono attualmente?”

“Circa duecento, ma cambiano sempre il numero.”

“Infatti, molto bene, anche ora il mondo attraversa una delle solite transizioni. Diciamo che ogni luogo, anche l’Italia, è passato per guerre, conquiste, invasioni eccetera.”

“Quindi?”

Beh, la casa d'Asburgo, detta anche casa d'Austria, è una delle più importanti e antiche famiglie reali e imperiali d'Europa. I suoi membri sono stati per molti secoli imperatori del Sacro Romano Impero, hanno governato in Austria come duchi, arciduchi e imperatori, e sono stati re di Spagna e re del Portogallo.

“Insomma approssimativamente erano gli austriaci.”

“Brava. Alla fine dell’assedio di Vienna nel 1683, i turchi abbandonarono sul campo interi sacchi di caffè; fu il soldato Franciszek Jerzy Kulczycki a requisirli e aprendo a Vienna, l’anno dopo, la prima vera caffetteria europea: il Fiasco Blu. Qui capita un giorno padre D’Aviano e non riuscendo a bere il caffè nero, chiese qualcosa per addolcirlo, creando quindi la miscela di crema, spezie, caffè e zucchero (qualcuno dice persino zabaione) che venne chiamata da Franciszek kapuziner, dal colore della tonaca del frate.

La vera e propria diffusione del cappuccino come lo beviamo oggi, tuttavia iniziò solo nei primi anni del Novecento quando un italiano, Luigi Brezzera, inventò la prima macchina espresso per il cappuccino, nel 1901.

Va aggiunto che quest’ordine di frati era a Vienna molto stimato, tant’è che tutti gli imperatori asburgici sono sepolti nella cappella dei cappuccini. Una certezza è che il primo cappuccino fu fatto con la panna; l’aggiunta di latte è arrivata probabilmente solo nell’800, poiché tutte le fonti storiche concordano nel dire che prima di quel momento il latte veniva usato solo per la creazione di formaggi e non come bevanda.

Origini austriache quindi, ma non vi è dubbio che il cappuccino di oggi, sia una bevanda del tutto italiana.

Tornando al viaggio, anche la visita di Vienna è stata rapida, un giorno o due, poi siamo partiti per Budapest. Passata la frontiera tra Austria e Ungheria, su entrambi i lati della strada c’era una fila interminabile di banchetti che vendevano carne e verdura, della roba brutta, scura e pochissima varietà. Un banchetto vendeva patate e solo patate, un altro cipolle e solo cipolle e così via. Attorno una puzza tremenda, probabilmente allevamenti di maiali.

Il Danubio divide Buda da Pest, due belle città, con dentro dei palazzi antichi, spesso di tonalità beige, molti monumenti militari, ma non avevamo nessuno che potesse ospitarci e non abbiamo trovato nessuno che parlasse lingue straniere: né tedesco, né inglese, né italiano, né spagnolo, né tantomeno portoghese.

Prima di entrare in Cecoslovacchia siamo passati vicino a uno stadio dove stavano giocando una partita di calcio. L’ingresso era libero, poi abbiamo scoperto che erano gli ultimi minuti. Abbiamo cercato di chiedere dove eravamo e che squadre giocavano, ma nessuno parlava le nostre potenziali lingue e se ne vergognavano, tanto che attorno a noi sulla gradinata si è formato un vuoto, un paio di metri liberi in mezzo alla folla.

Abbiamo visto anche un bel gol, la squadra verde ha segnato contro quella azzurra e bianca, penso che fossero tutte e due ungheresi.

A sera siamo arrivati a Praga. Lì ci ospitava una ragazza che non aveva fatto il corso con Victorinho, ma era sorella di una che viveva a Lucca. Il nome non me lo ricordo, forse lei è ancora a Lucca, stavamo per avere una storia d’amore, una volta…”

“Ma la nonna perché noi non ce labbiamo? Tutti ce lhanno o ce lhanno avuta e noi no:”

“Di nonne voi ne avete avute tante, tutte nonne virtuali, intendiamoci, cari bambini miei, tanto per cominciare anche noi qui siamo virtuali, proprio perché io di figli non ne ho mai avuti. Quindi nemmeno nipoti del tipo: figli dei miei figli. Perlomeno nessuno mi ha mai chiesto il test del DNA…”

“Ma costa una cifra! E poi per quello bisogna essere famosi e pieni di soldi, nonno!”

