martedì 4 agosto 2020

BRAVO GUAGLIONE


Dopo aver scelto, tra le tante, le nostre opzioni preferite, vanno anche sapute manovrare, tutti i santi giorni. Ci vorrebbe anche della coerenza. Insomma la nostra filosofia di vita personale non è affatto una fesseria. O perlomeno non dovrebbe esserlo.

La mia prevede che sia meglio seguire, oltre all’amore per il bello, la cultura umanistica e altre cose di questo genere più elevato, anche una semplice ricerca di piacere materiale e soprattutto quotidiano. Proprio come facevano gli antichi greci, ma senza esagerare come fecero dopo i romani, forse travisando quegli stessi insegnamenti, esaltandone alcuni aspetti e purtroppo trascurando gli altri.

Va da sé che quando ho potuto e dovuto interessarmi, dopo la morte di mia moglie Pierina, dieci anni fa, ho voluto assolutamente iniziare a comprarmi la roba da mangiare da solo. Mi piace cucinare e anche se la mia domestica Lauretta è brava e accorta, per me quello è un piacere e non me ne voglio completamente privare. Che lei lavi e pulisca, può anche cucinare quando non ne ho voglia io, mi racconti pure la sua vita intera, mentre mi fa la colazione e io me le sorbisco entrambe bevendo succhi di frutta e caffè. Al resto, in linea di massima, ci penso io, senza impegno, ma con una certa continuità. Non è che poi il sottoscritto passi ore in cucina tutti i giorni, a volte una bella insalata mista, che ne so, un carpaccio di manzo o perfino di tonno sono più che sufficienti e pure assai sfiziosi.

Andare al mercato rionale e comprare verdura, frutta, pollo, formaggi, carne e pesce fresco è una cosa quasi quotidiana, almeno da quando sono andato in pensione e mi mette allegria alzarmi dal letto già con quest’idea in testa.

Il rapporto con i vari commessi è un piacere aggiunto, il supermercato mi ha sempre spaventato e spero che il nostro futuro non sia già segnato dal destino su quella catena di montaggio disumana, senza alcun dialogo tra consumatore e venditore.

Insomma la mattina alle sette sono già per strada, arzillo come un cardellino, tutti mi conoscono e mi salutano, non solo i commessi ma anche gli altri compratori, o anche gente che è a passeggio, pensionati e non, gente come me, ma pure assai diversa e meno male.

Essendo stato per una vita intera professore di filosofia e storia all’università, abbastanza conosciuto nel quartiere di Rio De’ Ciocci, non so bene quando è nata questa sciocca moda che tutti mi chiedono opinioni di estrema attualità politica e non, oppure sui fatti storici e scientifici sentiti nominare alla TV, letture e DVD da noleggiare, soprattutto cose che conosco, apprezzo e che potrei consigliare a gente come loro, cioè Romani de Roma, più esseri umani importati da varie parti dell’Italia e del mondo, insomma un po’ di tutti i tipi, ma pochi giovani o quasi nessuno. Di solito mi accontento di suggerire dei titoli, a volte glieli scrivo anche su dei bigliettini improvvisati, qualsiasi tipo di carta, che molti di loro essendo negozianti mi mettono in mano con una penna spesso romanticamente sporca di farina o di altro cibo.

Confesso che questo mio ruolo mi piace, perché posso indirettamente essere utile agli altri ad aprire a sé stessi la misteriosa scatola nera del loro cervello. E forse loro possono indirettamente aiutarmi ad aprire la mia, verso l’esterno, che è pure ancora buia e misteriosa, lo confesso, soprattutto per me.

A Cicco il pescivendolo cominciai quasi subito a portargli dei libri in cartaceo, dentro dei sacchettini di nylon trasparente perché non si sporcassero e se li potesse leggere la sera a casa, in santa pace. Forse perché mi faceva un po’ pena, ma anche perché mi era simpatico, e comunque l’entusiasmo che mi dimostrava mi ripagava subito dell’insignificante sforzo. Prima e dopo lui mi ringraziava assai e s’inchinava ogni volta che mi vedeva.

Probabilmente è di lontana origine araba, ma sembra un messicano, scuro di pelle, con radi capelli lisci e nerissimi, più due baffetti spioventi che ne sembrano due ciocche incollate e pure malamente.

