lunedì 7 agosto 2023

COME MAI NON SI PARLA DEL CANADA?

 



Ora è diventato di moda dire di essere o non essere narcisisti, prima nessuno sapeva niente di questo narcisismo, ora lo sanno tutti. Ma è sempre esistito? Quale sarebbe il suo contrario? È una cosa sempre e inevitabilmente negativa, o può anche essere positiva?

Tipo non si può più dire, in Italia bisogna sempre e solo dire tipologia. Non mi piace che si usi e niente per iniziare una frase, non ha senso e soprattutto è una moda. Anche no è un’altra, e ce ne sono tante usate dalla gente in maniera ossessiva. Noto che soprattutto chi non sa l’inglese ama rispondere laconicamente YES.


Qualcuno comincia a dire una cosa diversa dal precedente, anche se è insignificante, ma la novità acchiappa e diventa moda, solo perché è una novità e cessa di esserlo quasi subito, eppure viene usata a sproposito per anni e anni, tanto è gratis. A volte mette addirittura le radici e diventa parte della lingua.

L’amore per il cambiamento non sarebbe di per sé negativo, anzi, ma il fatto è che spesso la novità non è pensata per niente, ma solo cascata lì e anche se fa schifo è una novità e tanto basta. Quasi mai nasce per migliorare, ma spesso per rendere obsolete delle cose che invece non lo sarebbero, per farci su dei soldi, insomma o averci un qualche tornaconto indiretto.

Vivo a Munster al confine tra Canada e Usa, ho alcuni amici dall’altra parte, ma la gente da questa parte mi pare migliore. Sono italiano e vado sempre in ferie in Italia, ma vivo qui, vicino a Ottawa per otto mesi all’anno.

Noto sempre più spesso, specialmente nella mia natia penisola, ma anche altrove, persone che invece che cercare di capire, si concentrano in un’azione multilaterale e deleteria che consiste nel convincere sé stessi, poi gli altri, che hanno proprio ragione e il loro sforzo è tutto diretto in questo senso, giustificare e successivamente glorificare il loro punto di vista.

Non posso fare a meno di accorgermi che la crescente tendenza a voler essere protagonisti è uno dei motori per i quali la gente bada più alle apparenze che ai contenuti, si dimentica proprio di cercare di capire la verità e di comprendere la realtà di cui fa parte, la vuole piuttosto deformare a proprio uso e consumo, ma la vita non funziona così, perlomeno non dovrebbe e i risultati poi si vedono.

 Le nostre azioni, specialmente al passato, ma anche nel presente e futuro, nella giornaliera comunicazione con altri esseri umani, sono rappresentate attraverso parole e frasi, modelli standard, non creati da noi, ma sentite dire dagli altri, alla televisione, leggendo libri, fumetti, ascoltando canzoni e consultando internet.

Questo mio nuovo amico di qua, Pierre, compra i riassunti dei libri, libri tecnici nel suo caso, sono disponibili a pagamento in internet. Così come a scuola si usavano i Bignami, lui dice per capire la verità. E ne ha tanta fretta e ossessione, che salta di qua e di là senza capire cosa e come, dove e perché. Le scorciatoie per ottenere rapidamente dei risultati, di ogni tipo, chi non le userebbe, se fossero efficaci?

Io no, piuttosto cerco di capire il contesto, ci vuole del tempo e soprattutto della calma. Se si vogliono saltare le tappe poi ci si ritrova senza niente sotto, insomma niente basi. E non ci sono mai state, nemmeno prima.

Per esempio, a proposito di scorciatoie a sproposito, cosa sono i fottuti bias cognitivi e le misteriose euristiche?

Bias è un termine inglese, ma viene dal francese provenzale biais, e significa obliquo, inclinato. Questo termine, a sua volta trae origine dal latino e, prima ancora, dal greco epikársios, obliquo. Termine una volta usato nel gioco delle bocce, per indicare i tiri storti, con conseguenze negative. Nella seconda metà del 1500, il termine bias, assume un significato più vasto, infatti sarà tradotto come inclinazione, predisposizione, pregiudizio.

I bias cognitivi sono percezioni errate o deformate da pregiudizi e ideologie; utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica. Errori che fanno parte della vita di tutti i giorni, non solo su decisioni e comportamenti, ma anche sui pensieri.

Le euristiche (dal greco heurískein: trovare, scoprire) sono, al contrario dei bias, intuizioni sbrigative, scorciatoie per usare un’idea generica su un argomento senza effettuare eccessivi sforzi cerebrali. Sono strategie veloci utilizzate di frequente per giungere a delle conclusioni rapide.

Quando qualcuno esprime un giudizio può essere sostituito da un’euristica, un concetto affine al precedente, formulato più semplicemente. Una specie di istinto della ragione, usato non solo parlando, ma anche pensando.

