Non sono molti coloro che possono dichiarare di essere nati in un manicomio, anche io non posso, a dire il vero potrei, ma sarei un bugiardo. Essendo però la memoria umana operativa solo dopo i due anni di età, in pratica, per quel che mi ricordo, io sono nato nel manicomio di Batuskin, che però tutti pensano, per uno strano scherzo geografico, che sia situato a Taikovka. Strana la vita, viene da pensare, e forse non è solo la vita che è strana, ma anche questa storia di pensare.
Che gli animali forse si sognano mai di
pensare? Mai! E vivono meglio di noi.
Qualcuno potrebbe obbiettare che
noi esseri umani siamo però più intelligenti, ma a che ci serve tutta questa
intelligenza se poi stiamo peggio? Guarda il mio cane come sta bene, che gliene
frega a lui di essere intelligente? Se non ha niente da fare dorme, se ha fame
mangia, se ha sete beve e se passa qualcuno che non gli garba abbaia. Il solito
qualcuno potrebbe obbiettare che se il cane avesse un padrone più crudele la
sua vita non sarebbe così piacevole, come quelli che vengono abbandonati sulla
strada da quelli che devono andare in vacanza a Yalta o in posti del genere.
Konstantin
Ilijc Ignatijev prese gli occhiali, li pulì con calma e si rimise a leggere uno
di quei fogli stropicciati. Koturov lo guardava ansioso, seduto vicino alla
stufa e si sfregava le mani, sia per il freddo che per il nervosismo.
Allora indietreggio con il mio
ragionamento: se il cane vivesse senza l’uomo che gli dà del cibo in cambio
della guardia che fa alla casa e un po’ di compagnia, il cane sarebbe un lupo,
come è già stato in passato, la sua vita sarebbe completamente differente. Sicuramente
il dover arrangiarsi, per poter sopravvivere, lo trasformerebbe, ma se non ci
fosse l’uomo anche tutto l’ambiente intorno sarebbe differente, forse sarebbe
anche migliore, nel senso che tutto sarebbe meno ipocrita e falso. Qual è la
differenza tra questi due aggettivi che sembrano sinonimi? No, questa è già
un’altra storia…
“Carissimo
cugino di secondo grado Ivan, una volta si faceva prima, si diceva camerata Koturov
e così sia. Non si poteva dire amen, però. Non so proprio come
spiegarti, la tua prosa è perfetta… no, no, mi sono espresso male, perdonami: direi
piuttosto che la tua maniera di scrivere invoglia il lettore a continuare la
lettura. Ecco, tu ti esprimi bene, senza parole difficili, i periodi sono
corti, si capisce bene cosa vuoi dire, lo stile è essenziale e privo di giri di
parole inutili, tutti lo possono leggere e comprendere, i contenuti vanno di
pari passo con lo stile, buoni e non pretenziosi, gli argomenti interessanti…
insomma qual è il problema?”
“Amico
mio, caro cugino di secondo grado Ignatijev, l’unico problema è che io contatto
gli editori e quelli mi dicono che il romanzo è scritto bene, che vogliono
continuare la nostra collaborazione, si congratulano con me, ma alla fine non
mi pubblicano il libro, per il momento
non gli interessa.”
“Tutti
gli editori ti dicono la stessa cosa?”
“No,
non tutti, solo quegli editori che non pretendono contributi da parte dell’autore.”
“In
sintesi solo quelli gratis?”
“Infatti,
solo loro.”
“E
gli altri quanto vogliono?”
“Il
problema non è quanto vogliono, che non è molto e lo ho già fatto, pure diverse
volte, ma il guaio è che loro non pubblicizzano il libro e poi quello non vende,
in sintesi loro fanno il loro guadagno sulla pelle dello scrittore poi non
fanno il loro dovere, che è la distribuzione e anche se ci guadagnano poco
quello è sicuro e ripetono l’operazione con tutti.”
“Cosa
hai fatto finora?”
“Ho
scritto, scritto e riscritto, per darti un’idea quattro romanzi sono già
pronti, i libri di racconti sono già più di quattro dipende dalle combinazioni,
che lunghezza voglio dargli, per uno che non è famoso è meglio dargli poco
spessore, libri piccoli, sennò il lettore si scoraggia.”
“E
gli amici leggono i tuoi manoscritti?”
“Beh,
alcuni sì, i racconti sono corti e li leggono meglio… ma le case editrici
invece non amano i racconti, vogliono i romanzi.”
