Un interessante scambio di e-mail si registra nella prima quindicina del mese di luglio 2020 tra Mariana Tivoli e Adriano La Sacca.
Le e-mail sono passate di moda,
ora tutti usano Facebook, Twitter, Istagram eccetera. Ma l’unica maniera che ho
per comunicare con lei, professor Adriano, è il vecchio ma efficace letterone
elettronico, da quando ha cambiato città e non so se la disturbo a telefonarle.
Un abbraccio Mariana Tivoli da
Farneta, Lucca
Hai
ragione, ma tu non mi disturbi mai, confesso che già l’e-mail per me è troppo
moderna. Come stai, bella gioia? Io sto bene, mia moglie anche e i miei figli,
quando li vedo, mi pare che stiano bene anche loro, i quali cercano di
nascondermi ogni cambiamento, chissà perché? Che pensino che io sia troppo
protettivo e palloso? Ma quando mai? Poi ho anche due cani, un gatto, due pesci
rossi e una tartarughina, che stanno tutti bene, anche se loro, lo dico sempre
a Luisella, sono pur sempre in prigionia, lei dice che per lo meno i guardiani,
che siamo noi, sono o siamo dei guardiani permissivi e affettuosi, e qui ha
ragione, sarebbero potuti capitare molto peggio.
Raccontami
cosa fai tu dopo tutti questi anni, anche sommariamente, mi farà solo piacere.
Un
abbraccio dal tuo vecchio, ma credo ancora arzillo professor La Sacca Adriano
da Udine.
Beh, mi sono sposata, ho due
figli, lavoro come una matta, preferisco non dirle cosa faccio di lavoro,
almeno per ora, niente a che fare con la mia laurea, comunque. Insomma una
storia abbastanza comune, ma la curiosità sul mondo e tutto quello che c’è
sopra non mi ha lasciata, se non la disturbo vorrei porle un quesito un po’
pesante, sono convinta che lei lo saprà sicuramente risolvere, ma credo che non
sarà in due parole e nemmeno quattro. Intanto le comunico che sono andata a
vivere in campagna, io sono cresciuta fuori città e mi garbava troppo, credo
anche che sia stata una delle cose migliori che i miei genitori abbiano fatto,
quella di farmi crescere tra polli e vacche. Anche a livello di personalità mi
ha formato in maniera migliore, credo, di questa gente che si spaventa per
qualche pipistrello nei capelli… Insomma era uno dei miei sogni e anche di mio
marito, per fortuna, Qui le mando una foto di noi quattro riuniti, cinque col
cane, per gli altri animaletti penso che la storia della prigionia, per ora,
abbia deciso per noi. Quello che dice sua moglie però è interessante, ci
penseremo.
Sei
una cosa rara, una bellissima ragazza intelligente e anche simpatica, come se
non bastasse, non ti chiedo gli anni che hai, perché sono un gentiluomo, ma
fatti i dovuti conti, a partire dall’università più o meno lo so già. Bella
foto e la famigliuola anche di più, il cane mi pare enorme, è un Terranova?
Spara il quesito, lo liquiderò in poche centinaia di pagine, non ti
preoccupare, pare che qui su internet non costino niente. Aspetto trepidante la
tua questione.
Lei è sempre stato un po’
maschilista, me ne ero dimenticata, la bellezza comunque, per come sono io, mi
è stata più di ostacolo che di aiuto, come lei mi aveva già profetizzato a quei
tempi. Il cane è un Terranovone di 43 chili e si chiama Alberto Roberto,
ispirato ad un personaggio di un comico brasiliano, al quale non assomiglia per
niente, mio marito ha vissuto a Curitiba per diversi anni. Per chiamarlo basta
Robbé, che tanto lui non viene e non capisce nemmeno che si parla con lui, o
magari fa solo finta, è un tenerone selvaggio e ha deciso che la libertà è
importante più di ogni altra cosa, dopo il cibo, naturalmente.
Certo è bello vivere in campagna,
o per lo meno una volta lo era, lo sarebbe stato anche oggi, forse.
Però il pratino all'inglese è la
maledizione che qualche divinità burlona ci ha scagliato contro negli ultimi
anni, le malattie dei pini si sono aggiunte senza essere state chiamate, in più
la perpendicolare progressiva e internazionale avversione al silenzio
dell'uomo moderno ha condito tutto con meno meditazione e sempre più musica
martellante, ogni nuovo tipo di utensile rumoroso, come l’idropulitrice e
l’aspirapolvere per le automobili, oltre quelli vecchi e collaudati, come mazze
e accette.
Tagliare l'erba una volta era
silenzioso o quasi, magari ci volevano più muscoli, ora ci sono eserciti di
mostri più o meno grandi, più o meno nemici della quiete e della letteratura,
che spento uno ne attacca un altro, ma possono combinare anche insieme i loro
rumori infernali.
Oltre il concerto dei
decespugliatori e dei trattorini, poi i tronchi di pino vengono incessantemente
segati, a primavera e d'estate si comincia all'alba.
Un mio vicino invano promuove e
venderebbe delle macchinette tagliaerba che farebbero tutto il lavoro da sole,
con calma, senza bisogno di alcuna attenzione. Purtroppo non sono per niente
interattive e poi sono troppo silenziose, ma dove vogliono andare? Il prezzo
secondo me è sufficientemente alto ma non basta questa attrattiva a renderle
appetibili.
Altri vicini hanno investito in
casette qui attorno che affittano agli stranieri. Per andarci e portarci
attrezzi e materiali vari hanno comprato dei piccoli, pratici ma soprattutto
rumorosi Apecar. Là possono falciare i pratini, segare i pini e fare tutte
quelle cose che amano e possano generare frastuono, quando a casa le hanno già
ripetutamente fatte.
I pini poi finiranno ma l’erba no,
quella ricresce sempre, si spera nel passare di una moda che resiste da anni,
ma tutto è possibile. Un detto toscano suggerisce: speriamo in bene, che il male vien da sé.
Sarebbe
questo il tuo quesito? Non ho capito bene. Comunque sì, anch’io avevo il tuo
sogno, di tornare in campagna, però avevo fatto i conti senza l’oste, cioè
senza quelli che in campagna ci sono venuti, sì, ma della pace non gliene frega
niente.
L’ambientazione
sarebbe quella giusta, il verde che riposa gli occhi e la bellezza della natura
circostante ci sono, ma alla musica tonificante si è progressivamente
sostituito un continuo rumore da fabbrica, grazie al quale l’uomo moderno non
si sente in colpa e gli pare quasi di stare a lavorare, anche se è in pensione,
non c’è abituato e ha bisogno di giustificare al capo supremo tutto
quell’esagerato relax.
L’uomo
moderno è piuttosto prevedibile eppure è incomprensibile, si rilassa facendo le
cose stressanti, quelle che una volta erano rigeneranti non se le ricorda
nemmeno più, e già che c’è stressa pure chi non è tanto moderno, magari non ha
colpa e gli garberebbe, già che siamo in campagna, starsene un po’ in pace,
insomma come si faceva una volta.
L’uomo
moderno si mette la mascherina in macchina da solo, quando fa il jogging da solo
e se fa lavori pesanti in giardino, rigorosamente da solo. Fa dell’ironia
mordace se qualcuno al supermercato tira fuori il naso dalla mascherina per
respirare, o se gli si appannano gli occhiali.
