mercoledì 30 marzo 2022

AL GABBANI SI BEVE!



Il nostro localetto era una mescita, poi è diventata anche una trattoria, dopo pure un albergo, poche camere, mai più di una trentina, ma il posto è bello, vicino al lago. Una volta qui ci venivano a bere, c’era il vino buono, gli ubriachi non mancavano, un po’ rumorosi e anche molesti, ma meglio dei tossicodipendenti che sono venuti dopo.

Fin da piccola sono stata qui e la mia vita poi è diventata talmente legata a questo posto che anche in seguito, quando avevo ancora forze sufficienti, non sono riuscita a scollarmene. Ora, da vecchietta, non saprei proprio dove andare, o forse lo so, ma non so quando.

Il Gabbani a Oltre il Colle è sempre esistito, da quando esisto io, anzi da molto prima, ma io non c’ero e mi sarebbe anche piaciuto vivere le storie del passato remoto, quelle che mio padre e mia madre mi hanno raccontato, o quelle anche di mio nonno e mia nonna, ma non si può avere tutto.

Una volta sono stata anche in vacanza, anzi due, ma non potrei dire di essermi divertita perché il mio pensiero era sempre là, cioè qua e tutti penseranno a questo punto che sono matta, il che può anche essere vero, non lo nego, ma non era l’albergo-bar-trattoria in sé, forse, a farmi sentire così sono piuttosto le storie che ci sono passate attraverso.

Mi sono sposata, ho avuto tre figli, hanno lavorato tutti qui, poi sono fuggiti e io con mio marito abbiamo passato tutto il tempo al Gabbani, manco a dirlo. Poi lui mi ha lasciato, nel senso che è morto, comunque mi ha abbandonato vigliaccamente, ma almeno non è scappato di sua scelta, almeno spero.

Confesso: sono caduta anch’io nel pozzo senza fondo dei social network, solo di uno, per fortuna, ma mentre io parlo ne stanno inventando altri.

Se poi ce ne avesse una, la bellezza di Facebook per me non è il pettegolezzo all’ennesima potenza e nemmeno litigare con chiunque abbia idee differenti dalle mie. In alcuni anni, in cui ho fondato anche diversi gruppi, di musica, foto e anche di cinema, ho conosciuto persone simpatiche e anche gentili, ho approfittato di foto e video divertenti e istruttivi, ho ritrovato gente che avevo conosciuto e avevo perso di vista. È anche vero che alcuni non si ricordavano di me, oppure sì ma hanno preferito mantenere le distanze. A volte un misto di queste e altre ragioni.

Non faccio nomi, ma tra i tanti, un veicolo di cultura non indifferente è un tale abbastanza polemico e ideale centro unico del mondo, ma ha un archivio assai interessante di arte e diverse pagine che a livello storico mi piacciono.

Quello che me lo ha fatto conoscere è un altro, artista a 360 gradi, molto pieno di sé, anche di cultura ce ne ha da vendere, ma la distribuisce gratis.

Tutti e due dialogano con gli amici sinceri, altri solo di Facebook e pure con chi si fa occasionalmente avanti, ma hanno uno stuolo di ruffiani che qualsiasi cosa che loro dicono è meravigliosa.

Dialogare su Facebook non è la stessa cosa che farlo di persona, o anche al telefono. Prima di tutto la distanza c’è e la gente si sente protetta e autorizzata a offendere, a controbattere anche quando non ce n’è bisogno, a dire il contrario di quello che dicono gli altri, solo per divertirsi, pensando che non avranno conseguenze, ma personalmente, faccia a faccia, si comporterebbero in maniera diversa.

La vita ha deluso un po’ tutti quelli che non si accontentano mai, chi aveva delle illusioni ha tardato troppo a volerle perdere, ha pasticciato più di quanto avrebbe potuto. La vita non ci appartiene, anzi non abbiamo proprio niente di nostro, forse è anche una fortuna, tutto è provvisorio e non si sa quando finisce, oggi siamo qui e domani chissà.

Meglio così, dico io, ma tanti vorrebbero la vita eterna ed essere dei re e delle regine, in più allora devono affrontare una certa frustrazione.

La proprietà può avere senso se ci farà sentire più confortevoli e liberi, per il resto è solo un inganno, perché ci fa illudere di essere durevoli, in un certo qual modo anche sicuri, ma di cosa?

C’è gente che è nomade, gira il mondo per imparare, per avere nuove emozioni; fanno bene, se tornassi indietro lo farei anch’io. Ho viaggiato solo nel tempo, ma potevo farlo anche un po’ nello spazio. Invece sono stata sempre qui ad aspettare, senza rendermene bene conto, ad aspettare la gente nuova che veniva e quella vecchia che ritornava. Le storie che mi raccontavano di tutto quello che c’era attorno, della loro avventura di vita, dei figli che diventavano genitori a loro volta e tornavano qui in vacanza.

Ho sempre avuto la fissazione di aver già conosciuto ogni persona che incontravo. Non so perché, fin da giovane. Forse perché gli esseri umani sono simili ripetizioni di alcuni modelli all’infinito.