“Carissimo
le case editrici vanno dietro al pubblico e il pubblico che cosa fa? Va dietro
alle case editrici! Si rincorrono la coda a vicenda ma non lo sanno! Chi ci
guadagna di più però siamo noi, i distributori, che ce ne freghiamo più di
tutti, sistematicamente, ma questo è meglio che tu non lo dica a nessuno.
E
lo scrittore? Mi chiederai giustamente tu a questo punto.
Lo
scrittore purtroppo è l’unico che non conta una benemerita minchia.”
“Lo
so, questo l’avevo intuito anch’io. Purtroppo è così. Ma allora che si deve
fare?”
“È
facile-facile, ma prima dimmi carissimo se è proprio quello che vuoi, il
successo come scrittore, voglio dire, hai fatto bene i tuoi conti?”
“Certo,
insomma, credo di sì, è sempre stato il mio sogno.”
“I
sogni e i conti non sono proprio cose che vanno a braccetto, Koturov, gli
scrittori ricchi, se mai sono esistiti, io non ne ho mai conosciuto nessuno, e
comunque devono essere stati pochi, pochissimi e in questo caso i soldi ce li
avevano già prima, di famiglia. Comunque il tuo entusiasmo è forte e magari
vincerai le difficoltà sullo slancio. Basta che un giorno, quello in cui ti
pentirai, tu non mi dia la colpa di quello che sta per succedere.
Il
successo!
Che
cosa romantica e anacronistica!
Ecco
qua cosa devi fare: va da Bondarciuk a nome mio.”
“Chi
è Bondarciuk?”
“Hai
presente quelle donnette che facevano sposare la gente per commissione?
Come
si chiamavano?
Paraninfe?
Boh?
Chi
se ne frega.
Alla
stessa maniera, per convenzione prestabilita, non mi chiedere da chi, lui: cioè
Aleksei Bondarciuk, fa sposare metaforicamente, ma anche materialmente, per nostra
fortuna, gli scrittori con gli editori.”
Koturov
abbracciò Ignatijev e lo ringraziò, lo baciò più volte e uscì fuori al freddo, dove
la neve volava in un vortice e per terra era solo ghiaccio marrone, per via del
fango gelato.
Bondarciuk
lavorava in uno scantinato buio, l’insegna di Consulenze Letterarie si leggeva
appena con la luce fioca di una lampadina sudicia. Il freddo attorno era quello
da vedersi tradito dalle fiatate più candide. Sopra un grembiule da tipografo, una
faccia rugosa dentro una sciarpa nera arrotolata, lo guardò annoiato, si fece
dare ventisei rubli di spese e disse senza eccessivo entusiasmo a Koturov cosa
doveva fare.
“Prendi
il manoscritto peggiore che hai e portane una copia a me e l’altra a Fjodorov…”
“Ma
è il miglior editore della città!!”
“Beh,
sì, a dir la verità fa alquanto schifo, ma è il più quotato almeno.”
“Sì,
ma perché il peggiore manoscritto?”
“Koturov
ti chiami? Sì. No, tu non hai ancora capito che non conta per niente che sia
bello o brutto, il nostro comune amico Ignatijev deve ben averti avvisato, o
no?”
“Non
mi ha specificato questo particolare.”
“Questo
è solo uno, ce ne sono altri importanti, ma ora non mi chiedere troppe
spiegazioni, che ho da fare. Comunque gli altri manoscritti, i meno schifosi,
ti faranno comodo dopo. Ma non subito dopo, diciamo al quarto, quinto libro,
potrai mettere su quello che piace a te. Vuoi il grande successo o no? Non mi
far perdere tempo.”
“Va
bene.”
“Dagli
questo scadente in mano e non dirgli niente, no, anzi digli solo che ti ho
mandato io, se c’è il segretario, è un po’ sordo, urlagli il mio nome in un
orecchio, lui saprà cosa fare. Se invece è quella nuova, la vice-segretaria,
non si ricorda nulla dal giorno alla notte, allora i biglietti sono decisivi. Vacci
subito che sennò chiudono.”
“E
poi?”
“Tu
memorizza tutto quello che noterai là dentro e me lo vieni a riferire, domani
però, oggi è già troppo tardi.
Vai.”
