Ora
è diventato di moda dire di essere o non essere narcisisti, prima nessuno
sapeva niente di questo narcisismo, ora lo sanno tutti. Ma è sempre esistito?
Quale sarebbe il suo contrario? È una cosa sempre e inevitabilmente negativa, o
può anche essere positiva?
Tipo
non si può più dire, in Italia bisogna sempre e solo dire tipologia. Non mi piace che si usi e niente per iniziare una frase, non ha senso e soprattutto è una
moda. Anche no è un’altra, e ce ne
sono tante usate dalla gente in maniera ossessiva. Noto che soprattutto chi non
sa l’inglese ama rispondere laconicamente YES.
Qualcuno
comincia a dire una cosa diversa dal precedente, anche se è insignificante, ma la
novità acchiappa e diventa moda, solo perché è una novità e cessa di esserlo quasi
subito, eppure viene usata a sproposito per anni e anni, tanto è gratis. A
volte mette addirittura le radici e diventa parte della lingua.
L’amore
per il cambiamento non sarebbe di per sé negativo, anzi, ma il fatto è che
spesso la novità non è pensata per niente, ma solo cascata lì e anche se fa
schifo è una novità e tanto basta. Quasi mai nasce per migliorare, ma spesso
per rendere obsolete delle cose che invece non lo sarebbero, per farci su dei
soldi, insomma o averci un qualche tornaconto indiretto.
Vivo
a Munster al confine tra Canada e Usa, ho alcuni amici dall’altra parte, ma la
gente da questa parte mi pare migliore. Sono italiano e vado sempre in ferie in
Italia, ma vivo qui, vicino a Ottawa per otto mesi all’anno.
Noto
sempre più spesso, specialmente nella mia natia penisola, ma anche altrove,
persone che invece che cercare di capire, si concentrano in un’azione
multilaterale e deleteria che consiste nel convincere sé stessi, poi gli altri,
che hanno proprio ragione e il loro sforzo è tutto diretto in questo senso,
giustificare e successivamente glorificare il loro punto di vista.
Non
posso fare a meno di accorgermi che la crescente tendenza a voler essere
protagonisti è uno dei motori per i quali la gente bada più alle apparenze che
ai contenuti, si dimentica proprio di cercare di capire la verità e di
comprendere la realtà di cui fa parte, la vuole piuttosto deformare a proprio
uso e consumo, ma la vita non funziona così, perlomeno non dovrebbe e i
risultati poi si vedono.
Le nostre azioni, specialmente al passato, ma
anche nel presente e futuro, nella giornaliera comunicazione con altri esseri
umani, sono rappresentate attraverso parole e frasi, modelli standard, non
creati da noi, ma sentite dire dagli altri, alla televisione, leggendo libri,
fumetti, ascoltando canzoni e consultando internet.
Questo
mio nuovo amico di qua, Pierre, compra i riassunti dei libri, libri tecnici nel
suo caso, sono disponibili a pagamento in internet. Così come a scuola si
usavano i Bignami, lui dice per capire la verità. E ne ha tanta fretta e
ossessione, che salta di qua e di là senza capire cosa e come, dove e perché. Le
scorciatoie per ottenere rapidamente dei risultati, di ogni tipo, chi non le
userebbe, se fossero efficaci?
Io
no, piuttosto cerco di capire il contesto, ci vuole del tempo e soprattutto della
calma. Se si vogliono saltare le tappe poi ci si ritrova senza niente sotto, insomma
niente basi. E non ci sono mai state, nemmeno prima.
Per
esempio, a proposito di scorciatoie a sproposito, cosa sono i fottuti bias
cognitivi e le misteriose euristiche?
Bias
è un termine inglese, ma viene dal francese provenzale biais, e significa obliquo, inclinato. Questo termine, a sua volta
trae origine dal latino e, prima ancora, dal greco epikársios, obliquo. Termine una volta usato nel gioco delle bocce,
per indicare i tiri storti, con conseguenze negative. Nella seconda metà del
1500, il termine bias, assume un significato più vasto, infatti sarà tradotto
come inclinazione, predisposizione, pregiudizio.
I
bias cognitivi sono percezioni errate o deformate da pregiudizi e ideologie;
utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica. Errori che fanno
parte della vita di tutti i giorni, non solo su decisioni e comportamenti, ma
anche sui pensieri.
Le
euristiche (dal greco heurískein: trovare, scoprire) sono, al contrario dei
bias, intuizioni sbrigative, scorciatoie per usare un’idea generica su un
argomento senza effettuare eccessivi sforzi cerebrali. Sono strategie veloci
utilizzate di frequente per giungere a delle conclusioni rapide.
Quando
qualcuno esprime un giudizio può essere sostituito da un’euristica, un concetto
affine al precedente, formulato più semplicemente. Una specie di istinto della
ragione, usato non solo parlando, ma anche pensando.
Le
euristiche sono trucchi mentali che portano a conclusioni veloci con sforzo
minimo.