Le euristiche sono trucchi mentali che portano a conclusioni veloci con sforzo minimo.

I bias invece sono euristiche usate per esprimere dei giudizi, che alla lunga diventano pregiudizi, su cose mai viste o di cui non si è mai avuto esperienza. Le euristiche funzionano come una scorciatoia e permettono di avere accesso a informazioni immagazzinate in memoria. In sintesi, se le euristiche sono scorciatoie comode e rapide estrapolate dalla realtà che portano a veloci conclusioni, i bias cognitivi sono euristiche inefficaci, pregiudizi astratti che non si generano su dati di realtà, ma si acquisiscono a priori senza critica o giudizio.

Il ragionamento umano fa ampio impiego di euristiche, scorciatoie di pensiero e modalità rapide e intuitive che esulano dal ragionamento logico. Ciò che rende questi stili di pensiero inefficaci è la loro rigidità che spesso ci conduce ad interpretare gli eventi, e noi stessi, in modo irrealisticamente negativo. Sistematici errori di ragionamento causano problemi, sono alla base di pensieri e credenze poco realistiche che determinano sofferenza emotiva. Le distorsioni possono essere riconosciute e modificate per riformulare pensieri più realistici e funzionali al nostro benessere.

Possibili errori: catastrofizzare, saltare alle conclusioni, visione a tunnel, imminenza percepita della minaccia, ragionamento emotivo e pensiero dicotomico.

Il pensiero dicotomico divide con un taglio netto la realtà in luce e ombra, cancellandone la complessità, l’ambiguità, la mutevolezza, e ogni sfumatura. Ragiona in termini di “tutto o niente”. Esercitare il pensiero dicotomico vuol dire credere che le cose possono essere solo o completamente giuste o del tutto sbagliate, che le persone sono o amiche o nemiche, che le giornate o sono perfette o fanno schifo, che tutto ciò che non è un successo è un fallimento, e che tutto ciò che non è virtuoso è vizioso. Che ora o mai più. Che la va o la spacca. 

“Si applaudono soltanto i luoghi comuni, mentre sarebbe il caso di coltivare l'atrocità del dubbio.” Diceva Pier Paolo Pasolini. Secondo me esagerava un po’, ma non era lontano dalla verità, molto più di tanti altri. Pier Paolo è sempre stato un po’ troppo radicale, ma immancabilmente centrava i noccioli dei problemi. Forse lui stesso era troppo problematico per potersi accettare, quindi si concentrava sugli altri e sulle tendenze, sugli errori, sulle pecche di una società malata, come la nostra, ma su questo pianeta ne esiste una veramente sana?

Per farvela breve mia moglie è morta, i miei figli vivono in Olanda, Belgio e Galles. Sono andato in pensione e ho qualche soldo da parte, mi piace cucinare, ho due cani e tre gatti, guardo film e documentari la sera, ma durante il giorno studio proprio questo aspetto: il polipo con i relativi tentacoli.

Porto i cani nel parco, poi giro i bar e i punti di ritrovo qua attorno, per trovare un minimo comune denominatore in questi cazzi di comportamenti umani, legarli e slegarli per capirli meglio, da dove vengono e soprattutto dove vanno.

Vivendo per lavoro un po’ di qua e un po’ di là, ho notato i vari tipi di bias e di euristiche, nei vari popoli e classi sociali, religioni e credenze tribali.

Con il tempo ho imparato qualcosa di me stesso guardando gli altri e poi ho trovato Pierre, un meraviglioso esemplare maschio di vicino di casa ruspante, che possiede quasi tutti i bias nel suo repertorio di routine, gliene mancano pochissimi. Li usa quotidianamente, evitando tutte le euristiche, come se facesse uno slalom, in modo da sviluppare ragionamenti che spesso negano l’un l’altro e a sentirli fare non sarebbero sempre buffi, farebbero quasi arrabbiare, se non fossi un entusiasta studioso di questo genere, che pochi apprezzano, non so se per fortuna o sfortuna.

Ovviamente è una cosa rara, di solito i bias sono tendenze umane distribuite abbastanza equamente, difficile trovarli ammucchiati in un solo soggetto e per questo me lo sono fatto amico, mi ci faccio delle risate non indifferenti e imparo costantemente cose interessanti.

Lui cerca di interpretare in maniera personale il mio strano modo di vivere a pochi metri da lui, arrivando a delle conclusioni che non mi dice, ma le immagino dalle espressioni della sua faccia.  

Non ha amici, per cui mi accetta nella mia incomprensibile stranezza, ma vedo che a volte il mio silenzio lo irrita. Perché poi, nelle rare volte in cui parlo, devo sempre e comunque - pur cortesemente - dissentire dai suoi vari e illuminati giudizi?