Chillo è napulitan’cumm’a’mmé e come me vive a Roma da quasi sempre, lo chiamano o’ bravo guaglione, il bravo ragazzo, anche ora che è anzianotto. Non è mai stato bello, né sembra particolarmente intelligente, ma pare molto premuroso, simpatico, allegro, grato per ogni secondo di vita che qualcuno, forse anche lo stesso Dio, senza pensarci troppo, a suo tempo gli ha regalato. Lavora da Gennariello, altro storico napulitano importato, che poi sarebbe il miglior banco del pesce del quartiere e lui ne è il commesso più efficace, giacché ha licenza di concedere sconti, suggerisce cosa vale la pena di comprare, è sempre di buonumore e non si preoccupa quando lo trattano male, o con freddezza, ringrazia sempre e saluta tutti con entusiasmo, anche quelle vecchierelle un po’ acide che gli danno tanto da fare e a volte non acquistano un bel niente.

Parallelamente è sempre stato il mio più appassionato seguace, all’inizio mio malgrado, ogni tanto mi veniva anche a trovare, la sera, telefonando prima per non disturbare, secondo le sue stesse parole, più che altro per ringraziarmi ancora e di nuovo. Gli piaceva conversare con me, insomma, chiedere consigli sulla sua esigua parte di tempo libero, quella fuori dal lavoro, che lì non ne aveva certo bisogno, era una missione dura, lo stipendio era quello che era, ma gli piaceva e gli riusciva bene assai. Secondo me voleva anche che gli spiegassi delle parti dei libri che non aveva compreso bene, ma si vergognava, voleva che glielo chiedessi io, per me non era ben chiaro quali parti e allora lo dovevo interrogare quasi come se fossimo stati a scuola, che lui purtroppo non c’era mai potuto andare, era di famiglia povera e quindi a volte le visite da cinque minuti, che dovevano essere, duravano due o tre ore, a conti fatti in maniera più che piacevole anche per me, anche se non lo volevo ammettere a me stesso, almeno all'inizio.

Per cominciare gli avevo dato dei titoli semplici, certo un Camilleri lo capiva bene, poi altre cose che mi piacevano, che erano sì, di contenuto, ma comprensibili anche per un non letterato. Quando gli misi in mano un Watzlawick ero sicuro che non capisse proprio tutto, ma quello si sforzava assai e il suo entusiasmo magicamente rimase immutato. Possibile che questa sua euforica disposizione non cambiasse mai? Mi parve anche un po’ strano, ma non dissi niente.

Secondo me, visto che Cicco a parole si esprimeva con frasi pronte, vabbuo', ripetendo a memoria il suo limitato repertorio di stereotipi collaudati, il libro in sé, la stessa frase un po’ forbita, per lui erano come dei miracoli scesi in terra e li ammirava a priori e a posteriori. Il bello era che lo sorprendevo spesso a usare delle frasi estratte dai testi che di volta in volta gli prestavo, ogni tanto anche impropriamente, che senza volerlo suonavano buffe, pure più divertenti.

Una cosa che lo affascinava, era che uno stesso concetto si poteva esprimere in tante maniere e a farci una dovuta attenzione, la differenza a volte non solo c’era, ma era pure importante.

Compresi poi, anche dalle sue domande, che in qualche maniera gli interessava quel messaggio che aveva intravisto tra le righe, che gli voleva far intendere che quando un autore diceva delle determinate cose, non era necessariamente perché erano proprio le sue idee, ma voleva fare semplicemente riflettere il lettore, anche con dei veri e propri paradossi. Insomma che non si doveva accettare tutto come oro colato, ma eventualmente questionarlo e perché no? Anche negarlo.

Stavo cominciando a diventare curioso, probabilmente lui lo era più di me. Gli portai dei libri veramente brutti, oltre che inutili, traduzioni di Odette Fallons e di Sid Temple, originali di Ciro Costamagna e altre cose che avevano un certo successo, almeno sulle terre emerse, ma a me parevano chiaviche mascherate da salotti. Li leggeva la mia vecchia domestica, che poi si era trasferita a Isernia e me li aveva lasciati nella sua cameretta.

A quei tempi mi era parso un gesto di una certa violenza, ma alla fine lei non ne aveva intenzione e avevo avuto occasione di toccare con mano il fondo del pozzo della letteratura moderna, altrimenti non ci sarei nemmeno mai arrivato vicino, quindi ne era valsa la pena.

