Ho
scoperto che vivendo su un’imbarcazione, a contatto costante con l’acqua, ci si
sente meglio e anche se buttiamo una materiale ancora sul fondo del canale,
magari siamo meno virtualmente collegati alle vicende terrestri, dalle quali da
tempo, non solo fisicamente, ci sentiamo di volerci sempre più dissociare.
Abbandonare il mio barcone solo per un giorno non è stato facile, né immediato. Senza l’acqua a sorreggermi mi sentivo mancare la terra sotto i piedi e invece, secondo la realtà comunemente intesa, era esattamente il contrario di quello che stava accadendo.
Da
tanto tempo non sedevo su una automobile, guidare poi mi pareva impossibile,
eppure lo sto facendo. Sono le otto quando raggiungo finalmente il paese. Ho
viaggiato tutto il giorno e qui la notte è veramente scura.
Ho
gli occhi stanchi, ci sono pochi lampioni, un cielo senza stelle. Guido con
calma, nel senso che non sono più abituato a farlo e allora ho paura e poi
queste stradine, queste continue curve, spero di non andare a sbattere, che gli
altri automobilisti abbiano pazienza con la mia lumacosità.
Ho
firmato il contratto, l’isolotto è mio, anche se lo devo pagare, piano-piano. La
mia vecchia 127 Fiat si deve essere autodistrutta subito dopo, non lo so, ma la
missione era compiuta, direi brillantemente e senza fondere il motore.
Ho imparato a scolpire la pietra, a farci delle facce,
ispirandomi anche a certe figure tribali, africane ma non solo. Ho scoperto che
queste pietre scolpite con sembianze di facce più o meno umane si chiamavano Marcolfe, vocabolo che giammai avevo udito.
Me le aveva fatte conoscere Marchino, un mio amico, all’inizio credevo che le
avesse inventate lui e si chiamassero così da Marco, a origine del suo nome.
"Le Marcolfe o Margolfe, sono parte di una tradizione
molto antica, comune a molti popoli del mondo, ovvero scolpire teste di pietra
o di legno e apporle davanti alle case, soprattutto quelle appena costruite,
per protezione. Alcuni ricercatori ne fanno risalire l'origine ad un rito
piuttosto macabro che i Friniates, antica popolazione che viveva su queste
montagne, compiva al termine di ogni battaglia: decapitare le teste dei nemici,
infilzarle con le punte delle lance e posizionarle davanti alle proprie
abitazioni. In tempi più recenti questa tradizione si è modificata e sostituita
con la riproduzione delle teste scolpite nella pietra o nel legno. A
volte mi chiedono perché non le realizzo con volti sorridenti, mi rifaccio a
quelle che vedo in giro, e quelle non sorridono, le teste dei morti non ridono,
devono scacciare via il male, devono essere cattive e brutte". Diceva il mio maestro Marchino.
Le prime che ho fatto però erano troppo brutte, a onor
del vero, ma poi quello era anche un esercizio che mi piaceva, mi riposava la
mente, m’impediva di pensare ad altri purtroppo umani e assurdi meccanismi e le
seconde mie marcolfe erano ancora assai
rustiche e sperimentali, ma avevano già un loro garbo. Le terze mostravano un
ulteriore miglioramento o forse ero io che mi stavo abituando.
Stanco di vivere di pesca, ereditati quei pochi soldi
dai miei genitori, avevo comprato a rate quell’isolotto fatto di scogli e di
rocce, quasi senza vegetazione, ci ho costruito una casettina di legno,
nascosta e appoggiata a un masso arrotondato dal vento e dall’acqua, come tanti
ce ne erano lì e ho cominciato a scolpire le pietre attorno, piccole, medie e
grandi, senza fretta ma con pazienza e continuità.