 

 

Bias di conferma

È un fatto assodato che uno degli sforzi maggiori della nostra mente, nell’epoca attuale e moderna, è evitare tutto quel bombardamento di cose che non ci interessano. Bisognerebbe setacciare e scegliere, ma per fare questo ci vogliono tempo, voglia, disposizione e determinazione. Di conseguenza a ciascuno di noi piace essere d’accordo con le persone che pensano come noi e si tende a evitare individui o gruppi che ci fanno sentire a disagio: una modalità di comportamento preferenziale che porta al bias di conferma, ovvero l’atto di riferimento alle sole prospettive che alimentano i nostri punti di vista preesistenti.

Pierre è un assiduo guardatore di telegiornali e tira automaticamente le sue conclusioni in base alle notizie. Riesce a farlo specialmente bene se non conosce per niente l’argomento, così non si fa distrarre dalle inutili manovre altrui di raziocinio superfluo.

Non contento guarda anche le notizie dei canali stranieri, per confrontare i vari punti vista. La sua conoscenza delle lingue anche è più che opinabile, il Canada è bilingue e a Ottawa si parlano tutt’e due, ma dire che di entrambe Pierre abbia un’idea abbastanza personale è un’opinione piuttosto diffusa. Convulsamente però trova delle traduzioni peggiori usando il computer, Google e YouTube, e non gliene importa niente se non capisce bene, anzi, forse è anche meglio.

La sera alle otto e mezzo mi piacerebbe proprio andare a trovarlo, così da guardarci insieme il notiziario più importante in lingua francese, che è il suo preferito. Non posso perché c’è sua moglie, una signora che si vede raramente in giro, ma è la regina della casa e forse Pierre fuori da quell’ambito ha così tanta volontà di discutere perché là dentro non può, insomma non ce la fa, non gli è concesso. Uscito dalla staccionata del suo ordinatissimo giardino cambia faccia, ho avuto modo di notare, sua moglie scosta le tendine e scuote già la testa.

Di solito ci incontriamo al bar, o nel parco, se c’è bel tempo, i suoi orari sono rigidi, ma a volte ci facciamo qualche partita a scacchi, o a dama, su quei tavoli di cemento con le scacchiere sopra, i pezzi li porta lui e si fa anche delle sfide non indifferenti con gli occasionali avversari. Il bello non è tanto la partita in sé, ma i commenti e quello che un giocatore avrebbe dovuto fare, ma non ha fatto, oppure il contrario, non avrebbe dovuto fare, ma erroneamente ha fatto e il suo sbaglio gli è costato caro, sempre secondo Pierre.

Alla fine delle sue frasi di commento di solito mi chiede conferma, poi non mi ascolta, alza la voce e parte per una spiegazione migliore e più particolareggiata di quello che ha detto, ripetendo più volte, più o meno con le stesse parole, il suo ragionamento standard. Insomma, non dà assolutamente il tempo all’interlocutore di esprimere il proprio parere e questo mi risparmia delle discussioni inutili, io faccio finta di aprire la bocca e lui riparte.

“…ma la politica del Canada è idiota, nel mondo la gente non parla mai di noi. Questo cosa ci fa capire? Che non contiamo niente, che non facciamo mai niente di nuovo, di rivoluzionario, perciò di polemico e allora di utile e innovativo.”

“Ma non siete i comunisti del nord?”

“Ma quando mai? Noi siamo il culo del mondo!”

“In che senso?”

La sua spiegazione nega sé stessa e si ripete a spirale, non riesco nemmeno a capire bene. Spesso quello che per me è positivo per lui è negativo e viceversa, come per esempio il fatto che si parli tanto di quello che succede negli Usa e fuori anche, ma per causa o merito loro. Però del Canada non se ne parla mai, significa che fanno delle cose giuste qui, le buone notizie non sono notizie per niente, anche secondo Pierre, ma questo non lo dice, è ovvio.

Per lui quelli che stanno zitti hanno sempre torto, capisco dalla sua diagonale chiarificatrice mezz’ora di frasi concentriche. Per me invece no, nel peggiore dei casi non rompono le scatole a nessuno.

 

 

Bias di gruppo

Molto simile al bias di conferma è il bias di gruppo, che ci induce a sopravvalutare le capacità ed il valore del nostro gruppo, a considerare i successi del nostro gruppo come risultato delle qualità dello stesso, mentre si tende ad attribuire i successi di un gruppo estraneo a fattori esterni non insiti nelle qualità delle persone che lo compongono.

Le valutazioni affette da queste distorsioni cognitive possono risultare poco chiare a chi viene valutato, che spesso non comprende le basi sulle quali la valutazione si fonda e che invece nota, d’altra parte, un’eccessiva intransigenza di pensiero.