L’uomo
moderno in macchina deve accelerare come un forsennato negli spazi vuoti, non
importa se dopo pochi metri si deve mettere in coda in un treno di automobili.
La frustrazione intanto si accumula.
Questi
però sono dei fatti, anche se la maggior parte della gente li nega ancora, ma
qual è la questione che mi volevi questionare?
Non sapevo che anche lei fosse
uscito dal suo bellissimo appartamento cittadino, ma visto che ha tutti quegli
animali tra i piedi me lo dovevo immaginare. Se ne ha la possibilità mi mandi
qualche foto, sa come si fa con il computer?
Cerco di arrivare alla mia
dolorosa questione, una in particolare che mi sono posta da qualche tempo, a
partire dalle affermazioni di mio marito che dice delle cose, che io all’inizio mi
sentivo di negare, ma vedo che forse ha proprio ragione lui.
L’uomo moderno, come si diceva,
deve correre in avanti a tutta velocità per recuperare il tempo perduto, anche
se non ci crede più, anche se non sa dove andare, non può ammetterlo a sé
stesso, non può fermarsi e tanto meno tornare indietro.
L’uomo moderno beve molto caffè.
Il caffè più pregiato del mondo, o perlomeno il più costoso, è fatto di cacca.
Il caffè Kopi luwak è
infatti ricavato dalle bacche di caffè parzialmente digerite e defecate da un
curioso animale, uno zibetto, un
piccolo mammifero appartenente alla famiglia dei viverridi, simile ad
una mangusta. Questo animale, che vive in Cina, Sudest asiatico, Java, Sumatra
e altre isole indonesiane e nelle Filippine, si nutre tra l’altro di bacche di
caffè senza però digerirle.
Da queste bacche, raccolte dalle
feci dell’animale, si ottiene il caffè Kopi luwak che viene venduto a circa 800 euro al chilogrammo, più
o meno 12 euro a tazzina. Inizialmente i produttori si limitavano a
raccogliere manualmente le deiezioni degli zibetti nei pressi delle piantagioni
di caffè, ma nel momento in cui è diventato un affare sono iniziati i guai per
questi poveri animali.
Oggi gli zibetti vengono infatti
catturati nella foresta, rinchiusi
in minuscole gabbie e alimentati forzatamente ed esclusivamente con chicchi di
caffè, che in natura costituiscono una parte minima della loro dieta
onnivora. Gli animali vengono così privati della libertà e degli spazi
naturali, privazioni che comportano malattie, depressione e comportamenti
nevrotici.
Di solito gli zibetti vengono
sfruttati per tre anni e poi liberati, ma le loro condizioni sono spesso
compromesse e molte volte non sopravvivono al rilascio. Oltre alla sorte
terribile che tocca agli zibetti, specie
già minacciata dalla massiccia deforestazione, anche la qualità del
caffè peggiora notevolmente.
In natura gli zibetti praticano
una sorta di selezione dei chicchi, prediligono infatti i frutti più maturi che
hanno i chicchi più dolci. Questo processo non avviene ovviamente in cattività
e gli animali vengono nutriti con chicchi a diversi stadi di maturazione, a discapito del sapore del caffè.
Ci vuole stomaco a bere un caffè
ottenuto da escrementi, ma ce ne vuole ancora di più a berlo conoscendo
l’orrore che si cela dietro la sua produzione.
Tutto questo è indicativo
dell’indifferenza dell’uomo al suo ambiente, alla sua storia e anche alla sua
geografia, non solo di quello moderno e bisognoso di uno psicanalista che gli
dica della sua presunta onnipotenza, che intanto è diventata religione e
filosofia. Veramente potere è volere?
Per gli uomini parlare bene degli
uomini è facile, per via della loro intelligenza, i progressi scientifici,
l’arte e le grandi opere che hanno trasfigurato il mondo, sono tante o troppe
testimonianze del suo potere, della sua ricchezza… ma a proposito: il denaro e il
potere sono davvero cose intelligenti? Se una stabile felicità esistesse, si
otterrebbe attraverso la libertà che il potere e il denaro ci permetterebbero?
L’uomo è schiavo di sé stesso, di
un futuro e vaghissimo tentativo di realizzazione dei suoi desideri, proprio
quelli che non gli sono mai stati chiari, che sono sempre stati
sistematicamente manipolati dalla società. Si è dimenticato di essere un
animale, si è progressivamente distanziato dalle sue origini, crede solo alla
prepotenza eppure si riempie la bocca di libertà, democrazia ed ecologia.
È il più cattivo degli animali, è
inutile negarlo: ma lo è per natura o per cultura?
Ci
sono anche tanti altri casi come le oche per produrre il Foie gras loro malgrado, per esempio. Guai a chi ci capita sotto,
insomma, se poi c’è una grande richiesta di mercato è peggio ancora.
Ecco,
finalmente hai parlato e la questione è annosa, oltre che rognosa, non so bene
a cosa credere, non l’ho ancora risolta, magari proprio nessuno può farlo, ma
proverò a dirti quello che so.
Pigliamola
larga, sennò si tralasciano cose importanti, la base deve essere ampia. Tante
di queste cose ovviamente le sai già, ma alcune te le sei dimenticate,
assorbita dalla vita di tutti i giorni. Altre magari non le hai mai sapute,
tutte queste io cercherò di assemblarle in un convergente ragionamento organico
e a 360 gradi. Se non ci riuscissi tu fammi delle domande, se non le
rispondessi ammodo tu cerca di farmele in una maniera diversa. Se ci sarà
bisogno puoi mandarmi anche affanculo, mia moglie dice che ogni tanto mi fa
bene e mi migliora come persona.
Dunque:
la vita si distingue dalla materia morta e inorganica per alcune importanti
caratteristiche. Si manifesta in organismi, in esseri viventi singoli e unici
che hanno la capacità di trasformarsi in maniera autonoma, internamente ed
esternamente, grazie al metabolismo, frutto della respirazione (cioè scambio
dei due gas ossigeno e anidride carbonica, al fine di liberare energia) e
dell’alimentazione, che è l’assunzione di cibo, digestione ed evacuazione.
A
caratterizzare gli esseri viventi sono, inoltre, la capacità di rispondere con
determinate reazioni a influssi esterni provenienti dall’ambiente circostante
(eccitabilità), la capacità di crescere a partire da un nucleo iniziale (crescita)
e la capacità di moltiplicarsi (riproduzione). Ogni essere vivente infine
si sviluppa irreversibilmente da un momento iniziale (nascita) a un momento
finale (morte).
Nella
biologia odierna si è imposta in genere la teoria evoluzionistica di Charles Darwin,
secondo cui:
a)
tutte le specie viventi possono mutare (mutabilità delle specie, contro
costanza delle specie di Linneo);
b)
tutte le specie viventi si sono sviluppate da forme inferiori a forme
superiori, da forme più semplici a forme più complesse (evoluzione progressiva
delle specie).
A
costituire il motore dell’evoluzione, che procede in maniera causale-meccanica,
non teleologica, sono le mutazioni, cioè i cambiamenti casuali nei genotipi,
mentre a fungere da legge dell’evoluzione è la selezione tra i nuovi esseri
viventi, per cui – nella lotta per la sopravvivenza [struggle for
life] che costituisce la legge di fondo della natura – a imporsi sono gli
individui più resistenti e più forti, ovvero quelli meglio attrezzati per
adattarsi alle condizioni dell’ambiente [survival of the fittest].
