Dopo aver scelto, tra le tante, le
nostre opzioni preferite, vanno anche sapute manovrare, tutti i santi giorni.
Ci vorrebbe anche della coerenza. Insomma la nostra filosofia di vita personale
non è affatto una fesseria. O perlomeno non dovrebbe esserlo.
La mia prevede che sia meglio seguire, oltre all’amore per il bello, la cultura umanistica e altre cose di questo genere più elevato, anche una semplice ricerca di piacere materiale e soprattutto quotidiano. Proprio come facevano gli antichi greci, ma senza esagerare come fecero dopo i romani, forse travisando quegli stessi insegnamenti, esaltandone alcuni aspetti e purtroppo trascurando gli altri.
Va da sé che quando ho potuto e
dovuto interessarmi, dopo la morte di mia moglie Pierina, dieci anni fa, ho voluto
assolutamente iniziare a comprarmi la roba da mangiare da solo. Mi piace
cucinare e anche se la mia domestica Lauretta è brava e accorta, per me quello
è un piacere e non me ne voglio completamente privare. Che lei lavi e pulisca,
può anche cucinare quando non ne ho voglia io, mi racconti pure la sua vita
intera, mentre mi fa la colazione e io me le sorbisco entrambe bevendo succhi
di frutta e caffè. Al resto, in linea di massima, ci penso io, senza impegno,
ma con una certa continuità. Non è che poi il sottoscritto passi ore in cucina
tutti i giorni, a volte una bella insalata mista, che ne so, un carpaccio di
manzo o perfino di tonno sono più che sufficienti e pure assai sfiziosi.
Andare al mercato rionale e
comprare verdura, frutta, pollo, formaggi, carne e pesce fresco è una cosa
quasi quotidiana, almeno da quando sono andato in pensione e mi mette allegria
alzarmi dal letto già con quest’idea in testa.
Il rapporto con i vari commessi è
un piacere aggiunto, il supermercato mi ha sempre spaventato e spero che il
nostro futuro non sia già segnato dal destino su quella catena di montaggio
disumana, senza alcun dialogo tra consumatore e venditore.
Insomma la mattina alle sette sono
già per strada, arzillo come un cardellino, tutti mi conoscono e mi salutano,
non solo i commessi ma anche gli altri compratori, o anche gente che è a
passeggio, pensionati e non, gente come me, ma pure assai diversa e meno male.
Essendo stato per una vita intera
professore di filosofia e storia all’università, abbastanza conosciuto nel
quartiere di Rio De’ Ciocci, non so bene quando è nata questa sciocca moda che
tutti mi chiedono opinioni di estrema attualità politica e non, oppure sui
fatti storici e scientifici sentiti nominare alla TV, letture e DVD da
noleggiare, soprattutto cose che conosco, apprezzo e che potrei consigliare a
gente come loro, cioè Romani de Roma, più esseri umani importati da varie parti
dell’Italia e del mondo, insomma un po’ di tutti i tipi, ma pochi giovani o
quasi nessuno. Di solito mi accontento di suggerire dei titoli, a volte glieli
scrivo anche su dei bigliettini improvvisati, qualsiasi tipo di carta, che
molti di loro essendo negozianti mi mettono in mano con una penna spesso
romanticamente sporca di farina o di altro cibo.
Confesso che questo mio ruolo mi
piace, perché posso indirettamente essere utile agli altri ad aprire a sé
stessi la misteriosa scatola nera del loro cervello. E forse loro possono
indirettamente aiutarmi ad aprire la mia, verso l’esterno, che è pure ancora
buia e misteriosa, lo confesso, soprattutto per me.
A Cicco il pescivendolo cominciai
quasi subito a portargli dei libri in cartaceo, dentro dei sacchettini di nylon
trasparente perché non si sporcassero e se li potesse leggere la sera a casa,
in santa pace. Forse perché mi faceva un po’ pena, ma anche perché mi era
simpatico, e comunque l’entusiasmo che mi dimostrava mi ripagava subito
dell’insignificante sforzo. Prima e dopo lui mi ringraziava assai e s’inchinava
ogni volta che mi vedeva.
Probabilmente è di lontana origine
araba, ma sembra un messicano, scuro di pelle, con radi capelli lisci e
nerissimi, più due baffetti spioventi che ne sembrano due ciocche incollate e
pure malamente.
Chillo
è napulitan’cumm’a’mmé
e come me vive a Roma da quasi sempre, lo chiamano o’ bravo guaglione, il bravo ragazzo, anche ora che è anzianotto.