Guardando una partita di calcio si vede che la nazionale Canadese o della squadra di Ottawa ha sempre ragione, (anche se nel calcio avere ragione non serve a molto,) l’arbitro invece no ed è inutile discutere, gli avversari poi giocano sempre peggio, anche se si tratta di squadre migliori e con una tradizione di calcio secolare e per una combinazione di puro caso e scarogna poi vincono 5 a 0, secondo lui del tutto immeritatamente.

Pierre prima di andare in pensione era informatore scientifico, una maniera più ruffiana di chiamare i rappresentanti farmaceutici. Gli fanno fare dei corsi per fargli capire che una persona ha il massimo dell'approvazione quando è capace di ascoltare, ma poi nel lavoro fanno il contrario, perché i medici non hanno voglia di stare a sentire, loro non si sentono valorizzati né apprezzati e diventano nervosi, i medici pur di mandarli via prescrivono le medicine che loro vogliono vendere e il cerchio si chiude.

Alcune persone si convincono per esperienza che parlare è un sintomo di autoaffermazione, insomma di potere e più si parla e meglio è. Non importa poi molto cosa si dice, ma dichiarare di esserne convinti e spiegare più volte perché.

C’è gente che dice che una volta era più facile riconoscere un cretino perché oggigiorno si travestono da persone intelligenti, per smascherarli non è facile, bisogna essere veramente intelligenti. Ciò non toglie che i cosiddetti nuovi intelligenti considerino quelli del vecchio tipo piuttosto antiquati, per loro i veri idioti sono proprio questi.

 

 

Bias di Ancoraggio

O trappola della relatività, è un bias per il quale nel prendere una decisione tendiamo a confrontare solo un insieme limitato di elementi: l’errore è quello di ancorarsi, cioè fissarsi su un valore che viene poi usato, arbitrariamente, in modo comparativo, cioè come termine di paragone per le valutazioni in atto, invece che basarsi sul valore assoluto.

Sembra più confortevole e rassicurante, in realtà con le sue stronzate Pierre mina la sua sicurezza, il suo stesso confort, ma avevo ragione di credere che sua moglie gli facesse da contrappeso, morivo dalla voglia di conoscerla, ma lui non ne voleva sapere.

 

 

Fallacia di Gabler

Un altro bias cognitivo frequente è la cosiddetta fallacia di Gabler, ovvero la tendenza a dare rilevanza a ciò che è accaduto in passato, così che i giudizi attuali siano del tutto influenzati da tali eventi passati. In virtù di questo bias cognitivo chi ha ricevuto un giudizio positivo nel passato tenderà a ricevere un giudizio positivo anche nel presente, anche a dispetto delle reali prestazioni attuali, che potrebbero essere negative o in calo rispetto a quelle passate. Insomma…“è la prima impressione quella che conta!”

Pierre è abilissimo nell’ignorare tutto quello che succede dopo, se decide, come spesso accade, che ciò che conta è capitato prima e ci si fissa in una maniera che è impossibile smuoverlo.

Sono riuscito a raccontargli di quel film di Pupi Avati in cui l’autista della famiglia nobile è diventato cieco, loro non lo licenziano, né gli fanno fare qualcos’altro, che sennò ci rimarrebbe male e poi si ricorda bene le strade, i percorsi sono sempre quelli e se ogni volta sbatte la macchina sono incidenti lievi, colpa degli altri automobilisti più che altro, che non sono al corrente o non tengono conto del cambiamento piuttosto importante delle cose in atto.

Non è servito a niente, quell’esempio gli è parso fuori luogo ed esageratamente forzato.

Nell’errore per somiglianza, apprezziamo nell’altro aspetti simili a quelli che riconosciamo in noi stessi; mentre nell’errore per contrasto, al contrario, apprezziamo i tratti di personalità diametralmente opposti ai nostri: il risultato può portare a sovrastimare negli altri quei tratti che riconosciamo opposti ai nostri. Per esempio se siamo timidi o introversi saremo indotti da questo bias cognitivo a giudicare gli altri più sicuri ed estroversi di quanto siano in realtà.

Una delle poche cose giuste che dice in modo ricorrente è che gli italiani sono dei prepotenti, sono d’accordo con lui, direi soprattutto nella maniera di fare, ciò non toglie che Pierre, pur non essendo italiano, sia peggio ancora, o perlomeno ci provi sempre, dipende un po’ con chi.

Non essendo mai stato in Italia, l’idea che se ne è fatto viene dall’internet e dai film, ci sono anche dei pensionati di origine più lontana della mia qua in giro. Insomma lui non conoscendo la materia, come di solito fa, spara giudizi a 360 gradi e come l’orologio fermo, che ha ragione due volte al giorno, qualche volta ci azzecca.

Allora io faccio l’avvocato del diavolo e gli metto il sale sulla coda, solo momentaneamente, perché lui scappa su altre magagne che intorno a noi dove caschi-caschi, ne pesti sempre una. Se non ce ne sono le inventa.