Gli portai perfino il maleodorante Porfirio Bugatti e obbligatoriamente l’insaziabile Gina Acquaviva, che pubblicava un cosiddetto romanzo fantasy ogni tre mesi, e la gente più fessa se lo beveva avidamente. Vorrei dimenticarmene, ma ricordo bene che all’epoca vendevano assai, anche all’estero, direi perfino troppo, per continuare a vivere tranquilli.

Gli piacquero tutti, a Cicco, incondizionatamente. Per me fu un’amara delusione, ma necessaria a comprendere l’entità del danno. Forse dovevo intervenire, o forse no. Boh?

Allora pensai che lui pensasse che loro dicevano quelle coglionaggini perché volevano intendere il contrario, insomma far riflettere il lettore, come ne avevano discusso altre volte, in altri frangenti completamente diversi, però.

Di conseguenza lo martellai con il primo Cechov, con Piero Chiara, un bel Tuzzi, il Varesi, lo Stieg Larsson, Mario Soldati, Sjöwall e Walhöö, Dürrenmatt, Malvaldi, Bolaño, Carofiglio e altri. Lui se li divorò e li digerì senza batter ciglio o smettere di ringraziare e di volta in volta discutere sulle frasi che lo avevano gradevolmente colpito, che ogni volta erano diverse da quelle che piacevano a me, ma non era questo il vero problema.

Bruno Vespa, Beppe Severgnini, Lilli Gruber, Patricia Cornwell e Sidney Sheldon, scovati al banchetto dell’usato, da me toccati appena con la punta delle dita, gli piacquero alla stessa maniera, ecco dov’era il doloroso nocciolo della questione. Era una situazione piuttosto inquietante, inutile nasconderselo.

Con garbo gli chiesi dei chiarimenti, che non mi seppe dare, anche perché non gli dissi direttamente qual era la questione, non so se lui se ne fosse accorto, penso di no. A dissimulare Cicco era abile e allenato, il suo lavoro lo richiedeva. Non per ingannare la gente, intendiamoci bene, piuttosto per non fargli capire che magari sotto-sotto c’era rimasto male di qualcosa che loro gli avevano detto o fatto. Ridendo e pazziando certa gente offende le anime semplici, anche se probabilmente quelle stesse anime semplici, mi sorpresi a pensare, se ne fregavano molto più di me, che ero solo uno spettatore indignato dalla violenza verbale, nascosta con ipocrisia, in una maniera di scherzare tipicamente italiana.

Gli proposi allora un affare, a patto però che fosse veramente vantaggioso sia per me che per lui: gli avrei dato lezioni di storia, filosofia e letteratura, lui mi avrebbe portato il pesce con lo sconto che gli facevano al banco da Gennariello. Lui disse che il pesce se lo pigliava gratis, però era quello che avanzava la sera, non proprio quello fresco. Gli chiesi se era buono lo stesso e lui me lo garantì, per carità. Che tipo di pesce? I miei gusti li sapeva già a memoria, dipendendo da quello che c’era rimasto, di volta in volta, ma non doveva mancare da mangiare alla sua tavola, misi come condizione tassativa. Credevo di volerlo fare per lui, il mio falso disinteresse mi faceva sentire bene con me stesso, invece era al mio scopo - non solo di piacere immediato - che io miravo, anche se non lo sapevo ancora.

Cominciammo la sera seguente.

La mia idea era prendere un testo buono e discuterlo. Poi uno brutto assai e parlarne. A rotazione. Cominciare poi a distinguere, confrontare, valutare, giudicare e alla fine, forse mesi dopo, poi mi sarei stancato del pesce e magari anche di Cicco. Non lo sapevo, ma ero curioso e forse anche ansioso di mettere alla prova lui e me stesso.

La prima sera pigliammo Sepulveda, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, una stupenda traduzione di Ilide Carmignani. Leggevo un po’ io e cercavo di insegnargli la tonalità, la pausa, l’effetto sorpresa. Poi leggeva lui cercando d’imitare quello che gli avevo mostrato in pratica. Come mi aspettavo, all’inizio era inevitabilmente una faticata immane, ma lui si sforzava assai e io gli facevo notare ogni suo pur piccolo progresso. Dopo gli facevo come un’asettica recensione del libro, senza specificare mai se lo ritenessi bello o brutto, ma esponendo le particolarità che noi potevamo trovarci.

A casa poi lui avrebbe letto tutto il libro e la volta seguente, prima di affrontare il prossimo testo, quello più spregevole, mi avrebbe fatto un riassunto, ed esposto le sue personali impressioni.