Non è mai stato bello, né sembra particolarmente intelligente, ma pare molto
premuroso, simpatico, allegro, grato per ogni secondo di vita che qualcuno,
forse anche lo stesso Dio, senza pensarci troppo, a suo tempo gli ha regalato.
Lavora da Gennariello, altro storico napulitano
importato, che poi sarebbe il miglior banco del pesce del quartiere e lui ne è
il commesso più efficace, giacché ha licenza di concedere sconti, suggerisce
cosa vale la pena di comprare, è sempre di buonumore e non si preoccupa quando
lo trattano male, o con freddezza, ringrazia sempre e saluta tutti con
entusiasmo, anche quelle vecchierelle un po’ acide che gli danno tanto da fare
e a volte non acquistano un bel niente.
Parallelamente è sempre stato il
mio più appassionato seguace, all’inizio mio malgrado, ogni tanto mi veniva
anche a trovare, la sera, telefonando prima per non disturbare, secondo le sue
stesse parole, più che altro per ringraziarmi ancora e di nuovo. Gli piaceva
conversare con me, insomma, chiedere consigli sulla sua esigua parte di tempo
libero, quella fuori dal lavoro, che lì non ne aveva certo bisogno, era una
missione dura, lo stipendio era quello che era, ma gli piaceva e gli riusciva
bene assai. Secondo me voleva anche che gli spiegassi delle parti dei libri che
non aveva compreso bene, ma si vergognava, voleva che glielo chiedessi io, per
me non era ben chiaro quali parti e allora lo dovevo interrogare quasi come se
fossimo stati a scuola, che lui purtroppo non c’era mai potuto andare, era di
famiglia povera e quindi a volte le visite da cinque minuti, che dovevano
essere, duravano due o tre ore, a conti fatti in maniera più che piacevole
anche per me, anche se non lo volevo ammettere a me stesso, almeno all'inizio.
Per cominciare gli avevo dato dei
titoli semplici, certo un Camilleri lo capiva bene, poi altre cose che mi
piacevano, che erano sì, di contenuto, ma comprensibili anche per un non
letterato. Quando gli misi in mano un Watzlawick ero sicuro che non capisse
proprio tutto, ma quello si sforzava assai e il suo entusiasmo magicamente
rimase immutato. Possibile che questa sua euforica disposizione non cambiasse
mai? Mi parve anche un po’ strano, ma non dissi niente.
Secondo me, visto che Cicco a parole
si esprimeva con frasi pronte, vabbuo', ripetendo a memoria il suo limitato
repertorio di stereotipi collaudati, il libro in sé, la stessa frase un po’
forbita, per lui erano come dei miracoli scesi in terra e li ammirava a priori
e a posteriori. Il bello era che lo sorprendevo spesso a usare delle frasi
estratte dai testi che di volta in volta gli prestavo, ogni tanto anche
impropriamente, che senza volerlo suonavano buffe, pure più divertenti.
Una cosa che lo affascinava, era
che uno stesso concetto si poteva esprimere in tante maniere e a farci una
dovuta attenzione, la differenza a volte non solo c’era, ma era pure
importante.
Compresi poi, anche dalle sue
domande, che in qualche maniera gli interessava quel messaggio che aveva
intravisto tra le righe, che gli voleva far intendere che quando un autore
diceva delle determinate cose, non era necessariamente perché erano proprio le
sue idee, ma voleva fare semplicemente riflettere il lettore, anche con dei
veri e propri paradossi. Insomma che non si doveva accettare tutto come oro
colato, ma eventualmente questionarlo e perché no? Anche negarlo.
Stavo cominciando a diventare
curioso, probabilmente lui lo era più di me. Gli portai dei libri veramente
brutti, oltre che inutili, traduzioni di Odette Fallons e di Sid Temple,
originali di Ciro Costamagna e altre cose che avevano un certo successo, almeno
sulle terre emerse, ma a me parevano chiaviche mascherate da salotti. Li
leggeva la mia vecchia domestica, che poi si era trasferita a Isernia e me li
aveva lasciati nella sua cameretta.
A quei tempi mi era parso un gesto
di una certa violenza, ma alla fine lei non ne aveva intenzione e avevo avuto
occasione di toccare con mano il fondo del pozzo della letteratura moderna,
altrimenti non ci sarei nemmeno mai arrivato vicino, quindi ne era valsa la
pena.