I miei figli uno alla volta sono tornati, dopo aver girato un bel po’ e ora tocca a loro gestire il Gabbani. Io sono su una sedia a rotelle. Quando arriva gente sono contenta, anche se lo non so più se appartengono al mio passato o se li sto vedendo per la prima volta. È lo stesso, mi dice qualcuno, l’importante è… che cosa è veramente importante nella vita non lo sappiamo, né loro né io, forse sentire gioia, una soddisfazione inspiegabile, effimera e forte, ma che bisogno c’è di spiegarla?

Su Facebook c’è una vecchietta, forse della mia stessa età, che dà sempre il suo buongiorno, buonasera e buonanotte, ma non dice altro, per esempio non specifica mai dove ha preso le sue foto e cosa raffigurano, se le mandi un messaggio non se ne accorge neanche, ma bisogna lodare il suo impegno, che tante alla sua età non oserebbero nemmeno avvicinarsi a un computer o a uno smartphone.

C’è tanta gente sola, che si sente più viva solo a salutare, ad augurare buon natale e buona pasqua a tutti, a mettere un bel RIP quasi orgoglioso quando muore qualcuno (non sono soddisfatti della morte, ma di quel loro RIP), gente che lì sopra non dice mai niente di personale, di veramente suo.

C’è la sagra degli stereotipi, delle cose dette e ridette, dei sentiti dire, delle lamentele senza specificare, che così qualcuno chiede che cosa diavolo è successo.

Sarà per colpa della solitudine, della voglia di protagonismo, dell’obsolescenza programmata di ogni cervello che ha avuto lo stress come sistema di vita.

La pandemia è discussa e ridiscussa, tutti dicono agli altri che sono dei cretini, di svegliarsi, di vergognarsi o peggio ancora.

La gente racconta se ha litigato con qualcuno, se ha comprato il prosciutto cotto, se ha cacato e quando, fondamentale è il colore della diarrea, le probabili cause, si mettono a discutere se e quando sia da considerarsi tale oppure no, non si trovano mai d’accordo se non per ruffianeria.

Se vedono una foto di un posto devono dire che ci sono stati, devono esprimere sempre la loro opinione soprattutto quando non è richiesta, se si fanno un panino con le acciughe marinate lo deve sapere tutto il mondo emerso e si devono godere le sensazionali immagini.

Mostrano foto che sarebbe meglio nascondere se non distruggere, orgogliosamente pubblicano video di cui mi vergognerei profondamente e per sempre. Il verbo adorare esisteva anche prima, ma non si usava, qui è diventato virale.

Le frasi fatte come siete belli, come sempre, anche no,  spoilerare, chiedo per un amico eccetera-eccetera.

Se uno tira un cazzotto o uno schiaffo alla cerimonia degli oscar se ne parla in maniera ossessiva per minimo una settimana, fino alla prossima stronzata, potenziale guerra, atto di terrorismo. Si formano due schiere e si danno degli idioti per un po’, i ragionamenti intermedi e le sfumature nascoste sono ignorate sistematicamente, nessuno vuole veramente la verità, se c’è da pensare troppo, magari prima di dire delle cretinate documentarsi un minimo, eventualmente tacere sapendo di essere ignoranti.

Forse ho sbagliato, ma non ho mai fatto uso di additivi, né ho mai bevuto alcolici oltre il bicchierotto di vino bono a tavola, ho cercato di credere in me stessa e nella gente, ma non è stato un calcolo, né una scelta. Mi sembrava meglio così e basta.

Ho capito che i migliori sono quelli che tacciono, che non devono dimostrare niente a nessuno, peccato che non si sappia quanti sono, in percentuale, la loro densità relativa nel mondo. Magari sono in tanti e non dicono niente.

Insomma, forse era solo ignoranza, ma prima di Facebook avevo più fiducia nel genere umano, ma non è che in precedenza fossero migliori, oppure la vita era differente o tutt’e due le cose. Dicono che Instagram sia meglio, ma sono un po’ vecchietta per le novità, e se non fossi su questa sedia a rotelle io non ci penserei neppure.

Un giorno di pioggia magari serve per fare una pausa, per interrompere le solite cose. Senza stare lì ad aspettare che smetta, guardando pensosi fuori dalla finestra. Che ne so, lasciare che le immagini parlino da sole.

Per una come me però, che non ha più niente da fare, non cambia molto da un giorno all’altro. Anche se nevicasse, e magari mi piacerebbe anche, ma non trasformerebbe certo la mia giornata. Magari starei di più alla finestra, questo sì.

Mettiamoci d’accordo, l’esistenza è una successione di momenti, di transizioni. A volte trasformazioni rapide, talvolta anche lunghe, oppure interminabili. Non ci facciamo prendere dall’ansia, dopo questa prova di pazienza o di efficienza, o tutte e due insieme, ce ne sarà un’altra e un’altra ancora, fino alla fine. Chi crede alla reincarnazione, poi, non la considera nemmeno una cosa positiva, anzi è quasi una punizione.

Le pause possono essere pericolose.

Nel mio modesto angoletto sto studiando da sempre, anche se prima non me ne accorgevo, dove se ne sta andando a finire questo dannato mondo emerso, che poi per me sono pochi metri quadrati prolungati dall’internet, poca televisione. Insomma la civiltà che direzione stia prendendo, o magari se essa stessa, magari a sua insaputa, faccia parte di un disegno più grosso, di un movimento più o meno perpetuo, tracciato da non so chi, forse da un dio, o magari dall’uomo stesso, inteso come umanità.

O forse è tutto a caso?

 


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