sabato 25 luglio 2020

L'UOMO QUESTO SCONOSCIUTO




Un interessante scambio di e-mail si registra nella prima quindicina del mese di luglio 2020 tra Mariana Tivoli e Adriano La Sacca.

Le e-mail sono passate di moda, ora tutti usano Facebook, Twitter, Istagram eccetera. Ma l’unica maniera che ho per comunicare con lei, professor Adriano, è il vecchio ma efficace letterone elettronico, da quando ha cambiato città e non so se la disturbo a telefonarle.
Un abbraccio Mariana Tivoli da Farneta, Lucca


Hai ragione, ma tu non mi disturbi mai, confesso che già l’e-mail per me è troppo moderna. Come stai, bella gioia? Io sto bene, mia moglie anche e i miei figli, quando li vedo, mi pare che stiano bene anche loro, i quali cercano di nascondermi ogni cambiamento, chissà perché? Che pensino che io sia troppo protettivo e palloso? Ma quando mai? Poi ho anche due cani, un gatto, due pesci rossi e una tartarughina, che stanno tutti bene, anche se loro, lo dico sempre a Luisella, sono pur sempre in prigionia, lei dice che per lo meno i guardiani, che siamo noi, sono o siamo dei guardiani permissivi e affettuosi, e qui ha ragione, sarebbero potuti capitare molto peggio.
Raccontami cosa fai tu dopo tutti questi anni, anche sommariamente, mi farà solo piacere.
Un abbraccio dal tuo vecchio, ma credo ancora arzillo professor La Sacca Adriano da Udine.


Beh, mi sono sposata, ho due figli, lavoro come una matta, preferisco non dirle cosa faccio di lavoro, almeno per ora, niente a che fare con la mia laurea, comunque. Insomma una storia abbastanza comune, ma la curiosità sul mondo e tutto quello che c’è sopra non mi ha lasciata, se non la disturbo vorrei porle un quesito un po’ pesante, sono convinta che lei lo saprà sicuramente risolvere, ma credo che non sarà in due parole e nemmeno quattro. Intanto le comunico che sono andata a vivere in campagna, io sono cresciuta fuori città e mi garbava troppo, credo anche che sia stata una delle cose migliori che i miei genitori abbiano fatto, quella di farmi crescere tra polli e vacche. Anche a livello di personalità mi ha formato in maniera migliore, credo, di questa gente che si spaventa per qualche pipistrello nei capelli… Insomma era uno dei miei sogni e anche di mio marito, per fortuna, Qui le mando una foto di noi quattro riuniti, cinque col cane, per gli altri animaletti penso che la storia della prigionia, per ora, abbia deciso per noi. Quello che dice sua moglie però è interessante, ci penseremo.

Sei una cosa rara, una bellissima ragazza intelligente e anche simpatica, come se non bastasse, non ti chiedo gli anni che hai, perché sono un gentiluomo, ma fatti i dovuti conti, a partire dall’università più o meno lo so già. Bella foto e la famigliuola anche di più, il cane mi pare enorme, è un Terranova? Spara il quesito, lo liquiderò in poche centinaia di pagine, non ti preoccupare, pare che qui su internet non costino niente. Aspetto trepidante la tua questione.

Lei è sempre stato un po’ maschilista, me ne ero dimenticata, la bellezza comunque, per come sono io, mi è stata più di ostacolo che di aiuto, come lei mi aveva già profetizzato a quei tempi. Il cane è un Terranovone di 43 chili e si chiama Alberto Roberto, ispirato ad un personaggio di un comico brasiliano, al quale non assomiglia per niente, mio marito ha vissuto a Curitiba per diversi anni. Per chiamarlo basta Robbé, che tanto lui non viene e non capisce nemmeno che si parla con lui, o magari fa solo finta, è un tenerone selvaggio e ha deciso che la libertà è importante più di ogni altra cosa, dopo il cibo, naturalmente.
Certo è bello vivere in campagna, o per lo meno una volta lo era, lo sarebbe stato anche oggi, forse.
Però il pratino all'inglese è la maledizione che qualche divinità burlona ci ha scagliato contro negli ultimi anni, le malattie dei pini si sono aggiunte senza essere state chiamate, in più la perpendicolare progressiva e internazionale avversione al silenzio dell'uomo moderno ha condito tutto con meno meditazione e sempre più musica martellante, ogni nuovo tipo di utensile rumoroso, come l’idropulitrice e l’aspirapolvere per le automobili, oltre quelli vecchi e collaudati, come mazze e accette.
Tagliare l'erba una volta era silenzioso o quasi, magari ci volevano più muscoli, ora ci sono eserciti di mostri più o meno grandi, più o meno nemici della quiete e della letteratura, che spento uno ne attacca un altro, ma possono combinare anche insieme i loro rumori infernali.
Oltre il concerto dei decespugliatori e dei trattorini, poi i tronchi di pino vengono incessantemente segati, a primavera e d'estate si comincia all'alba.
Un mio vicino invano promuove e venderebbe delle macchinette tagliaerba che farebbero tutto il lavoro da sole, con calma, senza bisogno di alcuna attenzione. Purtroppo non sono per niente interattive e poi sono troppo silenziose, ma dove vogliono andare? Il prezzo secondo me è sufficientemente alto ma non basta questa attrattiva a renderle appetibili. 
Altri vicini hanno investito in casette qui attorno che affittano agli stranieri. Per andarci e portarci attrezzi e materiali vari hanno comprato dei piccoli, pratici ma soprattutto rumorosi Apecar. Là possono falciare i pratini, segare i pini e fare tutte quelle cose che amano e possano generare frastuono, quando a casa le hanno già ripetutamente fatte.
I pini poi finiranno ma l’erba no, quella ricresce sempre, si spera nel passare di una moda che resiste da anni, ma tutto è possibile. Un detto toscano suggerisce: speriamo in bene, che il male vien da sé.

Sarebbe questo il tuo quesito? Non ho capito bene. Comunque sì, anch’io avevo il tuo sogno, di tornare in campagna, però avevo fatto i conti senza l’oste, cioè senza quelli che in campagna ci sono venuti, sì, ma della pace non gliene frega niente.
L’ambientazione sarebbe quella giusta, il verde che riposa gli occhi e la bellezza della natura circostante ci sono, ma alla musica tonificante si è progressivamente sostituito un continuo rumore da fabbrica, grazie al quale l’uomo moderno non si sente in colpa e gli pare quasi di stare a lavorare, anche se è in pensione, non c’è abituato e ha bisogno di giustificare al capo supremo tutto quell’esagerato relax.
L’uomo moderno è piuttosto prevedibile eppure è incomprensibile, si rilassa facendo le cose stressanti, quelle che una volta erano rigeneranti non se le ricorda nemmeno più, e già che c’è stressa pure chi non è tanto moderno, magari non ha colpa e gli garberebbe, già che siamo in campagna, starsene un po’ in pace, insomma come si faceva una volta.
L’uomo moderno si mette la mascherina in macchina da solo, quando fa il jogging da solo e se fa lavori pesanti in giardino, rigorosamente da solo. Fa dell’ironia mordace se qualcuno al supermercato tira fuori il naso dalla mascherina per respirare, o se gli si appannano gli occhiali.
L’uomo moderno in macchina deve accelerare come un forsennato negli spazi vuoti, non importa se dopo pochi metri si deve mettere in coda in un treno di automobili. La frustrazione intanto si accumula.
Questi però sono dei fatti, anche se la maggior parte della gente li nega ancora, ma qual è la questione che mi volevi questionare?