Gli portai perfino il maleodorante
Porfirio Bugatti e obbligatoriamente l’insaziabile Gina Acquaviva, che
pubblicava un cosiddetto romanzo fantasy ogni tre mesi, e la gente più fessa se
lo beveva avidamente. Vorrei dimenticarmene, ma ricordo bene che all’epoca
vendevano assai, anche all’estero, direi perfino troppo, per continuare a
vivere tranquilli.
Gli piacquero tutti, a Cicco,
incondizionatamente. Per me fu un’amara delusione, ma necessaria a comprendere
l’entità del danno. Forse dovevo intervenire, o forse no. Boh?
Allora pensai che lui pensasse che
loro dicevano quelle coglionaggini perché volevano intendere il contrario,
insomma far riflettere il lettore, come ne avevano discusso altre volte, in
altri frangenti completamente diversi, però.
Di conseguenza lo martellai con il
primo Cechov, con Piero Chiara, un bel Tuzzi, il Varesi, lo Stieg Larsson,
Mario Soldati, Sjöwall e Walhöö, Dürrenmatt, Malvaldi,
Bolaño, Carofiglio e altri. Lui se li
divorò e li digerì senza batter ciglio o smettere di ringraziare e di volta in
volta discutere sulle frasi che lo avevano gradevolmente colpito, che ogni
volta erano diverse da quelle che piacevano a me, ma non era questo il vero
problema.
Bruno Vespa, Beppe Severgnini, Lilli
Gruber, Patricia Cornwell e Sidney Sheldon, scovati al banchetto dell’usato, da
me toccati appena con la punta delle dita, gli piacquero alla stessa maniera,
ecco dov’era il doloroso nocciolo della questione. Era una situazione piuttosto
inquietante, inutile nasconderselo.
Con garbo gli chiesi dei
chiarimenti, che non mi seppe dare, anche perché non gli dissi direttamente
qual era la questione, non so se lui se ne fosse accorto, penso di no. A
dissimulare Cicco era abile e allenato, il suo lavoro lo richiedeva. Non per
ingannare la gente, intendiamoci bene, piuttosto per non fargli capire che
magari sotto-sotto c’era rimasto male di qualcosa che loro gli avevano detto o
fatto. Ridendo e pazziando certa gente offende le anime semplici, anche se
probabilmente quelle stesse anime semplici, mi sorpresi a pensare, se ne
fregavano molto più di me, che ero solo uno spettatore indignato dalla violenza
verbale, nascosta con ipocrisia, in una maniera di scherzare tipicamente
italiana.
Gli proposi allora un affare, a
patto però che fosse veramente vantaggioso sia per me che per lui: gli avrei
dato lezioni di storia, filosofia e letteratura, lui mi avrebbe portato il
pesce con lo sconto che gli facevano al banco da Gennariello. Lui disse che il
pesce se lo pigliava gratis, però era quello che avanzava la sera, non proprio
quello fresco. Gli chiesi se era buono lo stesso e lui me lo garantì, per
carità. Che tipo di pesce? I miei gusti li sapeva già a memoria, dipendendo da
quello che c’era rimasto, di volta in volta, ma non doveva mancare da mangiare
alla sua tavola, misi come condizione tassativa. Credevo di volerlo fare per
lui, il mio falso disinteresse mi faceva sentire bene con me stesso, invece era al mio scopo - non solo di piacere immediato - che io miravo, anche se non lo
sapevo ancora.
Cominciammo la sera seguente.
La mia idea era prendere un testo
buono e discuterlo. Poi uno brutto assai e parlarne. A rotazione. Cominciare
poi a distinguere, confrontare, valutare, giudicare e alla fine, forse mesi
dopo, poi mi sarei stancato del pesce e magari anche di Cicco. Non lo sapevo,
ma ero curioso e forse anche ansioso di mettere alla prova lui e me stesso.
La prima sera pigliammo Sepulveda,
Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, una
stupenda traduzione di Ilide Carmignani. Leggevo
un po’ io e cercavo di insegnargli la tonalità, la pausa, l’effetto sorpresa.
Poi leggeva lui cercando d’imitare quello che gli avevo mostrato in pratica.
Come mi aspettavo, all’inizio era inevitabilmente una faticata immane, ma lui
si sforzava assai e io gli facevo notare ogni suo pur piccolo progresso. Dopo
gli facevo come un’asettica recensione del libro, senza specificare mai se lo
ritenessi bello o brutto, ma esponendo le particolarità che noi potevamo
trovarci.
A casa poi lui avrebbe letto tutto
il libro e la volta seguente, prima di affrontare il prossimo testo, quello più
spregevole, mi avrebbe fatto un riassunto, ed esposto le sue personali
impressioni.