I
bias invece sono euristiche usate per esprimere dei giudizi, che alla lunga
diventano pregiudizi, su cose mai viste o di cui non si è mai avuto esperienza.
Le euristiche funzionano come una scorciatoia e permettono di avere accesso a
informazioni immagazzinate in memoria. In sintesi, se le euristiche sono
scorciatoie comode e rapide estrapolate dalla realtà che portano a veloci
conclusioni, i bias cognitivi sono euristiche inefficaci, pregiudizi astratti
che non si generano su dati di realtà, ma si acquisiscono a priori senza
critica o giudizio.
Il ragionamento umano fa
ampio impiego di euristiche,
scorciatoie di pensiero e modalità rapide e intuitive che esulano dal
ragionamento logico. Ciò che rende questi stili di pensiero inefficaci è la
loro rigidità che spesso ci conduce ad interpretare gli eventi, e noi stessi,
in modo irrealisticamente negativo. Sistematici errori di ragionamento
causano problemi, sono alla base di pensieri e credenze poco realistiche che
determinano sofferenza emotiva. Le distorsioni possono essere riconosciute e
modificate per riformulare pensieri più realistici e funzionali al nostro
benessere.
Possibili errori:
catastrofizzare, saltare alle conclusioni, visione a tunnel, imminenza
percepita della minaccia, ragionamento emotivo e pensiero dicotomico.
Il pensiero dicotomico divide con un taglio
netto la realtà in luce e ombra, cancellandone la complessità, l’ambiguità, la
mutevolezza, e ogni sfumatura. Ragiona in termini di “tutto o niente”. Esercitare
il pensiero dicotomico vuol dire credere che le cose possono essere solo o
completamente giuste o del tutto sbagliate, che le persone sono o amiche o
nemiche, che le giornate o sono perfette o fanno schifo, che tutto ciò che non
è un successo è un fallimento, e che tutto ciò che non è virtuoso è vizioso.
Che ora o mai più. Che la va o la spacca.
“Si applaudono soltanto i luoghi comuni, mentre
sarebbe il caso di coltivare l'atrocità del dubbio.” Diceva Pier Paolo
Pasolini. Secondo me esagerava un po’, ma non era lontano dalla verità, molto
più di tanti altri. Pier Paolo è sempre stato un po’ troppo radicale, ma immancabilmente
centrava i noccioli dei problemi. Forse lui stesso era troppo problematico per
potersi accettare, quindi si concentrava sugli altri e sulle tendenze, sugli
errori, sulle pecche di una società malata, come la nostra, ma su questo
pianeta ne esiste una veramente sana?
Per farvela breve mia
moglie è morta, i miei figli vivono in Olanda, Belgio e Galles. Sono andato in
pensione e ho qualche soldo da parte, mi piace cucinare, ho due cani e tre
gatti, guardo film e documentari la sera, ma durante il giorno studio proprio
questo aspetto: il polipo con i relativi tentacoli.
Porto i cani nel
parco, poi giro i bar e i punti di ritrovo qua attorno, per trovare un minimo
comune denominatore in questi cazzi di comportamenti umani, legarli e slegarli
per capirli meglio, da dove vengono e soprattutto dove vanno.
Vivendo per lavoro un
po’ di qua e un po’ di là, ho notato i vari tipi di bias e di euristiche, nei
vari popoli e classi sociali, religioni e credenze tribali.
Con il tempo ho
imparato qualcosa di me stesso guardando gli altri e poi ho trovato Pierre, un meraviglioso
esemplare maschio di vicino di casa ruspante, che possiede quasi tutti i bias nel
suo repertorio di routine, gliene mancano pochissimi. Li usa quotidianamente,
evitando tutte le euristiche, come se facesse uno slalom, in modo da sviluppare
ragionamenti che spesso negano l’un l’altro e a sentirli fare non sarebbero
sempre buffi, farebbero quasi arrabbiare, se non fossi un entusiasta studioso di
questo genere, che pochi apprezzano, non so se per fortuna o sfortuna.
Ovviamente è una
cosa rara, di solito i bias sono tendenze umane distribuite abbastanza
equamente, difficile trovarli ammucchiati in un solo soggetto e per questo me
lo sono fatto amico, mi ci faccio delle risate non indifferenti e imparo
costantemente cose interessanti.
Lui cerca di
interpretare in maniera personale il mio strano modo di vivere a pochi metri da
lui, arrivando a delle conclusioni che non mi dice, ma le immagino dalle
espressioni della sua faccia.
Non ha amici, per
cui mi accetta nella mia incomprensibile stranezza, ma vedo che a volte il mio
silenzio lo irrita. Perché poi, nelle rare volte in cui parlo, devo sempre e
comunque - pur cortesemente - dissentire dai suoi vari e illuminati giudizi?