“Guarda-guarda, vedi come siete fottutamente precoci, meno male che non ho ancora detto quanti anni avete, anzi meglio lasciar perdere questo dettaglio.”

“Infatti, ma in fondo chi se ne frega? Insomma tu hai avuto tante fidanzate vere, di ciccia. Parliamone!”

“Nooo. Mi toccherebbe diventare bugiardo come un venditore di automobili. Se è per quello c’è stata anche una cicciona, una volta, a Berlino… ma torniamo a noi, piuttosto, che ora mi sono ricordato il nome di questa ragazza che poi proprio in quegli anni è diventata ceca…”

“Come? Lei non… improvvisamente non ci vedeva più?”

“Aha! Vi siete preoccupati? Vi ho fregato! E meno male che ogni tanto ci riesco! Proprio in quegli anni, dovete sapere, dopo la caduta del blocco orientale, la Repubblica Slovacca chiese e ottenne la separazione dalla Repubblica Ceca, ma senza una I dopo la prima C.”

“Aaaah! Infame mentitore! Ma come si chiamava ‘sta ragazza Ceca?”

“Aspetta che non mi ricordo…

Ah! Ecco: si chiamava Lenka, un nome assai comune là da quelle parti.”

“E la sorella com’era?”

“Ma voi pensate già alle ragazze? Io allinizio quando ho cominciato a scrivere questa storia mi figuravo dei nipoti un po meno cresciutelli.”

“…ma noi siamo dei bambini come tanti altri, nonno, oggigiorno tutto è più rapido. Il mondo occidentale oggi è fatto così, magari anche quello orientale, insomma non è più come una volta…”

“Va bene che io cho i miei pesanti sessantadue quasi sessantatré anni, comunque a me mi pare un’esagerazione…”

“A me mi pare non si può dire.”

“Ah già, è vero! Ma che sappiate la grammatica e la sintassi, mi fa proprio piacere.”

“No, è il programma di riconoscimento vocale che ci ha segnato un errore blu, certo se fosse stato rosso sarebbe stato meno grave…”

“Vi state registrando questa lezione di vita, eh? Voi con il cellulare fate dei miracoli. Un giorno arriverete a fare ogni cosa da lì, tirarci fuori un cappuccino con la schiuma fatta a cuore o una succulenta pizza ai frutti di mare, ma io spero proprio di non esserci più al mondo.

Insomma la sorella di Yonika era simpatica, il nome non me lo ricordo. Era meno bella di lei, ma più simpatica, come spesso succede. E tutte e due avevano capelli tra il biondo e il rossastro, una cosa piuttosto rara. Dicono che stanno diventando sempre meno al mondo i rossi di capelli.

Comunque là c’erano anche un cineasta Macedone e un pittore di Santo Domingo, che abitavano in quella casa, che era quasi una comune, molto pittoresca e confortevole, nella nostra camera c’erano anche le pulci, ma non si può avere tutto dalla vita. Anzi piuttosto qui di roba ce n’era d’avanzo.

Praga è molto bella, c’è la birra più buona del mondo, i prezzi erano bassi assai e tutti erano molto alla mano e disponibili. Tanto che ci rimanemmo quasi una settimana, facendo giri attorno non indifferenti.”

E dopo la Cecoslovacchia siamo andati a Berlino, dove avevo vissuto due anni, fino a cinque prima del viaggio, l’ho trovata molto cambiata, dopo la caduta del muro.

Se c’erano musei, esposizioni e altre cose da pagare il biglietto dicevamo che avevamo risparmiato quei soldi e non ci andavamo mai. A lungo andare può essere una schiavitù anche quella girare i posti e non approfittare mai di quello che offrivano, in pratica spendevamo solo per mangiare, bere e la benzina.

Siamo andati a vedere a casa di Sabine, mio grande amore di quell’epoca, ma quando sul campanello ho visto scritto il cognome del suo ex, accanto al suo, che magari era tornato a essere effettivo, non ho nemmeno suonato.

Il ristorante La Marmora, dove avevo lavorato non era più di Pasquale e Mario, la Benetton, dove avevo lavorato dopo, anche aveva cambiato tutto e tutti.

Michele il napoletano e Rosario, il siciliano che erano rimasti, non ci hanno voluto ospitare inventando scuse e li ho capiti, prendersi in casa della gente quando si vive con la propria moglie o innamorata, è difficile.