Ogni lezione durava due ore e ne
facevamo due alla settimana, Cicco era contentissimo e io mi mangiavo a pranzo
e a cena del pesce buono assai, anche se non era appena uscito dal mare,
secondo Cicco risultava assente da poco.
Rimasi assai contento che lui
avesse apprezzato Sepulveda, quel libro in particolare era trai miei preferiti
e poi me ne aveva parlato diffusamente bene, ma la parte che a me era piaciuta
di più era l’inizio, le prime pagine, invece lui ne aveva specificate altre,
per me più insignificanti e trite.
Senza dubbio sbagliai, era troppo
presto per farlo, lo avrei dovuto sottomettere a questo esercizio solo molto
tempo dopo. Comunque gli proposi questo schema, per fargli capire che cosa era
importante che ci fosse in un buon libro.
• L'articolazione del testo è ben
strutturata.
• La lettura avviene in modo
avvincente.
• I contenuti sono interessanti.
• Le tematiche sono suggestive.
• È scritto con attenzione e cura
dei particolari.
• Lo stile è personale.
• Cattura il lettore.
• Suscita partecipazione.
• Stimola riflessioni personali.
Proprio per farlo riflettere gli
domandai se il libro appena letto corrispondeva a questo schema, secondo lui.
Però Cicco per abitudine e mentalità non rifletteva, ma rispondeva di schianto:
“Sì! Senza dubbio!”
Cercai di tralasciare i miei di
dubbi, assieme i libri più complicati, sul tipo di alcuni che gli avevo già
imprestato prima, narrativa e filosofia combinate potevano andare bene solo in
un secondo o terzo momento, De Crescenzo doveva aver pazienza un mese o due,
del resto era un filosofo vivente e si vedeva pure dallo sguardo, dalla maniera
di camminare, già prima di parlare o di scrivere. A quei tempi non solo era
ancora vivo, ma anche assai attivo, oltre ai libri faceva dei film, una certa
televisione e anche con un certo successo.
Considerai che il giallo, in
genere, fosse un tipo di testo abbastanza schematico, perché si doveva
riportare ai nudi fatti e alla loro ricostruzione, sebbene spesso solo
ipotetica, ma doveva essere chiaro e organico, per essere compreso dal lettore.
Il noir meglio ancora, perché ci si mischiavano anche tutte le altre bellezze
nascoste, a cominciare dalla profondità dei chiaroscuri della magneficenza dei
paesaggi e dei caratteri dei personaggi, la solita psicologia e già che
c’eravamo la storia e la filosofia che trasparivano dai luoghi e dai ruoli
nella routine della gente.
La struttura del testo e quella della frase
teoricamente erano libere, eppure avevano delle regole, se non fosse che per
poi poter essere comprese pienamente dal lettore. La sintassi era da costruire
in relazione allo stile e al contenuto, e dovevano diventare un tutt'uno.
Magari il poliziesco era una delle possibilità più interessanti, anche per il
mistero più a portata di mano, un motivo in più per usare della suspense. Non
potevamo altresì dimenticarci dell’esametro di Cicerone, i sei criteri da
rispettare nello svolgimento di una composizione letteraria: considerare cioè
la persona che agisce (quis); l’azione che fa (quid); il luogo in cui la esegue
(ubi); i mezzi che adopera nell’eseguirla (quibus auxiliis); lo scopo che si
prefigge (cur); il modo con cui la fa (quomodo); il tempo che vi impiega e nel
quale la compie (quando)» A livello puramente poliziesco, poi negli Stati Uniti
ci avevano voluto mettere bocca come al solito, ed erano diventati cinque, un
telaio necessario per scoprire prove, moventi e indizi vari: who (Chi), where
(Dove), what (Cosa), when (Quando), why (Perché).
Un Gianni Simoni andava bene per
cominciare, si esprimeva in maniera semplice e non c’era da scervellarsi per
capirlo.
Agatha Christie, nonostante il
grande successo, era invece troppo complicata e alla fine tutti gli arzigogoli
che faceva la aiutavano a confondere in maniera truffaldina la mente del
lettore, che per cavarsela alla meglio, la sera dopo una giornata di lavoro,
una cena a base di roba pesante e qualche bicchierotto di vino, faceva prima a
considerarla geniale, spengeva la luce e si addormentava beatamente conscio
della propria ignoranza, ma senza sentirsene inutilmente colpevole.
Passammo allo spionaggio forse
prematuramente, con La passione del suo
tempo, un autore che io stimavo molto, proprio per come costruiva le frasi,
i pensieri dei personaggi, i sottili dialoghi, la feroce differenza tra quello
che pensavano e ciò che invece dicevano, era naturalmente John Le Carré.