Ogni lezione durava due ore e ne facevamo due alla settimana, Cicco era contentissimo e io mi mangiavo a pranzo e a cena del pesce buono assai, anche se non era appena uscito dal mare, secondo Cicco risultava assente da poco.

Rimasi assai contento che lui avesse apprezzato Sepulveda, quel libro in particolare era trai miei preferiti e poi me ne aveva parlato diffusamente bene, ma la parte che a me era piaciuta di più era l’inizio, le prime pagine, invece lui ne aveva specificate altre, per me più insignificanti e trite.

Senza dubbio sbagliai, era troppo presto per farlo, lo avrei dovuto sottomettere a questo esercizio solo molto tempo dopo. Comunque gli proposi questo schema, per fargli capire che cosa era importante che ci fosse in un buon libro.

 

• L'articolazione del testo è ben strutturata.

• La lettura avviene in modo avvincente.

• I contenuti sono interessanti.

• Le tematiche sono suggestive.

• È scritto con attenzione e cura dei particolari.

• Lo stile è personale.

• Cattura il lettore.

• Suscita partecipazione.

• Stimola riflessioni personali.

 

Proprio per farlo riflettere gli domandai se il libro appena letto corrispondeva a questo schema, secondo lui. Però Cicco per abitudine e mentalità non rifletteva, ma rispondeva di schianto:

“Sì! Senza dubbio!”

Cercai di tralasciare i miei di dubbi, assieme i libri più complicati, sul tipo di alcuni che gli avevo già imprestato prima, narrativa e filosofia combinate potevano andare bene solo in un secondo o terzo momento, De Crescenzo doveva aver pazienza un mese o due, del resto era un filosofo vivente e si vedeva pure dallo sguardo, dalla maniera di camminare, già prima di parlare o di scrivere. A quei tempi non solo era ancora vivo, ma anche assai attivo, oltre ai libri faceva dei film, una certa televisione e anche con un certo successo.

Considerai che il giallo, in genere, fosse un tipo di testo abbastanza schematico, perché si doveva riportare ai nudi fatti e alla loro ricostruzione, sebbene spesso solo ipotetica, ma doveva essere chiaro e organico, per essere compreso dal lettore. Il noir meglio ancora, perché ci si mischiavano anche tutte le altre bellezze nascoste, a cominciare dalla profondità dei chiaroscuri della magneficenza dei paesaggi e dei caratteri dei personaggi, la solita psicologia e già che c’eravamo la storia e la filosofia che trasparivano dai luoghi e dai ruoli nella routine della gente.

 La struttura del testo e quella della frase teoricamente erano libere, eppure avevano delle regole, se non fosse che per poi poter essere comprese pienamente dal lettore. La sintassi era da costruire in relazione allo stile e al contenuto, e dovevano diventare un tutt'uno. Magari il poliziesco era una delle possibilità più interessanti, anche per il mistero più a portata di mano, un motivo in più per usare della suspense. Non potevamo altresì dimenticarci dell’esametro di Cicerone, i sei criteri da rispettare nello svolgimento di una composizione letteraria: considerare cioè la persona che agisce (quis); l’azione che fa (quid); il luogo in cui la esegue (ubi); i mezzi che adopera nell’eseguirla (quibus auxiliis); lo scopo che si prefigge (cur); il modo con cui la fa (quomodo); il tempo che vi impiega e nel quale la compie (quando)» A livello puramente poliziesco, poi negli Stati Uniti ci avevano voluto mettere bocca come al solito, ed erano diventati cinque, un telaio necessario per scoprire prove, moventi e indizi vari: who (Chi), where (Dove), what (Cosa), when (Quando), why (Perché).

Un Gianni Simoni andava bene per cominciare, si esprimeva in maniera semplice e non c’era da scervellarsi per capirlo.

Agatha Christie, nonostante il grande successo, era invece troppo complicata e alla fine tutti gli arzigogoli che faceva la aiutavano a confondere in maniera truffaldina la mente del lettore, che per cavarsela alla meglio, la sera dopo una giornata di lavoro, una cena a base di roba pesante e qualche bicchierotto di vino, faceva prima a considerarla geniale, spengeva la luce e si addormentava beatamente conscio della propria ignoranza, ma senza sentirsene inutilmente colpevole.

Passammo allo spionaggio forse prematuramente, con La passione del suo tempo, un autore che io stimavo molto, proprio per come costruiva le frasi, i pensieri dei personaggi, i sottili dialoghi, la feroce differenza tra quello che pensavano e ciò che invece dicevano, era naturalmente John Le Carré.