Non sapevo che anche lei fosse uscito dal suo bellissimo appartamento cittadino, ma visto che ha tutti quegli animali tra i piedi me lo dovevo immaginare. Se ne ha la possibilità mi mandi qualche foto, sa come si fa con il computer?
Cerco di arrivare alla mia dolorosa questione, una in particolare che mi sono posta da qualche tempo, a partire dalle affermazioni di mio marito che dice delle cose, che io all’inizio mi sentivo di negare, ma vedo che forse ha proprio ragione lui.
L’uomo moderno, come si diceva, deve correre in avanti a tutta velocità per recuperare il tempo perduto, anche se non ci crede più, anche se non sa dove andare, non può ammetterlo a sé stesso, non può fermarsi e tanto meno tornare indietro.
L’uomo moderno beve molto caffè. Il caffè più pregiato del mondo, o perlomeno il più costoso, è fatto di cacca. Il caffè Kopi luwak è infatti ricavato dalle bacche di caffè parzialmente digerite e defecate da un curioso animale, uno zibetto, un piccolo mammifero appartenente alla famiglia dei viverridi, simile ad una mangusta. Questo animale, che vive in Cina, Sudest asiatico, Java, Sumatra e altre isole indonesiane e nelle Filippine, si nutre tra l’altro di bacche di caffè senza però digerirle.
Da queste bacche, raccolte dalle feci dell’animale, si ottiene il caffè Kopi luwak che viene venduto a circa 800 euro al chilogrammo, più o meno 12 euro a tazzina. Inizialmente i produttori si limitavano a raccogliere manualmente le deiezioni degli zibetti nei pressi delle piantagioni di caffè, ma nel momento in cui è diventato un affare sono iniziati i guai per questi poveri animali.
Oggi gli zibetti vengono infatti catturati nella foresta, rinchiusi in minuscole gabbie e alimentati forzatamente ed esclusivamente con chicchi di caffè, che in natura costituiscono una parte minima della loro dieta onnivora. Gli animali vengono così privati della libertà e degli spazi naturali, privazioni che comportano malattie, depressione e comportamenti nevrotici.
Di solito gli zibetti vengono sfruttati per tre anni e poi liberati, ma le loro condizioni sono spesso compromesse e molte volte non sopravvivono al rilascio. Oltre alla sorte terribile che tocca agli zibetti, specie già minacciata dalla massiccia deforestazione, anche la qualità del caffè peggiora notevolmente.
In natura gli zibetti praticano una sorta di selezione dei chicchi, prediligono infatti i frutti più maturi che hanno i chicchi più dolci. Questo processo non avviene ovviamente in cattività e gli animali vengono nutriti con chicchi a diversi stadi di maturazione, a discapito del sapore del caffè.
Ci vuole stomaco a bere un caffè ottenuto da escrementi, ma ce ne vuole ancora di più a berlo conoscendo l’orrore che si cela dietro la sua produzione.
Tutto questo è indicativo dell’indifferenza dell’uomo al suo ambiente, alla sua storia e anche alla sua geografia, non solo di quello moderno e bisognoso di uno psicanalista che gli dica della sua presunta onnipotenza, che intanto è diventata religione e filosofia. Veramente potere è volere?
Per gli uomini parlare bene degli uomini è facile, per via della loro intelligenza, i progressi scientifici, l’arte e le grandi opere che hanno trasfigurato il mondo, sono tante o troppe testimonianze del suo potere, della sua ricchezza… ma a proposito: il denaro e il potere sono davvero cose intelligenti? Se una stabile felicità esistesse, si otterrebbe attraverso la libertà che il potere e il denaro ci permetterebbero?
L’uomo è schiavo di sé stesso, di un futuro e vaghissimo tentativo di realizzazione dei suoi desideri, proprio quelli che non gli sono mai stati chiari, che sono sempre stati sistematicamente manipolati dalla società. Si è dimenticato di essere un animale, si è progressivamente distanziato dalle sue origini, crede solo alla prepotenza eppure si riempie la bocca di libertà, democrazia ed ecologia.
È il più cattivo degli animali, è inutile negarlo: ma lo è per natura o per cultura?

Ci sono anche tanti altri casi come le oche per produrre il Foie gras loro malgrado, per esempio. Guai a chi ci capita sotto, insomma, se poi c’è una grande richiesta di mercato è peggio ancora.
Ecco, finalmente hai parlato e la questione è annosa, oltre che rognosa, non so bene a cosa credere, non l’ho ancora risolta, magari proprio nessuno può farlo, ma proverò a dirti quello che so.
Pigliamola larga, sennò si tralasciano cose importanti, la base deve essere ampia. Tante di queste cose ovviamente le sai già, ma alcune te le sei dimenticate, assorbita dalla vita di tutti i giorni. Altre magari non le hai mai sapute, tutte queste io cercherò di assemblarle in un convergente ragionamento organico e a 360 gradi. Se non ci riuscissi tu fammi delle domande, se non le rispondessi ammodo tu cerca di farmele in una maniera diversa. Se ci sarà bisogno puoi mandarmi anche affanculo, mia moglie dice che ogni tanto mi fa bene e mi migliora come persona.
Dunque: la vita si distingue dalla materia morta e inorganica per alcune importanti caratteristiche. Si manifesta in organismi, in esseri viventi singoli e unici che hanno la capacità di trasformarsi in maniera autonoma, internamente ed esternamente, grazie al metabolismo, frutto della respirazione (cioè scambio dei due gas ossigeno e anidride carbonica, al fine di liberare energia) e dell’alimentazione, che è l’assunzione di cibo, digestione ed evacuazione.
A caratterizzare gli esseri viventi sono, inoltre, la capacità di rispondere con determinate reazioni a influssi esterni provenienti dall’ambiente circostante (eccitabilità), la capacità di crescere a partire da un nucleo iniziale (crescita) e la capacità di moltiplicarsi (riproduzione). Ogni essere vivente infine si sviluppa irreversibilmente da un momento iniziale (nascita) a un momento finale (morte).
Nella biologia odierna si è imposta in genere la teoria evoluzionistica di Charles Darwin, secondo cui:
a) tutte le specie viventi possono mutare (mutabilità delle specie, contro costanza delle specie di Linneo); 
b) tutte le specie viventi si sono sviluppate da forme inferiori a forme superiori, da forme più semplici a forme più complesse (evoluzione progressiva delle specie).
A costituire il motore dell’evoluzione, che procede in maniera causale-meccanica, non teleologica, sono le mutazioni, cioè i cambiamenti casuali nei genotipi, mentre a fungere da legge dell’evoluzione è la selezione tra i nuovi esseri viventi, per cui – nella lotta per la sopravvivenza [struggle for life] che costituisce la legge di fondo della natura – a imporsi sono gli individui più resistenti e più forti, ovvero quelli meglio attrezzati per adattarsi alle condizioni dell’ambiente [survival of the fittest].
L’uomo appartiene alla classe dei mammiferi e, tra i mammiferi, all’ordine dei Primati, che comprende le proscimmie (lemuri, tarsi, lorisiformi), le scimmie (catarrine o «del vecchio mondo» e pitarrine o «del nuovo mondo») e gli Ominoidi (grandi scimmie o scimmie antropomorfe). Questa superfamiglia si divide nelle famiglie degli Ilobatidi (gibboni) e degli Ominidi, che, a loro volta, comprendono i Pongini (oranghi), i Gorillini (gorilla) e gli Ominini, in cui rientrano i Pan (bonobo e scimpanzé), gli australopitechi, nonché i vari tipi di Homo: 
Homo habilis (con Homo rudolfensis e Homo ergaster);  Homo erectus  (con Homo georgicus e Homo Floresiensis);  Homo heidelbergensis  (con Homo antecessor e Homo cepranensis) ;  Homo neanderthalensis;  Homo sapiens.
I gorilla, i bonobo e gli scimpanzé sono i nostri parenti più prossimi, come appare evidente dalla forma corporea, dallo sviluppo embrionale, dalla composizione sanguigna e dalla struttura genetica. Questo non significa, però, che le scimmie attualmente esistenti siano gli antenati diretti degli uomini. Le scimmie e gli ominoidi sono, infatti, rami autonomi della linea dei primati, che si è divisa circa 25 milioni di anni fa. Nonostante la sua discendenza dal regno animale, tuttavia, l’uomo resta un essere particolare e unico. Egli non è solo il mammifero più sviluppato, ma è qualcosa di essenzialmente nuovo. Biologicamente le principali differenze tra uomo e animale sono differenze graduali (quantitative), che costituiscono il presupposto per ciò che è specificamente umano, e differenze essenziali (qualitative), che fanno dell’uomo appunto un uomo.
Le differenze graduali, che mostrano come l’uomo si collochi su un gradino del tutto peculiare dell’evoluzione e che costituiscono al contempo il fondamento della sua essenziale diversità, si riferiscono:

a) alla costituzione corporea
b) al suo comportamento
c) al suo sviluppo.

Ci siamo fino a qui?

Sì, ma non è che l’abbiamo presa troppo larga? Dice mio marito. Lei non ha skype? Così si potrebbe anche parlare, forse è meglio, mentre si legge si commenta pure il testo.

Skype ce l’ha mia moglie. Che cosa fa tuo marito nella vita? Perché non fai partecipare anche lui al nostro dibattito?

Va bene, io glielo volevo domandare, ma pensavo di chiedere troppo. Mio marito è quello che si dice un Broker, uno che rompe insomma, purtroppo o per fortuna. Ma lei ha tempo e voglia?

Ma sì, sono in pensione cosa credi? Mi gratto tutto il giorno e la sera a volte è perfino peggio. Cominciamo fra due ore, alle 21, ti va bene?

Benissimo, mio marito si chiama Giulio, il nostro nickname è Giulio-Mariana e il suo, cioè quello di sua moglie?

Luise Traspa, vedi che lei si chiamerebbe Luisella Strappaghetti, in La Sacca. È qui e dice di perdonarci per i nostri nomi, ma non ne abbiamo colpa.

Il contatto ricomincia alle ore 21, su Skype, il professor La Sacca comincia a leggere il testo scritto, che ha mandato anche a loro, per le domande e i chiarimenti si usano le ferramenta del programma, che il professore non sa usare e quindi partecipa sua moglie, professoressa universitaria anche lei, ma di lettere. Dopo le presentazioni di prassi e qualche minuto di lieve e normale imbarazzo, si fanno commenti incrociati sullo scarso invecchiamento del professore, sull’immutata bellezza di Mariana, sul malcelato maschilismo del professore, sull’eleganza incravattata di Giulio, sulla simpatia e pazienza di Luisella, che è anche bella, da giovane era una vera e propria miss, ma meno paziente e simpatica, secondo il professor Adriano, ovviamente lei non è d’accordo. Poi ecco che si comincia.

Prof: do per scontato che quello che ho già detto a Mariana non ci sia bisogno di ripeterlo. Quindi: mentre l’animale reagisce istintivamente a un ambiente circoscritto, l’uomo si caratterizza per un’insicurezza istintuale e quindi per un comportamento istintualmente non determinato. In questo senso è stato detto che l’uomo è un essere «aperto al mondo» (Max Scheler), «eccentrico» (Helmuth Plessner), capace di auto-trascendersi.

Mar: ma c’è una qualche differenza tra istintuale e istintivo?

Prof: sì e no, istintuale significa dell’istinto o degli istinti (diciamo soprattutto nel linguaggio della psicanalisi): la sfera istintuale; sviluppo istintuale; conflitto istintuale. Istintivo invece ha un uso diverso, tipo: una reazione istintiva, una persona molto istintiva, un carattere piuttosto istintivo… vi è chiaro ora?

Giu: mi pare di sì.

Mar: sì, chiarissimo.

Lui: sì, va bene.

Prof: Luisella per favore, non c’è bisogno che tu risponda, tu sei qui solo per aiutarmi a usare Skype!

Lui: lo so, ma sennò mi annoio, cerco di capire anch’io le cose, no?

Prof: Hai ragione, non ci avevo pensato e me ne scuso.
Ma torniamo piuttosto a noi:
Ecco le differenze nella costituzione corporea: il tratto esteriore più vistoso è la postura eretta, che è il presupposto fondamentale per avere una visione complessiva del mondo circostante e un rapporto distanziato con l’ambiente, nonché l’andatura bipede, che ha consentito di liberare le mani dalla deambulazione e trasformarle in strumento fondamentale per adempiere funzioni specificamente umane (produzione di attrezzi e opere d’arte). Una seconda caratteristica che diversifica l’uomo dalle scimmie antropomorfe, è la presa di precisione, cioè la capacità che solo l’uomo ha di toccare con il polpastrello del pollice i polpastrelli di tutte le altre dita e quindi di poter eseguire gesti delicatissimi (cucire, plasmare, lavorare “di fino”). Una terza caratteristica esteriore peculiare dell’uomo è la sua rada peluria (il «mammifero senza pelo» o la «scimmia nuda»), ovvero la sua pelle nuda e liscia che lo costringe a fabbricare e a indossare dei vestiti per scaldarsi, ma gli consente altresì di manifestare una particolare forma di affettuosità: l’accarezzarsi. In quarto luogo gli organi esterni dell’uomo mostrano una minore specializzazione rispetto a quelli degli animali, determinando la sua inferiorità. L’uomo non ha organi di combattimento (dentatura da rapace, corna, zoccoli), mentre i suoi organi di senso sono deboli e il suo movimento è lento e pesante. Per questo Arnold Gehlen lo ha definito l’«essere carente». Ma queste carenze sono appunto il presupposto perché egli faccia opera di adattamento e di compensazione (tramite la tecnica). In quinto luogo, per quanto concerne gli organi interni, a distinguere in particolare l’uomo dall’animale è la laringe, ovvero il suo abbassamento con il conseguente collegamento tra le vie respiratorie e quelle alimentari. Ciò ha permesso che si sviluppasse una cavità faringea liberamente deformabile, che è il presupposto perché l’uomo emetta suoni articolati e sviluppi il suo linguaggio verbale. Ciò che distingue in maniera decisiva gli uomini dagli animali, per quanto concerne gli organi interni, è però il cervello, che è tre volte più grande (1.400 cm ca.), più pesante (1.300 gr ca.) e più differenziato (100 miliardi di neuroni e sinapsi) rispetto a quello di uno scimpanzé – la scimmia più intelligente e più vicina all’uomo. Il cervello, che è l’organo più sviluppato dell’intera natura organica, è infatti il presupposto per ciò che di più alto l’uomo possiede: lo spirito, con tutte le sue facoltà intellettuali.