Tim Cranmer è un ex agente segreto inglese che vive ritirato
con la sua compagna, Emma. Per anni ha brillantemente controllato un doppio
agente, Larry Pettifer, suo amico e rivale dai tempi della scuola. Ma
all'improvviso Larry sparisce, sottraendo un cospicuo capitale destinato a
finanziare il traffico d'armi verso il Caucaso. E con lui sparisce Emma. Tim
parte all'inseguimento, scoprendo di essere a sua volta inseguito dai suoi
vecchi padroni. Ma cosa sta davvero cercando: la sua donna? il suo passato?
Attraverso la rovina morale dell'Europa post-Guerra fredda Tim vede crollare i
valori per i quali ha combattuto, mentre lo spettro di un nuovo Impero Russo
s'insedia sulle rovine del "sogno sovietico".
Cicco stavolta
dimostrò una tiepida approvazione. Effettivamente le Carré doveva essergli
parso un po’ troppo pedante e le sue sottili sfumature per uno come lui erano
complicate, eccessive e continuate. Speravo che Cicco si fosse addormentato
senza considerarlo eccessivamente geniale, piuttosto che sentirsi in colpa per
non averlo sopportato.
Dopo la fase della complicazione
doveva per forza venire quella della semplificazione, che come tutti sanno è la
più difficile, perché complicare è facile, molto più arduo e irto di ostacoli è
il cammino verso la sintesi e la regola, alla fine semplificare è molto più
lungo e faticoso. Perché noi dovevamo fare il lavoro sporco per gli altri. A
fin di bene.
Non è raro nella storia degli
esseri umani, della cui categoria sia io che Cicco facevamo ugualmente parte,
che un tentativo di semplificazione complichi ulteriormente e in maniera
pressoché definitiva lo stato delle cose.
Dunque passammo al libro più
infame che avessi potuto trovare, lo avevo scelto con cura ed ero perfino
riuscito a leggerlo tutto, schifato e allo stesso tempo quasi affascinato da
quell’accozzaglia di coglionerie che il sedicente romanziere di nome Sidney
Sheldon era riuscito a tirare fuori dal suo cervello in cancrena avanzata. Si
trattava di un bestseller, ma qui best
forse risultava tradurre letteralmente l’italiano bestia, Le sabbie del tempo
era un titolo presuntuoso e falsamente romantico, non c’era niente di
romantico, anzi. Sidney era un distruttore, un vero e proprio animale malato e
inferocito, apparentemente mellifluo, ma pericoloso.
Qui devo dire che erroneamente
usiamo chiamare animali degli esseri umani che con quelle assai più simpatiche
bestioline non hanno niente a che fare, quest’ultime sono decisamente migliori
e a ben guardare, per fortuna, non gli assomigliano neppure troppo, ai
cosiddetti esseri umani.
Era chiaro che non volevo
influenzare minimamente il mio allievo, quindi leggemmo insieme alcuni passi
scelti a caso tra i peggiori e in seguito gli feci una breve relazione, il più
possibile impersonale, su ciò che potevamo trovare in quel testo,
oggettivamente, almeno nelle intenzioni, ma non sapevo nemmeno più di chi.
C’erano diversi tipi e categorie di bestialità, volevo dire di cose fin troppo
umane, fino quasi a diventare sovrumane, subito dopo subumane e alla fine disumane.
Credo di aver ancora sbagliato a
mettere le mani avanti per dichiarare che in un libro si può scrivere quello
che vogliamo, per esempio se scriviamo della fantascienza tutto è lecito o
quasi, però se parliamo della vita degli esseri umani sulla terra, allora si
devono rispettare alcune regole di credibilità, all’interno del relativo
ambiente, del loro tipo di cultura e così via. Cicco annuiva, ma mi pareva
troppo stanco, erano quasi le dieci e mezzo e forse non aveva nemmeno avuto il
tempo di cenare.
Stavo già fiutando vento di
tempesta, ma non me ne rendevo ancora conto e nei giorni a seguire non potei
trattenermi dal documentarmi sull’autore in questione, attraverso internet
venni a sapere tutto quel che c’era da sapere e ce n’era a sufficienza da far
esplodere anche un caterpillar della critica letteraria come me.
Sidney Sheldon è stato uno scrittore, sceneggiatore e regista
statunitense. Autore di best seller, è l'unico scrittore ad aver vinto un
Oscar, un Tony Award e un Edgar Award.