Tim Cranmer è un ex agente segreto inglese che vive ritirato con la sua compagna, Emma. Per anni ha brillantemente controllato un doppio agente, Larry Pettifer, suo amico e rivale dai tempi della scuola. Ma all'improvviso Larry sparisce, sottraendo un cospicuo capitale destinato a finanziare il traffico d'armi verso il Caucaso. E con lui sparisce Emma. Tim parte all'inseguimento, scoprendo di essere a sua volta inseguito dai suoi vecchi padroni. Ma cosa sta davvero cercando: la sua donna? il suo passato? Attraverso la rovina morale dell'Europa post-Guerra fredda Tim vede crollare i valori per i quali ha combattuto, mentre lo spettro di un nuovo Impero Russo s'insedia sulle rovine del "sogno sovietico".

Cicco stavolta dimostrò una tiepida approvazione. Effettivamente le Carré doveva essergli parso un po’ troppo pedante e le sue sottili sfumature per uno come lui erano complicate, eccessive e continuate. Speravo che Cicco si fosse addormentato senza considerarlo eccessivamente geniale, piuttosto che sentirsi in colpa per non averlo sopportato.

Dopo la fase della complicazione doveva per forza venire quella della semplificazione, che come tutti sanno è la più difficile, perché complicare è facile, molto più arduo e irto di ostacoli è il cammino verso la sintesi e la regola, alla fine semplificare è molto più lungo e faticoso. Perché noi dovevamo fare il lavoro sporco per gli altri. A fin di bene.

Non è raro nella storia degli esseri umani, della cui categoria sia io che Cicco facevamo ugualmente parte, che un tentativo di semplificazione complichi ulteriormente e in maniera pressoché definitiva lo stato delle cose.

Dunque passammo al libro più infame che avessi potuto trovare, lo avevo scelto con cura ed ero perfino riuscito a leggerlo tutto, schifato e allo stesso tempo quasi affascinato da quell’accozzaglia di coglionerie che il sedicente romanziere di nome Sidney Sheldon era riuscito a tirare fuori dal suo cervello in cancrena avanzata. Si trattava di un bestseller, ma qui best forse risultava tradurre letteralmente l’italiano bestia, Le sabbie del tempo era un titolo presuntuoso e falsamente romantico, non c’era niente di romantico, anzi. Sidney era un distruttore, un vero e proprio animale malato e inferocito, apparentemente mellifluo, ma pericoloso.

Qui devo dire che erroneamente usiamo chiamare animali degli esseri umani che con quelle assai più simpatiche bestioline non hanno niente a che fare, quest’ultime sono decisamente migliori e a ben guardare, per fortuna, non gli assomigliano neppure troppo, ai cosiddetti esseri umani.

Era chiaro che non volevo influenzare minimamente il mio allievo, quindi leggemmo insieme alcuni passi scelti a caso tra i peggiori e in seguito gli feci una breve relazione, il più possibile impersonale, su ciò che potevamo trovare in quel testo, oggettivamente, almeno nelle intenzioni, ma non sapevo nemmeno più di chi. C’erano diversi tipi e categorie di bestialità, volevo dire di cose fin troppo umane, fino quasi a diventare sovrumane, subito dopo subumane e alla fine  disumane.

Credo di aver ancora sbagliato a mettere le mani avanti per dichiarare che in un libro si può scrivere quello che vogliamo, per esempio se scriviamo della fantascienza tutto è lecito o quasi, però se parliamo della vita degli esseri umani sulla terra, allora si devono rispettare alcune regole di credibilità, all’interno del relativo ambiente, del loro tipo di cultura e così via. Cicco annuiva, ma mi pareva troppo stanco, erano quasi le dieci e mezzo e forse non aveva nemmeno avuto il tempo di cenare.

Stavo già fiutando vento di tempesta, ma non me ne rendevo ancora conto e nei giorni a seguire non potei trattenermi dal documentarmi sull’autore in questione, attraverso internet venni a sapere tutto quel che c’era da sapere e ce n’era a sufficienza da far esplodere anche un caterpillar della critica letteraria come me.

Sidney Sheldon è stato uno scrittore, sceneggiatore e regista statunitense. Autore di best seller, è l'unico scrittore ad aver vinto un Oscar, un Tony Award e un Edgar Award.

