domenica 12 luglio 2020

IL SOPRAVVISSUTO




…UNO



Da soli si è se stessi, in compagnia lo si è soltanto a metà 

          Leonardo Da Vinci

Dicono che ho diverse personalità, che non si sa nemmeno quante e allora ne approfitto, cerco di capire me e gli altri, non sempre ci riesco, ma almeno ci provo. Da qualche anno a questa parte mi ficco quotidianamente in alcuni diversi metodi di dialogo scritto con me stesso o con altri personaggi virtuali, alcuni realmente esistiti. Ne viene fuori un’efficace terapia ruspante di mia invenzione, non solo a livello psicologico, ma anche pratico.
In questi dialoghi non si tiene minimamente conto dello spazio e del tempo, si parla con persone morte, di cose che non sono ancora avvenute, questo è il bello. Si considera il carattere degli individui con cui si parla, ma si possono anche un po’ modificare, quelli che parlano troppo per esempio, li faccio ascoltare un po’ di più e mi vendico di tutte quelle volte che mi hanno sommerso sotto cataste di parole.

Un tipo di dialogo è questo qui, come se il mio anonimo interlocutore non mi conoscesse, invece sono sempre io che mi pongo delle logiche questioni, se mi riesce occasionalmente anche illogiche, servono allo scopo pure loro:
“Se qualcuno avesse pensato che io fossi diventato un emerito rompiscatole solo in vecchiaia non sa proprio di cosa sta parlando, né di chi. Gli si dovrebbe riferire che a cinque anni, a scuola, in una classe con bambini di prima, seconda e terza, rispondevo correttamente alle domande fatte ai più grandi da mia madre, che era la maestra e da lei mi prendevo le relative manate senza piangere.”
“Comunque l’età ti ha peggiorato almeno un po’, no?”
“Forse, comunque direi di non molto. Pensa che appena un po’ più grande mi indignavo e non riuscivo a starmene zitto quando una bambina della mia classe terza scriveva su un tema che la sera i signori del castello medioevale guardavano la TV. Non potevo tacere e far finta di niente quando miei coetanei non sapevano che i soldati romani non sparavano ancora ai barbari invasori col mitragliatore.”
“Beh…”
“E non molti anni fa, a Ciudad Oyeda, i miei allievi di lingua italiana, tutti più anziani di me, mi hanno invitato a cena e uno di loro aveva fatto una pastasciutta ignobile. Pasta integrale fatta in casa con un sugo di pesce, poco sale ma esageratamente piccante, che tutti hanno lodato a profusione, facilitati dalla loro scarsa esperienza in merito, dalla grande facilità nel simulare e dissimulare tipica dei sudamericani. Visto che oltre a essere il loro professore d’italiano, per eccesso di sfortuna ero anche italiano, mi ero mentalmente preparato un sobrio apprezzamento, nel caso che mi avessero chiesto qualcosa. Inspiegabilmente non lo hanno fatto, almeno finché ormai tranquillizzato e scolatami quasi da solo una bottiglia di quelle buone cilene e invecchiate, quando stavamo per andarcene tutti, mi hanno preso di sorpresa e mi hanno chiesto se era piaciuta anche a me quella meravigliosa spaghettata preparata da Aroldito. Non sono riuscito a mentire e ho manifestato tutto il mio disgusto, ci sono rimasto male anch’io, ma non potevo più farci niente.”
“E che ci facevi in Venezuela?”
“La mia famiglia era emigrata là. Ho vissuto in Venezuela dai dieci a trentun’anni, da adulto ho fatto tanti lavori differenti. Per fortuna non ho messo su famiglia, non è una cosa che volevo veramente fare e poi trovare una donna che mi garbasse sul serio e io allo stesso tempo a lei non era facile, non lo è nemmeno ora, ma per altri motivi. Vado a periodi, come tutti, ma vivendo da solo e facendo un mestiere in un certo senso privilegiato, sono assai padrone dei miei ritmi e se qualcosa mi va lo faccio, sennò lascio perdere e senza rimpianti.”
“Che mestiere fai?”
“No, non ti dirò subito del mio secondo lavoro, che poi sarebbe il primo, in ordine d’importanza, per non indurti a pensare di me cose sbagliate. Prima voglio parlare di quello che mi circonda adesso, della mia vita fuori dal lavoro, quello difficilmente non è schiavitù, dopo confesserò ed entrerò anche nei particolari, ma solo se mi avrai seguito fino a quel punto e allora potrai capire meglio chi sono.”