Koturov
si precipitò, a casa aveva un pacco già pronto in duplice copia. Con certezza
era un eccesso di prudenza, era ossessionato di poter perdere il suo lavoro, la
sua arte povera ma orgogliosa, gli era già successo. La vice-segretaria stava
chiudendo ma accettò di prendere il manoscritto, l’autore gli scrisse un
foglietto con sopra il nome di Bondarciuk e sotto, tra parentesi, il suo.
Se
ne tornò a casa e si accese la stufa, il freddo era impressionante, ma lui
c’era quasi abituato. Si sentì stimolato a scrivere e scrisse, tutto il giorno,
senza nemmeno pensare. Gli venne quella storia, di sé stesso e di quella sua fissazione
di voler essere uno scrittore, contro tutto e tutti. Usò la carta carbone, a
futura memoria gli sembrò ben augurante, se le cose andavano come dovevano
andare quella sarebbe diventata la prassi. Gli avevano detto che le persone
timide hanno difficoltà a parlare, insomma a farsi intendere, trovavano nella
scrittura un sollievo, ma quando poi nessuno voleva leggere allora era peggio. E
poi era anche freddo assai in Russia, più che altro d’inverno, in particolare per
uno che non aveva soldi.
A
sera Ignatijev lo passò a trovare, aveva smesso di nevicare e il freddo era aumentato,
come di solito succede, ma in casa si stava bene, anche se la legna stava per
finire. Gli chiese della situazione attuale e se ne dimostrò soddisfatto,
Bondarciuk non aveva mai fallito un colpo, anche con gente che non sapeva
scrivere nemmeno la metà di lui, forse nemmeno un quarto. Koturov gli chiese
della sua preferenza, quella di Bondarciuk, per il manoscritto peggiore, non
aveva capito perché. Ignatijev gli confermò che non era importante sprecare i
suoi lavori migliori all’inizio, anzi non aveva importanza nemmeno dopo, a dir
la verità, Bondarciuk era anche troppo scrupoloso, ma la gente non capiva certo
cosa era buono oppure no, gli editori anche meno. Che diavolo era la bellezza?
Nessuno lo sapeva, andavano dietro agli intellettuali, o talvolta facevano il
contrario di quello che dicevano loro, ma tutto questo purtroppo umano
meccanismo non aveva niente a che fare con la realtà, con la bellezza, e
naturalmente meno ancora con Dio e il suo relativo pensiero, se mai ne avesse
avuto uno sulla bellezza, sull’arte o sulla letteratura. Lui che era un
distributore lo sapeva bene, quelli non leggevano che poche frasi, per esempio
l’inizio di pagina 1, poi 50, 120 e la frase finale, se non facevano troppo
ribrezzo pubblicavano, se ne fregavano alla grande, potevano permetterselo,
grazie all’incompetenza degli uomini, intesi come globalità e come singoli
individui, maschi e femmine, indistintamente. Quello che era fondamentale,
all’inizio, che era l’unica maniera per avere poi un esistente seguito
letterario, era la raccomandazione, senza quella niente da fare, per nessuno.
E
l’arte?
Chi
se ne fregava? Era solo una parola, come democrazia, per fare effetto sulla
gente e quella abboccava.
Ma
a conti fatti chi le conosceva? Doveva proprio rispondere a questa domanda?
Koturov
scrisse anche quelle cose lì, ma cercò di calcolare, sempre a futura memoria,
che non capitassero alle pagine 1, 50 e 120, ovviamente nemmeno nella pagina
finale. Poi prese qualche libro che aveva in casa e andò a vedere se a quelle
pagine si dicevano cose interessanti e gli parve di sì.