L’uomo
appartiene alla classe dei mammiferi e, tra i mammiferi, all’ordine dei
Primati, che comprende le proscimmie (lemuri, tarsi, lorisiformi), le scimmie
(catarrine o «del vecchio mondo» e pitarrine o «del nuovo mondo») e gli
Ominoidi (grandi scimmie o scimmie antropomorfe). Questa superfamiglia si
divide nelle famiglie degli Ilobatidi (gibboni) e degli Ominidi, che, a loro
volta, comprendono i Pongini (oranghi), i Gorillini (gorilla) e gli Ominini, in
cui rientrano i Pan (bonobo e scimpanzé), gli australopitechi, nonché i vari
tipi di Homo:
Homo
habilis (con Homo rudolfensis e Homo ergaster); Homo
erectus (con Homo georgicus e Homo Floresiensis);
Homo heidelbergensis (con Homo antecessor e Homo cepranensis)
; Homo neanderthalensis; Homo sapiens.
I
gorilla, i bonobo e gli scimpanzé sono i nostri parenti più prossimi, come
appare evidente dalla forma corporea, dallo sviluppo embrionale, dalla
composizione sanguigna e dalla struttura genetica. Questo non significa, però,
che le scimmie attualmente esistenti siano gli antenati diretti degli uomini.
Le scimmie e gli ominoidi sono, infatti, rami autonomi della linea dei primati,
che si è divisa circa 25 milioni di anni fa. Nonostante la sua discendenza dal regno
animale, tuttavia, l’uomo resta un essere particolare e unico. Egli non è solo
il mammifero più sviluppato, ma è qualcosa di essenzialmente nuovo.
Biologicamente le principali differenze tra uomo e animale sono differenze
graduali (quantitative), che costituiscono il presupposto per ciò che è
specificamente umano, e differenze essenziali (qualitative), che fanno
dell’uomo appunto un uomo.
Le
differenze graduali, che mostrano come l’uomo si collochi su un gradino del
tutto peculiare dell’evoluzione e che costituiscono al contempo il fondamento
della sua essenziale diversità, si riferiscono:
a)
alla costituzione corporea
b)
al suo comportamento
c)
al suo sviluppo.
Ci
siamo fino a qui?
Sì, ma non è che l’abbiamo presa
troppo larga? Dice mio marito. Lei non ha skype? Così si potrebbe anche
parlare, forse è meglio, mentre si legge si commenta pure il testo.
Skype
ce l’ha mia moglie. Che cosa fa tuo marito nella vita? Perché non fai
partecipare anche lui al nostro dibattito?
Va bene, io glielo volevo domandare,
ma pensavo di chiedere troppo. Mio marito è quello che si dice un Broker, uno
che rompe insomma, purtroppo o per fortuna. Ma lei ha tempo e voglia?
Ma
sì, sono in pensione cosa credi? Mi gratto tutto il giorno e la sera a volte è
perfino peggio. Cominciamo fra due ore, alle 21, ti va bene?
Benissimo, mio marito si chiama
Giulio, il nostro nickname è Giulio-Mariana e il suo, cioè quello di sua
moglie?
Luise Traspa, vedi che lei si
chiamerebbe Luisella Strappaghetti, in La Sacca. È qui e dice di perdonarci per
i nostri nomi, ma non ne abbiamo colpa.
Il contatto ricomincia alle ore
21, su Skype, il professor La Sacca comincia a leggere il testo scritto, che ha
mandato anche a loro, per le domande e i chiarimenti si usano le ferramenta del
programma, che il professore non sa usare e quindi partecipa sua moglie,
professoressa universitaria anche lei, ma di lettere. Dopo le presentazioni di
prassi e qualche minuto di lieve e normale imbarazzo, si fanno commenti
incrociati sullo scarso invecchiamento del professore, sull’immutata bellezza
di Mariana, sul malcelato maschilismo del professore, sull’eleganza
incravattata di Giulio, sulla simpatia e pazienza di Luisella, che è anche
bella, da giovane era una vera e propria miss, ma meno paziente e simpatica,
secondo il professor Adriano, ovviamente lei non è d’accordo. Poi ecco che si
comincia.
Prof:
do per scontato che quello che ho già detto a Mariana non ci sia bisogno di
ripeterlo. Quindi: mentre l’animale reagisce istintivamente a un ambiente
circoscritto, l’uomo si caratterizza per un’insicurezza istintuale e quindi per
un comportamento istintualmente non determinato. In questo senso è stato detto
che l’uomo è un essere «aperto al mondo» (Max Scheler), «eccentrico» (Helmuth
Plessner), capace di auto-trascendersi.
Mar: ma c’è una qualche differenza
tra istintuale e istintivo?
Prof:
sì e no, istintuale significa dell’istinto o degli istinti (diciamo
soprattutto nel linguaggio della psicanalisi): la sfera
istintuale; sviluppo istintuale; conflitto istintuale. Istintivo
invece ha un uso diverso, tipo: una reazione istintiva, una persona molto
istintiva, un carattere piuttosto istintivo… vi è chiaro ora?
Giu: mi pare di sì.
Mar: sì, chiarissimo.
Lui: sì, va bene.
Prof:
Luisella per favore, non c’è bisogno che tu risponda, tu sei qui solo per aiutarmi
a usare Skype!
Lui: lo so, ma sennò mi annoio,
cerco di capire anch’io le cose, no?
Prof:
Hai ragione, non ci avevo pensato e me ne scuso.
Ma
torniamo piuttosto a noi:
Ecco
le differenze nella costituzione corporea: il tratto esteriore più vistoso è la
postura eretta, che è il presupposto fondamentale per avere una visione
complessiva del mondo circostante e un rapporto distanziato con l’ambiente,
nonché l’andatura bipede, che ha consentito di liberare le mani dalla
deambulazione e trasformarle in strumento fondamentale per adempiere funzioni
specificamente umane (produzione di attrezzi e opere d’arte). Una seconda
caratteristica che diversifica l’uomo dalle scimmie antropomorfe, è la presa di
precisione, cioè la capacità che solo l’uomo ha di toccare con il polpastrello
del pollice i polpastrelli di tutte le altre dita e quindi di poter eseguire
gesti delicatissimi (cucire, plasmare, lavorare “di fino”). Una terza
caratteristica esteriore peculiare dell’uomo è la sua rada peluria (il
«mammifero senza pelo» o la «scimmia nuda»), ovvero la sua pelle nuda e liscia
che lo costringe a fabbricare e a indossare dei vestiti per scaldarsi, ma gli
consente altresì di manifestare una particolare forma di affettuosità: l’accarezzarsi.
In quarto luogo gli organi esterni dell’uomo mostrano una minore
specializzazione rispetto a quelli degli animali, determinando la sua inferiorità.
L’uomo non ha organi di combattimento (dentatura da rapace, corna, zoccoli),
mentre i suoi organi di senso sono deboli e il suo movimento è lento e pesante.