Non avevo nessun piano, se non quello di pagare il mio
isolotto e di sopravviverci in santa pace, ma dopo nemmeno un anno i turisti hanno
cominciato ad avvicinarsi e volevano fare delle foto, più le solite mitragliate
di selfies. Le figure scolpite sulle rocce da lontano si notavano e sono sicuramente
stati attirati da quella nuova stranezza. Il luogo non era tanto bello, l’avevo
scelto per quello, l’isolotto era piccolo e lontano dal vero turismo
dell’arcipelago Toscano, ma per merito mio, o
forse dovrei parlare di colpa, è diventato una meta ambita anche su Facebook,
per poter dire il solito ovvio e svalutatissimo io ci sono stato, come se anche quella fosse una cosa da comprare
e poi da mostrare a tutti.
Nel frattempo ero mio malgrado diventato quasi famoso,
e volevano addirittura che andassi in televisione, io ho detto di no e per
questo mio incomprensibile rifiuto diventavo già più conosciuto. Sembrava una
tattica ma non lo era. Per fortuna non avevano mie foto, ho pensato, però hanno
messo una specie di identikit sui giornali e sui social. Sono diventato
rapidamente una celebrità a livello regionale e poi nazionale, proprio io che non
volevo assolutamente esserlo, purtroppo i soldi mi servivano.
Ho ceduto e sono andato alla televisione, non avrei
dovuto farlo, coglione che non sono altro, ma dicevano che ero il Mauro Corona
della Toscana, un precedente mezzo Giuda come me, vendutosi per i soliti venti
denari. Mi hanno dato un sacco di bigliettoni e lì è cominciato tutto, o forse
è solo continuata quella serie di azioni e reazioni che involontariamente avevo
già innescato in precedenza. Pensavo o forse speravo che si sarebbero stancati,
che il mio personaggio, in fondo, non era quello che volevano. Invece no, a
ogni apparizione, per modesto, timido e rispondente a scarsi monosillabi che
fossi, diventavo un ideale simbolo che rappresentava la fuga dalla società e dal
mondo moderno, il silenzio che proponevo e l’imbarazzo pure sembravano fatti su
misura. Non facevo dichiarazioni, non dicevo niente di nulla, ma quella
incredibile mancanza di manifestazione per i mass-media era assordante e giusta,
si propagava nel globo dell’involontaria comunicazione come i cerchietti che fa
l’acqua quando ci si butta un sasso.
Non ce la facevo proprio a sopportare tutto
quell’andirivieni ululante di gente. Sembravano dei pellegrinaggi obbligati, ma
non avevano niente a che fare con la religione, almeno spero, era una specie di
feticismo idiota ma determinato e ripetitivo.
Ho rivenduto l’isolotto a un prezzo pari a quello che
era il suo valore originario moltiplicato per cinquanta.
Non riuscivo proprio a capire perché idolatrassero me
che ero il contrario di loro, eppure era proprio questo che gli piaceva. Le
sculture non erano niente di particolare, secondo me, proprio nulla di
fenomenale, era il fatto che io non volevo la popolarità, che scappavo da tutto
quello che la gente adorava, per loro era incredibile e bello.
Sono ritornato sul barcone, ho iniziato a scolpire il
legno, perché era più leggero da trasportare e una ragionevole provvista di
ciocchetti non ci faceva affondare. Ho usato il plurale perché qua sopra siamo
diversi animali, per lo più gatti e cani. Allora ho comprato un peschereccio più
grande, visto che gli yacht davano più nell’occhio e ho cominciato a scappare
per il mediterraneo scolpendo e vendendo le mie nuove opere quando e dove
potevo.
Ho inventato le Marcolfe di legno, ma non è stato affatto
un calcolo, né una novità, considerato che il mio maestro e amico Marchino di
Cocombola passa indifferentemente da ogni tipo di materiale mantenendo le
stesse linee, le stesse figure tribali e volutamente rozze che rappresentano,
anche nel suo caso, una fuga dalle false raffinatezze e dalle apparenze moderne,
a scapito dei contenuti antichi, delle cose naturali e campagnole, quali anche
noi stessi siamo e amiamo. Intanto le mie foto segnaletiche erano sparse per
tutto il globo, i relativi video su Youtube e su Facebook. Ero diventato
un’icona della fuga dalla modernità, del volersi dissociare da quasi tutto
quello che si vede in giro attualmente, alla TV e in internet.