Come tutti sanno, la memoria
funziona per associazione, proprio ora mentre vi parlo, ho avuto, come in un
lampo, la visione esatta di dove avevo lasciato la chiave che avevo perso
l’anno scorso, che non potuto ritrovare fino ad adesso, che per fortuna mi sono
ricordato, il problema è che ora non ho bene in mente da quale altra cosa io
abbia tirato fuori questa magica associazione, peggio ancora non mi ricordo
neanche adesso, dopo questo fulmine a ciel sereno di recuperata memoria, devo
dire la verità, non mi rammento che cosa apriva la chiavetta in questione, ma
doveva essere qualcosa d’importante, se ci sono stato a pensare un anno intero…
beh, quasi. Capirete mi sono completamente dimenticato quando è successo, cose
che capitano, ma non posso certo scordarmi, per quello stesso discorso di
associazione di cui curiosamente stavamo parlando proprio poco fa, che era un
giorno caldo assai, almeno al mattino, nel pomeriggio invece era freddino
alquanto, doveva essere marzo. In che mese siamo adesso? Maggio? Allora è più
di un anno che ci penso e non trovo soluzione, ma quel marzo era capriccioso
assai, come spesso capita qua sul nostro pianeta, sugli altri non lo saprei
dire con esattezza…”
Mio cugino Dimitri, da parte di
mio padre, aveva uno zio geniale, almeno secondo lui, e qui devo dire: da parte
di madre. Geniale, dicevo, forse perché faceva dei ragionamenti perfettamente
concatenati, quanto bizzarri e inutili, che tutti rimanevano per un po’ di
tempo a bocca aperta e qualsiasi moscone di passaggio sarebbe potuto entrarci a
fare un giretto indisturbato.
Lesse
Bondarciuk con i suoi occhiali dalle lenti spesse e pesanti come microscopi antidiluviani,
s’interruppe per parlare con sua moglie, vicino al caminetto acceso. Ripensando
a quello che lei gli aveva detto prima, proprio quando lui stava per finire di
cercare di capire una frase complicata di Koturov.
“Se
uno pensa a tutto quello che gli può succedere nella sua dannata vita è meglio
che si spari subito!” Disse Bondarciuk.
“Beh,
anche quella è una situazione che può andar storta, una lesione cerebrale, un
cosiddetto danno permanente, uno pensa di risolvere tutto e definitivamente e
invece si complica ulteriormente l’esistenza. Non ci avevi pensato?” Replicò
lei.
“Ma
tu devi sempre e comunque pensare al peggio?”
“Veramente,
io cerco sempre e comunque di pensare al peggio, per mettere le mani avanti -
che ne so, non si sa proprio mai - ma quello riesce ogni volta a essere
peggiore di quello che avevo pensato io prima.”
Lui parve soddisfatto della risposta della moglie, che continuò senza fretta a mescolare quella che sarebbe diventata la pasta per le frittelle, sul grande e antico tavolino. Aleksei Bondarciuk si rimise i suoi occhiali e continuò a leggere.
Mia madre prima che la malattia le togliesse la parola e la capacità
di camminare, diceva spesso “Non so cosa dire, non so cosa fare”, il che mi fa
venire in mente che in precedenza avesse dei blocchi preparati di parole, delle
frasi pronte per ogni occasione. Più o meno tutti, credo, facciamo così. Il
nostro funzionamento è stereotipato e per fregarsene come me ne frego ora,
magari bisogna uscire dal mondo del lavoro, di un certo livello dico, non in
miniera, no, solo laddove azione e reazione sono obbligate e rapide. Con delle
possibili conseguenze pratiche, oltre che teoriche.
Come
lui stesso gli aveva chiesto, Koturov gli aveva riferito che non aveva notato
niente di particolare là dall’editore, sennonché avevano messo il suo pacco di
fogli in un mucchio di centinaia di altri simili, su un enorme bancone
polveroso.
Bondarciuk
si vestì meticolosamente, tutto a strati, senza dire una parola, la moglie
continuava con la sua preparazione di potenziali e future frittelle. Ora era
occupata con il soffritto di cipolla e poi avrebbe aggiunto il granturco.
Un’ora
dopo l’editore non aveva voglia né tempo, che poi per lui erano la stessa e
medesima cosa, per cui passò con disprezzo al solito Katerinov il testo
raccomandato, il quale si mise gli occhiali dalla montatura di tartaruga
siberiana e lesse.
Bene, all'epoca attuale, sono
lontano dall'aver risolto tutti i miei problemi, ma in confronto a non troppi
anni fa, certamente sto molto meglio e ho coscienza piena del fatto che sto
assai meglio di tutte le persone che conosco o quasi. La differenza sta anche
nel pensiero cosciente che ora mi rendo conto abbastanza esattamente di come
sto io, cosa che pare banale, ma che prima non mi riusciva affatto, cioè
tendevo a ingannarmi puntualmente e regolarmente.
“Troppi avverbi.”
“Vuoi un altro esempio?”
“Però corto.”