Non so se fu
un’effettiva fortuna che io non avessi la minima idea di cosa diavolo fossero
il Tony Award e l’Edgar Award, se non americanate inventate apposta per
sbolognare stock di milioni di volumi invenduti, arricchendo ad arte il suo
curriculum, ma solo questo bastava per capire in che mani di palloni gonfiati
eravamo nel mondo della letteratura, inevitabilmente simile e racchiuso in
quell’altro più grande e generale. La libreria online Feltrinelli non contenta, dopo ogni
recensione di libro in vendita sul loro importante sito metteva e mette ancora
questa ignobile scritta:
Dopo aver letto il libro Uno straniero allo specchio di Sidney
Sheldon ti invitiamo a lasciarci una Recensione qui
sotto: sarà utile agli utenti che non abbiano ancora letto questo libro e che
vogliano avere delle opinioni altrui. L’opinione su di un libro è molto
soggettiva e per questo leggere eventuali recensioni negative
non ci dovrà frenare dall’acquisto, anzi dovrà spingerci ad acquistare il libro
in fretta per poter dire la nostra ed eventualmente smentire quanto commentato
da altri, contribuendo ad arricchire più possibile i commenti e dare sempre più
spunti di confronto al pubblico online.
Il pubblico
secondo loro era formato da un indeterminato
e fluttuante numero X di coglioni. Veniva sottinteso ed era ovviamente
auspicabile che, dopo aver letto questa nobile premessa, alla svelta
comprassero questo e altri libri per leggerli, immancabilmente apprezzarli per
mettersi in dura ma giusta polemica con gli altri, i soliti acculturati
denigratori, come era stato opportunamente suggerito dall’editore.
Sotto c’erano le recensioni e i
commenti semplici, sapevo che non avrei dovuto leggerli, intimai più volte a me
stesso di allontanarmi. Cedetti invece quasi subito, anche se dopo, in più di
un’occasione, mi misi le mani trai pochi capelli e mi tappai il naso. Non potei
fare a meno di notare questo, abbastanza indicativo:
Adoro Sidney Sheldon, uno straniero allo specchio è uno dei
più belli romanzi di questo BRAVISSIMO autore. I suoi libri sono come guardare
un bel film una bella evasione.
(forse dal
carcere)
Poi questa
recensione:
Nella Spagna del post franchismo, nel pieno del conflitto tra
l’ETA, l’organizzazione armata terroristica che chiede l’indipendenza dei Paesi
Baschi, e il governo centrale, alcuni soldati irrompono in un convento
cistercense dove ritengono si siano annidati dei terroristi ribelli,
costringendo alla fuga quattro suore: suor Teresa, che ha abbracciato la vita
religiosa per una delusione amorosa, suor Graciela cacciata dalla madre
prostituta, suor Megan perché non ha nessuno ad accoglierla dopo aver vissuto
vari anni in un orfanatrofio e Suor Lucia che, figlia di un mafioso siciliano,
finge la vocazione per nascondersi e sfuggire alla giustizia. Dalla rigida
routine claustrale esse, pertanto, si trovano inaspettatamente e
improvvisamente sbalzate in un mondo profano e molto prosaico dove pullulano
malfattori, stupratori, fazioni in combattimento e pericoli di ogni genere e
nel quale sono chiamate a difficili scelte di sopravvivenza che, talvolta,
mettono in discussione la loro fede.
Con la tecnica del flashback, utilizzata con maestria e senza
mai appesantire la narrazione, l’Autore ci racconta le vicende personali,
spesso tragiche e tristi, dei protagonisti in un susseguirsi incalzante di colpi
di scena, morti violente, innamoramenti e manifestazioni di gelosia che rendono
sempre vivo l’interesse del lettore. Una fantasia fervida e feconda che
si dispiega nelle innumerevoli soluzioni narrative che vengono di volta in
volta sviluppate nel romanzo che ha, però, l’unico difetto di rappresentare
situazioni altamente improbabili o inverosimili (quasi grottesco ed un poco
evanescente il matrimonio tra un terrorista ed una delle suore che naufraga
all’ultimo istante sull’altare). Epilogo a lieto fine.
Infine questa
recensione di un altro libro del nostro prolifico autore di bestsellers:
IL
MULINO A VENTO DEGLI DEI
"Noi
tutti siamo vittime, Anselmo. I nostri destini sono decisi da un cosmico
rotolare di dadi, dai venti delle stelle, dalle errabonde brezze del caso che
soffiano dai mulini a vento degli dei."