Bias di
conferma
È
un fatto assodato che uno degli sforzi maggiori della nostra mente, nell’epoca
attuale e moderna, è evitare tutto quel bombardamento di cose che non ci
interessano. Bisognerebbe setacciare e scegliere, ma per fare questo ci
vogliono tempo, voglia, disposizione e determinazione. Di conseguenza a ciascuno
di noi piace essere d’accordo con le persone che pensano come noi e si tende a
evitare individui o gruppi che ci fanno sentire a disagio: una modalità di
comportamento preferenziale che porta al bias di conferma, ovvero l’atto
di riferimento alle sole prospettive che alimentano i nostri punti di vista
preesistenti.
Pierre
è un assiduo guardatore di telegiornali e tira automaticamente le sue
conclusioni in base alle notizie. Riesce a farlo specialmente bene se non
conosce per niente l’argomento, così non si fa distrarre dalle inutili manovre altrui
di raziocinio superfluo.
Non
contento guarda anche le notizie dei canali stranieri, per confrontare i vari
punti vista. La sua conoscenza delle lingue anche è più che opinabile, il Canada
è bilingue e a Ottawa si parlano tutt’e due, ma dire che di entrambe Pierre abbia
un’idea abbastanza personale è un’opinione piuttosto diffusa. Convulsamente però
trova delle traduzioni peggiori usando il computer, Google e YouTube, e non
gliene importa niente se non capisce bene, anzi, forse è anche meglio.
La
sera alle otto e mezzo mi piacerebbe proprio andare a trovarlo, così da
guardarci insieme il notiziario più importante in lingua francese, che è il suo
preferito. Non posso perché c’è sua moglie, una signora che si vede raramente
in giro, ma è la regina della casa e forse Pierre fuori da quell’ambito ha così
tanta volontà di discutere perché là dentro non può, insomma non ce la fa, non
gli è concesso. Uscito dalla staccionata del suo ordinatissimo giardino cambia
faccia, ho avuto modo di notare, sua moglie scosta le tendine e scuote già la
testa.
Di
solito ci incontriamo al bar, o nel parco, se c’è bel tempo, i suoi orari sono
rigidi, ma a volte ci facciamo qualche partita a scacchi, o a dama, su quei tavoli
di cemento con le scacchiere sopra, i pezzi li porta lui e si fa anche delle
sfide non indifferenti con gli occasionali avversari. Il bello non è tanto la
partita in sé, ma i commenti e quello che un giocatore avrebbe dovuto fare, ma
non ha fatto, oppure il contrario, non avrebbe dovuto fare, ma erroneamente ha
fatto e il suo sbaglio gli è costato caro, sempre secondo Pierre.
Alla
fine delle sue frasi di commento di solito mi chiede conferma, poi non mi ascolta,
alza la voce e parte per una spiegazione migliore e più particolareggiata di
quello che ha detto, ripetendo più volte, più o meno con le stesse parole, il
suo ragionamento standard. Insomma, non dà assolutamente il tempo all’interlocutore
di esprimere il proprio parere e questo mi risparmia delle discussioni inutili,
io faccio finta di aprire la bocca e lui riparte.
“…ma
la politica del Canada è idiota, nel mondo la gente non parla mai di noi.
Questo cosa ci fa capire? Che non contiamo niente, che non facciamo mai niente
di nuovo, di rivoluzionario, perciò di polemico e allora di utile e
innovativo.”
“Ma
non siete i comunisti del nord?”
“Ma
quando mai? Noi siamo il culo del mondo!”
“In
che senso?”
La
sua spiegazione nega sé stessa e si ripete a spirale, non riesco nemmeno a
capire bene. Spesso quello che per me è positivo per lui è negativo e
viceversa, come per esempio il fatto che si parli tanto di quello che succede
negli Usa e fuori anche, ma per causa o merito loro. Però del Canada non se ne
parla mai, significa che fanno delle cose giuste qui, le buone notizie non sono
notizie per niente, anche secondo Pierre, ma questo non lo dice, è ovvio.
Per
lui quelli che stanno zitti hanno sempre torto, capisco dalla sua diagonale
chiarificatrice mezz’ora di frasi concentriche. Per me invece no, nel peggiore
dei casi non rompono le scatole a nessuno.
Bias di
gruppo
Molto
simile al bias di conferma è il bias di gruppo, che ci induce a
sopravvalutare le capacità ed il valore del nostro gruppo, a considerare i
successi del nostro gruppo come risultato delle qualità dello stesso, mentre si
tende ad attribuire i successi di un gruppo estraneo a fattori esterni non
insiti nelle qualità delle persone che lo compongono.
Le
valutazioni affette da queste distorsioni cognitive possono risultare poco
chiare a chi viene valutato, che spesso non comprende le basi sulle quali la
valutazione si fonda e che invece nota, d’altra parte, un’eccessiva
intransigenza di pensiero.