“E chi sarai mai?”
“Non sono affatto un essere soprannaturale, come avrai già capito. Ma non sono nemmeno una persona comune, magari perché sono profondo e superficiale allo stesso tempo, perché ho scelto di semplificare la mia vita, dopo che si era complicata abbastanza da sola, come di solito accade se non la sappiamo guidare bene. Ho avuto la determinazione, la forza e soprattutto l’occasione di tornare sui miei passi e cambiare prima il mio passato ai miei occhi e al mio cuore, poi il presente e il futuro hanno preso possesso della mia esistenza, tutto ha funzionato meglio. In sostanza avevo capito che i miei sforzi per adattarmi al gioco della società non servivano a niente, bastava cambiare gioco. E quello poi sarebbe stato il mio.”
“La gente quando parla di sé stessa mente con una strana facilità, come se nascondesse cose fondamentali a sé stessa, a volte perfino cose evidenti per gli altri.”
“Giusto. Però io non mento, guardo in faccia la realtà, per quanto sembri più facile ingannarsi, a volte, non lo faccio e pago subito il conto, prima che maturino gli interessi passivi. Di me dicono tante cose, tipo che non lascio niente al caso, che il caso non mi piace, che non mi affido mai al caso. C’è un fondo di verità, lo ammetto, ma non sono un perfezionista pignolo, come sarebbe naturale pensare. Il caso mi piace, nella vita è prima di tutto inevitabile ed è anche bello che esista, che non sia per forza tutto sempre meccanico, logico e razionale, ma direi che è opportuno lasciare al caso solo quella parte laddove vogliamo che intervenga, che poi spesso è quella dove non possiamo intervenire noi. Questo è quello che cerco di fare io, però non è che mi riesca sempre.”
“Infatti.”
“Mia madre mi diceva sempre di non sudare, che mi faceva male, è per questo che io ora sudo tanto, più di tutti gli altri. Come si fa a non sudare in Venezuela? Là sudano anche i sassi. Per vivere bene bisogna prima imparare a non ascoltare quello ti dice tua madre, tuo padre, poi la maestra, dopo il professore, poi il tuo superiore al lavoro, tua moglie, il medico, Annibale e sua moglie, e poi alla fine bisogna vedersela con Dio in persona. Ma se poi non esiste? Sarebbe un’ulteriore fregatura.”
“Come sarebbe a dire fregatura?”
“D’accordo, tecnicamente il nome sarebbe un altro, le fregature sono così tante, comunque troppe, a partire dal fatto che siamo noi stessi, gli esseri umani, che per illuderci, magari per tentare di difenderci, ci illudiamo con una certa facilità, siamo un po’ troppo sognatori, senza controllare se i nostri sogni sono realizzabili o no, insomma cerchiamo sistematicamente di fuggire dalla realtà, ma poi quella ci morde il sedere.”
“Ho capito. E Annibale chi è?”
“Un grande e valido amico, nonché emerito rompiscatole, a un certo punto della mia storia poi entrerà anche lui.”
“Ah, ecco, mi stavi raccontando la tua storia, magari un riassuntino piuttosto sintetico…”
“Sì. Allora: dopo tanti anni sono venuto in Italia, non c’ero mai stato, inizialmente per lavoro, alla fine ci sono rimasto senza sapere se avrei voluto o no, per uno come me i servizi da fare abbondavano e i compensi erano alti, la moneta più stabile. Non avrei potuto andare in pensione regolarmente, ma di soldi ne avevo già messi da parte un po’ e decisi che mi sarei ritirato in campagna.”
“Ma che lavoro facevi?”
“Te lo dico dopo. Ora ricordo che ero già vecchio, pensavo che i giovani facessero tanto rumore per affermare e riaffermare la loro esistenza, di cui evidentemente dubitavano. Ne avevo dubitato anch’io a suo tempo, è normale. Insomma i giovani si sentono insicuri, non sanno ancora chi sono e cosa devono fare. Gli anzianotti come me, attempati ed esperienti invece erano già piuttosto stanchi di esserci, avrebbero voluto qualche tregua in più, per potersela dimenticare un po’. La famigerata esistenza pesava, la mia era una fase della vita che apprezzava dei tempi più laschi. Anche per questo la campagna come la intendevo io era quella dove non ci passava