Il
nostro localetto era una mescita, poi è diventata anche una trattoria, dopo pure un albergo, poche camere, mai più di una trentina, ma il posto è bello, vicino
al lago. Una volta qui ci venivano a bere, c’era il vino buono, gli ubriachi
non mancavano, un po’ rumorosi e anche molesti, ma meglio dei tossicodipendenti
che sono venuti dopo.
Fin da piccola sono stata qui e la mia vita poi è diventata talmente legata a questo posto che anche in seguito, quando avevo ancora forze sufficienti, non sono riuscita a scollarmene. Ora, da vecchietta, non saprei proprio dove andare, o forse lo so, ma non so quando.
Il
Gabbani a Oltre il Colle è sempre
esistito, da quando esisto io, anzi da molto prima, ma io non c’ero e mi
sarebbe anche piaciuto vivere le storie del passato remoto, quelle che mio
padre e mia madre mi hanno raccontato, o quelle anche di mio nonno e mia nonna,
ma non si può avere tutto.
Una
volta sono stata anche in vacanza, anzi due, ma non potrei dire di essermi
divertita perché il mio pensiero era sempre là, cioè qua e tutti penseranno a
questo punto che sono matta, il che può anche essere vero, non lo nego, ma non
era l’albergo-bar-trattoria in sé, forse, a farmi sentire così sono piuttosto
le storie che ci sono passate attraverso.
Mi
sono sposata, ho avuto tre figli, hanno lavorato tutti qui, poi sono fuggiti e
io con mio marito abbiamo passato tutto il tempo al Gabbani, manco a dirlo. Poi
lui mi ha lasciato, nel senso che è morto, comunque mi ha abbandonato
vigliaccamente, ma almeno non è scappato di sua scelta, almeno spero.
Confesso:
sono caduta anch’io nel pozzo senza fondo dei social network, solo di uno, per
fortuna, ma mentre io parlo ne stanno inventando altri.
Se
poi ce ne avesse una, la bellezza di Facebook per me non è il pettegolezzo all’ennesima
potenza e nemmeno litigare con chiunque abbia idee differenti dalle mie. In
alcuni anni, in cui ho fondato anche diversi gruppi, di musica, foto e anche di
cinema, ho conosciuto persone simpatiche e anche gentili, ho approfittato di
foto e video divertenti e istruttivi, ho ritrovato gente che avevo conosciuto e
avevo perso di vista. È anche vero che alcuni non si ricordavano di me, oppure
sì ma hanno preferito mantenere le distanze. A volte un misto di queste e altre
ragioni.
Non
faccio nomi, ma tra i tanti, un veicolo di cultura non indifferente è un tale
abbastanza polemico e ideale centro unico del mondo, ma ha un archivio assai
interessante di arte e diverse pagine che a livello storico mi piacciono.
Quello
che me lo ha fatto conoscere è un altro, artista a 360 gradi, molto pieno di
sé, anche di cultura ce ne ha da vendere, ma la distribuisce gratis.
Tutti
e due dialogano con gli amici sinceri, altri solo di Facebook e pure con chi si
fa occasionalmente avanti, ma hanno uno stuolo di ruffiani che qualsiasi cosa
che loro dicono è meravigliosa.
Dialogare
su Facebook non è la stessa cosa che farlo di persona, o anche al telefono.
Prima di tutto la distanza c’è e la gente si sente protetta e autorizzata a
offendere, a controbattere anche quando non ce n’è bisogno, a dire il contrario
di quello che dicono gli altri, solo per divertirsi, pensando che non avranno
conseguenze, ma personalmente, faccia a faccia, si comporterebbero in maniera
diversa.
La
vita ha deluso un po’ tutti quelli che non si accontentano mai, chi aveva delle
illusioni ha tardato troppo a volerle perdere, ha pasticciato più di quanto
avrebbe potuto. La vita non ci appartiene, anzi non abbiamo proprio niente di
nostro, forse è anche una fortuna, tutto è provvisorio e non si sa quando
finisce, oggi siamo qui e domani chissà.
Meglio
così, dico io, ma tanti vorrebbero la vita eterna ed essere dei re e delle regine,
in più allora devono affrontare una certa frustrazione.
La
proprietà può avere senso se ci farà sentire più confortevoli e liberi, per il
resto è solo un inganno, perché ci fa illudere di essere durevoli, in un certo
qual modo anche sicuri, ma di cosa?
C’è
gente che è nomade, gira il mondo per imparare, per avere nuove emozioni; fanno
bene, se tornassi indietro lo farei anch’io. Ho viaggiato solo nel tempo, ma
potevo farlo anche un po’ nello spazio. Invece sono stata sempre qui ad
aspettare, senza rendermene bene conto, ad aspettare la gente nuova che veniva
e quella vecchia che ritornava. Le storie che mi raccontavano di tutto quello che
c’era attorno, della loro avventura di vita, dei figli che diventavano genitori
a loro volta e tornavano qui in vacanza.
Ho
sempre avuto la fissazione di aver già conosciuto ogni persona che incontravo.
Non so perché, fin da giovane. Forse perché gli esseri umani sono simili ripetizioni
di alcuni modelli all’infinito.
I
miei figli uno alla volta sono tornati, dopo aver girato un bel po’ e ora tocca
a loro gestire il Gabbani. Io sono su una sedia a rotelle. Quando arriva gente
sono contenta, anche se lo non so più se appartengono al mio passato o se li
sto vedendo per la prima volta. È lo stesso, mi dice qualcuno, l’importante è…
che cosa è veramente importante nella vita non lo sappiamo, né loro né io,
forse sentire gioia, una soddisfazione inspiegabile, effimera e forte, ma che
bisogno c’è di spiegarla?