Guardando
una partita di calcio si vede che la nazionale Canadese o della squadra di Ottawa
ha sempre ragione, (anche se nel calcio avere ragione non serve a molto,)
l’arbitro invece no ed è inutile discutere, gli avversari poi giocano sempre peggio,
anche se si tratta di squadre migliori e con una tradizione di calcio secolare
e per una combinazione di puro caso e scarogna poi vincono 5 a 0, secondo lui
del tutto immeritatamente.
Pierre
prima di andare in pensione era informatore scientifico, una maniera più
ruffiana di chiamare i rappresentanti farmaceutici. Gli fanno fare dei corsi
per fargli capire che una persona ha il massimo dell'approvazione quando è
capace di ascoltare, ma poi nel lavoro fanno il contrario, perché i medici non
hanno voglia di stare a sentire, loro non si sentono valorizzati né apprezzati
e diventano nervosi, i medici pur di mandarli via prescrivono le medicine che
loro vogliono vendere e il cerchio si chiude.
Alcune
persone si convincono per esperienza che parlare è un sintomo di autoaffermazione,
insomma di potere e più si parla e meglio è. Non importa poi molto cosa si
dice, ma dichiarare di esserne convinti e spiegare più volte perché.
C’è
gente che dice che una volta era più facile riconoscere un cretino perché
oggigiorno si travestono da persone intelligenti, per smascherarli non è
facile, bisogna essere veramente intelligenti. Ciò non toglie che i cosiddetti nuovi
intelligenti considerino quelli del vecchio tipo piuttosto antiquati, per loro
i veri idioti sono proprio questi.
Bias di
Ancoraggio
O
trappola della relatività, è un bias per il quale nel prendere una
decisione tendiamo a confrontare solo un insieme limitato di elementi: l’errore
è quello di ancorarsi, cioè fissarsi su un valore che viene poi usato,
arbitrariamente, in modo comparativo, cioè come termine di paragone per le
valutazioni in atto, invece che basarsi sul valore assoluto.
Sembra
più confortevole e rassicurante, in realtà con le sue stronzate Pierre mina la
sua sicurezza, il suo stesso confort, ma avevo ragione di credere che sua
moglie gli facesse da contrappeso, morivo dalla voglia di conoscerla, ma lui
non ne voleva sapere.
Fallacia di
Gabler
Un
altro bias cognitivo frequente è la cosiddetta fallacia di Gabler,
ovvero la tendenza a dare rilevanza a ciò che è accaduto in passato, così che i
giudizi attuali siano del tutto influenzati da tali eventi passati. In virtù di
questo bias cognitivo chi ha ricevuto un giudizio positivo nel
passato tenderà a ricevere un giudizio positivo anche nel presente, anche a
dispetto delle reali prestazioni attuali, che potrebbero essere negative o in
calo rispetto a quelle passate. Insomma…“è la prima impressione quella che
conta!”
Pierre
è abilissimo nell’ignorare tutto quello che succede dopo, se decide, come
spesso accade, che ciò che conta è capitato prima e ci si fissa in una maniera
che è impossibile smuoverlo.
Sono
riuscito a raccontargli di quel film di Pupi Avati in cui l’autista della famiglia
nobile è diventato cieco, loro non lo licenziano, né gli fanno fare
qualcos’altro, che sennò ci rimarrebbe male e poi si ricorda bene le strade, i
percorsi sono sempre quelli e se ogni volta sbatte la macchina sono incidenti
lievi, colpa degli altri automobilisti più che altro, che non sono al corrente
o non tengono conto del cambiamento piuttosto importante delle cose in atto.
Non
è servito a niente, quell’esempio gli è parso fuori luogo ed esageratamente
forzato.
Nell’errore
per somiglianza, apprezziamo nell’altro aspetti simili a quelli che
riconosciamo in noi stessi; mentre nell’errore per contrasto, al contrario,
apprezziamo i tratti di personalità diametralmente opposti ai nostri: il
risultato può portare a sovrastimare negli
altri quei tratti che riconosciamo opposti ai nostri. Per esempio se siamo
timidi o introversi saremo indotti da questo bias cognitivo a
giudicare gli altri più sicuri ed estroversi di quanto siano in realtà.
Una
delle poche cose giuste che dice in modo ricorrente è che gli italiani sono dei
prepotenti, sono d’accordo con lui, direi soprattutto nella maniera di fare,
ciò non toglie che Pierre, pur non essendo italiano, sia peggio ancora, o
perlomeno ci provi sempre, dipende un po’ con chi.
Non
essendo mai stato in Italia, l’idea che se ne è fatto viene dall’internet e dai
film, ci sono anche dei pensionati di origine più lontana della mia qua in giro.
Insomma lui non conoscendo la materia, come di solito fa, spara giudizi a 360
gradi e come l’orologio fermo, che ha ragione due volte al giorno, qualche
volta ci azzecca.
Allora
io faccio l’avvocato del diavolo e gli metto il sale sulla coda, solo
momentaneamente, perché lui scappa su altre magagne che intorno a noi dove
caschi-caschi, ne pesti sempre una. Se non ce ne sono le inventa.