nessuno e non vedevi mai nemmeno un essere umano, se non per sbaglio. Qualcuno che si era perso e a quel punto ero anche disposto ad aiutarlo, per qualcosa che assomigliava alla carità umana, ma anche per farlo ritornare da dove era venuto, che era meglio per tutti e due eccetera. Insomma l’idea base era quella, ma rimandavo perché pensavo che dovevo trovare prima qualcuno con cui dividere bellezze, fatiche e solitudine. Stare da solo in mezzo agli altri mi pesava sempre di più e cercavo una compagna. Non avendola trovata, né prima né dopo, mi rassegnai a farne senza, come del resto avevo quasi sempre fatto, anche se a fasi alterne. Forse cercavo solo un’occasione propizia, o meglio una minaccia concreta, tipo un’ennesima pandemia.”
“Avevi bisogno di giustificare la tua fuga dalla società?”
“Può darsi, ma c’è da notare che io non ne ho mai fatto parte, nel senso che me ne sono sempre sentito estraneo.”
“Tanti la pensano in questo modo, ma tirarsene fuori è impossibile o quasi.”
“Vero, ma questa volta l’occasione era effettiva e propizia, per ottenere una separazione netta ed efficace.”
“Ci credo poco.”
“Ascolta e vedrai che non è così improbabile. Intanto speravo di trovare qualcosa sulle montagne del litorale della Toscana, non lontano da dove era nata mia madre, in provincia di Lucca, cercavo una casetta abbandonata, magari un rudere da rimettere a posto. Andai un po’ a caso, che la gente non dicesse che il caso non mi garbava. Per cominciare un su e giù con una vecchia Panda arrugginita, che avrebbe anche potuto lasciarmi a piedi, ma non lo fece, perché il motore lo avevo controllato, mentre la carrozzeria poteva anche andare a pezzi, non me ne fregava niente. Finché su al bar di Pardona, mi fermai a mangiare un panino e a chiedere informazioni. Fuori, sotto la pergola, c’erano dei vecchietti anche troppo disponibili e non eccessivamente infetti, insomma secondo loro non in maniera pericolosa. Il barista e proprietario sembrava lievemente avvinazzato, di una giovialità non comune a quei tempi, era sposato con una russa, mi spiegò, per questo lo chiamavano Pierosky.
P: Per essici c’è, cioè ci sarebbe un metatino a quattro o cinque chilometri da qui, ma son tutti da fassi a piedi, su e giù per i boschi, se le interessa parli col signor Pucci Annibale, pensionato, figura folkloristica del paese e zone limitrofe. Se vuole un posto tranquillo è quello, c’è anche il torrente accanto, lì ci andavino a fa’ le castagne, ora non più, troppo fuori mano. Ogni tanto passa qualcheduno che cerca i funghi, ma anche quelli son diventati rari, i funghi e i cercatori.
I: Ah. E dove lo trovo?
P: Annibale? Che ore sono? Tra poco, alle due, arriva per la solita partita a tresette coi sopravvissuti qui presenti.
Che ci ascoltavano con la coda dell’orecchio e finta distrazione, mi salutarono con le mani, seriamente sorridenti. Dopo una mezz’oretta arrivò vociando e ammiccando a tutti, non c’era da sbagliarsi, c’aveva proprio una faccia da signor Pucci Annibale, vigoroso pensionato e pieno di storie da raccontare che se ne uscivano da sole in mezzo a un gesticolare campagnolo. La conversazione con lui partì interessante assai e dopo un caffè che gli avevo offerto volentieri, poi lui insistette per un bicchierotto di rosso, per ammazzare il caffè, al quale dovetti retribuire quasi d’inerzia. Poi entrarono automaticamente nel giro anche tutti gli altri involontari ascoltatori, per scappare di lì ci volle un’ora e più e andammo, con passi piuttosto traballanti, direttamente al rudere.
Annibale mi condusse su e giù per quelle salite e discese, dentro e fuori dai boschi, fino a un casottino di pietra con una finestra per ogni lato, a dire il vero in condizioni non pessime, dovevano essere venti-venticinque metri quadrati.
C’eravamo già raccontati i riassunti della storia più sintetica delle nostre rispettive vite. Per quanto assai diverse, avevano in comune una tendenza, l’amore per gli animali e la natura, la stanchezza per gli esseri umani del terzo millennio, la sua molto più bonaria della mia. Ci facevamo reciproca simpatia.”