Non so se fu un’effettiva fortuna che io non avessi la minima idea di cosa diavolo fossero il Tony Award e l’Edgar Award, se non americanate inventate apposta per sbolognare stock di milioni di volumi invenduti, arricchendo ad arte il suo curriculum, ma solo questo bastava per capire in che mani di palloni gonfiati eravamo nel mondo della letteratura, inevitabilmente simile e racchiuso in quell’altro più grande e generale. La libreria online Feltrinelli non contenta, dopo ogni recensione di libro in vendita sul loro importante sito metteva e mette ancora questa ignobile scritta:

 

Dopo aver letto il libro Uno straniero allo specchio di Sidney Sheldon ti invitiamo a lasciarci una Recensione qui sotto: sarà utile agli utenti che non abbiano ancora letto questo libro e che vogliano avere delle opinioni altrui. L’opinione su di un libro è molto soggettiva e per questo leggere eventuali recensioni negative non ci dovrà frenare dall’acquisto, anzi dovrà spingerci ad acquistare il libro in fretta per poter dire la nostra ed eventualmente smentire quanto commentato da altri, contribuendo ad arricchire più possibile i commenti e dare sempre più spunti di confronto al pubblico online.

 

Il pubblico secondo loro era formato da un indeterminato  e fluttuante numero X di coglioni. Veniva sottinteso ed era ovviamente auspicabile che, dopo aver letto questa nobile premessa, alla svelta comprassero questo e altri libri per leggerli, immancabilmente apprezzarli per mettersi in dura ma giusta polemica con gli altri, i soliti acculturati denigratori, come era stato opportunamente suggerito dall’editore.

Sotto c’erano le recensioni e i commenti semplici, sapevo che non avrei dovuto leggerli, intimai più volte a me stesso di allontanarmi. Cedetti invece quasi subito, anche se dopo, in più di un’occasione, mi misi le mani trai pochi capelli e mi tappai il naso. Non potei fare a meno di notare questo, abbastanza indicativo:

 

Adoro Sidney Sheldon, uno straniero allo specchio è uno dei più belli romanzi di questo BRAVISSIMO autore. I suoi libri sono come guardare un bel film una bella evasione.

 

(forse dal carcere)

 

Poi questa recensione:

 

Nella Spagna del post franchismo, nel pieno del conflitto tra l’ETA, l’organizzazione armata terroristica che chiede l’indipendenza dei Paesi Baschi, e il governo centrale, alcuni soldati irrompono in un convento cistercense dove ritengono si siano annidati dei terroristi ribelli, costringendo alla fuga quattro suore: suor Teresa, che ha abbracciato la vita religiosa per una delusione amorosa, suor Graciela cacciata dalla madre prostituta, suor Megan perché non ha nessuno ad accoglierla dopo aver vissuto vari anni in un orfanatrofio e Suor Lucia che, figlia di un mafioso siciliano, finge la vocazione per nascondersi e sfuggire alla giustizia. Dalla rigida routine claustrale esse, pertanto, si trovano inaspettatamente e improvvisamente sbalzate in un mondo profano e molto prosaico dove pullulano malfattori, stupratori, fazioni in combattimento e pericoli di ogni genere e nel quale sono chiamate a difficili scelte di sopravvivenza che, talvolta, mettono in discussione la loro fede.

Con la tecnica del flashback, utilizzata con maestria e senza mai appesantire la narrazione, l’Autore ci racconta le vicende personali, spesso tragiche e tristi, dei protagonisti in un susseguirsi incalzante di colpi di scena, morti violente, innamoramenti e manifestazioni di gelosia che rendono sempre vivo l’interesse del lettore. Una fantasia fervida e feconda che si dispiega nelle innumerevoli soluzioni narrative che vengono di volta in volta sviluppate nel romanzo che ha, però, l’unico difetto di rappresentare situazioni altamente improbabili o inverosimili (quasi grottesco ed un poco evanescente il matrimonio tra un terrorista ed una delle suore che naufraga all’ultimo istante sull’altare). Epilogo a lieto fine.

 

Infine questa recensione di un altro libro del nostro prolifico autore di bestsellers:

 

 

 

IL MULINO A VENTO DEGLI DEI

"Noi tutti siamo vittime, Anselmo. I nostri destini sono decisi da un cosmico rotolare di dadi, dai venti delle stelle, dalle errabonde brezze del caso che soffiano dai mulini a vento degli dei."