Bias dello
status quo
È
una distorsione valutativa dovuta alla resistenza al cambiamento: il cambiamento
spaventa e si tenta di mantenere le cose così come stanno. La parte più dannosa
di questo pregiudizio è l’ingiustificata supposizione che una scelta diversa
potrà far peggiorare le cose. Gli anziani spesso sono shoccati dal cambiamento,
ogni cosa nuova gli fa paura, mentre i giovani vogliono cambiare anche quello
che va benissimo così come è.
Qualsiasi
cosa vogliano cambiare, attorno a lui, o anche lontano, ma che ne abbia avuto
notizia, sia una cosa che lo riguardi o no, e spesso anche succede con degli
inaspettati miglioramenti, Pierre si oppone. Per lui sono tutte minacce alla
sua sicurezza, alla sua pace, fosse anche a quella di sua moglie, quella santa
donna.
Bias del
pavone
Siamo
indotti a condividere maggiormente i nostri successi, rispetto ai nostri
fallimenti. L’uso che la maggior parte delle persone fa dei social è una
fotografia esaustiva di questo tipo di bias, sui social infatti le persone
tendono a mostrare per lo più un’immagine positiva di sé, tanto da far sembrare
la vita di tutti ideale.
Pierre
su Facebook è abbastanza conosciuto, partecipa anche su altri social, ma su
Facebook c’è un maggiore e migliore gusto del battibecco. Ogni tanto viene
bandito, fornendogli elementi per discutere con me o con altri le sue tesi.
Naturalmente
l’immagine che vuole dipingere di sé stesso è assai diversa da quella reale,
visto che la sua idea della realtà è basata sui bias e ignora ogni euristica. Si
mette a fare delle discussioni lunghissime con gente che forse gli assomiglia, in
alcuni casi, specialmente gli italiani che hanno un bias del tutto speciale che
lui ha adottato in blocco, senza accorgersene, il bias della polemica inutile.
Se
dice una cosa e gli altri la approvano tutto bene, se non l’approvano si litiga
a oltranza. Se sono loro a dirla per primi, però Pierre deve per forza confutare
i loro labili argomenti, anche se sono gli stessi che pensa lui. Insomma fare
l’avvocato del diavolo è un atteggiamento che dà dei risultati ottimi e
abbondanti, se siamo quel tipo di persona lì.
Fissarsi
sulle parole, sulla loro sottile e presunta differenza di significato,
ignorando totalmente il senso del discorso generale, fa parte di questa voglia
di mettersi sempre a discutere e di avere immancabilmente ragione.
Correggere
sempre e comunque la sintassi e gli errori grammaticali degli altri,
giustificare sistematicamente i propri o addirittura arrabbiarsi quando si riceve
lo stesso trattamento, per delle inezie insignificanti al senso del discorso (ma come fanno a non capirlo da soli?)
Bias di
proiezione
Quando
crediamo che la maggior parte delle persone la pensi come noi. Questo errore
cognitivo si correla al bias del falso consenso per il quale
riteniamo che le persone siano d’accordo con noi, perché è l’unica cosa da
fare, non ci sono alternative. In sostanza è un bias cognitivo che ci
induce a sopravvalutare la “normalità” e la “tipicità”. Questo bias gli
mancava, per quanto glielo cercassi non ce lo trovavo.
Mi
è venuta in mente la vittima di centosette fatali malattie di Jerome K.
Jerome, che scoprendo che non aveva il ginocchio della lavandaia c’era
rimasto male. Anch’io insistevo e insistevo, ma quel bias lì Pierre non ce lo
aveva e mi pareva quasi un’ingiustizia, non solo nei miei confronti.
Illusione
della frequenza
Il
cervello tende a selezionare informazioni che ci riguardano – per esempio a
farci notare donne con i capelli corti se per esempio ci siamo appena tagliate
i capelli corti o auto rosse se abbiamo appena acquistato una macchina rossa –
il nostro errore di valutazione è quello di credere che ci sia realmente un
incremento nella frequenza di donne con i capelli corti o di macchine rosse,
cioè tendiamo a sovrastimare la frequenza di informazioni che ci riguardano.
Si
dice che generalizzare è sbagliato, eppure ne abbiamo bisogno, non si può
considerare ogni caso come a sé stante, anche se spesso è così, essendo gli
esseri umani tutti molto diversi tra di loro, anche se si sforzano di
assomigliarsi. Lateralmente è necessario anche cercare di non ingannarsi, cioè
credere a quello che ci fa più comodo, perché paradossalmente è proprio così che
dopo ci farà meno comodo, quando sarà il momento meno opportuno e i nodi verranno
al pettine.
Bias del
presente
Nel bias del
presente le decisioni vengono prese per ottenere una gratificazione immediata,
ignorando le possibilità di guadagno differite nel tempo. Questo atteggiamento
influenza i nostri comportamenti in 3 importanti aree della nostra vita:
l’alimentazione, la vita professionale e i risparmi.