… DUE


La prova basilare della libertà umana non è tanto in ciò che siamo liberi di fare ma in ciò che siamo liberi di non fare.

                                                                       (Eric Hoffer)

Il tetto andava riparato, mi avrebbe dato volentieri una mano lui, che era stato muratore e carpentiere, aveva avuto a suo tempo una sua piccola impresa. Il materiale però andava portato lì col mulo, ma anche quello non era un problema. Il prezzo? Mi chiese un’offerta, ma io non gliela seppi fare, non ne avevo proprio idea. Allora mi posò una mano sulla spalla e poi senza toglierla mi disse, guardandomi negli occhi, con un movimento leggero dei baffi che accompagnavano le relative parole che se ne uscivano sotto:
A: Lei è da solo, mi par d’avé capito, quando muore lascia tutto ai miei nipoti, che tanto io muoio prima, senza fretta, ma muoio prima di lei. Se le va bene, non mi paga niente d’affitto e io non ni pago niente dei lavori che ci dovrà fare. Per conto mio non troppi euri ci dovrà spendere, noi muratori ni facciamo un prezzo da amici e al mulo ci penso io aggratisse. Che gliene pare?
I: Mi pare vantaggioso, ma di qui ci passa gente, o no? Io voglio stare tranquillo, ne ho le scatole piene del mondo e della gente, anche dei turisti, tanto per intenderci.
A: No, no, anch’io, anch’io. Turisti qui un ce ne viene più, qualche raro tedesco, ma poghi anche di loro. Eppoi per caso un ci passa un’anima viva né morta, per i funghi un è tanto bono, per via che ci sono più pini che lecci o querce. I castagni sono più in là, ma le castagne non se le frega più nessuno, se le vogliano ormai se le comprano tutti al supermercato. Il problema casomai è l’opposto, per portacci il mangiare e tutto il resto, tutto a braccia è un tantino pesantuccio. No? Però se lei si fa anche un po’ d’orto la situazione migliora, volendo c’è un fornetto per il pane, dalla parte del boschetto, l’ha visto? E di legna ce n’è a sfa’. Ma l’inverno è lungo e i cervelli vanno anche in pappa, avv’orte. Lei è convinto del su’ passo, voglio dì, tra noi: ce l’ha un po’ di esperienza almeno, della vita in campagna-guasi-montagna come qui?
I: Poca, ma sono più che convinto, imparerò tutto quello che c’è da imparare. Ma in paese c’è un alimentari o no?
A: C’è, ma tra poco chiude, con quei quattro vecchietti che ci abitano, Pardona non offre occasione per fare troppi miliardi, le tasse da pagare in compenso sono tante o magari anche troppe. Quindi lei avrà sempre bisogno di una macchina, scassata che sia, ma che monti le salite e non caschi giù per i burroni, per andare a Camaiore, o a Viareggio, a Sarzana o a Pietrasanta… che siamo vicini e lontani da tutto, qui la circolare un circola, un’ha mai nemmen circolato, un so se mi spiego…
I: Va bene. Questo l’avevo già messo in conto. Affare fatto.
Annibale mi aveva spiegato che lui era uno che stava bene e voleva terminare in pace la sua vita, non cercava problemi, di qualsiasi tipo fossero, le sue due figlie erano sposate con prole e abitavano già da tempo via da Pardona, lui e sua moglie Ivalda erano in pensione e facevano un po' di orto e di giardinaggio, qualche partita a carte e guardavano la televisione la sera in santa pace.
La casetta però non aveva luce elettrica né acqua corrente, ma il ruscello era lì accanto e volendo uno poteva vivere senza televisione, internet e compagnia bella, anzi era questo che mi garbava. Solo qualche libro, la compagnia di un cane e di un gatto e via.”
“E per il mangiare?”