Per questo Arnold Gehlen lo ha definito l’«essere carente». Ma queste carenze
sono appunto il presupposto perché egli faccia opera di adattamento e di
compensazione (tramite la tecnica). In quinto luogo, per quanto concerne
gli organi interni, a distinguere in particolare l’uomo dall’animale è la
laringe, ovvero il suo abbassamento con il conseguente collegamento tra le vie
respiratorie e quelle alimentari. Ciò ha permesso che si sviluppasse una cavità
faringea liberamente deformabile, che è il presupposto perché l’uomo emetta
suoni articolati e sviluppi il suo linguaggio verbale. Ciò che distingue in
maniera decisiva gli uomini dagli animali, per quanto concerne gli organi
interni, è però il cervello, che è tre volte più grande (1.400 cm ca.), più
pesante (1.300 gr ca.) e più differenziato (100 miliardi di neuroni e sinapsi)
rispetto a quello di uno scimpanzé – la scimmia più intelligente e più vicina
all’uomo. Il cervello, che è l’organo più sviluppato dell’intera natura
organica, è infatti il presupposto per ciò che di più alto l’uomo possiede: lo
spirito, con tutte le sue facoltà intellettuali.
Giu: qui potrei esprimere i miei
dubbi?
Prof:
certo, ma sono gli stessi che abbiamo anche noi, credo.
Giu: penso di sì, che c’è una
grande differenza tra individuo e individuo, forse gli animali hanno meno
differenze tra di loro?
Prof:
direi di sì, anche se poi ci sono molte più differenze di quelle che noi
normalmente possiamo percepire, ma si esprimono assai meno, non parlando e
seguendo più l’istinto che il ragionamento…
Giu: è vero.
Prof:
per quanto concerne le differenze comportamentali rispetto all’animale, l’uomo
non ha un legame istintuale con l’ambiente. L'ho
già detto questo, ma meglio ripetere. Mentre l’animale reagisce istintivamente
a un ambiente circoscritto, l’uomo si caratterizza per un’insicurezza
istintuale e quindi per un comportamento istintualmente non determinato. In
questo senso è stato detto che l’uomo è un essere «aperto al mondo» (Max
Scheler), «eccentrico» (Helmuth Plessner), capace di auto-trascendersi.
Lui: Adriano, forse sarebbe meglio
specificare qui il verbo trascendersi.
Prof: subito:
esistere al di fuori o al di sopra della realtà sensibile; sorpassare un certo
limite della conoscenza o della realtà. "Dio trascende il mondo". Va
bene?
Lui: sì.
Prof:
questa sua eccentricità o apertura è, d’altra parte, il presupposto per
qualcosa che soltanto l’uomo possiede: una ragione capace di rivolgere il suo
interesse a qualsiasi cosa. In secondo luogo l’uomo si distingue dagli animali
perché non ha blocchi istintuali, ovvero perché i suoi istinti non vengono
regolati o impediti dall’istinto. Non a caso manca di misura nell’appagamento
del piacere (mangiare e bere; sessualità) e nell’aggressività (distruzione
pianificata di esseri della stessa specie e distruzione pianificata di sé
stesso). La mancanza di limiti pulsionali istintuali è, tuttavia, a sua volta
il presupposto per qualcosa che soltanto l’uomo possiede: la libertà d’azione.
Avete notato che gli animali sono molto più prevedibili?
Mar: ma anche le persone più
semplici, più ignoranti, sono più prevedibili.
Prof:
infatti, allora sono più simili agli animali. Invece una persona più istruita è
più complicata, meno prevedibile, più difficile da governare, se non ha una
filosofia valida magari diventa troppo sensibile e non sa come dominarsi, non
conosce sé stessa, tutto attorno è mistero e paura, finisce per far male a sé
stessa e agli altri.
Tutto
questo approssimativamente, in generale, non è sempre così, anche l’essere
umano più semplice è molto più complesso di un animale. E anche tra gli animali
ci sono grosse differenze tra un delfino e un topo, per esempio, eppure sono
tutti e due mammiferi, ma anche tra una mucca e una pecora, mammiferi che
vivono più o meno nello stesso ambiente.
Il
mondo è complicato assai, insomma, che ci volete fare? Da tempo stanno cercando
di scoprirne un altro, ma anche se ci riuscissero…
Per
tornare a noi un terzo tratto comportamentale che distingue l’uomo dall’animale
è la sua capacità di ridere e piangere. Il riso e il pianto sono
«reazioni-limite» (Helmuth Plessner) proprie solo dell’uomo, in cui trovano
espressione corporea moti o eccitazioni interiori. Questa capacità di reazione
corporea è però il presupposto per la vita sentimentale specificamente umana.
Per
quanto concerne le differenze nello sviluppo, l’uomo si distingue da altri
mammiferi a lui simili per la totale mancanza di autonomia nel primo anno di
vita: si può dire che l’uomo lasci prematuramente (circa un anno in anticipo)
il corpo della madre, ovvero viva una «primavera extrauterina» (Adolf
Portmann). In quanto non può né muoversi, né trovare alimenti da solo, il
lattante, nella sua impotenza, non può fare a meno, per sopravvivere, della
madre (o di una persona sostitutiva). Questo «anno di utero sociale» si evolve,
però, in un «contatto sociale obbligatorio»: dopo aver imparato a stare seduto,
a stare in piedi e a camminare, il bambino ha infatti bisogno del rapporto con
altri uomini per appropriarsi del linguaggio tipicamente umano. Tutto ciò
mostra che l’uomo è un essere sociale, il quale ha bisogno di amore e
dedizione. In secondo luogo l’uomo si distingue dall’animale, perché ha un
periodo di maturazione molto più lungo. Il suo complessivo processo di sviluppo
è infatti molto lento: diventa sessualmente maturo molto tardi (13-16 anni) e
raggiunge la sua forma corporea definitiva solo dopo il periodo della pubertà
(16-18 anni), che ha solo lui. In particolare, però, sviluppa le sue tipiche
facoltà psichiche e spirituali solo gradualmente e solo con l’aiuto di altri
uomini. Questo processo di formazione mostra che l’uomo ha bisogno di
educazione e insegnamento e, quindi, di essere guidato e diretto dall’esterno.
In terzo luogo l’uomo si distingue dagli altri mammiferi a lui simili per la
sua longevità, in quanto ha una durata di vita che è circa il doppio di quella
delle grandi scimmie. Per quanto il declino fisico dell’uomo sia simile a
quello delle scimmie, l’uomo anziano presenta dei tratti affatto particolari: sul
piano spirituale mostra una individualità più accentuata, una personalità più
spiccata, nonché una saggezza e una posatezza che gli derivano dal tesoro di
esperienze fatte e più volte messe alla prova durante la vita. L’uomo è cioè un
essere personale che vive di tradizioni e quindi ha bisogno di un contatto tra
le generazioni.
Sulla
base dei più recenti risultati della biologia i confini tra animale e uomo si
fanno però sempre più labili, anzi sembrano addirittura scomparire: ciò che
prima era considerato puramente umano, lo si ritrova in sintesi anche negli
animali; ciò che prima era considerato meramente animale, lo si ritrova
adesso in sintesi anche negli uomini. Si pone dunque il problema se esistano
delle differenze qualitative o essenziali tra uomini e animali. Secondo Adolf
Portmann, tre cose distinguono l’uomo dall’animale («triade umana»): lo stare
in piedi, il parlare e il pensare. Dato che però lo stare in piedi può essere
considerata una differenza graduale, si può dire che a segnare la fondamentale
differenza dell’uomo dagli animali sia soprattutto la sua spiritualità, che si
manifesta nella razionalità (intellezione e autocoscienza), nella volontà
libera (decisione e responsabilità), nel linguaggio verbale, nonché nella
cultura e nella religione.