“La storia cominciò quando finì,
per questo lo scrittore di passaggio non la poté scrivere, né prima e né dopo,
come con ogni probabilità avrebbe ardentemente desiderato, ma era bella,
bell’assai, piacque a tutti, specialmente a coloro che, non potendola leggere,
né sentire, recitata da qualche attore dalla voce profonda e vellutata, se la
immaginarono, dentro di loro, proprio come se fosse stata fuori, anzi meglio
con effetti sonori e immagini pastello.
La pubblicità era stata ideata
dallo stesso gruppo già premiato in altre occasioni per lavori simili, eppure
assai differenti, se ci fosse concessa questa espressione trita e inutile. Un
libro che tutti vollero acquistare e nessuno lesse, per non rovinarsi
l’immagine che ognuno dentro di sé aveva intravisto se non interamente veduto,
sentito senza voler udire, immaginato senza poter realmente immaginare.
La commedia tratta da
quell’opera già di per sé bastevole, fu un andirivieni di trionfali successi di
prevendita, talmente ripetuti che non se ne riuscì a limitare il raggio. Eppure
le vendite furono di gran lunga superiori alle compere, che praticamente non ci
furono. Oltre ogni più rosea aspettativa di chi, credendoci, ciecamente bendato
dalla dea fortuna, aveva investito a cuor sereno il proprio denaro sulla
speranzosa fiducia, certo di veder poi ripagato il sogno di una serata di quasi
primavera, se non di mezza estate. Si era saltato ovviamente anche l’autunno e
l’inverno era solo al principio. Disgraziatamente in giro non si trovano più…
non solo le mezze, ma anche i quarti di stagione.
Eh? Che me ne dici?”
“Fa schifo. Magari c’è un
messaggio nascosto?”
“Forse questo: facciamo più
attenzione alle parole, sono quelle che esprimono quello che vogliamo e
talvolta anche quello che non vorremmo. L’abominevole è sublime per quanto
madornale, e basta.”
“Questo è molto profondo, forse
troppo.”
“Sì.”
Un attimo
di riflessione e poi aggiunse:
“Bisogna imparare a guardare meglio il mondo,
ecco il segreto, l’uovo bistondo di Colombosauro, o anche di un altro dinosauro
estinto, come vuoi tu, (sappiamo che non ha soverchia importanza) bisogna scorgere
la storia non detta, in ogni situazione possibile, con l’istinto della ragione
e così via.
La comicità di una potenziale scena di vita
consiste nel vederla in maniera inusuale, in modo che quello che stia
succedendo sorprenda per primo chi lo stia scrivendo, e quando se ne avveda,
gli faccia fare un salto che gli faccia magari sbattere anche la faccia, con
qualche necessario schizzo di sangue; successivamente la testa, con spreco di
bestemmie, contro l’ignara ma consistente cuccetta soprastante. Si trattasse di
un letto a castello, lo capirei, come si può ben capire, di cui però non si
capisca bene perché il più grasso debba stare di sopra e il più magro di sotto.
La viceversa che ne scaturisca, dio ce ne scampi e liberi, l’imbarazzo che si
crei nelle reti che sostengano i materassi, metalliche sì, ma non troppo
flessibili, non sia da considerarsi del tutto casuale. Difficile è ridere e
piangere di dolore contemporaneamente, per cui di solito si consiglia di
scegliere velocemente l’opzione che più si confaccia alla vostra stessa indole,
nel caso in questione o anche in altri simili (oppure completamente diversi).”
“Ho capito tutto. E il congiuntivo è importante o
no, nella letteratura, come nella vita?”
“E certo. Che l’uso del congiuntivo si possa
intravedere bene in maniera che si interloquisca con l’eventuale protestante
per il rumore eccessivo fatto, data l’ora impropria, indipendentemente dalla
sua religione.”
“E l’umorismo protestante all’inglese?”
“Non dico di no, ma non dico neanche di sì,
taccio, ma non acconsento, sto zitto, ma i miei occhi parlano e recitano delle
metaforiche blasfemie.
A chi le rivolgo? Non lo so. E non lo voglio
sapere.”
“Noi però non ci siamo ancora mossi dal posto, ti
vorrei far notare.”
Intanto Bondarciuk
aveva però la sua bella copia a carbone e se la stava rileggendo in cucina, non
capiva di cosa si stava parlando nel testo eppure gli piacque, decise di
saltare l’editore Fjodorov e di mandarlo a Mosca, per conto suo. Vaffanculo e
così sia.