Quando scorgevano la mia scassata imbarcazione all’orizzonte
però arrivavano a decine canotti e barchette per vedermi o fotografarmi,
comprare le mie opere, immortalare me con le mie marcolfe, farsi dei selfies
con dietro il famoso peschereccio, che ho dovuto ridipingere varie volte, affinché
non lo riconoscessero, ma del tutto inutilmente.
Un incubo a ciel sereno.
I giornali pubblicavano fino alla nausea quello che
scriveva di me un giornalista, Marc Toulouse, un astuto ruffiano belga, grazie al
quale lui stesso era diventato famoso:
“Era
una persona di nicchia, di quelli che piacevano a pochi e tutti gli altri non
li cercavano, o non sapevano nemmeno che esistessero, se li incontravano non li
riconoscevano e anche se ci fossero riusciti non gliene sarebbe fregato niente.
Si era trovato più volte spaesato nel riscontrare,
seguendo un suo giustificato sospetto, che di piani di vita in precedenza non
ne aveva e forse non ne aveva mai avuti. Era quella la base da cui doveva
partire, come nella battaglia navale, lanciare un siluro dove non c’era
niente, visto che non si avevano informazioni di sorta, diventava quella stessa
già una fottuta informazione?
I fatti a seguire lo avrebbero illuminato, aveva
pensato, ma per mesi e anni non era successo niente e la stessa illuminazione
aveva tardato di conseguenza, o forse si era trattato di causa?
Così si è trovato, lui stesso, a considerare la
mancanza di filosofia, già una determinata filosofia.
Magari aveva bisogno di qualche modello, un esempio da
seguire, forse solo parzialmente, a livello indicativo, anche solo di sistemi e
di applicazioni relative, filosofia inconscia ma applicata, insomma.
Però non vedeva nessuno realizzato attorno a sé,
nemmeno qualcuno felice, o parzialmente un misto delle due cose, solo tragedie
e nel migliore dei casi vicende tragicomiche. Della vita raccontata come nei film
o in alcuni bei libri nessuna traccia.
Cosa fare?
Dove rifugiarsi se non nell’arte?
La solitudine e la sua arte ignorante combinano a
meraviglia, la fuga dalla società, lontano dalla stressante vita moderna e via
discorrendo, tutti noi vorremmo farlo, ma non siamo capaci, lui invece sì e ora
le sue opere volutamente ruvide e rozze, ancestrali e ataviche si vendono a
peso d’oro!”
Di conseguenza anche Marchino è diventato famoso, dopo
che ne avevo parlato alla TV. Lui e sua moglie mi hanno più volte benedetto e
maledetto, a intermittenza, i due figli maschi pure. In televisione però non
c’è mai andato, certo è stato più furbo di me.
Quello che faceva più notizia era la nostra fuga dalla
celebrità, una cosa ambita da tanti, se non quasi tutti. Delle Marcolfe gliene
importava molto meno alla gente, ma quelle erano una specie di simbolo, noi
stessi lo eravamo e in qualche maniera ci raffiguravano.
Con il computer e i relativi programmi un oscuro
disegnatore ungherese ha inventato immagini di marcolfe di pietra e legno con
la riproduzione assai somigliante delle nostre facce, purtroppo, la mia e quella
di Marchino. Ha venduto migliaia di copie e si è arricchito, sarebbe proprio il
caso di dire, alla faccia nostra. Poi un altro, un fottuto salernitano, ha
cominciato a fabbricare e a vendere delle magliette e avremmo forse dovuto
fargli causa, ma non eravamo i tipi e non avevamo i necessari avvocati e
assessori, in più non ne volevamo avere.