Su
Facebook c’è una vecchietta, forse della mia stessa età, che dà sempre il suo
buongiorno, buonasera e buonanotte, ma non dice altro, per esempio non
specifica mai dove ha preso le sue foto e cosa raffigurano, se le mandi un
messaggio non se ne accorge neanche, ma bisogna lodare il suo impegno, che
tante alla sua età non oserebbero nemmeno avvicinarsi a un computer o a uno
smartphone.
C’è
tanta gente sola, che si sente più viva solo a salutare, ad augurare buon
natale e buona pasqua a tutti, a mettere un bel RIP quasi orgoglioso quando
muore qualcuno (non sono soddisfatti della morte, ma di quel loro RIP), gente
che lì sopra non dice mai niente di personale, di veramente suo.
C’è
la sagra degli stereotipi, delle cose dette e ridette, dei sentiti dire, delle
lamentele senza specificare, che così qualcuno chiede che cosa diavolo è
successo.
Sarà
per colpa della solitudine, della voglia di protagonismo, dell’obsolescenza
programmata di ogni cervello che ha avuto lo stress come sistema di vita.
La
pandemia è discussa e ridiscussa, tutti dicono agli altri che sono dei cretini,
di svegliarsi, di vergognarsi o peggio ancora.
La
gente racconta se ha litigato con qualcuno, se ha comprato il prosciutto cotto,
se ha cacato e quando, fondamentale è il colore della diarrea, le probabili
cause, si mettono a discutere se e quando sia da considerarsi tale oppure no,
non si trovano mai d’accordo se non per ruffianeria.
Se
vedono una foto di un posto devono dire che ci sono stati, devono esprimere
sempre la loro opinione soprattutto quando non è richiesta, se si fanno un
panino con le acciughe marinate lo deve sapere tutto il mondo emerso e si devono
godere le sensazionali immagini.
Mostrano
foto che sarebbe meglio nascondere se non distruggere, orgogliosamente
pubblicano video di cui mi vergognerei profondamente e per sempre. Il verbo
adorare esisteva anche prima, ma non si usava, qui è diventato virale.
Le
frasi fatte come siete belli, come sempre, anche no, spoilerare,
chiedo per un amico eccetera-eccetera.
Se
uno tira un cazzotto o uno schiaffo alla cerimonia degli oscar se ne parla in
maniera ossessiva per minimo una settimana, fino alla prossima stronzata, potenziale
guerra, atto di terrorismo. Si formano due schiere e si danno degli idioti per
un po’, i ragionamenti intermedi e le sfumature nascoste sono ignorate
sistematicamente, nessuno vuole veramente la verità, se c’è da pensare troppo,
magari prima di dire delle cretinate documentarsi un minimo, eventualmente
tacere sapendo di essere ignoranti.
Forse
ho sbagliato, ma non ho mai fatto uso di additivi, né ho mai bevuto alcolici
oltre il bicchierotto di vino bono a tavola, ho cercato di credere in me stessa
e nella gente, ma non è stato un calcolo, né una scelta. Mi sembrava meglio così
e basta.
Ho
capito che i migliori sono quelli che tacciono, che non devono dimostrare
niente a nessuno, peccato che non si sappia quanti sono, in percentuale, la
loro densità relativa nel mondo. Magari sono in tanti e non dicono niente.
Insomma,
forse era solo ignoranza, ma prima di Facebook avevo più fiducia nel genere
umano, ma non è che in precedenza fossero migliori, oppure la vita era
differente o tutt’e due le cose. Dicono che Instagram sia meglio, ma sono un po’
vecchietta per le novità, e se non fossi su questa sedia a rotelle io non ci
penserei neppure.
Un
giorno di pioggia magari serve per fare una pausa, per interrompere le solite
cose. Senza stare lì ad aspettare che smetta, guardando pensosi fuori dalla
finestra. Che ne so, lasciare che le immagini parlino da sole.
Per
una come me però, che non ha più niente da fare, non cambia molto da un giorno
all’altro. Anche se nevicasse, e magari mi piacerebbe anche, ma non trasformerebbe
certo la mia giornata. Magari starei di più alla finestra, questo sì.
Mettiamoci
d’accordo, l’esistenza è una successione di momenti, di transizioni. A volte trasformazioni
rapide, talvolta anche lunghe, oppure interminabili. Non ci facciamo prendere
dall’ansia, dopo questa prova di pazienza o di efficienza, o tutte e due
insieme, ce ne sarà un’altra e un’altra ancora, fino alla fine. Chi crede alla
reincarnazione, poi, non la considera nemmeno una cosa positiva, anzi è quasi
una punizione.
Le
pause possono essere pericolose.
Nel mio modesto
angoletto sto studiando da sempre, anche se prima non me ne accorgevo, dove se
ne sta andando a finire questo dannato mondo emerso, che poi per me sono pochi
metri quadrati prolungati dall’internet, poca televisione. Insomma la civiltà
che direzione stia prendendo, o magari se essa stessa, magari a sua insaputa,
faccia parte di un disegno più grosso, di un movimento più o meno perpetuo,
tracciato da non so chi, forse da un dio, o magari dall’uomo stesso, inteso
come umanità.
O forse è tutto a caso?
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