 

Bias dello status quo

È una distorsione valutativa dovuta alla resistenza al cambiamento: il cambiamento spaventa e si tenta di mantenere le cose così come stanno. La parte più dannosa di questo pregiudizio è l’ingiustificata supposizione che una scelta diversa potrà far peggiorare le cose. Gli anziani spesso sono shoccati dal cambiamento, ogni cosa nuova gli fa paura, mentre i giovani vogliono cambiare anche quello che va benissimo così come è.

Qualsiasi cosa vogliano cambiare, attorno a lui, o anche lontano, ma che ne abbia avuto notizia, sia una cosa che lo riguardi o no, e spesso anche succede con degli inaspettati miglioramenti, Pierre si oppone. Per lui sono tutte minacce alla sua sicurezza, alla sua pace, fosse anche a quella di sua moglie, quella santa donna.

 

Bias del pavone

Siamo indotti a condividere maggiormente i nostri successi, rispetto ai nostri fallimenti. L’uso che la maggior parte delle persone fa dei social è una fotografia esaustiva di questo tipo di bias, sui social infatti le persone tendono a mostrare per lo più un’immagine positiva di sé, tanto da far sembrare la vita di tutti ideale.

Pierre su Facebook è abbastanza conosciuto, partecipa anche su altri social, ma su Facebook c’è un maggiore e migliore gusto del battibecco. Ogni tanto viene bandito, fornendogli elementi per discutere con me o con altri le sue tesi.

Naturalmente l’immagine che vuole dipingere di sé stesso è assai diversa da quella reale, visto che la sua idea della realtà è basata sui bias e ignora ogni euristica. Si mette a fare delle discussioni lunghissime con gente che forse gli assomiglia, in alcuni casi, specialmente gli italiani che hanno un bias del tutto speciale che lui ha adottato in blocco, senza accorgersene, il bias della polemica inutile.

Se dice una cosa e gli altri la approvano tutto bene, se non l’approvano si litiga a oltranza. Se sono loro a dirla per primi, però Pierre deve per forza confutare i loro labili argomenti, anche se sono gli stessi che pensa lui. Insomma fare l’avvocato del diavolo è un atteggiamento che dà dei risultati ottimi e abbondanti, se siamo quel tipo di persona lì.

Fissarsi sulle parole, sulla loro sottile e presunta differenza di significato, ignorando totalmente il senso del discorso generale, fa parte di questa voglia di mettersi sempre a discutere e di avere immancabilmente ragione.

Correggere sempre e comunque la sintassi e gli errori grammaticali degli altri, giustificare sistematicamente i propri o addirittura arrabbiarsi quando si riceve lo stesso trattamento, per delle inezie insignificanti al senso del discorso (ma come fanno a non capirlo da soli?)

 

Bias di proiezione

Quando crediamo che la maggior parte delle persone la pensi come noi. Questo errore cognitivo si correla al bias del falso consenso per il quale riteniamo che le persone siano d’accordo con noi, perché è l’unica cosa da fare, non ci sono alternative. In sostanza è un bias cognitivo che ci induce a sopravvalutare la “normalità” e la “tipicità”. Questo bias gli mancava, per quanto glielo cercassi non ce lo trovavo.

Mi è venuta in mente la vittima di centosette fatali malattie di Jerome K. Jerome, che scoprendo che non aveva il ginocchio della lavandaia c’era rimasto male. Anch’io insistevo e insistevo, ma quel bias lì Pierre non ce lo aveva e mi pareva quasi un’ingiustizia, non solo nei miei confronti.

 

 

 

Illusione della frequenza

Il cervello tende a selezionare informazioni che ci riguardano – per esempio a farci notare donne con i capelli corti se per esempio ci siamo appena tagliate i capelli corti o auto rosse se abbiamo appena acquistato una macchina rossa – il nostro errore di valutazione è quello di credere che ci sia realmente un incremento nella frequenza di donne con i capelli corti o di macchine rosse, cioè tendiamo a sovrastimare la frequenza di informazioni che ci riguardano.

Si dice che generalizzare è sbagliato, eppure ne abbiamo bisogno, non si può considerare ogni caso come a sé stante, anche se spesso è così, essendo gli esseri umani tutti molto diversi tra di loro, anche se si sforzano di assomigliarsi. Lateralmente è necessario anche cercare di non ingannarsi, cioè credere a quello che ci fa più comodo, perché paradossalmente è proprio così che dopo ci farà meno comodo, quando sarà il momento meno opportuno e i nodi verranno al pettine.

 

 

Bias del presente

Nel bias del presente le decisioni vengono prese per ottenere una gratificazione immediata, ignorando le possibilità di guadagno differite nel tempo. Questo atteggiamento influenza i nostri comportamenti in 3 importanti aree della nostra vita: l’alimentazione, la vita professionale e i risparmi.