Ho venduto il
mio peschereccio, a pallini gialli su sfondo verde, a un collezionista di
cazzate giganti, a un prezzo assurdo, non me lo ricordo nemmeno, ma era assai e
comunque i giornali specializzati in pettegolezzi idioti lo quotavano anche di
più. Ho lasciato l’acqua a malincuore mi sono nascosto nei boschi della
Lunigiana, ma non hanno tardato troppo a trovarmi, dopo pochi giorni mi hanno scoperto
anche lì. Allora ho smesso di scolpire, mi sono fatto crescere barba e capelli,
ho iniziato a portare degli occhiali da vista tipo quelli smisurati di Elton
John, che nel frattempo ne avevo anche bisogno e li avevo usati soprattutto per
scolpire, quando non c’era nessuno in giro.
La notizia ha rimbalzato sui social e alla televisione
come un boomerang impazzito per qualche mese. Per fortuna non erano riusciti a
fotografarmi. Sono fuggito sulle montagne del Caucaso, poi in Siberia, la
penisola ghiacciata di Sakhalin. Dove per fortuna e finalmente non avevano l’internet
né la fottuta televisione.
Ormai avevo capito: qualsiasi cosa io facessi otteneva
l’opposto di quello che volevo, almeno fino a quel momento.
“Ciò
a cui opponi resistenza persiste. Ciò che accetti può essere cambiato,” mi pare
che dicesse il vecchio Jung. Quindi non significava assoggettarsi, avevo concluso
io.
Beh,
non era vero, non del tutto, almeno. Sapeva una sega Jung del mondo moderno
impazzito com’è oggigiorno. Le cose sono andate diversamente da quello che
volevamo, e questo è anche troppo normale e ovvio, quasi fisiologico.
Quando tutto pareva essersi sgonfiato, comunque, piano-piano
mi sono riavvicinato alla nostra civiltà propriamente detta, timidamente sono tornato
in mezzo alla gente, in Toscana, per sentire quello che dicevano.
Non dicevano più niente, in otto mesi mi avevano completamente
dimenticato. Marchino e la sua famiglia ora vivono in Patagonia, vicino alla
terra del Fuoco, mi hanno scritto, dicono che c’è bello assai, ma un po’ troppo
ventoso, l’inverno è piuttosto rigido, per via della vicina Antartide.
La nuova moda era un ricco ex manager finlandese che
aveva abbandonato tutto e viveva su una montagna del Tibet dipingendo delle povere
capre ignare con dei colori sgargianti, però assolutamente non tossici,
imitando i toni screziati e dorati di Klimt, pubblicando le foto su Instagram,
poi vendeva le capre stesse a dei prezzi assai gonfiati abbestia.
Insomma non si sapeva chi era il più stronzo: io, Marchino,
lui o loro?
Quel dubbio però mi ha lasciato subito, ero di nuovo
all’opera con le mie marcolfe, che nonostante alcune difficoltà logistiche mi
piacciono ancora e si vendono abbastanza bene, mi permettono di campare, ma forse
vanno fatte di nascosto.
Il problema è che con i miei occhiali dalle lenti un
po’ troppo larghe, ora pensano che io sia Elton John, per via anche della mia
faccia eccessivamente ovale, non posso andare al supermercato, nemmeno al
mercatino della frutta. Non mi voglio fare una plastica, gli occhiali li devo
cambiare e me li devo scegliere bene stavolta.
Marchino è tornato con la sua famiglia, ma non mi
parla più, non che stessimo molto in contatto neanche prima, solo qualche messaggio
goliardico, evitando sempre di parlare di cose serie, però ora nemmeno quello.
Spero che gli passi, lo so che è stata colpa mia, ma non del tutto insomma, non
avevo calcolato che la gente fosse diventata così fuor di testa.
Il mondo ci mette alla prova di continuo con varie
difficoltà, piccole medie e grosse, se noi le sappiamo superare staremo bene, sgattaiolare
anche lateralmente dalle assurde norme è tacitamente ammesso. Se non ce la
facciamo, ci martoriamo giorno e notte, oppressi dal fallimento, dal senso
d’ingiustizia, dalle nostre stesse bestemmie e da quelle che causeremo, gomito
a gomito, anche al nostro prossimo.
Nessun commento:
Posta un commento