L’intellezione,
come comprensione di nessi sensati, si ritrova anche negli animali (uso degli
strumenti da parte degli scimpanzé). Peculiare dell’uomo è però la facoltà di
riflettere su di sé, cioè di spostare l’attenzione dagli oggetti del mondo esterno
all’Io e alla sua attività e, quindi, di interrogarsi su sé stesso e di
prendere distanza da se stesso. L’uomo è autocoscienza. Al contempo, però,
l’uomo non è istintualmente vincolato alle sue pulsioni, ma può, a suo piacere
o a suo arbitrio, seguirle o contravvenire coscientemente ad esse. Inoltre può
scegliere tra diverse sollecitazioni, mentre l’animale segue solo la
sollecitazione più vicina o più forte. L’uomo è volontà libera.
Mar: tutto questo parlando in
generale, perché si vedono tanti comportamenti in giro che contraddicono questa
sua teorica libera volontà, non so se sono cose più moderne o se sono sempre
esistite.
Prof:
sono sempre esistite, ma ora c’è un monitoramento continuo e anche
opportunista, un controllo strumentale attraverso i media del comportamento
umano, non sempre onesto e spesso con propositi addirittura politici. Quindi si
nota molto di più e se ne parla sempre di più, ma si dicono tante cose false e
tendenziose, se ne ignorano sistematicamente altre più importanti che non servono
al mercato, né alla politica, se ne nascondono altre ancora che potrebbero
aprire troppo gli occhi al gregge che deve essere manipolato sempre e comunque.
Va da sé che complicandosi progressivamente di più anche la vita umana, più si
cerca di sfuggire ai meccanismi e alle automazioni da schiavi moderni dei media
e di altre trappole infernali, più ci si casca dentro e non se ne esce più.
Comunque:
la spiritualità umana si manifesta, poi, esteriormente nel linguaggio verbale o
concettuale. Anche gli animali comunicano tramite dei suoni (gli scimpanzé, ad
esempio, dispongono di 23 suoni), ma si tratta solo di suoni istintuali fissi
(gridi d’allarme o di richiamo) che rappresentano sempre delle reazioni a (o
indicazioni circa) qualcosa di presente e reale. Già quanto ai suoni, invece,
il linguaggio umano è un insieme unico di consonanti e vocali che gli
scimpanzé, nonostante numerosi esperimenti, fanno fatica a imitare. L’elemento
che distingue gli uomini dagli animali è, però, soprattutto l’uso di parole che
traducono concetti astratti in una serie di suoni. Tali parole, infatti, sono
dei segni (o simboli), che fanno astrazione da una determinata situazione
ambientale o dalla presenza diretta dell’oggetto significato, per cui non solo
sono sempre disponibili, ma possono indicare anche qualcosa di assente, di
passato o di futuro. La capacità di parlare una determinata lingua non è, però,
un dato istintivo e innato, bensì è il risultato della sua trasmissione da
parte di un gruppo sociale. In questo senso l’uomo è anche un essere che vive
di tradizioni. Infine, dato che il linguaggio verbale rende possibile la
mediazione di capacità, esperienze e saperi, ogni uomo può fare da maestro ad
altri. L’uomo è quindi anche un essere che insegna e che impara. Dato che
l’uomo può memorizzare, tramite concetti, cose ed esperienze non più presenti,
l’uomo è anche un essere che ricorda.
La
spiritualità dell’uomo si oggettiva infine nella cultura e nella religione.
Mentre l’animale riesce a manipolare la materia solo in misura limitata e
istintualmente determinata (costruzione del nido, costruzione del favo),
l’uomo, grazie alla sua ragione e alla sua libertà, è in grado di modellare la
materia in modi sempre nuovi, nonché di trasformare radicalmente l’ambiente
circostante, producendo quella che chiamiamo una «cultura». «L’uomo è per
natura un essere culturale» (Gehlen). Si pensi a tutto quello che l’uomo è in
grado di fare a differenza degli animali: non c’è animale che usi il fuoco; che
progetti o utilizzi delle armi artificiali; che si dia al commercio; che
inventi e costruisca delle macchine, che dipinga e scolpisca; che componga o
faccia musica con degli strumenti; che scriva o abbia dei libri, che vada a
scuola, che faccia scienza, che abbia tribunali giudicanti, che sviluppi
medicine in grado di curare i suoi simili.
Un’ultima
caratteristica che distingue l’uomo dagli animali è la sua religiosità, cioè il
fatto che lui coltivi (o affermi di coltivare) un rapporto con potenze
spirituali più alte, con qualcosa di Divino o con Dio. È quanto dimostrano già
molti reperti risalenti alla preistoria: oggetti di culto, tracce di offerte
votive o di riti sacrificali, pitture parietali, come pure i libri di preghiere
stesi dopo la scoperta della scrittura. L’uomo è un essere religioso.
Inoltre,
mentre gli animali non si occupano della morte di altri esemplari della loro
specie, l’uomo fin dalla preistoria seppellisce i defunti.
Infine
mentre l’animale ha un orizzonte istintualmente vincolato all’ambiente
immediatamente circostante, l’uomo ha la capacità, grazie al suo spirito
infinitamente aperto, di andare col pensiero addirittura al di là di tutto ciò
che è visibile. Il fatto che gli uomini (già nella preistoria) deponessero
nelle tombe accanto al morto determinati oggetti (cibi, ornamenti, attrezzi,
armi) dimostra chiaramente come gli uomini abbiano sempre creduto a una vita
dopo la morte.
Abbiamo
visto che una delle peculiarità dell’uomo è la mancanza di misura
nell’appagamento dei propri bisogni e della propria aggressività. Tuttavia, al
contempo, l’uomo è anche l’unico essere vivente che possiede una coscienza
morale, che gli consente di distinguere tra bene e male e quindi di agire in
maniera responsabile. In realtà tra questi due aspetti dell’esistenza umana non
c’è affatto contraddizione, anzi, l’etica implica la distruttività e questa
implica quella. Se le azioni dell’uomo non fossero libere, non gliele si
potrebbe imputare e quindi non ci sarebbe bisogno di un’etica. L’aggressività
umana avrebbe, infatti, la stessa «innocenza» dell’istintuale aggressività
animale. Tuttavia non solo l’uomo è libero (ovvero non è rigidamente
determinato dagli istinti), ma manca anche di misura nell’appagamento dei
propri bisogni e della propria aggressività, per cui ha bisogno di un’etica che
non solo metta un freno alla sua smisuratezza, impedendogli di danneggiare
irrimediabilmente sé stesso e la propria specie, ma gli consenta altresì di
distinguere tra bene e male, tra lecito e illecito. Non a caso l’immagine che
la storia e l’esperienza ci offrono dell’uomo è tragica e contraddittoria, in
quanto caratterizzata da un’enigmatica e inquietante complementarietà di bontà
e malvagità, virtù e vizio, moralità e immoralità, innocenza e colpa, altruismo
ed egoismo, amore e odio. L’uomo è una sorta di Giano bifronte, in cui i
crimini, gli omicidi, le vendette, le torture, i massacri, le guerre e i
genocidi fanno da contraltare ad atteggiamenti di segno opposto: la pietà, la
disponibilità al perdono, l’abnegazione a favore di chi ha bisogno d’aiuto, l’idea
di fratellanza universale.