Se
il 74% sceglieva la frutta quando doveva decidere cosa mangiare la settimana
successiva, dovendo decidere cosa mangiare subito il 70% sceglieva il
cioccolato.
Siamo
molto ben disposti ad approfittare di sconti nel momento presente, rimandando
al futuro la preoccupazione per le spese più impegnative. Chi si occupa di
marketing crea infatti proposte che ci inducano a comprare un prodotto grazie a
uno sconto o a un “regalo” iniziale, vantaggio che viene perso sul lungo periodo, ma non consideriamo, proprio per causa del bias del presente.
Il bias
del presente entrerebbe in gioco più facilmente anche sulla base del tono
dell’umore: l’impazienza causata dalla tristezza può produrre notevoli perdite
finanziarie. Si è scoperto che la tristezza indotta dalla visione di un
video, induceva i soggetti sperimentali a scelte finanziarie impazienti e
miopi: i loro guadagni aumentavano nell’immediato ma diminuivano sul lungo
periodo producendo una sostanziale perdita finanziaria. Chi invece era
stato assegnato alla visione di un video neutro non andava incontro alle stesse
reazioni e i loro guadagni risultavano complessivamente maggiori.
Mia
moglie diceva che il mio sforzo era inutile: i cretini sarebbero rimasti sempre
cretini e così via. Invece io glielo ho sempre detto che credo di non volerli
cambiare, faceva parte del mio lavoro, ma a livello personale mi è servito
assai. Una volta uno come Pierre lo avrei considerato un insopportabile
cagacazzo, oggi invece per me è il più simpatico del mondo, anche se lo è
involontariamente, è un tipo schematico sì, ma che va contro i suoi stessi
schemi e la sua faccia è un mosaico in movimento.
Poi
anche a chi dice che una volta i cretini si riconoscevano meglio, io
risponderei che quelli di oggi sono più intelligenti di quelli di ieri. È vero
che la sanno usare poco, quell’intelligenza lì, non ci sono più abituati, ma si
intravede. Forse come se, per andare dietro ai tempi moderni, si fossero persi
e non trovassero più neanche i tempi di prima. A livello pratico l'internet e
la vita moderna hanno abbassato l'intelligenza media della gente,
l'Intelligenza Artificiale non è intelligenza né artificiale, forse però
abbiamo fatto lo stesso un progresso nell’abbattimento delle differenze.
Per
ora sono principalmente finanziarie, nel mondo occidentale, ma hanno il tempo
contato, secondo Pierre, che però non mi ha spiegato cosa sarebbe successo
dopo. Invece, anche se non c’entrava niente, ha aggiunto: personalmente sono fiero di essere fuori-moda, ma a pensarci bene anche
essere fieri di qualcosa per me è una cosa senza senso, piuttosto fuori-moda
direi.
In
senso generale Pierre dice che il dubbio non serve a niente, che cambiare idea
è una tattica debole. Però ha cambiato idea sul fatto che io non potessi proprio
andare a trovarlo a casa, o forse lo ha voluto sua moglie.
La
parte esterna della casa la conoscevo, ordinatissima con un giardino
impeccabile, direi troppo.
Quando
ho visto l’interno dell’abitazione, prima ho pensato che lui non aveva avuto
voce in capitolo, ma invece ce l’aveva avuta e l’ho riconosciuta nell’accozzaglia
di quadri della sala da pranzo, non si vedevano che scarsi centimetri di parete
giallastra. I vasi di fiori falsi e quelli delle piantine vive erano una
pletora di colori e di sfumature cercate e non sempre trovate, forse anche
proposti da lei ed esagerate in varie fasi e ripensamenti da lui. Nel bagno anche
una miriade di piccoli oggetti sulle minuscole mensole, cose forse anche utili,
ma più per dare un’immagine che per essere usati.
All’inizio
lei stava troppo zitta, e si vedeva che lui era in difficoltà, perché
normalmente lei non lo lasciava parlare, secondo me. Allora ho parlato io, anche
se quel loro silenzio era piuttosto interessante, lui non c’era abituato e non
sapeva se interrompermi e dissentire. Insomma era divertente per me, forse
illuminante per Edvige, piuttosto imbarazzante per Pierre.
In
ogni modo era solo la prima visita.
Alla
sua maniera lei era curiosa di conoscermi, di capire come facevo a sopportarlo
pur non essendo io un perfetto idiota. Chissà lui cosa le aveva raccontato di
me.
Al
secondo incontro Edvige si era preparata e anche lui sembrava più a suo agio.
Mi avevano invitato a cena e lei cucinava piuttosto bene.
Una
volta finito di mangiare specialità piuttosto pesanti ma buone, sorseggiando
una grappa italiana, comprata da me, insieme a un loro multierbe casalingo e un
dolcetto assai dolce, una specie di budino tradizione di famiglia, lei, rotto
il ghiaccio, mi ha incoraggiato a dire cosa mi piaceva e cosa invece no. A
differenza di suo marito, era una che sapeva ascoltare e lui lo riusciva a fare
solo in presenza della moglie, ho constatato, oppure fingeva e basta.