(bellissimo,
qui ci rende conto dell’illusoria e vana ma pretesa profondità del nostro
autore)
Un thriller di buona fattura, con qualche colpo di scena sul finale, alla base
del libro complotti politici, uccisioni, tradimenti, al centro una donna Mary
che viene scelta per rappresentare l'America in un paese la Romania appena
uscito dall'influenza sovietica. Una donna che non ha mai svolto attività
politica, ma che è un'ottima insegnante di storia ed economia dei paesi
dell'est europeo. Un giorno il presidente degli Stati Uniti la contatta
perché le deve affidare un compito delicato quello di ambasciatrice in
Romania.... ora io vi chiedo, vi sembra possibile? Questo e anche altri
passaggi del libro mi hanno fatto irritare perché raccontano fatti improbabili
e assurdi nel suo verificarsi. Semplice e scorrevole, senza tante pretese,
un libro dal quale avrei preteso un ritmo molto più incalzante e una storia più
affascinante e intrigante!
Quando arrivai al giorno
prestabilito per la lezione serale, avevo già incontrato due volte Cicco al
mercato, purtroppo o per fortuna, giacché raggiante mi aveva anticipato che il
libro in questione era bellissimo, proprio il più bello che avesse mai letto,
mi aveva ringraziato diffusamente mentre io probabilmente diventavo grigio,
nero, viola e per finire a strisce diagonali rosso-blu.
Credevo quindi di essere
preparato, senza arrabbiarmi, a spiegargli, il venerdì seguente, perché secondo
me una storia di esseri umani sul nostro stesso pianeta non era credibile, per
esempio, se i due protagonisti, uomo e donna, teneri amanti e competitivi
amici-nemici nello spionaggio, diventavano a turno gravemente malati e si
trasformavano a rotazione in scheletri, metaforicamente ma non troppo sull’orlo
della tomba, per poi guarire e assistere alla malattia di turno del partner,
che poi di nuovo guariva. Insomma Sidney Sheldon dove aveva vissuto? Sulla
nostra stessa terra oppure no?
Purtroppo sì.
Quando Cicco disse che era proprio
quella la parte che gli era piaciuta di più, persi il lume dagli occhi,
diventai così furioso che prima di potermi riprendere dalla sorpresa e dallo
sdegno lo avevo già buttato fuori casa.
Cicco per fortuna era uno che non
se la prendeva, gli telefonai un’ora dopo e mi aveva già perdonato, anzi si
scusava lui. Cercai di scusarmi di più io, ma non ci riuscii.
Per recuperare la sera dopo
facemmo di nuovo lezione, Cicco mi portò una cernia spaventosa, di minimo una
decina di chili, e disse che non era necessario parlare di quel libro lì, se
proprio non mi andava giù, per lui non era certo così importante. Ma io ci
tenevo, dovetti insistere, tranquillizzando lui mentre cercavo di
tranquillizzare me stesso, cercando di non soffermare il pensiero sulla
premessa di Feltrinelli, né ovviamente senza considerare un Sidney Sheldon come
persona, che per fortuna non conoscevo e avevo visto al massimo una foto
tessera con un largo sorriso di denti bianchi. Subito prima avevo ingerito due
tranquillanti di Lauretta, che mi furono di grande aiuto. (Erano scaduti ma me
ne accorsi solo il giorno dopo).
Con flemma anglosassone discutemmo
più di due ore su quel madornale obbrobrio, riuscii a formulare con calma ma
anche con uguale e contraria fermezza ogni razionale obiezione a quel suo
entusiasmo per quel tipo di letteratura, se così volevamo proprio chiamarla.
Alla fine capii che per lui era bello assai e perfino auspicabile trasfigurare
la realtà, quella vera di tutti i giorni. Volevo obiettare che trasfigurare una
cosa per peggiorarla non era un buon affare per nessuno, ma non so quanto
saggiamente me ne stetti in silenzio. Non me lo disse con le sue parole, magari
non ne era effettivamente capace, in più avrebbe certo avuto paura di
offendermi, ci arrivai da solo, leggendo tra le righe sussurrate, mentre diceva
altre cose, in un’altra maniera, diversa dal suo solito modo di parlare, più
ricca di dettagli e di malcelata emozione. Compresi che la vita per lui era
stata sempre dovere e rigidità degli schemi, per superare i normali e
giornalieri ostacoli alla sua sopravvivenza, che io non potevo certo aver
provato, visto che provenivo da una famiglia agiata.
Mi confidò particolari che non
aveva mai raccontato a nessuno, ho ragione di credere, sorridendo quasi per
scusarsene, la sua non era stata una vita facile come la mia, e più parlava e
peggio mi sentivo.