Tuttavia
in lui la malvagità aggressiva e distruttiva sembra in ultima analisi prevalere
sulla bontà. Anzi, in virtù della sua particolare crudeltà, efferatezza,
ferocia e gratuità, la malvagità dell’uomo può senz’altro essere considerata
una delle caratteristiche che maggiormente lo differenziano dagli altri
animali, che uccidono solo per difendersi o per alimentarsi: «L’uomo si
differenzia dagli animali per il fatto che è un assassino. Egli è l’unico
primate che uccida e torturi membri della propria specie senza motivi biologici
o economici e che provi soddisfazione nel farlo». E in effetti è difficile
parlare di «nobiltà» o di «dignità» dell’uomo, laddove si considerino le
violenze, i crimini, le uccisioni, i sacrifici rituali, gli stupri, gli abusi
sui bambini, i genocidi, di cui egli si è reso responsabile nel corso della
storia: «Da un lato l’uomo è affine a diverse specie animali, poiché combatte i
propri simili. Ma dall’altro egli, fra le migliaia di specie in lotta, è l’unico
che combatta per distruggere […] La specie umana è l’unica che pratichi
l’omicidio di massa». Ora è noto che, secondo l’ultimo Freud, la violenza
distruttiva dell’uomo ha radici profonde nella sua psiche, dove si agitano al
contempo pulsioni unitive (Eros) e distruttive (Thanatos). Non a caso la
pulsione di morte [Todestrieb] può esplodere a ogni istante, anche per delle
quisquiglie, per esempio: nei nostri desideri inconsci noi sopprimiamo ogni
giorno, e ad ogni ora del giorno, tutti quelli che si trovano sul nostro
cammino, che ci hanno offeso o danneggiato […] Il nostro inconscio uccide anche
per delle piccolezze; come l’antica legislazione ateniese di Dracone, esso non
conosce per i delitti altra punizione che la morte, e questo con una certa coerenza
logica, dato che ogni torto recato al nostro onnipotente e autocratico Io è in
fin dei conti un crimen
laesae maiestatis.
Giu: che ti avevo detto?
Mar: niente, le solite cose che
avevo già ammesso prima, ma c’è da star male lo stesso.
Prof:
in effetti, senza le pulsioni omicide che si agitano nel nostro inconscio,
risulterebbe incomprensibile la perentorietà dell’antico comandamento biblico
«non uccidere». Tuttavia l’uomo è un essere che non solo è spesso preda di
un’incredibile brama di distruzione (Todeslust), ma che si compiace altresì
intimamente dell’altrui sofferenza. Ora, il fatto di provare un sadico piacere
nell’assistere alla tortura e all’uccisione di altri uomini è qualcosa che non
si osserva negli animali – anche se poi, a proposito di certi
comportamenti, gli uomini (paradossale ironia!) parlano di bestialità e
disumanità.
L’uomo
si distingue inoltre dagli animali per la sua capacità di odiare i suoi simili.
In lui, infatti, all’amore per i membri del proprio gruppo, del proprio clan, della
propria famiglia, fa spesso da contraltare l’odio per gli «altri», per i
«diversi», per gli «stranieri». Ora, questo sentimento – sia esso di tipo
nazionalistico, etnico, religioso, razziale o di classe – è di per sé
fondamentalmente annientatore, essendo espressione di un forte bisogno
d’identità, spesso non negoziabile neppure in cambio di vantaggi economici e
politici. L’odio – passione costitutivamente relazionale, in quanto ha bisogno
di qualcuno o qualcosa contro cui rivolgersi, nella duplice forma della
repulsione (oggetto da cui sfuggire) e dell’avversione (oggetto da combattere)
– non è tuttavia irrazionale, incoerente o cieco in ogni sua manifestazione
(come mostrano molto bene le politiche concentrazionarie dei nazisti tedeschi e
dei comunisti sovietici), bensì trova nutrimento col tempo e può quindi essere
durevole, lento e capace di trovare delle ragioni al suo crescere, soprattutto
laddove si coniuga con la convinzione vittimistica degli individui o dei gruppi
di aver subito dei torti o delle ingiuste discriminazioni (come mostrano i
massacri dei khmer rossi e gli attentati suicidi degli islamici). L’odio poi
cresce con l’insicurezza, con la sensazione di essere minacciati o accerchiati,
umiliati o disprezzati e si manifesta come faziosità, volontà di separarsi
nettamente dal proprio nemico o come paranoico eccesso di legittima difesa,
fino diventare sentimento gelido di rivalsa e distruzione.
Tutto
chiaro fin qui?
Giu: tutto!
Mar: purtroppo…
Lui: anch’io ho capito bene.
Prof:
ottimo! Poi l’uomo si distingue ancora dall’animale per 1) la sua capacità di
compiere dei democidi, cioè di massacrare intenzionalmente intere popolazioni
nell’ambito di guerre esterne o interne (ex-Jugoslavia, Cecenia) o di violente
trasformazioni rivoluzionarie (Unione Sovietica, Cambogia), nonché di
pianificare dei genocidi, cioè di motivare politicamente e organizzare
burocraticamente la distruzione di un gruppo etnico (Armenia e Shoah);
2)
per la sua disponibilità a ricorrere alla tortura (Cile, Argentina), a organizzare
campi di concentramento, in cui alla prigionia e alla tortura si aggiunge il
lavoro forzato (Cina, Birmania, Corea), a ricorrere ad azioni suicidarie per
uccidere altre persone (Jihad islamica).
In
realtà il genocidio non è una novità della storia più recente – anche se la
barbarie moderna si distingue per l’impersonalità, il non-coinvolgimento
emotivo, la distanza tra l’esecutore e la vittima. Di gesta genocidarie
(connesse a odi religiosi, guerre di conquista e/o di colonizzazione) è
costellato quel lugubre «torchio» o «mattatoio» che è la storia umana. Si pensi
alle devastazioni e alle deportazioni perpetrate non solo contro gli ebrei, ma
anche dagli ebrei (in nome della gelosia divina, della qinah Yahweh) di cui dà
notizia l’Antico Testamento, alla politica espansionista dell’impero romano
(Cartagine e Numanzia), alle persecuzioni religiose dei cristiani da parte dei
romani e degli eretici da parte dei cristiani (una volta raggiunto il potere),
alla conquista del nuovo mondo da parte delle potenze «cristiane» europee, alla
caccia alle streghe, alla marginalizzazione, discriminazione, espropriazione,
segregazione, ghettizzazione, espulsione, deportazione di sempre nuovi «capri
espiatori» (ebrei, eretici, folli, lebbrosi, ecc.), accusati di presunte
cospirazioni. Inoltre vale la pensa sottolineare che democidi-genocidi sono
stati messi in atto non solo in epoca coloniale, ma anche in epoca
postcoloniale, a dimostrazione che le vittime di ieri imparano sempre
rapidamente a mettere in atto le arti della repressione e della distruzione
apprese dai loro persecutori.
L’individuo
si distingue poi dagli animali anche per la sua brama di autodistruzione (cupio
dissolvi), che fa da enigmatico controcanto alla sua immensa brama di vivere
(immensa vivendi cupiditas).
Infine,
anche prescindendo dalla particolare violenza, efferatezza e gratuità con cui è
pronto e disposto a uccidere e distruggere, l’uomo si distingue dagli altri
animali altresì per tutti quei comportamenti «amorali» (vizi o peccati
capitali) fatti ripetutamente oggetto di analisi e di critica da parte dei
padri della chiesa greca e latina (e non solo) e richiamati in modo nuovo e
originale dal Mahatma Gandhi in un celebre testo del 1925: «ricchezza senza
lavoro; piacere senza coscienza; sapere senza carattere; affari senza morale;
scienza senza umanità; religione senza disponibilità al sacrificio; politica
senza principi».