Il
suo obiettivo vero però era dichiarare non proprio una certa filosofia
personale, ma le sue leggi di casa. Tutto quello che le piaceva oppure no, che
un ospite potesse fare o non fare là dentro, o anche in giardino. Forse
addirittura in sua presenza, ma visto che lei non usciva di lì, era un caso che
non si presentava facilmente.
Probabilmente
da me si aspettava qualcosa di differente, la sua faccia ci provava, ma non riusciva
a nasconderlo. Secondo lei, per ovvi motivi, con il tutto così sapientemente da
me orchestrato, la mia conseguente vita doveva essere una lotta quotidiana. Ho
obbiettato che però così mi sentivo relativamente padrone del mio destino e
anche il ritmo della mia giornata era consono a quello del mio sangue, cuore,
stomaco, culo eccetera, ma le parolacce lì non si potevano dire, questo l’avevo
capito subito e ho usato il più consono sedere.
Dopo
è partita lei e non smetteva più di dichiararmi la sua rigida costituzione
orale. La sua era il contrario, più o meno della mia, a cominciare da cani e gatti
che loro due guardavano con diffidenza, se non ne avevano addirittura paura.
Pierre concordava, sorridendo per circostanza, ma se fosse stato qualcun altro a
parlare avrebbe sicuramente interrotto e dissentito, con lei se ne guardava
bene.
È
stato subito chiaro che i bias che Pierre non possedeva ce li aveva lei, sono
stato lieto che almeno in famiglia avessero un campionario completo.
Bias di
Omissione
Per bias
di omissione si intende quella tendenza sistematica a preferire scelte che
comportano l’omissione anziché l’azione, anche quando questo significa
esporsi a rischi oggettivamente elevati.
Di
fronte ad una situazione decisionale in un contesto di un’epidemia letale per i
bambini, i partecipanti, prendendo il ruolo di genitori, avrebbero dovuto
decidere se sottoporre i propri figli ad una vaccinazione (azione) o meno,
sapendo che, in quest’ultimo caso, il rischio di morte sarebbe stato più alto.
Molti soggetti si opposero alla vaccinazione, scegliendo la soluzione
apparentemente tutt’altro che razionale.
La
spiegazione è la seguente: la paura di commettere una scelta errata, porterebbe
i soggetti ad assumere una posizione passiva in modo da sperimentare un
rimpianto minore qualora l’esito fosse la morte del bambino.
Questo
decisamente era un suo bias, invece Pierre era uno che fermo non ci sapeva
stare, doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, per non sentirsi colpevole, almeno
con sé stesso.
Non
posso fare a meno di notare che Edvige è molto più intelligente, forse si è
scelta uno come Pierre per poterlo dominare e manipolare, per ovvi motivi l’improbabile
rapporto alla pari è raro, apparentemente assai scomodo, almeno sulle terre
emerse.
Bias d’Azione
I bias
d’azione quindi sono l’esatto contrario dei bias di omissione, in quanto
le persone tenderebbero ad agire anche quando l’azione è meno vantaggiosa
dell’omissione. Se nel caso di una diagnosi di cancro, i pazienti preferivano
sottoporsi a trattamenti (azione), piuttosto che a semplici controlli
(inazione), anche se i trattamenti risultavano più dannosi o meno efficaci
dell’inazione.
Questo
tipo di bias è anche osservabile nei portieri di calcio durante i
calci di rigore: pur supponendo che la strategia ideale per i portieri sarebbe
rimanere al centro della porta (inazione), molto spesso ai rigori, il portiere
si tuffa in una delle due direzioni laterali (azione).
Edvige
predilige inattività e alternato ottimismo, Pierre piuttosto i due relativi contrari.
Sono una coppia ben assortita, ma comanda lei, come in quasi tutte le famiglie,
la femmina dietro alle quinte muove i fili del pupo in questione, al quale
basta di farsi vedere forte e deciso fuori di casa.
Si
torna indietro un po’ verso i primordi, in cui l’uomo andava a caccia e la
donna badava al territorio intorno al focolare, ai bambini, agli animali
domestici e dopo l’allevamento inventava l’agricoltura. Indirettamente la
politica, che però lasciava fare all’uomo, essendo cacciatore perseguiva di più
e meglio lo scopo. L’interesse personale opportunamente camuffato da quello per
la comunità.
Bias
dell’ottimismo
Neuroscienze
e scienze sociali concordano nel ritenere l’essere umano più ottimista che
realista, nonostante ci piaccia pensare di essere creature razionali capaci di
fare giuste previsioni sulla base di valutazioni obiettive. Le persone
sottostimano la possibilità di divorziare, di perdere il lavoro, di ammalarsi
di cancro mentre sovrastimano la propria aspettativa di vita di oltre 20
anni.