Pochi giorni
dopo l’incaricato dell’editore Abramov di via Simionovic 23 della capitale inforcò
gli occhiali spessi come fondi di bottiglia e si accinse a leggere con
attenzione.
Una mattina poi mi
sono svegliato ed ero morto, me ne sono accorto subito perché mi sono alzato e
il corpo è rimasto lì, inutile chiamarlo pigrone e fargli dei fischi nelle
orecchie. Improvvisamente poi le emorroidi non mi facevano più male. Di solito
alla morte si accompagna una sensazione spiacevole, soprattutto se è la nostra,
almeno così credevo, invece io mi sentivo benissimo e quando ho notato che
nessuno mi vedeva più ho cominciato a visitare la casa dei vicini, prima di
quelli alla mia destra che sono rompicoglioni, sì, ma simpatici. Stavano
litigando, niente di nuovo, ma stavolta capivo bene cosa dicevano e poi potevo
anche guardarli in faccia. Dopo hanno iniziato a parlare male proprio di me,
che coincidenza e la cosa poteva essere interessante, ma erano piuttosto
monotoni e senza troppa fantasia, ripetevano dei modelli fritti e rifritti a
iosa, perciò me ne sono andato. Chi invece avrebbe potuto parlare male di me
con più fantasia e con argomenti migliori erano i vicini dell’altro lato,
quelli di sinistra. Erano antipatici, ma forse più intelligenti e fantasiosi, almeno
secondo l’idea che mi ero fatto di loro…
Per
un disguido annunciato il libro venne pubblicato da Fjodorov di Pavlovo con il
titolo Memorie dimenticate e da Abramov
di Mosca con il titolo Resti di un
frugale pranzo. Koturov lo seppe subito, non leggeva mai i giornali, ma sul
Gazzettino apparvero, un trafiletto dopo l’altro, in diversi giorni successivi,
pareri illustri e non del tutto positivi, come si aspettava, anzi molto
negativi e suo cugino che lavorava in biblioteca lo avvertiva sempre, quasi con
malcelato piacere che le recensioni lo stroncassero regolarmente, ma fu
l’ultimo che lo sorprese, per la sua profonda incontrovertibile verità e lo fece
disperare, tanto che lo portò subito da Ignatijev.
“Un ventaglio di
sproloqui abbastanza ampio, fin troppo vario, ma che in comune hanno una cosa:
non posseggono un qualunque senso nel contesto, né fuori di esso, anzi il contesto
non c’è
proprio, inutile cercarlo, ci hanno già provato e riprovato. Un’emerita
schifezza, in sintesi. L’unico pregio riscontrabile è l’esemplificazione del
pensiero di uno psicolabile con la macchina da scrivere. Gliela vogliamo
togliere o no?”
Ignatijev
depose gli occhiali e sorrise soddisfatto. Koturov disse quasi piangendo:
“Questa
è stata la critica più realista e costruttiva, al mio testo ultimato e
stampato, distribuito alle librerie di tutte le Russie dopo mesi di lavoro, ci
tengo a dirlo, anche se quello non l’ho fatto io, il lavoro manuale, ma ci
speravo, ci tenevo, perdio! Non è per falsa modestia che, anche per questo,
credo che valga la pena di essere letto, dalla Crimea alla Kamchatka, anche se
fa schifo e lo ammetto, in separata sede. Faccio anzi ammenda, ma non confesso.
Non so cosa dico, forse sono un po’ nervoso, perdonatemi.”
“Bravissimo,
ci sei riuscito al primo colpo! Ma come hai fatto?” Disse invece piuttosto entusiasticamente
Ignatijev. Koturov rimase un attimo sorpreso e poi rispose quasi timoroso di
quello che stava per ammettere.
“Gli
ho dato una doppia copia di tutti i ritagli accantonati.”
“Doppia
copia?”
“Beh,
sì. Una a Bondarciuk e una a loro.”
“Certo,
quella è la prassi.”
“Solo
che i libri ora sono due, con titolo diverso, ma dentro uguali e spiccicati.”
“A
volte Bondarciuk lo fa, significa che gli è garbato, il tuo testo, che ti
dicevo?”
“Ah…”
“Hai
detto proprio di ritagli ammucchiati?”
“Purtroppo…”
“A
caso?”
“Completamente.”
“È
così che si fa. Una buona idea la tua. E vedi che ne parlano malissimo, e in
maniera eccessiva, vedrai che stavolta è la volta buona.”