Se il 74% sceglieva la frutta quando doveva decidere cosa mangiare la settimana successiva, dovendo decidere cosa mangiare subito il 70% sceglieva il cioccolato.

Siamo molto ben disposti ad approfittare di sconti nel momento presente, rimandando al futuro la preoccupazione per le spese più impegnative. Chi si occupa di marketing crea infatti proposte che ci inducano a comprare un prodotto grazie a uno sconto o a un “regalo” iniziale, vantaggio che viene perso sul lungo periodo, ma non consideriamo, proprio per causa del bias del presente.

Il bias del presente entrerebbe in gioco più facilmente anche sulla base del tono dell’umore: l’impazienza causata dalla tristezza può produrre notevoli perdite finanziarie. Si è scoperto che la tristezza indotta dalla visione di un video, induceva i soggetti sperimentali a scelte finanziarie impazienti e miopi: i loro guadagni aumentavano nell’immediato ma diminuivano sul lungo periodo producendo una sostanziale perdita finanziaria.  Chi invece era stato assegnato alla visione di un video neutro non andava incontro alle stesse reazioni e i loro guadagni risultavano complessivamente maggiori.

Mia moglie diceva che il mio sforzo era inutile: i cretini sarebbero rimasti sempre cretini e così via. Invece io glielo ho sempre detto che credo di non volerli cambiare, faceva parte del mio lavoro, ma a livello personale mi è servito assai. Una volta uno come Pierre lo avrei considerato un insopportabile cagacazzo, oggi invece per me è il più simpatico del mondo, anche se lo è involontariamente, è un tipo schematico sì, ma che va contro i suoi stessi schemi e la sua faccia è un mosaico in movimento.

Poi anche a chi dice che una volta i cretini si riconoscevano meglio, io risponderei che quelli di oggi sono più intelligenti di quelli di ieri. È vero che la sanno usare poco, quell’intelligenza lì, non ci sono più abituati, ma si intravede. Forse come se, per andare dietro ai tempi moderni, si fossero persi e non trovassero più neanche i tempi di prima. A livello pratico l'internet e la vita moderna hanno abbassato l'intelligenza media della gente, l'Intelligenza Artificiale non è intelligenza né artificiale, forse però abbiamo fatto lo stesso un progresso nell’abbattimento delle differenze.

Per ora sono principalmente finanziarie, nel mondo occidentale, ma hanno il tempo contato, secondo Pierre, che però non mi ha spiegato cosa sarebbe successo dopo. Invece, anche se non c’entrava niente, ha aggiunto: personalmente sono fiero di essere fuori-moda, ma a pensarci bene anche essere fieri di qualcosa per me è una cosa senza senso, piuttosto fuori-moda direi.

In senso generale Pierre dice che il dubbio non serve a niente, che cambiare idea è una tattica debole. Però ha cambiato idea sul fatto che io non potessi proprio andare a trovarlo a casa, o forse lo ha voluto sua moglie.

La parte esterna della casa la conoscevo, ordinatissima con un giardino impeccabile, direi troppo.

Quando ho visto l’interno dell’abitazione, prima ho pensato che lui non aveva avuto voce in capitolo, ma invece ce l’aveva avuta e l’ho riconosciuta nell’accozzaglia di quadri della sala da pranzo, non si vedevano che scarsi centimetri di parete giallastra. I vasi di fiori falsi e quelli delle piantine vive erano una pletora di colori e di sfumature cercate e non sempre trovate, forse anche proposti da lei ed esagerate in varie fasi e ripensamenti da lui. Nel bagno anche una miriade di piccoli oggetti sulle minuscole mensole, cose forse anche utili, ma più per dare un’immagine che per essere usati.

All’inizio lei stava troppo zitta, e si vedeva che lui era in difficoltà, perché normalmente lei non lo lasciava parlare, secondo me. Allora ho parlato io, anche se quel loro silenzio era piuttosto interessante, lui non c’era abituato e non sapeva se interrompermi e dissentire. Insomma era divertente per me, forse illuminante per Edvige, piuttosto imbarazzante per Pierre.

In ogni modo era solo la prima visita.

Alla sua maniera lei era curiosa di conoscermi, di capire come facevo a sopportarlo pur non essendo io un perfetto idiota. Chissà lui cosa le aveva raccontato di me.

Al secondo incontro Edvige si era preparata e anche lui sembrava più a suo agio. Mi avevano invitato a cena e lei cucinava piuttosto bene.

Una volta finito di mangiare specialità piuttosto pesanti ma buone, sorseggiando una grappa italiana, comprata da me, insieme a un loro multierbe casalingo e un dolcetto assai dolce, una specie di budino tradizione di famiglia, lei, rotto il ghiaccio, mi ha incoraggiato a dire cosa mi piaceva e cosa invece no. A differenza di suo marito, era una che sapeva ascoltare e lui lo riusciva a fare solo in presenza della moglie, ho constatato, oppure fingeva e basta.