Giu: qui potrei esprimere i miei dubbi?

Prof: certo, ma sono gli stessi che abbiamo anche noi, credo.

Giu: penso di sì, che c’è una grande differenza tra individuo e individuo, forse gli animali hanno meno differenze tra di loro?

Prof: direi di sì, anche se poi ci sono molte più differenze di quelle che noi normalmente possiamo percepire, ma si esprimono assai meno, non parlando e seguendo più l’istinto che il ragionamento…

Giu: è vero.

Prof: per quanto concerne le differenze comportamentali rispetto all’animale, l’uomo non ha un legame istintuale con l’ambiente. L'ho già detto questo, ma meglio ripetere. Mentre l’animale reagisce istintivamente a un ambiente circoscritto, l’uomo si caratterizza per un’insicurezza istintuale e quindi per un comportamento istintualmente non determinato. In questo senso è stato detto che l’uomo è un essere «aperto al mondo» (Max Scheler), «eccentrico» (Helmuth Plessner), capace di auto-trascendersi.

Lui: Adriano, forse sarebbe meglio specificare qui il verbo trascendersi.

Prof: subito: esistere al di fuori o al di sopra della realtà sensibile; sorpassare un certo limite della conoscenza o della realtà. "Dio trascende il mondo". Va bene?

Lui: sì.

Prof: questa sua eccentricità o apertura è, d’altra parte, il presupposto per qualcosa che soltanto l’uomo possiede: una ragione capace di rivolgere il suo interesse a qualsiasi cosa. In secondo luogo l’uomo si distingue dagli animali perché non ha blocchi istintuali, ovvero perché i suoi istinti non vengono regolati o impediti dall’istinto. Non a caso manca di misura nell’appagamento del piacere (mangiare e bere; sessualità) e nell’aggressività (distruzione pianificata di esseri della stessa specie e distruzione pianificata di sé stesso). La mancanza di limiti pulsionali istintuali è, tuttavia, a sua volta il presupposto per qualcosa che soltanto l’uomo possiede: la libertà d’azione. Avete notato che gli animali sono molto più prevedibili?

Mar: ma anche le persone più semplici, più ignoranti, sono più prevedibili.

Prof: infatti, allora sono più simili agli animali. Invece una persona più istruita è più complicata, meno prevedibile, più difficile da governare, se non ha una filosofia valida magari diventa troppo sensibile e non sa come dominarsi, non conosce sé stessa, tutto attorno è mistero e paura, finisce per far male a sé stessa e agli altri.
Tutto questo approssimativamente, in generale, non è sempre così, anche l’essere umano più semplice è molto più complesso di un animale. E anche tra gli animali ci sono grosse differenze tra un delfino e un topo, per esempio, eppure sono tutti e due mammiferi, ma anche tra una mucca e una pecora, mammiferi che vivono più o meno nello stesso ambiente.
Il mondo è complicato assai, insomma, che ci volete fare? Da tempo stanno cercando di scoprirne un altro, ma anche se ci riuscissero…
Per tornare a noi un terzo tratto comportamentale che distingue l’uomo dall’animale è la sua capacità di ridere e piangere. Il riso e il pianto sono «reazioni-limite» (Helmuth Plessner) proprie solo dell’uomo, in cui trovano espressione corporea moti o eccitazioni interiori. Questa capacità di reazione corporea è però il presupposto per la vita sentimentale specificamente umana.
Per quanto concerne le differenze nello sviluppo, l’uomo si distingue da altri mammiferi a lui simili per la totale mancanza di autonomia nel primo anno di vita: si può dire che l’uomo lasci prematuramente (circa un anno in anticipo) il corpo della madre, ovvero viva una «primavera extrauterina» (Adolf Portmann). In quanto non può né muoversi, né trovare alimenti da solo, il lattante, nella sua impotenza, non può fare a meno, per sopravvivere, della madre (o di una persona sostitutiva). Questo «anno di utero sociale» si evolve, però, in un «contatto sociale obbligatorio»: dopo aver imparato a stare seduto, a stare in piedi e a camminare, il bambino ha infatti bisogno del rapporto con altri uomini per appropriarsi del linguaggio tipicamente umano. Tutto ciò mostra che l’uomo è un essere sociale, il quale ha bisogno di amore e dedizione. In secondo luogo l’uomo si distingue dall’animale, perché ha un periodo di maturazione molto più lungo. Il suo complessivo processo di sviluppo è infatti molto lento: diventa sessualmente maturo molto tardi (13-16 anni) e raggiunge la sua forma corporea definitiva solo dopo il periodo della pubertà (16-18 anni), che ha solo lui. In particolare, però, sviluppa le sue tipiche facoltà psichiche e spirituali solo gradualmente e solo con l’aiuto di altri uomini. Questo processo di formazione mostra che l’uomo ha bisogno di educazione e insegnamento e, quindi, di essere guidato e diretto dall’esterno. In terzo luogo l’uomo si distingue dagli altri mammiferi a lui simili per la sua longevità, in quanto ha una durata di vita che è circa il doppio di quella delle grandi scimmie. Per quanto il declino fisico dell’uomo sia simile a quello delle scimmie, l’uomo anziano presenta dei tratti affatto particolari: sul piano spirituale mostra una individualità più accentuata, una personalità più spiccata, nonché una saggezza e una posatezza che gli derivano dal tesoro di esperienze fatte e più volte messe alla prova durante la vita. L’uomo è cioè un essere personale che vive di tradizioni e quindi ha bisogno di un contatto tra le generazioni.
Sulla base dei più recenti risultati della biologia i confini tra animale e uomo si fanno però sempre più labili, anzi sembrano addirittura scomparire: ciò che prima era considerato puramente umano, lo si ritrova in sintesi anche negli animali; ciò che prima era considerato meramente animale, lo si ritrova adesso in sintesi anche negli uomini. Si pone dunque il problema se esistano delle differenze qualitative o essenziali tra uomini e animali. Secondo Adolf Portmann, tre cose distinguono l’uomo dall’animale («triade umana»): lo stare in piedi, il parlare e il pensare. Dato che però lo stare in piedi può essere considerata una differenza graduale, si può dire che a segnare la fondamentale differenza dell’uomo dagli animali sia soprattutto la sua spiritualità, che si manifesta nella razionalità (intellezione e autocoscienza), nella volontà libera (decisione e responsabilità), nel linguaggio verbale, nonché nella cultura e nella religione.
L’intellezione, come comprensione di nessi sensati, si ritrova anche negli animali (uso degli strumenti da parte degli scimpanzé). Peculiare dell’uomo è però la facoltà di riflettere su di sé, cioè di spostare l’attenzione dagli oggetti del mondo esterno all’Io e alla sua attività e, quindi, di interrogarsi su sé stesso e di prendere distanza da se stesso. L’uomo è autocoscienza. Al contempo, però, l’uomo non è istintualmente vincolato alle sue pulsioni, ma può, a suo piacere o a suo arbitrio, seguirle o contravvenire coscientemente ad esse. Inoltre può scegliere tra diverse sollecitazioni, mentre l’animale segue solo la sollecitazione più vicina o più forte. L’uomo è volontà libera.