“Ma
se ne dicono solo ed esclusivamente peste e corna.”
“Li
hai presi in contropiede, li hai stupiti, in qualche modo, non se lo
aspettavano, vedi che il pacco però non l’hanno nemmeno aperto, ne sono sicuro,
analizza bene le loro parole. Non hanno idea di cosa stanno parlando.”
Koturov
inforcò gli occhiali lerci e si rimise a rileggere per l’ennesima volta quelle
poche frasi. Gli pareva ancora, e anche di più, che ritraessero perfettamente
il suo testo, anche se piuttosto sinteticamente, ma Ignatijev se ne intendeva
certo più di lui e in più era suo parente.
In
tutta la Russia pochi si accorsero che i due libri erano identici, quello che
contava era piuttosto che il titolo era differente, ma non lo dissero a nessuno,
quei pochi, (come del resto i tanti,) in queste cose erano piuttosto diffidenti.
Il nome dell’autore lo avevano sbagliato tutti e due gli editori, ma in maniera
diversa, uno era Kotarov e l’altro Kotorjov, a loro favore c’è da dire che entrambi
avevano scritto bene Ivan, in maniera perfetta.
Fu
un grande e rapido successo, migliaia di migliaia di copie, se ci fossero state
delle classifiche i due titoli sarebbero apparsi appaiati in testa per mesi,
forse per anni e ne stavano per piovere altri.
Sulla
seconda pagina, a partire dalla seconda edizione di entrambi, Koturov volle
scrivere una frase del famoso filosofo di Taganrog, Igor Igorjevic, vale a dire
quella sua che gli era piaciuta di più.
L’unico senso della
competizione nella vita, per me, è stabilire chi, trai miei amici e conoscenti,
sia il più competitivo e di conseguenza il più stronzo, ma sono molti a competere,
forse troppi, o quasi tutti.
Con il secondo suo libro
Koturov tentò subito la carta del romanzo autentico e sentito. Testualmente scritto
con il suo sangue più nobile e ossigenato, una cosa di cui andava orgoglioso, insomma,
anche se Ignatijev lo aveva avvertito che era troppo presto. Bondarciuk stesso
lo aveva più volte ammonito. Il pubblico lo accolse tiepidamente, ma il titolo Assurdità
di una vita pubblicato da Abramov riscosse un maggior successo dello stesso
testo con il titolo La Steppa senza i Cosacchi dell’editore Fjodorov.
Probabilmente il titolo del primo fu decisivo, era più vasto e universale. Si
trattava di metafore, eppure non tutti amavano la steppa e i cosacchi, ma la
gente soffriva indiscutibilmente e sistematicamente, almeno in tutte le Russie
esistenti al mondo.
I
critici tacquero stavolta, si limitarono a registrare l’uscita del tanto atteso
volumetto di ottocentodue pagine, a futura memoria senza esprimere specifiche
opinioni. Le vendite del primo romanzo avevano smentito i loro più catastrofici
giudizi, ma ora stavano tutti aspettando al varco la terza prova di Koturov, magari
quella decisiva, ancora in duplice copia.
Sia
Bondarciuk che Katerinov si unirono in coro a Ignatijev: il suo stile, cioè quello
autentico di Ivan Koturov, doveva assolutamente e definitivamente essere quello
che lo aveva lanciato, quello che L’Eco di Pavlovo aveva definito non a
caso con un concetto entusiastico che era per tutti diventata un po’ la sua
bandiera, il suo motto: Ivan Koturov, il più incomprensibile, perciò
il migliore, (in più è anche un nostro amato concittadino, e noi che non lo
sapevamo! )
Varvara, la moglie di Bondarciuk ebbe una pensata
geniale che Koturov, perplesso ma grato, applicò alla lettera e che fu in un secondo
momento acclamata dalla critica, oltre che dai suoi ormai affezionati lettori
di tutte le Russie emerse. Perché non lasciare in sospeso le frasi senza
spiegazioni, in maniera che il lettore potesse da solo terminarsele, a propria
fantasia, a futura memoria, come se ci fossero stati tanti puntini in più,
oltre i tre regolamentari?
Un critico di Kaliningrad poco dopo lo paragonò al
pittore Mark Rothko. Da quel momento in poi Ivan Koturov rappresentò, a futura
memoria, l’apoteosi della letteratura russa contemporanea, insomma di non molto
tempo fa.
Nessun commento:
Posta un commento