Io volevo tornare a casa, mi ero rotto della compagnia di Victorinho, abbiamo anche litigato. Mi ha accusato di lasciarlo nei guai perché senza la macchina e la divisione delle spese, per lui sarebbe stato molto più caro viaggiare. Io gli ho detto e ribadito che lui era un pessimo compagno di viaggio e gliene ho spiegato le ragioni, non che dopo sia cambiato qualcosa.

Mi pare che fossimo rimasti d’accordo che lo dovevo portare un po’ più vicino all’Italia, forse in Francia, ma non ne sono sicuro. Alla fine siamo andati in un ostello e il giorno dopo siamo ripartiti.

A Dusseldorf abbiamo visitato Luiz e lì c’era anche sua cugina tra la quale e Victorinho è nato un grande amore. Luiz era stato ospitato al Caffè Voltaire, quando era venuto a Lucca, era simpatico e intelligente, in Brasile poi ho conosciuto anche suo fratello Guto, un grande sassofonista che ora vive in Svezia, ma sua cugina era stupida, brutta, antipatica, in più si credeva il massimo assoluto… e ci tengo a farvi notare che lo dico con tutto il rispetto.”

 “Meno male.”

“Al confine con l’Olanda non c’era nessuno a controllare i passaporti, forse perché era domenica, abbiamo commentato ridendo.

Siamo andati in Belgio, dove avevamo due posti dove essere ospitati, uno a Gent e l’altro non ricordo la cittadina, ma era una piccola e molto graziosa. L’architettura assai accattivante, simile a quella dell’Olanda, con i mattoni a vista e i tetti a punta, gli infissi bianchi.

Le ragazze del Belgio poi, sarà stato un caso, o forse no, le ex colleghe di Victorinho, erano tutte carine e affabili, intelligenti ma senza quella antipatica voglia di farsi notare. Sembrava il paradiso delle donne, perché oltre a quelle che erano con lui, vivevano altre amiche in queste specie di comuni studentesche, avevano caratteristiche fisiche molto differenti, alcune bionde, altre scure, capelli lunghi o corti, ma moralmente abbastanza simili, in definitiva non parlavano né tanto né poco, mettevano spesso in dubbio le cretinate che Victorinho diceva, senza mettersi a fare polemiche inutili all’italiana. Insomma erano molto più giovani di me, ma mi sono quasi innamorato una decina di volte.

A Gent (nome fiammingo) o Gand (nome francese) vivono non molte persone stabilmente, ma tanti studenti in maniera provvisoria, che vengono da altre città. Però i bar e le discoteche sono insonorizzate in maniera che non si sente niente da fuori.

Ad Anversa ci sono le prostitute in vetrina come ad Amsterdam, ma poi lì non ci siamo stati perché a Rotterdam ci hanno rotto il vetro di notte e ci hanno rubato la roba in macchina e allora siamo andati verso la Francia.

I silenzi in macchina erano lunghi, se guidi per centinaia di chilometri e nessuno parla sembrano migliaia e a Victorinho non c’era argomento che gli interessasse. Qualcuno ha detto che se vuoi conoscere qualcuno devi fare un viaggio insieme, secondo me non è vero. Prima di tutto bisogna vedere in che momento della tua vita fai questo viaggio, poi io penso che viaggiare, secondo e come, cambia parecchio la persona, anche solo provvisoriamente, perché rivoluziona la sua routine.

Per entrare in Francia si deve passare di nuovo per il Belgio, alla frontiera ci hanno chiesto se eravamo stati in Olanda, certo per via della droga. Noi prontamente abbiamo detto di no. Ci hanno fatto altre domande e poi ci hanno di nuovo chiesto, quasi come fosse per caso, se eravamo stati in Olanda e abbiamo subito risposto di no. Alla fine hanno chiesto a me dove ci avevano rotto il vetro e Victorinho si è infilato svelto e astuto e ha detto che era stato a Rotterdam.

Ci hanno smontato la macchina, hanno portato i cani specializzati ma non hanno trovato niente. Forse perché il pezzettino di hashish che avevamo, ce lo avevano dato i ragazzi di Praga, era dentro uno di quegli scatolini del rullino della macchina fotografica, dove era stato in precedenza, devo dire senza alcun calcolo mio, un po’ di shampoo, che forse ha un odore molto forte.”

“Ma come, esistevano ancora i rullini di pellicola?”

“Credo che esistano ancora, per gli amatori fanatici, solo che non è facile vederne in giro.”

“Che anno era?”

“Il 93. Lo so che per voi questo è impensabile.”

“Non eravamo ancora nati. Ma quando è che il digitale ha sostituito i rullini?”