Mar: tutto questo parlando in generale, perché si vedono tanti comportamenti in giro che contraddicono questa sua teorica libera volontà, non so se sono cose più moderne o se sono sempre esistite.

Prof: sono sempre esistite, ma ora c’è un monitoramento continuo e anche opportunista, un controllo strumentale attraverso i media del comportamento umano, non sempre onesto e spesso con propositi addirittura politici. Quindi si nota molto di più e se ne parla sempre di più, ma si dicono tante cose false e tendenziose, se ne ignorano sistematicamente altre più importanti che non servono al mercato, né alla politica, se ne nascondono altre ancora che potrebbero aprire troppo gli occhi al gregge che deve essere manipolato sempre e comunque. Va da sé che complicandosi progressivamente di più anche la vita umana, più si cerca di sfuggire ai meccanismi e alle automazioni da schiavi moderni dei media e di altre trappole infernali, più ci si casca dentro e non se ne esce più.
Comunque: la spiritualità umana si manifesta, poi, esteriormente nel linguaggio verbale o concettuale. Anche gli animali comunicano tramite dei suoni (gli scimpanzé, ad esempio, dispongono di 23 suoni), ma si tratta solo di suoni istintuali fissi (gridi d’allarme o di richiamo) che rappresentano sempre delle reazioni a (o indicazioni circa) qualcosa di presente e reale. Già quanto ai suoni, invece, il linguaggio umano è un insieme unico di consonanti e vocali che gli scimpanzé, nonostante numerosi esperimenti, fanno fatica a imitare. L’elemento che distingue gli uomini dagli animali è, però, soprattutto l’uso di parole che traducono concetti astratti in una serie di suoni. Tali parole, infatti, sono dei segni (o simboli), che fanno astrazione da una determinata situazione ambientale o dalla presenza diretta dell’oggetto significato, per cui non solo sono sempre disponibili, ma possono indicare anche qualcosa di assente, di passato o di futuro. La capacità di parlare una determinata lingua non è, però, un dato istintivo e innato, bensì è il risultato della sua trasmissione da parte di un gruppo sociale. In questo senso l’uomo è anche un essere che vive di tradizioni. Infine, dato che il linguaggio verbale rende possibile la mediazione di capacità, esperienze e saperi, ogni uomo può fare da maestro ad altri. L’uomo è quindi anche un essere che insegna e che impara. Dato che l’uomo può memorizzare, tramite concetti, cose ed esperienze non più presenti, l’uomo è anche un essere che ricorda.
La spiritualità dell’uomo si oggettiva infine nella cultura e nella religione. Mentre l’animale riesce a manipolare la materia solo in misura limitata e istintualmente determinata (costruzione del nido, costruzione del favo), l’uomo, grazie alla sua ragione e alla sua libertà, è in grado di modellare la materia in modi sempre nuovi, nonché di trasformare radicalmente l’ambiente circostante, producendo quella che chiamiamo una «cultura». «L’uomo è per natura un essere culturale» (Gehlen). Si pensi a tutto quello che l’uomo è in grado di fare a differenza degli animali: non c’è animale che usi il fuoco; che progetti o utilizzi delle armi artificiali; che si dia al commercio; che inventi e costruisca delle macchine, che dipinga e scolpisca; che componga o faccia musica con degli strumenti; che scriva o abbia dei libri, che vada a scuola, che faccia scienza, che abbia tribunali giudicanti, che sviluppi medicine in grado di curare i suoi simili.
Un’ultima caratteristica che distingue l’uomo dagli animali è la sua religiosità, cioè il fatto che lui coltivi (o affermi di coltivare) un rapporto con potenze spirituali più alte, con qualcosa di Divino o con Dio. È quanto dimostrano già molti reperti risalenti alla preistoria: oggetti di culto, tracce di offerte votive o di riti sacrificali, pitture parietali, come pure i libri di preghiere stesi dopo la scoperta della scrittura. L’uomo è un essere religioso.
Inoltre, mentre gli animali non si occupano della morte di altri esemplari della loro specie, l’uomo fin dalla preistoria seppellisce i defunti.
Infine mentre l’animale ha un orizzonte istintualmente vincolato all’ambiente immediatamente circostante, l’uomo ha la capacità, grazie al suo spirito infinitamente aperto, di andare col pensiero addirittura al di là di tutto ciò che è visibile. Il fatto che gli uomini (già nella preistoria) deponessero nelle tombe accanto al morto determinati oggetti (cibi, ornamenti, attrezzi, armi) dimostra chiaramente come gli uomini abbiano sempre creduto a una vita dopo la morte.
Abbiamo visto che una delle peculiarità dell’uomo è la mancanza di misura nell’appagamento dei propri bisogni e della propria aggressività. Tuttavia, al contempo, l’uomo è anche l’unico essere vivente che possiede una coscienza morale, che gli consente di distinguere tra bene e male e quindi di agire in maniera responsabile. In realtà tra questi due aspetti dell’esistenza umana non c’è affatto contraddizione, anzi, l’etica implica la distruttività e questa implica quella. Se le azioni dell’uomo non fossero libere, non gliele si potrebbe imputare e quindi non ci sarebbe bisogno di un’etica. L’aggressività umana avrebbe, infatti, la stessa «innocenza» dell’istintuale aggressività animale. Tuttavia non solo l’uomo è libero (ovvero non è rigidamente determinato dagli istinti), ma manca anche di misura nell’appagamento dei propri bisogni e della propria aggressività, per cui ha bisogno di un’etica che non solo metta un freno alla sua smisuratezza, impedendogli di danneggiare irrimediabilmente sé stesso e la propria specie, ma gli consenta altresì di distinguere tra bene e male, tra lecito e illecito. Non a caso l’immagine che la storia e l’esperienza ci offrono dell’uomo è tragica e contraddittoria, in quanto caratterizzata da un’enigmatica e inquietante complementarietà di bontà e malvagità, virtù e vizio, moralità e immoralità, innocenza e colpa, altruismo ed egoismo, amore e odio. L’uomo è una sorta di Giano bifronte, in cui i crimini, gli omicidi, le vendette, le torture, i massacri, le guerre e i genocidi fanno da contraltare ad atteggiamenti di segno opposto: la pietà, la disponibilità al perdono, l’abnegazione a favore di chi ha bisogno d’aiuto, l’idea di fratellanza universale.
Tuttavia in lui la malvagità aggressiva e distruttiva sembra in ultima analisi prevalere sulla bontà. Anzi, in virtù della sua particolare crudeltà, efferatezza, ferocia e gratuità, la malvagità dell’uomo può senz’altro essere considerata una delle caratteristiche che maggiormente lo differenziano dagli altri animali, che uccidono solo per difendersi o per alimentarsi: «L’uomo si differenzia dagli animali per il fatto che è un assassino. Egli è l’unico primate che uccida e torturi membri della propria specie senza motivi biologici o economici e che provi soddisfazione nel farlo». E in effetti è difficile parlare di «nobiltà» o di «dignità» dell’uomo, laddove si considerino le violenze, i crimini, le uccisioni, i sacrifici rituali, gli stupri, gli abusi sui bambini, i genocidi, di cui egli si è reso responsabile nel corso della storia: «Da un lato l’uomo è affine a diverse specie animali, poiché combatte i propri simili. Ma dall’altro egli, fra le migliaia di specie in lotta, è l’unico che combatta per distruggere […] La specie umana è l’unica che pratichi l’omicidio di massa». Ora è noto che, secondo l’ultimo Freud, la violenza distruttiva dell’uomo ha radici profonde nella sua psiche, dove si agitano al contempo pulsioni unitive (Eros) e distruttive (Thanatos). Non a caso la pulsione di morte [Todestrieb] può esplodere a ogni istante, anche per delle quisquiglie, per esempio: nei nostri desideri inconsci noi sopprimiamo ogni giorno, e ad ogni ora del giorno, tutti quelli che si trovano sul nostro cammino, che ci hanno offeso o danneggiato […] Il nostro inconscio uccide anche per delle piccolezze; come l’antica legislazione ateniese di Dracone, esso non conosce per i delitti altra punizione che la morte, e questo con una certa coerenza logica, dato che ogni torto recato al nostro onnipotente e autocratico Io è in fin dei conti un crimen laesae maiestatis.