“Avevo pensato a tutto, cioè ci stavo cominciando a pensare, ma in maniera razionale e pratica, io non do molta importanza al mangiare, cioè molto meno di tanti italiani. A guardarlo meglio il posto era incantevole, con le opportune modifiche da fare e la prima cosa sarebbe stata di buttare giù una mezza dozzina di giovani querce dalla parte del mare, secondo Annibale, che mi dette automaticamente il permesso, prima che io potessi dire qualcosa a riguardo e mi aiutò anche. Solo che io volevo uno spiraglio in mezzo alle frasche e non buttar giù tutti gli alberi, anzi se potevamo nemmeno uno. Fu un po’ più complicato di quello che lui aveva pensato, ma dopo un’ora di opportuna chirurgia giardiniera, dalle due finestre lato ovest e nord-ovest c’erano due non indifferenti e separate, ma ampie, visuali del mare dorato fino a Porto Venere, le sue relative tre isole e del vasto golfo di La Spezia.
I muri della casa avrebbero preso un po’ più di sole e magari ci sarebbe stata meno umidità, dissi, ma Annibale replicò che lì di umidità non ce n’era punta, era troppo ben ventilato.
Il tetto non fu facile da aggiustare, nel senso che dovemmo ritornare più volte sulle tavelle e sulle tegole per migliorare la tenuta stagna in caso di piogge che per fortuna o per sfortuna ce ne erano parecchie essendo ottobre, che già funzionava un po’ come il settembre di una volta. Le finestre nuove poi e la porta dettero alla casa un aspetto quasi definitivo. I muri erano robusti, misti di pietre e mattoni, mi garbavano così.
L’arredamento del mio appartamentino di Muggiano lo avevo lasciato quasi tutto là. Di mobili nuovi ne comprai pochi, piccoli, usati e massicci in paese e nel prezzo c’era incluso il trasporto col mulo. Nel giro di un mese ero già in casa nuova. Portai i vecchi libri e ne comprai qualcuno usato, gli attrezzi per l’orto, per tagliare gli alberi e per la manutenzione della casa me li trovò Annibale, ogni volta che scendevo in paese una capatina da lui ce la facevo. La moglie era un po’ scontrosa all’inizio, ma poi iniziò anche lei a prendermi in giro con suo marito e dopo poco tempo sembrava che li avessi conosciuti tutti e due da sempre. Il vecchio carpentiere era ancora in forma, più di testa che di braccia e gambe, aveva avuto le sue brave malattie, come tutti, ma m’insegnava ogni volta qualcosa, per esempio a costruirmi sedie e panche cogli incastri e le viti, qualche chiodo grosso, senza raffinatezze inutili e cittadine.
Insomma se l’inverno stava velocemente arrivando io ero quasi pronto, la stufa a legna me l’aveva regalata il mio amico e me l’aveva portata personalmente, ce l’aveva in cantina e non sapeva che farsene. Ci tenne a installare lui il tubo per il fumo, disse che era una specie di arte e bisognava conoscerla ammodo, sennò quando c’era il vento ci si affumicava come scamorze.”
“Che bellezza! Te scappavi dalla gente, ma la gente ti dimostrava, mentre la stavi abbandonando, che invece non era come pensavi tu!”
“Sì, ma non tutti sono come Annibale, sennò il mondo sarebbe un’altra cosa. Lo sai meglio di me, basta una mela marcia per rovinare tutto il cesto.
Intanto io facevo già del pane che era quasi mangiabile, anche se per il momento toccava quasi tutto al cane, giacché digeriva qualsiasi cosa. Trattavasi di cane di stazza media, bianco-rossiccio da caccia, si chiamava Bico da Bicolore, oppure da Stephen Biko, che probabilmente è stato, insieme a Nelson Mandela, il simbolo della lotta all'apartheid in Sudafrica. Veniva dalla Calabria, gente del paese lo aveva preso a Sarzana, da una di quelle associazioni che distribuivano, a chi li volesse, cani senza padrone. Aveva due occhi intelligenti, non aveva paura di niente, abbaiava solo quando c’era bisogno di avvisarmi di qualcosa di urgente, montava anche sugli alberi ed era sempre di un contagioso buonumore. Dai documenti risultava avere un anno e due mesi.”