Il suo obiettivo vero però era dichiarare non proprio una certa filosofia personale, ma le sue leggi di casa. Tutto quello che le piaceva oppure no, che un ospite potesse fare o non fare là dentro, o anche in giardino. Forse addirittura in sua presenza, ma visto che lei non usciva di lì, era un caso che non si presentava facilmente.

Probabilmente da me si aspettava qualcosa di differente, la sua faccia ci provava, ma non riusciva a nasconderlo. Secondo lei, per ovvi motivi, con il tutto così sapientemente da me orchestrato, la mia conseguente vita doveva essere una lotta quotidiana. Ho obbiettato che però così mi sentivo relativamente padrone del mio destino e anche il ritmo della mia giornata era consono a quello del mio sangue, cuore, stomaco, culo eccetera, ma le parolacce lì non si potevano dire, questo l’avevo capito subito e ho usato il più consono sedere.

Dopo è partita lei e non smetteva più di dichiararmi la sua rigida costituzione orale. La sua era il contrario, più o meno della mia, a cominciare da cani e gatti che loro due guardavano con diffidenza, se non ne avevano addirittura paura. Pierre concordava, sorridendo per circostanza, ma se fosse stato qualcun altro a parlare avrebbe sicuramente interrotto e dissentito, con lei se ne guardava bene.

È stato subito chiaro che i bias che Pierre non possedeva ce li aveva lei, sono stato lieto che almeno in famiglia avessero un campionario completo.

 

 

Bias di Omissione

Per bias di omissione si intende quella tendenza sistematica a preferire scelte che comportano l’omissione anziché l’azione, anche quando questo significa esporsi a rischi oggettivamente elevati.

Di fronte ad una situazione decisionale in un contesto di un’epidemia letale per i bambini, i partecipanti, prendendo il ruolo di genitori, avrebbero dovuto decidere se sottoporre i propri figli ad una vaccinazione (azione) o meno, sapendo che, in quest’ultimo caso, il rischio di morte sarebbe stato più alto. Molti soggetti si opposero alla vaccinazione, scegliendo la soluzione apparentemente tutt’altro che razionale.

La spiegazione è la seguente: la paura di commettere una scelta errata, porterebbe i soggetti ad assumere una posizione passiva in modo da sperimentare un rimpianto minore qualora l’esito fosse la morte del bambino.

Questo decisamente era un suo bias, invece Pierre era uno che fermo non ci sapeva stare, doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, per non sentirsi colpevole, almeno con sé stesso.

Non posso fare a meno di notare che Edvige è molto più intelligente, forse si è scelta uno come Pierre per poterlo dominare e manipolare, per ovvi motivi l’improbabile rapporto alla pari è raro, apparentemente assai scomodo, almeno sulle terre emerse.

 

 

Bias d’Azione

 

I bias d’azione quindi sono l’esatto contrario dei bias di omissione, in quanto le persone tenderebbero ad agire anche quando l’azione è meno vantaggiosa dell’omissione. Se nel caso di una diagnosi di cancro, i pazienti preferivano sottoporsi a trattamenti (azione), piuttosto che a semplici controlli (inazione), anche se i trattamenti risultavano più dannosi o meno efficaci dell’inazione.

Questo tipo di bias è anche osservabile nei portieri di calcio durante i calci di rigore: pur supponendo che la strategia ideale per i portieri sarebbe rimanere al centro della porta (inazione), molto spesso ai rigori, il portiere si tuffa in una delle due direzioni laterali (azione).

Edvige predilige inattività e alternato ottimismo, Pierre piuttosto i due relativi contrari. Sono una coppia ben assortita, ma comanda lei, come in quasi tutte le famiglie, la femmina dietro alle quinte muove i fili del pupo in questione, al quale basta di farsi vedere forte e deciso fuori di casa.

Si torna indietro un po’ verso i primordi, in cui l’uomo andava a caccia e la donna badava al territorio intorno al focolare, ai bambini, agli animali domestici e dopo l’allevamento inventava l’agricoltura. Indirettamente la politica, che però lasciava fare all’uomo, essendo cacciatore perseguiva di più e meglio lo scopo. L’interesse personale opportunamente camuffato da quello per la comunità.

 

 

Bias dell’ottimismo

 

Neuroscienze e scienze sociali concordano nel ritenere l’essere umano più ottimista che realista, nonostante ci piaccia pensare di essere creature razionali capaci di fare giuste previsioni sulla base di valutazioni obiettive. Le persone sottostimano la possibilità di divorziare, di perdere il lavoro, di ammalarsi di cancro mentre sovrastimano la propria aspettativa di vita di oltre 20 anni. 