Ma
da dove proviene la malvagità umana? Dai suoi istinti animali, dalle sue
pulsioni naturali (Hobbes)? Oppure dall’influsso della società, dallo sviluppo
della cultura, dal predominio della ragione (Rousseau)? Ma se l’uomo è
malvagio, aggressivo, distruttivo per natura, il bene è dunque solo il prodotto
della cultura umana (Huxley)? O non è forse vero il contrario, e cioè che il
bene ha le sue radici ultime proprio nei nostri istinti naturali, mentre il
vero male è solo un prodotto della civilizzazione umana (Kropotkin)?
L’autentica moralità si manifesta solo nel superamento di propensioni naturali
che sono dentro di noi? Oppure ciò che definiamo moralità, pur essendo propria
solo dell’uomo in quanto essere libero e responsabile, asseconda soltanto
alcune nostre inclinazioni naturali (Darwin)? È possibile che l’uomo sia
costruito per natura in modo così sbagliato da dover continuamente combattere
(per agire in modo buono e giusto) contro le sue stesse inclinazioni (Herder)?
Oppure è la malvagità a essere in contrasto e in conflitto con la natura
dell’uomo, che per sua essenza è buona (come affermano da sempre i teologi)? È
proprio vero che, se venisse meno lo strato di civiltà che copre e tiene a
freno i nostri istinti, saremmo tutti delle bestie egoiste, brutali e senza
scrupoli e che in tal caso la nostra unica legge sarebbe la biologia invece
della cultura? Non dobbiamo invece «tornare alla natura» (Lorenz) per ridare
una «misura» alla nostra aggressività? Ma è proprio vero che l’uomo dispone per
natura di una base morale che è stata solo stravolta da un eccesso di
razionalità e di smania di affermazione sociale, ovvero deformata da una
civilizzazione degenerante della natura dell’uomo? Oppure quanto vi è di
naturalmente istintivo in noi rappresenta la sostanza del male e il
discostarsene definitivamente, avendo per obiettivo un’autentica umanità,
costituisce il nostro fondamentale impegno morale? Il male non è forse qualcosa
di «ordinario» nella natura? Ma poi: è veramente possibile misurare la natura
con metri morali? Non è vero invece che la natura non è né buona, né malvagia,
ma moralmente indifferente?
Certo
nel mondo animale esistono anche comportamenti «similmorali », «analoghi alla
morale», come l’altruismo e la solidarietà. Ma non è forse vero che, nel mondo
animale, determinati comportamenti altruistici e collaborativi derivano in
realtà da pulsioni egoistiche, difensive, destinate a ottimizzare la fitness?
Non è forse vero che anche l’uomo (al pari degli animali) si mostra
collaborativo laddove è esposto ai pericoli provenienti dalla natura esterna e
quindi ha bisogno dell’aiuto degli altri per sopravvivere? Ma, anche ammesso
che negli animali la collaborazione e la solidarietà all’interno di un gruppo
siano dati di fatto non semplicemente riconducibili all’interesse per la
fitness della specie, non è forse vero che gli animali sono collaborativi
con i propri parenti o con quelli del loro gruppo, ma non lo sono altrettanto
con gli estranei? Non esiste quindi già nel mondo animale quella «doppia
morale» («nepotismo») che ritroviamo nella vita umana? Che cos’è che indirizza
e governa il comportamento degli animali e dell’uomo? L’interesse del singolo
individuo in lotta con altri individui? O l’interesse del clan, del gruppo,
della famiglia a favore del quale l’individuo può anche arrivare a sacrificare
sé stesso? O l’egoismo genetico che ci spinge non solo a difendere noi stessi,
ma anche i nostri parenti, che hanno lo stesso patrimonio genetico?
Comunque,
a prescindere dal fatto che i comportamenti «analoghi alla morale», che
possiamo osservare nel mondo animale, siano dovuti a un egoismo (genetico,
individuale, comunitario) di fondo o abbiamo invece un’origine non egoistica
(Frans de Waal), certo è che sia i comportamenti altruistici sia i
comportamenti egoistici osservabili presso gli animali, si ritrovano nell’uomo
in misura estremamente potenziata. Inoltre nell’uomo gli esempi di grande bontà
sono rari, mentre gli esempi di estrema malvagità sono molto frequenti. Quindi:
l’aggressività particolarmente distruttiva e malvagia tipica dell’uomo è
riconducibile a pulsioni innate nell’uomo o a precise condizioni sociali?
Secondo
Sigmund Freud, ad esempio, nell’uomo esiste per natura una pulsione di morte
che può manifestarsi in forma distruttiva o autodistruttiva. L’aggressività
umana, quindi, non è per lui una reazione a degli stimoli provenienti
dall’esterno (capaci di provocare frustrazione, angoscia e quindi
distruttività), ma è un impulso «idraulico», radicato nell’organismo umano, che
cerca sempre l’occasione propizia per scaricarsi. Analogamente, per Konrad
Lorenz e i suoi scolari (come Irenäus Eibl-Eibesfeldt), l’aggressività è una
pulsione innata, programmata filogeneticamente, che l’uomo ha in comune con gli
altri animali e che viene alimentata da una fonte di energia in continuo
scorrimento all’interno dell’organismo. Il comportamento aggressivo dell’uomo
non è, però, un vero e proprio male, secondo Lorenz, in quanto ha
originariamente una funzione «adattiva», è cioè originariamente al servizio
della sopravvivenza dell’individuo e della specie.
Giu: vedi? E io te l’avevo detto!
Mar: lo sapevo anche prima che me
lo dicessi tu! Ma questo non cambia niente!
Prof:
che cosa?
Giu: no, niente. Questa storia
dell’aggressività non proporzionata alle attuali sollecitazioni!
Mar: non è che io neghi queste
cose, intendiamoci, è quando le appiccica addosso alle singole persone, quando
gli fa comodo, che non sempre io sono d’accordo. Mi pare quasi che faccia della
propaganda politica, come fanno ora in Italia, o anche nel resto del mondo
occidentale, invece di portare le proprie ragioni, è facile sbandierare i
difetti degli altri, solo per cambiare discorso, per sviare l’attenzione, o per
dire che gli altri sono peggio…
Risata sardonica e nervosa di
Giulio, poi degli altri, un po' più indecisi.
Prof:
beh, senza entrare nel dettaglio, che avere un codice personale di
comportamento è già difficile, ma poi rispettarlo nei singoli casi è una sfida
proibitiva, più facile è pensare una cosa, dirne un altra e farne un'altra
ancora. Il livello di autocritica di una persona, cosa rara e in
estinzione, perennemente portata verso
lo squilibrio, ne stabilisce poi il grado di correttezza con il quale riesce a
mantenersi nella routine di ogni giorno.