Strano
immaginare che tale atteggiamento mentale sopravviva anche in tempi di crisi
economica e sciagure ambientali, ma la nostra mente se la cava immaginando un
difficile futuro per la collettività, ma non per noi stessi.
Il
pessimismo di Pierre ha bisogno dell’ottimismo apparente di Edvige per
consolarsi, per rendere fluido il suo muoversi dentro la sua indecisione e
anche lei si sente meglio con lui, si sente superiore insomma e quindi piuttosto
utile.
Bias della
negatività
Comporta
un’eccessiva attenzione rivolta verso elementi negativi, che vengono anche
considerati come i più importanti. A causa di questa distorsione cognitiva, si
tende a dare maggior peso agli errori, sottovalutando i successi e le
competenze acquisite e attribuendo così una valutazione negativa alla
prestazione.
Anche
se sconvolgo le sue scarse certezze Pierre mi ha preso a benvolere, forse
perché un amico è un’esperienza nuova, alla quale all’inizio si è ribellato,
per ovvi motivi, ma poi gli ha aperto alcune porte delle quali non sapeva
nemmeno l’esistenza, in qualche modo gli è piaciuto.
Lei
anche mi ha preso in simpatia, forse a stare con lui non sente molta
soddisfazione nella conversazione e non mi pare che abbia amiche o amici.
Ho
pensato allora ai figli che vivono a Montreal, se mi comportavo bene me li
avrebbero fatti conoscere, e avrebbero potuto addirittura portare a livello
scientifico e internazionale delle novità. Intanto abbiamo cominciato a
parlarne e sembravano già dei tipi piuttosto interessanti.
Pochi mesi
più tardi la scienza mondiale se non interplanetaria, per le quali io non
troppo segretamente mi preoccupo, sarebbero rimaste però piuttosto deluse.
Sono stato
invitato a cena, per un evento abbastanza raro e speciale, che qui a Munster avviene
una volta o due all’anno, la maggior parte delle volte sono i genitori che vanno
a trovarli.
Rames
e Bruma, figli di
Pierre ed Edvige, di ventisei e ventotto anni, sono risultati sorprendentemente
sprovvisti di bias, anzi piuttosto banalmente possessori di varie e comuni
euristiche. Tra cui direi quelle, variamente rappresentate, che gli
permettono di camminare sulla superficie increspata della propria famiglia
di origine senza affondarci mai. Insomma gli consentono di non prendere sul
serio quello che i genitori pensano, dicono e fanno.
Lateralmente
hanno visto anche me con occhio benevolo, non escludo che abbiano capito il mio
gioco. Pazienza, magari hanno pensato: chi può sopportarli in fondo questi due,
se non un pazzo di scienziato-sociologo come me? Meglio ancora se in pensione e
a livello amatoriale.
Naturalmente
mi sono chiesto dove sono andati a cercare questi nomi, non sono riuscito a
rispondermi in maniera razionale e pur chiedendolo a loro non ho avuto che vaghe
spiegazioni. Rames è un nome di origine egiziana: "Ra, il Dio creatore"; nome di undici Faraoni. Bruma una variazione nebbiosa di
Bruna, credo. Niente a che fare con loro, nessuna storia di famiglia o di
origine che possa giustificarli.
È un bias
anche questo, intendiamoci, tipicamente italiano ma non esclusivamente, quello
di esoticizzare i nomi, voler essere unici e originali, saltando a piè pari
tutta la lingua e la cultura che c’è in mezzo. Ho notato che loro due, i figli,
non ci tengono affatto, se ne vergognano quasi.
Anche secondo
Rames e Bruma il Canada è un paese adorabile, a cominciare dal suo tipo di
politica interna e esterna, efficace, discreta e non competitiva pure a livello
internazionale. Considerano la stessa competizione una pazzia della civiltà
occidentale che ha influenzato, purtroppo, anche quella orientale.
Per
esclusione e non volendo, secondo me, papà e mamma gli hanno insegnato l’ABC
dei ragionamenti corretti e dei comportamenti conseguenti. Loro malgrado sono
stati degli educatori efficaci e non se ne rendono minimamente conto, sentono
che i figli gli assomigliano poco o niente e si chiedono perché, li vorrebbero
proteggere e coccolare anche ora che se ne sono scappati via. Incredibilmente
anche in questo assomigliano ai bias italiani dei mammoni, soprattutto dei
figli maschi che non se ne vanno mai di casa e la cui madre rifiuta
sistematicamente e sul nascere ogni candidata a nuora.
Devo
ammettere però che la loro compagnia è un po’ noiosa, quella di Rames e Bruma. In
un certo senso mi assomigliano troppo. Sono flessibili, sensibili, intelligenti
in maniera piuttosto ripetitiva, mi danno ragione anche quando io stesso so di
non avercela, indiscutibilmente mi diverto di più con Edvige e Pierre, insomma.
Nessun commento:
Posta un commento