“Intorno al 2000. Nel cinema è successo anche prima, nel nostro caso quando è stata maggiore la necessità di rendere più miniaturizzate e portatili le fotocamere anche per ambiti di tipo professionale.

Nel 2000, le fotocamere digitali vendute erano 10 milioni e nel 2010 oltre 140 milioni.”

“Dicono che nel cinema ha causato un livellamento basso della qualità.”

“Bravo. Infatti, la pellicola era un costo enorme che improvvisamente è diventato pari a zero, tutti potevano fare un film, anche schifoso magari ma filmato, tanta gente che prima non poteva permetterselo.”

“Un po come i social che hanno precipitato il livello della discussione sociale.”

“Madonna mia, siete degli intellettuali a meno di dieci di anni di età?”

“Ma quando mai! E perché non è vero?”

“No, è verissimo, lo ha detto anche Umberto Eco poco prima di morire.”

“La gente che prima al bar bevendo un bicchierotto o due di vino diceva delle bischerate e veniva subito zittito, ora che esiste Facebook ha voce in capitolo su tutto?”

“Ecco.”

 “Al bar i pensionati non ci vanno più?”

“Meno direi.”

“La gente si incontra meno, in generale. Anche voi giovani ve ne state lì davanti lo smartphone e non vi trovate mai personalmente.”

“E chi ce lo fa fare?”

È molto più comodo ognuno a casa sua.”

“Una volta luomo era un animale sociale?”

“E anche piuttosto socievole, ma ora è solo un animale. Tra laltro dopo che mi avevano rubato la macchina fotografica a Rotterdam, con tutta la mia attrezzatura di obbiettivi e cavalletti vari, sono stato diversi anni senza, ne ho comprato una proprio quando stava per cambiare tutto il mercato della fotografia mondiale.”

“Naturalmente i fotografi lo sapevano, ma non ti hanno detto niente.”

“Infatti.”

“Insomma alla fine siete entrati in Francia.”

“Sì, fatti pochi chilometri ci siamo fermati a fare benzina e appena ci ha visti la polizia è venuta da noi, forse attirata dal vetro rotto. Ci hanno chiesto separatamente dove era successo e io ho detto in Olanda, pensando che ormai fossimo stati segnalati dalla polizia della frontiera, che non si era convinta che non avessimo droga in macchina, dopo essere stati in Olanda. Victorinho invece ha detto in Belgio.

Ci hanno rismontato la macchina e non hanno trovato niente di nuovo.”

“Meraviglioso!”

“Non tanto, a dire la verità, ci hanno fatto aspettare un bel po di tempo, tra tutte e due le volte. In più alla banca lì vicina si sono rifiutati di cambiarci le lire, dicendo che la nostra moneta era troppo fluttuante.”

“Bella roba, la Francia vi ha rovinato la carriera!”

“I francesi che avevo conosciuto in precedenza mi erano rimasti simpatici, un po come i belgi, e soprattutto le belghe, senza quella grande voglia di mostrare il loro potenziale a tutti i costi. La gente a me mi garba così, che ci posso fare?”

“Forse perché anche tu sei così?”

“Ecco, hai messo il dito nella piaga. La voglia di protagonismo è una delle malattie della nostra epoca. Forse la televisione e il cinema ci hanno messo questa insensata voglia, i social, i selfie…”

“Sì. Daccordo. Ma ora ci dirai anche te il solito fermate il mondo che voglio scendere…”

“Noo, lo penso tutti i giorni, non lo nego, ma io ormai sono un vecchietto e tra poco tolgo il disturbo e saranno tutti cazzi vostri. Non dite ai vostri genitori che io dico queste parolacce, sennò pensano che ve lo ho insegnate io.”

“Ah, ah!  Lo pensano già.”

“Vabbè, chi se ne frega.

Parigi comunque è bellissima e io, che c’ero stato già, sono rimasto stupito lo stesso. Una ragazza portoghese ci ha ospitato ed era simpatica e tutto, anche lei più timida che invadente, la metropoli è affascinante, ma io avevo quasi finito i soldi e anche la pazienza, me ne sono voluto tornare a casa e Victorinho è rimasto lì.”

I bambini forse non parlano così, non ne conosco molti, a dir la verità, ma il figlio di mio fratello Stefano forse è stato un po’ simile a questi tre qui, che mi sono solo immaginato. Ormai Francesco è un adolescente avanzato e io sono un estremo sessantatreenne che non si guarda quasi mai allo specchio.

 

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