Tornando
a noi, non a caso l’aggressività animale ha subito una ritualizzazione che le
ha fatto perdere la sua potenzialità distruttiva, ovvero tende a manifestarsi
(trasformarsi) in una serie di minacce simboliche che adempiono la stessa
funzione senza danneggiare la specie. Secondo Lorenz, però, con lo sviluppo
della civiltà questo «cosiddetto male» è degenerato in distruttività aperta e
ingiustificata. Infatti l’uomo civilizzato, discostandosi (per influsso della
cultura) dalla sua natura originaria, ha finito per vanificare questi
meccanismi «adattivi», producendo quella decadenza della «morale» naturale, cui
la morale razionale dell’uomo civilizzato dovrebbe adesso sopperire. La
pulsione che nell’animale serve alla sopravvivenza, nell’uomo si è trasformata
in minaccia distruttiva. Di qui la necessità per l’uomo civilizzato di «tornare
alla natura» come fonte di norme morali, ovvero di scaricare la propria
aggressività «innaturale» (quale si manifesta nelle guerre, nel crimine e in
tutte le modalità di comportamento distruttive e sadiche) in forma non
distruttive (ad es. competizioni sportive). Infatti non è per niente salutare,
sia per Freud sia per Lorenz, che l’uomo non riesca a scaricare praticamente la
propria aggressività. Erich Fromm distingue, invece, «due tipi completamente
diversi di aggressione»: un’aggressione buona e un’aggressione malvagia.
L’aggressione «buona» o «difensiva» è l’impulso, programmato filogeneticamente,
di attaccare (o di fuggire) quando siano minacciati degli interessi vitali.
Questo impulso, che è comune a uomini e animali, è al servizio della
sopravvivenza dell’individuo e della specie (è cioè biologicamente adattiva) e scompare
quando cessa la minaccia. L’aggressione «malvagia» o «distruttiva» non si
scatena invece come reazione a un’aggressione esterna, ma senza alcuna ragione
e senza alcuna occasione. Ciò a cui mira questa aggressione distruttiva (che è
propria solo dell’uomo, non dell’animale) è uccidere in maniera crudele e
spietata. Come tale, essa non è programmata filogeneticamente e non è
funzionale ad alcuno scopo (cioè non è biologicamente adattiva). E tuttavia, se
soddisfatta, procura piacere e voluttà. Il fatto è che, mentre l’aggressione
buona è innata (è una pulsione organica), l’aggressione malvagia ha la sua
radice nel «carattere» umano, che per Fromm è «la seconda natura dell’uomo, il
sostituto dei suoi istinti scarsamente sviluppati», la compensazione per i suoi
istinti atrofizzati. Non a caso, quanto più il processo di civilizzazione
spegne gli istinti, tanto più alto diviene il grado della distruttività umana.
Lui: Adriano le facciamo le
relative conclusioni finali? Noi a dire il vero saremmo ancora a stomaco vuoto…
Giu: come? Non avete mangiato?
Lui: no, sono andata a fare la
spesa e quando sono tornata Adriano mi ha messa qui a lavorare, più
silenziosamente possibile ho sgranocchiato qualche nocciolina, ma c’ho una fame
dannata e ancora tutta la spesa nei sacchetti, se stavo qui non potevo certo
cucinare…
Mar: ma sì, lo sappiamo che il
professore è un inguaribile dittatore, maschilista e tutto, ma non avete niente
da riscaldare? Qualche avanzo del pranzo…
Prof:
solo che a pranzo abbiamo mangiato gli avanzi di ieri sera… io non dico di
essere anche troppo democratico, perché ultimamente è un termine piuttosto
vilipeso, ma possiamo parlarne poi con calma nei prossimi giorni. Comunque per
sigillare la seduta di oggi io dichiarerei, qui lo dico e qui lo nego: forse la coscienza umana è stata
un tragico errore dell’evoluzione. Siamo diventati troppo consapevoli di
noi stessi. La natura ha creato un proprio aspetto che è diventato indipendente
da essa. Per fortuna che intanto siamo diretti verso una rapida estinzione…
Giu:
a me è passata la fame, a dire il vero…
Mar: perché, non le
sapevi già queste cose?
Giu: diciamo che più
che saperle le sospettavo… sentire scientificamente come e cosa siamo è
abbastanza forte, lo ammetterai…
Prof: veramente non avevo ancora finito, perché la doppia morale,
l’ipocrisia sono sempre state la nostra forza, cioè una delle nostre debolezze
più forti. Finora ho parlato in generale, ma noi italiani siamo un popolo dalla
doppia moralità. Amiamo predicare agli altri come ci si deve comportare anche
se è di pubblico dominio che facciamo il contrario. La nostra classe dirigente
ne è un esempio eclatante.
Lasciando perdere i politici (è come sparare sulla croce rossa)
passiamo ai leaders della nostra repubblica. Membri importanti del direttivo
della Confindustria eludono il fisco con una miriade di società basate in stati
stranieri.
Giu: …e i centri di
ricerca privati vengono spostati all'estero e resi società indipendenti per
poter eludere il fisco. E tuttavia questi signori ci fanno sapere che gli
servono aiuti di stato gridando all'italianità in pericolo. Signori che sovente
producono in Cina, incassano in Lussemburgo, dichiarano perdite in Italia,
occupano cariche importanti in patria e usano il made in Italy solo per il loro
marketing. prendono e non danno nulla. Passiamo a noi del popolo.
"Freghiamo" quando affittiamo la casetta per la vacanza in nero.
Quando affittiamo in nero la stanza per il nostro figlio universitario. Quando
compriamo la macchina di importazione parallela, etc... E come i nostri leaders
ci proclamiamo gli unici onesti rimasti nel paese, membri di non si sa che
elite di illuminati. Gli accademici?
Ho sentito alla
televisione un professore che strillava in tv. Diceva che nella sua facoltà (di
sociologia) ci sono 18.000 studenti. Ne portava tre per magnificare i risultati
del suo lavoro. Tutti hanno dichiarato di aver fatto un "master"
postlaurea (probabilmente organizzato dallo stesso accademico) e ora facevano
uno stage con lui (probabilmente sottopagati). Io gli chiuderei la facoltà per
manifesta impossibilità di trovare un lavoro e lo sbatterei fuori dal mondo
accademico per sfruttamento recidivo e premeditato, ma lui si professava
interessato solo al "bene" dei suoi "allievi" e alla sua
"ricerca".
Ricerca? Con 18.000
studenti? Immaginando che gli capitino 70 tesi all'anno, abbia 10 collaboratori
da gestire, senza contare la presidenza della facoltà, la sua attività di
libero professionista e i "master" che fa, dove lo trova il tempo?
Insomma, tutti noi sappiamo quello che dovremmo fare, lo raccontiamo a tutti e
poi facciamo il comodo nostro…
Prof: se lo dice lei che è un broker…
Giu: embè? Io lo so
che non è una categoria tra le più oneste, questo non significa che anch’io sia
così…
Lui: scusate, ma io c’ho
sempre più fameeeee!
Mar: seduta chiusa, mi
pare, io vedo già gente in piedi, ci incontriamo la prossima settimana?
Prof: basta fissare il giorno.
Lui: la prossima volta farai da
solo, spero.
Prof:
ma come, ci vuoi abbandonare?
Mar: signora, la prossima volta ci
sarà il dibattito, sarà più interessante!
Giu: anch’io la prossima settimana
sarò via per il congresso.
Mar: ah, non ti vuoi confrontare!
Giu: ma se sono sei mesi che
abbiamo già prenotato l’hotel a Padova!
Mar: io vorrei sapere di cosa
parlate a questi congressi, state a giornate al telefonino, avete ancora
qualcosa da dirvi?
Giu: ecco, perché non vieni anche
te? Ti ho sempre invitato, mi pare!
Lui: ho sempre più fameeee…
Fonti delle notizie:
serie televisiva TRUE DETECTIVE
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