Quando Cicco uscì io avevo le
lacrime agli occhi, non so se di rabbia o di commozione, ma di sicuro mi
sentivo un coglione, perfino peggio di Sidney Sheldon e forse anche di chi gli
aveva dato l’Oscar, il maledetto Tony Award e
perfino quel cazzo di Edgar Award o come si chiamava.
Quando menzionò la filosofia,
poche settimane dopo, quasi con paura di pronunciare quella parola, capii che
era il momento di passare al più opportuno De Crescenzo e ben presto Cicco se
ne dimostrò entusiasta. Non solo gli faceva attraversare quel mare misterioso,
che aveva sempre avuto paura di affrontare, ma lo divertiva anche e gli
proponeva degli esempi della vita di tutti i giorni.
Dopo un po’ ho notato che le
lezioni con Cicco mi facevano bene, mi avevano tolto un bel po’ di arroganza
calcificata. Più della maggior parte delle culture moderne e mondiali, la
cultura italiana, secondo me, insiste troppo a evidenziare gli errori degli
altri, a sorvolare sui propri, come se chi insegna, l’eventuale ma purtroppo
sempre presente autorità, si ponesse piuttosto idealmente e di fatto
erroneamente al di sopra.
Mi è venuto un dubbio, anzi una
serie di dubbi. Ho consultato dei moderni manuali che mi hanno consigliato
amici e colleghi, opuscoletti che mostrano regole utili su argomenti del
genere, con i relativi test finali. Abbiamo iniziato da poco a fare il gioco di
verità-bugia, Cicco mi racconta la sua tormentata storia, con dentro alcune
bugie, in mezzo alle verità ed io devo indovinare quali. Poi viceversa io
racconto la mia storia di figlio di papà e lui mi deve individuare le false
verità.
Avevo sempre creduto che se
qualcuno leggesse roba come Sidney Sheldon, quello sarebbe stato
irrimediabilmente un ingenuo e quindi lo si potesse facilmente ingannare.
Invece no, Cicco mi massacra senza pietà a questo giochino e ad altri
diciannove test da me scelti, diversi ma simili negli intenti. Pensavo che lui
non fosse capace di mentire, anche se avevo notato che sa sgamare bene assai
quelli che lo fanno e quando. Poi ho visto e registrato che se deve dire bugie,
lui riesce velocemente a convincersi della verità delle sue parole e mi frega
sistematicamente. E non se ne vanta, anzi si vergogna quasi.
A livello emotivo sa dominarsi
meglio di me, a cultura è piuttosto scarso, non ha mai avuto tempo di studiare
e di leggere, in generale magari soffre più di me, ma gioisce anche di più e
conosce la gente assai meglio.
Cicco stesso mi ha indirettamente
lasciato capire che per fortuna la vita non è una competizione, che non me la
dovevo prendere, era tutto per via della necessità, personalmente non avevo mai
combattuto per la sopravvivenza. Credevo di saper mentire bene assai, ma
disgraziatamente non mi ero mai giocato nessuna sfida giornaliera che
significasse anche solo indirettamente vita o morte. Qualcosa non mi quadrava,
pensavo di aver una certa sensibilità a livello psicologico, ogni volta mi
illudevo di capirlo a fondo, nitidamente, ma lui invece mi sfuggiva ancora. Credevo
di conoscere la gente, però si trattava magari di una conoscenza superficiale.
Aveva fottutamente ragione.
Abbiamo abbandonato i giochi,
c’incontriamo senza orari prestabiliti, parliamo della vita, di tutto e di
niente, occasionalmente ci diciamo a vicenda anche bugie, ma senza alcuna
competizione di mezzo, insomma come tutti gli altri. Riassumendo stu’ figlie’ndrocchia mi ha
sistematicamente fregato per mesi, se non per anni. I napoletani oltretutto si
dividono in due parti ben distinte: quelli che ne sono orgogliosi e quelli che
se ne vergognano. Cicco non appartiene a nessuna delle due categorie, o si
nasconde in tutt'e due, e questo mi disorienta.
Ha confessato di aver finto che
gli piacesse assai Sidney Sheldon, e gli altri autori assai discutibili che io
gli portavo per testarlo, per studiarne le reazioni di nascosto. Invece stava
succedendo il contrario, era lui che guardava dentro di me, e secondo me si
divertiva pure alla faccia mia. E lo ha fatto non solo per farmi arrabbiare, ma
anche per farmi riflettere.
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