Strano immaginare che tale atteggiamento mentale sopravviva anche in tempi di crisi economica e sciagure ambientali, ma la nostra mente se la cava immaginando un difficile futuro per la collettività, ma non per noi stessi.

Il pessimismo di Pierre ha bisogno dell’ottimismo apparente di Edvige per consolarsi, per rendere fluido il suo muoversi dentro la sua indecisione e anche lei si sente meglio con lui, si sente superiore insomma e quindi piuttosto utile.

 

 

Bias della negatività

 

Comporta un’eccessiva attenzione rivolta verso elementi negativi, che vengono anche considerati come i più importanti. A causa di questa distorsione cognitiva, si tende a dare maggior peso agli errori, sottovalutando i successi e le competenze acquisite e attribuendo così una valutazione negativa alla prestazione.

Anche se sconvolgo le sue scarse certezze Pierre mi ha preso a benvolere, forse perché un amico è un’esperienza nuova, alla quale all’inizio si è ribellato, per ovvi motivi, ma poi gli ha aperto alcune porte delle quali non sapeva nemmeno l’esistenza, in qualche modo gli è piaciuto.

Lei anche mi ha preso in simpatia, forse a stare con lui non sente molta soddisfazione nella conversazione e non mi pare che abbia amiche o amici.

Ho pensato allora ai figli che vivono a Montreal, se mi comportavo bene me li avrebbero fatti conoscere, e avrebbero potuto addirittura portare a livello scientifico e internazionale delle novità. Intanto abbiamo cominciato a parlarne e sembravano già dei tipi piuttosto interessanti.

Pochi mesi più tardi la scienza mondiale se non interplanetaria, per le quali io non troppo segretamente mi preoccupo, sarebbero rimaste però piuttosto deluse.

Sono stato invitato a cena, per un evento abbastanza raro e speciale, che qui a Munster avviene una volta o due all’anno, la maggior parte delle volte sono i genitori che vanno a trovarli.

Rames e Bruma, figli di Pierre ed Edvige, di ventisei e ventotto anni, sono risultati sorprendentemente sprovvisti di bias, anzi piuttosto banalmente possessori di varie e comuni euristiche. Tra cui direi quelle, variamente rappresentate, che gli permettono di camminare sulla superficie increspata della propria famiglia di origine senza affondarci mai. Insomma gli consentono di non prendere sul serio quello che i genitori pensano, dicono e fanno.

Lateralmente hanno visto anche me con occhio benevolo, non escludo che abbiano capito il mio gioco. Pazienza, magari hanno pensato: chi può sopportarli in fondo questi due, se non un pazzo di scienziato-sociologo come me? Meglio ancora se in pensione e a livello amatoriale.

Naturalmente mi sono chiesto dove sono andati a cercare questi nomi, non sono riuscito a rispondermi in maniera razionale e pur chiedendolo a loro non ho avuto che vaghe spiegazioni. Rames è un nome di origine egiziana: "Ra, il Dio creatore"; nome di undici Faraoni.  Bruma una variazione nebbiosa di Bruna, credo. Niente a che fare con loro, nessuna storia di famiglia o di origine che possa giustificarli.

È un bias anche questo, intendiamoci, tipicamente italiano ma non esclusivamente, quello di esoticizzare i nomi, voler essere unici e originali, saltando a piè pari tutta la lingua e la cultura che c’è in mezzo. Ho notato che loro due, i figli, non ci tengono affatto, se ne vergognano quasi.

Anche secondo Rames e Bruma il Canada è un paese adorabile, a cominciare dal suo tipo di politica interna e esterna, efficace, discreta e non competitiva pure a livello internazionale. Considerano la stessa competizione una pazzia della civiltà occidentale che ha influenzato, purtroppo, anche quella orientale.

Per esclusione e non volendo, secondo me, papà e mamma gli hanno insegnato l’ABC dei ragionamenti corretti e dei comportamenti conseguenti. Loro malgrado sono stati degli educatori efficaci e non se ne rendono minimamente conto, sentono che i figli gli assomigliano poco o niente e si chiedono perché, li vorrebbero proteggere e coccolare anche ora che se ne sono scappati via. Incredibilmente anche in questo assomigliano ai bias italiani dei mammoni, soprattutto dei figli maschi che non se ne vanno mai di casa e la cui madre rifiuta sistematicamente e sul nascere ogni candidata a nuora.

Devo ammettere però che la loro compagnia è un po’ noiosa, quella di Rames e Bruma. In un certo senso mi assomigliano troppo. Sono flessibili, sensibili, intelligenti in maniera piuttosto ripetitiva, mi danno ragione anche quando io stesso so di non avercela, indiscutibilmente mi diverto di più con Edvige e Pierre, insomma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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