Giu: che ti avevo detto?

Mar: niente, le solite cose che avevo già ammesso prima, ma c’è da star male lo stesso.

Prof: in effetti, senza le pulsioni omicide che si agitano nel nostro inconscio, risulterebbe incomprensibile la perentorietà dell’antico comandamento biblico «non uccidere». Tuttavia l’uomo è un essere che non solo è spesso preda di un’incredibile brama di distruzione (Todeslust), ma che si compiace altresì intimamente dell’altrui sofferenza. Ora, il fatto di provare un sadico piacere nell’assistere alla tortura e all’uccisione di altri uomini è qualcosa che non si osserva negli animali – anche se poi, a proposito di certi comportamenti, gli uomini (paradossale ironia!) parlano di bestialità e disumanità.
L’uomo si distingue inoltre dagli animali per la sua capacità di odiare i suoi simili. In lui, infatti, all’amore per i membri del proprio gruppo, del proprio clan, della propria famiglia, fa spesso da contraltare l’odio per gli «altri», per i «diversi», per gli «stranieri». Ora, questo sentimento – sia esso di tipo nazionalistico, etnico, religioso, razziale o di classe – è di per sé fondamentalmente annientatore, essendo espressione di un forte bisogno d’identità, spesso non negoziabile neppure in cambio di vantaggi economici e politici. L’odio – passione costitutivamente relazionale, in quanto ha bisogno di qualcuno o qualcosa contro cui rivolgersi, nella duplice forma della repulsione (oggetto da cui sfuggire) e dell’avversione (oggetto da combattere) – non è tuttavia irrazionale, incoerente o cieco in ogni sua manifestazione (come mostrano molto bene le politiche concentrazionarie dei nazisti tedeschi e dei comunisti sovietici), bensì trova nutrimento col tempo e può quindi essere durevole, lento e capace di trovare delle ragioni al suo crescere, soprattutto laddove si coniuga con la convinzione vittimistica degli individui o dei gruppi di aver subito dei torti o delle ingiuste discriminazioni (come mostrano i massacri dei khmer rossi e gli attentati suicidi degli islamici). L’odio poi cresce con l’insicurezza, con la sensazione di essere minacciati o accerchiati, umiliati o disprezzati e si manifesta come faziosità, volontà di separarsi nettamente dal proprio nemico o come paranoico eccesso di legittima difesa, fino diventare sentimento gelido di rivalsa e distruzione.
Tutto chiaro fin qui?

Giu: tutto!

Mar: purtroppo…

Lui: anch’io ho capito bene.