 

(bellissimo, qui ci rende conto dell’illusoria e vana ma pretesa profondità del nostro autore)



Un thriller di buona fattura, con qualche colpo di scena sul finale, alla base del libro complotti politici, uccisioni, tradimenti, al centro una donna Mary che viene scelta per rappresentare l'America in un paese la Romania appena uscito dall'influenza sovietica. Una donna che non ha mai svolto attività politica, ma che è un'ottima insegnante di storia ed economia dei paesi dell'est europeo. Un giorno il presidente degli Stati Uniti la contatta perché le deve affidare un compito delicato quello di ambasciatrice in Romania.... ora io vi chiedo, vi sembra possibile? Questo e anche altri passaggi del libro mi hanno fatto irritare perché raccontano fatti improbabili e assurdi nel suo verificarsi. Semplice e scorrevole, senza tante pretese, un libro dal quale avrei preteso un ritmo molto più incalzante e una storia più affascinante e intrigante!

 

Quando arrivai al giorno prestabilito per la lezione serale, avevo già incontrato due volte Cicco al mercato, purtroppo o per fortuna, giacché raggiante mi aveva anticipato che il libro in questione era bellissimo, proprio il più bello che avesse mai letto, mi aveva ringraziato diffusamente mentre io probabilmente diventavo grigio, nero, viola e per finire a strisce diagonali rosso-blu.

Credevo quindi di essere preparato, senza arrabbiarmi, a spiegargli, il venerdì seguente, perché secondo me una storia di esseri umani sul nostro stesso pianeta non era credibile, per esempio, se i due protagonisti, uomo e donna, teneri amanti e competitivi amici-nemici nello spionaggio, diventavano a turno gravemente malati e si trasformavano a rotazione in scheletri, metaforicamente ma non troppo sull’orlo della tomba, per poi guarire e assistere alla malattia di turno del partner, che poi di nuovo guariva. Insomma Sidney Sheldon dove aveva vissuto? Sulla nostra stessa terra oppure no?

Purtroppo sì.

Quando Cicco disse che era proprio quella la parte che gli era piaciuta di più, persi il lume dagli occhi, diventai così furioso che prima di potermi riprendere dalla sorpresa e dallo sdegno lo avevo già buttato fuori casa.

Cicco per fortuna era uno che non se la prendeva, gli telefonai un’ora dopo e mi aveva già perdonato, anzi si scusava lui. Cercai di scusarmi di più io, ma non ci riuscii.

Per recuperare la sera dopo facemmo di nuovo lezione, Cicco mi portò una cernia spaventosa, di minimo una decina di chili, e disse che non era necessario parlare di quel libro lì, se proprio non mi andava giù, per lui non era certo così importante. Ma io ci tenevo, dovetti insistere, tranquillizzando lui mentre cercavo di tranquillizzare me stesso, cercando di non soffermare il pensiero sulla premessa di Feltrinelli, né ovviamente senza considerare un Sidney Sheldon come persona, che per fortuna non conoscevo e avevo visto al massimo una foto tessera con un largo sorriso di denti bianchi. Subito prima avevo ingerito due tranquillanti di Lauretta, che mi furono di grande aiuto. (Erano scaduti ma me ne accorsi solo il giorno dopo).

Con flemma anglosassone discutemmo più di due ore su quel madornale obbrobrio, riuscii a formulare con calma ma anche con uguale e contraria fermezza ogni razionale obiezione a quel suo entusiasmo per quel tipo di letteratura, se così volevamo proprio chiamarla. Alla fine capii che per lui era bello assai e perfino auspicabile trasfigurare la realtà, quella vera di tutti i giorni. Volevo obiettare che trasfigurare una cosa per peggiorarla non era un buon affare per nessuno, ma non so quanto saggiamente me ne stetti in silenzio. Non me lo disse con le sue parole, magari non ne era effettivamente capace, in più avrebbe certo avuto paura di offendermi, ci arrivai da solo, leggendo tra le righe sussurrate, mentre diceva altre cose, in un’altra maniera, diversa dal suo solito modo di parlare, più ricca di dettagli e di malcelata emozione. Compresi che la vita per lui era stata sempre dovere e rigidità degli schemi, per superare i normali e giornalieri ostacoli alla sua sopravvivenza, che io non potevo certo aver provato, visto che provenivo da una famiglia agiata.