Prof: ottimo! Poi l’uomo si distingue ancora dall’animale per 1) la sua capacità di compiere dei democidi, cioè di massacrare intenzionalmente intere popolazioni nell’ambito di guerre esterne o interne (ex-Jugoslavia, Cecenia) o di violente trasformazioni rivoluzionarie (Unione Sovietica, Cambogia), nonché di pianificare dei genocidi, cioè di motivare politicamente e organizzare burocraticamente la distruzione di un gruppo etnico (Armenia e Shoah);
2) per la sua disponibilità a ricorrere alla tortura (Cile, Argentina), a organizzare campi di concentramento, in cui alla prigionia e alla tortura si aggiunge il lavoro forzato (Cina, Birmania, Corea), a ricorrere ad azioni suicidarie per uccidere altre persone (Jihad islamica).
In realtà il genocidio non è una novità della storia più recente – anche se la barbarie moderna si distingue per l’impersonalità, il non-coinvolgimento emotivo, la distanza tra l’esecutore e la vittima. Di gesta genocidarie (connesse a odi religiosi, guerre di conquista e/o di colonizzazione) è costellato quel lugubre «torchio» o «mattatoio» che è la storia umana. Si pensi alle devastazioni e alle deportazioni perpetrate non solo contro gli ebrei, ma anche dagli ebrei (in nome della gelosia divina, della qinah Yahweh) di cui dà notizia l’Antico Testamento, alla politica espansionista dell’impero romano (Cartagine e Numanzia), alle persecuzioni religiose dei cristiani da parte dei romani e degli eretici da parte dei cristiani (una volta raggiunto il potere), alla conquista del nuovo mondo da parte delle potenze «cristiane» europee, alla caccia alle streghe, alla marginalizzazione, discriminazione, espropriazione, segregazione, ghettizzazione, espulsione, deportazione di sempre nuovi «capri espiatori» (ebrei, eretici, folli, lebbrosi, ecc.), accusati di presunte cospirazioni. Inoltre vale la pensa sottolineare che democidi-genocidi sono stati messi in atto non solo in epoca coloniale, ma anche in epoca postcoloniale, a dimostrazione che le vittime di ieri imparano sempre rapidamente a mettere in atto le arti della repressione e della distruzione apprese dai loro persecutori.
L’individuo si distingue poi dagli animali anche per la sua brama di autodistruzione (cupio dissolvi), che fa da enigmatico controcanto alla sua immensa brama di vivere (immensa vivendi cupiditas).
Infine, anche prescindendo dalla particolare violenza, efferatezza e gratuità con cui è pronto e disposto a uccidere e distruggere, l’uomo si distingue dagli altri animali altresì per tutti quei comportamenti «amorali» (vizi o peccati capitali) fatti ripetutamente oggetto di analisi e di critica da parte dei padri della chiesa greca e latina (e non solo) e richiamati in modo nuovo e originale dal Mahatma Gandhi in un celebre testo del 1925: «ricchezza senza lavoro; piacere senza coscienza; sapere senza carattere; affari senza morale; scienza senza umanità; religione senza disponibilità al sacrificio; politica senza principi».
Ma da dove proviene la malvagità umana? Dai suoi istinti animali, dalle sue pulsioni naturali (Hobbes)? Oppure dall’influsso della società, dallo sviluppo della cultura, dal predominio della ragione (Rousseau)? Ma se l’uomo è malvagio, aggressivo, distruttivo per natura, il bene è dunque solo il prodotto della cultura umana (Huxley)? O non è forse vero il contrario, e cioè che il bene ha le sue radici ultime proprio nei nostri istinti naturali, mentre il vero male è solo un prodotto della civilizzazione umana (Kropotkin)? L’autentica moralità si manifesta solo nel superamento di propensioni naturali che sono dentro di noi? Oppure ciò che definiamo moralità, pur essendo propria solo dell’uomo in quanto essere libero e responsabile, asseconda soltanto alcune nostre inclinazioni naturali (Darwin)? È possibile che l’uomo sia costruito per natura in modo così sbagliato da dover continuamente combattere (per agire in modo buono e giusto) contro le sue stesse inclinazioni (Herder)? Oppure è la malvagità a essere in contrasto e in conflitto con la natura dell’uomo, che per sua essenza è buona (come affermano da sempre i teologi)? È proprio vero che, se venisse meno lo strato di civiltà che copre e tiene a freno i nostri istinti, saremmo tutti delle bestie egoiste, brutali e senza scrupoli e che in tal caso la nostra unica legge sarebbe la biologia invece della cultura? Non dobbiamo invece «tornare alla natura» (Lorenz) per ridare una «misura» alla nostra aggressività? Ma è proprio vero che l’uomo dispone per natura di una base morale che è stata solo stravolta da un eccesso di razionalità e di smania di affermazione sociale, ovvero deformata da una civilizzazione degenerante della natura dell’uomo? Oppure quanto vi è di naturalmente istintivo in noi rappresenta la sostanza del male e il discostarsene definitivamente, avendo per obiettivo un’autentica umanità, costituisce il nostro fondamentale impegno morale? Il male non è forse qualcosa di «ordinario» nella natura? Ma poi: è veramente possibile misurare la natura con metri morali? Non è vero invece che la natura non è né buona, né malvagia, ma moralmente indifferente?
Certo nel mondo animale esistono anche comportamenti «similmorali », «analoghi alla morale», come l’altruismo e la solidarietà. Ma non è forse vero che, nel mondo animale, determinati comportamenti altruistici e collaborativi derivano in realtà da pulsioni egoistiche, difensive, destinate a ottimizzare la fitness? Non è forse vero che anche l’uomo (al pari degli animali) si mostra collaborativo laddove è esposto ai pericoli provenienti dalla natura esterna e quindi ha bisogno dell’aiuto degli altri per sopravvivere? Ma, anche ammesso che negli animali la collaborazione e la solidarietà all’interno di un gruppo siano dati di fatto non semplicemente riconducibili all’interesse per la fitness della specie, non è forse vero che gli animali sono collaborativi con i propri parenti o con quelli del loro gruppo, ma non lo sono altrettanto con gli estranei? Non esiste quindi già nel mondo animale quella «doppia morale» («nepotismo») che ritroviamo nella vita umana? Che cos’è che indirizza e governa il comportamento degli animali e dell’uomo? L’interesse del singolo individuo in lotta con altri individui? O l’interesse del clan, del gruppo, della famiglia a favore del quale l’individuo può anche arrivare a sacrificare sé stesso? O l’egoismo genetico che ci spinge non solo a difendere noi stessi, ma anche i nostri parenti, che hanno lo stesso patrimonio genetico?
Comunque, a prescindere dal fatto che i comportamenti «analoghi alla morale», che possiamo osservare nel mondo animale, siano dovuti a un egoismo (genetico, individuale, comunitario) di fondo o abbiamo invece un’origine non egoistica (Frans de Waal), certo è che sia i comportamenti altruistici sia i comportamenti egoistici osservabili presso gli animali, si ritrovano nell’uomo in misura estremamente potenziata. Inoltre nell’uomo gli esempi di grande bontà sono rari, mentre gli esempi di estrema malvagità sono molto frequenti. Quindi: l’aggressività particolarmente distruttiva e malvagia tipica dell’uomo è riconducibile a pulsioni innate nell’uomo o a precise condizioni sociali?
Secondo Sigmund Freud, ad esempio, nell’uomo esiste per natura una pulsione di morte che può manifestarsi in forma distruttiva o autodistruttiva. L’aggressività umana, quindi, non è per lui una reazione a degli stimoli provenienti dall’esterno (capaci di provocare frustrazione, angoscia e quindi distruttività), ma è un impulso «idraulico», radicato nell’organismo umano, che cerca sempre l’occasione propizia per scaricarsi. Analogamente, per Konrad Lorenz e i suoi scolari (come Irenäus Eibl-Eibesfeldt), l’aggressività è una pulsione innata, programmata filogeneticamente, che l’uomo ha in comune con gli altri animali e che viene alimentata da una fonte di energia in continuo scorrimento all’interno dell’organismo. Il comportamento aggressivo dell’uomo non è, però, un vero e proprio male, secondo Lorenz, in quanto ha originariamente una funzione «adattiva», è cioè originariamente al servizio della sopravvivenza dell’individuo e della specie.

Giu: vedi? E io te l’avevo detto!

Mar: lo sapevo anche prima che me lo dicessi tu! Ma questo non cambia niente!

Prof: che cosa?

Giu: no, niente. Questa storia dell’aggressività non proporzionata alle attuali sollecitazioni!

Mar: non è che io neghi queste cose, intendiamoci, è quando le appiccica addosso alle singole persone, quando gli fa comodo, che non sempre io sono d’accordo. Mi pare quasi che faccia della propaganda politica, come fanno ora in Italia, o anche nel resto del mondo occidentale, invece di portare le proprie ragioni, è facile sbandierare i difetti degli altri, solo per cambiare discorso, per sviare l’attenzione, o per dire che gli altri sono peggio…

Risata sardonica e nervosa di Giulio, poi degli altri, un po' più indecisi.

Prof: beh, senza entrare nel dettaglio, che avere un codice personale di comportamento è già difficile, ma poi rispettarlo nei singoli casi è una sfida proibitiva, più facile è pensare una cosa, dirne un altra e farne un'altra ancora. Il livello di autocritica di una persona, cosa rara e in estinzione,  perennemente portata verso lo squilibrio, ne stabilisce poi il grado di correttezza con il quale riesce a mantenersi nella routine di ogni giorno.
Tornando a noi, non a caso l’aggressività animale ha subito una ritualizzazione che le ha fatto perdere la sua potenzialità distruttiva, ovvero tende a manifestarsi (trasformarsi) in una serie di minacce simboliche che adempiono la stessa funzione senza danneggiare la specie. Secondo Lorenz, però, con lo sviluppo della civiltà questo «cosiddetto male» è degenerato in distruttività aperta e ingiustificata. Infatti l’uomo civilizzato, discostandosi (per influsso della cultura) dalla sua natura originaria, ha finito per vanificare questi meccanismi «adattivi», producendo quella decadenza della «morale» naturale, cui la morale razionale dell’uomo civilizzato dovrebbe adesso sopperire. La pulsione che nell’animale serve alla sopravvivenza, nell’uomo si è trasformata in minaccia distruttiva. Di qui la necessità per l’uomo civilizzato di «tornare alla natura» come fonte di norme morali, ovvero di scaricare la propria aggressività «innaturale» (quale si manifesta nelle guerre, nel crimine e in tutte le modalità di comportamento distruttive e sadiche) in forma non distruttive (ad es. competizioni sportive). Infatti non è per niente salutare, sia per Freud sia per Lorenz, che l’uomo non riesca a scaricare praticamente la propria aggressività. Erich Fromm distingue, invece, «due tipi completamente diversi di aggressione»: un’aggressione buona e un’aggressione malvagia. L’aggressione «buona» o «difensiva» è l’impulso, programmato filogeneticamente, di attaccare (o di fuggire) quando siano minacciati degli interessi vitali. Questo impulso, che è comune a uomini e animali, è al servizio della sopravvivenza dell’individuo e della specie (è cioè biologicamente adattiva) e scompare quando cessa la minaccia. L’aggressione «malvagia» o «distruttiva» non si scatena invece come reazione a un’aggressione esterna, ma senza alcuna ragione e senza alcuna occasione. Ciò a cui mira questa aggressione distruttiva (che è propria solo dell’uomo, non dell’animale) è uccidere in maniera crudele e spietata. Come tale, essa non è programmata filogeneticamente e non è funzionale ad alcuno scopo (cioè non è biologicamente adattiva). E tuttavia, se soddisfatta, procura piacere e voluttà. Il fatto è che, mentre l’aggressione buona è innata (è una pulsione organica), l’aggressione malvagia ha la sua radice nel «carattere» umano, che per Fromm è «la seconda natura dell’uomo, il sostituto dei suoi istinti scarsamente sviluppati», la compensazione per i suoi istinti atrofizzati. Non a caso, quanto più il processo di civilizzazione spegne gli istinti, tanto più alto diviene il grado della distruttività umana.

Lui: Adriano le facciamo le relative conclusioni finali? Noi a dire il vero saremmo ancora a stomaco vuoto…

Giu: come? Non avete mangiato?

Lui: no, sono andata a fare la spesa e quando sono tornata Adriano mi ha messa qui a lavorare, più silenziosamente possibile ho sgranocchiato qualche nocciolina, ma c’ho una fame dannata e ancora tutta la spesa nei sacchetti, se stavo qui non potevo certo cucinare…

Mar: ma sì, lo sappiamo che il professore è un inguaribile dittatore, maschilista e tutto, ma non avete niente da riscaldare? Qualche avanzo del pranzo…

Prof: solo che a pranzo abbiamo mangiato gli avanzi di ieri sera… io non dico di essere anche troppo democratico, perché ultimamente è un termine piuttosto vilipeso, ma possiamo parlarne poi con calma nei prossimi giorni. Comunque per sigillare la seduta di oggi io dichiarerei, qui lo dico e qui lo nego: forse la coscienza umana è stata un tragico errore dell’evoluzione. Siamo diventati troppo consapevoli di noi stessi. La natura ha creato un proprio aspetto che è diventato indipendente da essa. Per fortuna che intanto siamo diretti verso una rapida estinzione…

Giu: a me è passata la fame, a dire il vero…

Mar: perché, non le sapevi già queste cose?

Giu: diciamo che più che saperle le sospettavo… sentire scientificamente come e cosa siamo è abbastanza forte, lo ammetterai…

Prof: veramente non avevo ancora finito, perché la doppia morale, l’ipocrisia sono sempre state la nostra forza, cioè una delle nostre debolezze più forti. Finora ho parlato in generale, ma noi italiani siamo un popolo dalla doppia moralità. Amiamo predicare agli altri come ci si deve comportare anche se è di pubblico dominio che facciamo il contrario. La nostra classe dirigente ne è un esempio eclatante.
Lasciando perdere i politici (è come sparare sulla croce rossa) passiamo ai leaders della nostra repubblica. Membri importanti del direttivo della Confindustria eludono il fisco con una miriade di società basate in stati stranieri.

Giu: …e i centri di ricerca privati vengono spostati all'estero e resi società indipendenti per poter eludere il fisco. E tuttavia questi signori ci fanno sapere che gli servono aiuti di stato gridando all'italianità in pericolo. Signori che sovente producono in Cina, incassano in Lussemburgo, dichiarano perdite in Italia, occupano cariche importanti in patria e usano il made in Italy solo per il loro marketing. prendono e non danno nulla. Passiamo a noi del popolo. "Freghiamo" quando affittiamo la casetta per la vacanza in nero. Quando affittiamo in nero la stanza per il nostro figlio universitario. Quando compriamo la macchina di importazione parallela, etc... E come i nostri leaders ci proclamiamo gli unici onesti rimasti nel paese, membri di non si sa che elite di illuminati. Gli accademici?
Ho sentito alla televisione un professore che strillava in tv. Diceva che nella sua facoltà (di sociologia) ci sono 18.000 studenti. Ne portava tre per magnificare i risultati del suo lavoro. Tutti hanno dichiarato di aver fatto un "master" postlaurea (probabilmente organizzato dallo stesso accademico) e ora facevano uno stage con lui (probabilmente sottopagati). Io gli chiuderei la facoltà per manifesta impossibilità di trovare un lavoro e lo sbatterei fuori dal mondo accademico per sfruttamento recidivo e premeditato, ma lui si professava interessato solo al "bene" dei suoi "allievi" e alla sua "ricerca".
Ricerca? Con 18.000 studenti? Immaginando che gli capitino 70 tesi all'anno, abbia 10 collaboratori da gestire, senza contare la presidenza della facoltà, la sua attività di libero professionista e i "master" che fa, dove lo trova il tempo? Insomma, tutti noi sappiamo quello che dovremmo fare, lo raccontiamo a tutti e poi facciamo il comodo nostro…

Prof: se lo dice lei che è un broker…

Giu: embè? Io lo so che non è una categoria tra le più oneste, questo non significa che anch’io sia così…

Lui: scusate, ma io c’ho sempre più fameeeee!

Mar: seduta chiusa, mi pare, io vedo già gente in piedi, ci incontriamo la prossima settimana?

Prof: basta fissare il giorno.

Lui: la prossima volta farai da solo, spero.

Prof: ma come, ci vuoi abbandonare?

Mar: signora, la prossima volta ci sarà il dibattito, sarà più interessante!

Giu: anch’io la prossima settimana sarò via per il congresso.

Mar: ah, non ti vuoi confrontare!

Giu: ma se sono sei mesi che abbiamo già prenotato l’hotel a Padova!

Mar: io vorrei sapere di cosa parlate a questi congressi, state a giornate al telefonino, avete ancora qualcosa da dirvi?

Giu: ecco, perché non vieni anche te? Ti ho sempre invitato, mi pare!

Lui: ho sempre più fameeee…



Fonti delle notizie:

serie televisiva TRUE DETECTIVE

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