Mi confidò particolari che non aveva mai raccontato a nessuno, ho ragione di credere, sorridendo quasi per scusarsene, la sua non era stata una vita facile come la mia, e più parlava e peggio mi sentivo.

Quando Cicco uscì io avevo le lacrime agli occhi, non so se di rabbia o di commozione, ma di sicuro mi sentivo un coglione, perfino peggio di Sidney Sheldon e forse anche di chi gli aveva dato l’Oscar, il maledetto Tony Award e perfino quel cazzo di Edgar Award o come si chiamava.

Quando menzionò la filosofia, poche settimane dopo, quasi con paura di pronunciare quella parola, capii che era il momento di passare al più opportuno De Crescenzo e ben presto Cicco se ne dimostrò entusiasta. Non solo gli faceva attraversare quel mare misterioso, che aveva sempre avuto paura di affrontare, ma lo divertiva anche e gli proponeva degli esempi della vita di tutti i giorni.

Dopo un po’ ho notato che le lezioni con Cicco mi facevano bene, mi avevano tolto un bel po’ di arroganza calcificata. Più della maggior parte delle culture moderne e mondiali, la cultura italiana, secondo me, insiste troppo a evidenziare gli errori degli altri, a sorvolare sui propri, come se chi insegna, l’eventuale ma purtroppo sempre presente autorità, si ponesse piuttosto idealmente e di fatto erroneamente al di sopra.

Mi è venuto un dubbio, anzi una serie di dubbi. Ho consultato dei moderni manuali che mi hanno consigliato amici e colleghi, opuscoletti che mostrano regole utili su argomenti del genere, con i relativi test finali. Abbiamo iniziato da poco a fare il gioco di verità-bugia, Cicco mi racconta la sua tormentata storia, con dentro alcune bugie, in mezzo alle verità ed io devo indovinare quali. Poi viceversa io racconto la mia storia di figlio di papà e lui mi deve individuare le false verità.

Avevo sempre creduto che se qualcuno leggesse roba come Sidney Sheldon, quello sarebbe stato irrimediabilmente un ingenuo e quindi lo si potesse facilmente ingannare. Invece no, Cicco mi massacra senza pietà a questo giochino e ad altri diciannove test da me scelti, diversi ma simili negli intenti. Pensavo che lui non fosse capace di mentire, anche se avevo notato che sa sgamare bene assai quelli che lo fanno e quando. Poi ho visto e registrato che se deve dire bugie, lui riesce velocemente a convincersi della verità delle sue parole e mi frega sistematicamente. E non se ne vanta, anzi si vergogna quasi.

A livello emotivo sa dominarsi meglio di me, a cultura è piuttosto scarso, non ha mai avuto tempo di studiare e di leggere, in generale magari soffre più di me, ma gioisce anche di più e conosce la gente assai meglio.

Cicco stesso mi ha indirettamente lasciato capire che per fortuna la vita non è una competizione, che non me la dovevo prendere, era tutto per via della necessità, personalmente non avevo mai combattuto per la sopravvivenza. Credevo di saper mentire bene assai, ma disgraziatamente non mi ero mai giocato nessuna sfida giornaliera che significasse anche solo indirettamente vita o morte. Qualcosa non mi quadrava, pensavo di aver una certa sensibilità a livello psicologico, ogni volta mi illudevo di capirlo a fondo, nitidamente, ma lui invece mi sfuggiva ancora. Credevo di conoscere la gente, però si trattava magari di una conoscenza superficiale. Aveva fottutamente ragione.

Abbiamo abbandonato i giochi, c’incontriamo senza orari prestabiliti, parliamo della vita, di tutto e di niente, occasionalmente ci diciamo a vicenda anche bugie, ma senza alcuna competizione di mezzo, insomma come tutti gli altri. Riassumendo stu’ figlie’ndrocchia mi ha sistematicamente fregato per mesi, se non per anni. I napoletani oltretutto si dividono in due parti ben distinte: quelli che ne sono orgogliosi e quelli che se ne vergognano. Cicco non appartiene a nessuna delle due categorie, o si nasconde in tutt'e due, e questo mi disorienta.

Ha confessato di aver finto che gli piacesse assai Sidney Sheldon, e gli altri autori assai discutibili che io gli portavo per testarlo, per studiarne le reazioni di nascosto. Invece stava succedendo il contrario, era lui che guardava dentro di me, e secondo me si divertiva pure alla faccia mia. E lo ha fatto non solo per farmi arrabbiare, ma anche per farmi riflettere.

 

 

 

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