…TRE

Quando a un uomo è negato il diritto di vivere la vita in cui crede, questi non ha altra scelta che diventare un fuorilegge.
                                                                   (Nelson Mandela)

Un altro metodo che io adotto spesso è quello di parlare con me stesso, sottintendendo che ci conosciamo già bene, noi due, che però sono sempre io, ma una parte di me è più critica dell’altra:
“I ricordi d’infanzia sono rimasti sempre forti in me, posso dire di aver una buona memoria, a differenza di tanta gente, proprio perché mi sforzo di rivivere il passato, prendo anche annotazioni e le rimetto in ordine, non so a cosa serviranno, ma lo faccio lo stesso. La sera a letto per esempio, o una volta anche nella sala di aspetto del dentista, ho sempre cercato di riempire i tempi morti di cose passate ma vive, insomma, e magari piacevoli.
Il passato non è l’antitesi del futuro, sono due cose che si possono integrare anche assai bene, se si riesce ad agire seguendo la propria esperienza. Nei tempi moderni da tutti ormai dimenticato, quello che ne esce si chiama presente. Vivendo insieme agli altri, io avevo sentito sempre più la solitudine e mi accorgevo che non vivevo mai il presente, ma troppo distorto futuro e poco anche il passato.”
“Ma quando parlavi con Annibale non ti garbava?”
“Parlare di queste cose con Annibale era impossibile, per lui era inutile teoria, aveva sempre vissuto lì e sembrava contento di sé, della sua famiglia, dei suoi amici e del mondo, quel poco che ne sapeva gli bastava e avanzava.
Con il barista di soprannome Pierosky, un po’ di filosofia spicciola si poteva snocciolare, aveva vissuto anche in Russia e conosceva abbastanza il globo per apprezzare il suo ritorno e la sua vita a Pardona. Si trattava di un gigantesco tuttologo barbuto, parlava a evidenti mezze verità, ma forse della vita e del mondo ne sapeva più di tutti in paese. Mi spiegò che i russi avevano i nomi terminanti in -skij, i polacchi anche gli stessi cognomi ma terminavano in -i semplice. Gli italiani poi mettevano una ipsilon finale e sistemavano tutto, in fondo chi se ne fregava? Per esempio lui era sposato con una russa, Olga Banishevskaja, quindi suo padre era Banishevskij, come l’attaccante sovietico della nazionale CCCP nel 1966, ai tempi del grande portiere Lev Yashin. Era un lettore compulsivo, soprattutto di libri tecnici, un collezionista di manuali di ogni genere e me ne allungò alcuni per l’orto e la manutenzione sommaria di una casa di campagna-quasi-montagna: idraulica, elettricità, veterinaria, allevamento animali e pesci, come fare il pane, la pizza e i dolci in casa, sana decrescita, la fine del comunismo, politica ruspante, filosofia campagnola e così via.”
“Una bella conversazione con un essere umano può fare anche del bene a un altro essere quasi umano, nel nostro caso.”
“A volte sì. Dipende. A dicembre comunque lasciai l’appartamento, che non volevo vendere e poteva starsene lì come magazzino, anche in maniera definitiva, tutto quello che m’interessava a breve termine era già lassù.
A più di un’ora a piedi dal paese, eravamo quasi a ottocento metri di altezza lì al metato, dietro a farci ombra c’era il monte Prana, alto 1221 metri e quando tirava vento di mare c’era un freddo antartico, ma anche la tramontana ci pigliava di laterale sorpresa e a livello di temperature erano guai, non solo d’inverno.”
“Però per le spese come facevi? All’inizio ne avrai avute assai, o no?”
“Sì, infatti. Il mio mestiere, non quello del professore d’italiano, era in un certo senso privilegiato, mi aveva permesso di mettere i soldi da parte, sarebbero dovuti bastare per campare fino alla fine dei miei giorni, avevo calcolato, magari bisognava avere esigenze modeste e io ce le avevo, non tanto per scelta, piuttosto per naturale esclusione di tutto quello che non m’interessava. Le banche non mi garbavano, per esempio e in parti pressoché equivalenti avevo euro, dollari e sterline inglesi, tutti sotterrati in tre serie di scatole di plastica, l’una dentro l’altra.
Fuori costruii un modesto capanno di legno da usare come magazzino e laboratorio. Per il primo inverno mi feci prima di tutto una doccia rudimentale a legna e un piccolo bagno. Poi mobiletti vari e rustici, soprattutto panchetti, mensole e pensili. Ero un principiante quindi i tentativi falliti erano innumerevoli e talvolta anche le bestemmie fioccavano. Alla fine però trionfavo moderatamente e sempre. Il freddo era notevole e il vento di notte fischiava, anche di giorno, ma per dormire bisognava abituarsi. Le mie contromisure iniziali di organizzazione e di comodità spartane furono sempre aumentando finché arrivò la primavera. Molta lettura la sera a lume di lampioncini a petrolio, puzzava un po’ ma in compenso illuminava male.”
“Le difficoltà sono il sale dell’esistenza o no?”
“Effettivamente. Nonostante questo ero contento, forse anche felice, però come si fa a saperlo? Potevo leggere di giorno e la notte spesso ero troppo stanco solo per tentare di farlo. L’orto era già in funzione, i primi frutti della terra non arrivarono così come avrei voluto, ma anche in questo ramo avevo molta strada da fare.”
“Non ti sentivi solo?”
“Certamente, ma anche quando vivevo giù a valle non ero mai stato di troppa compagnia, insomma era la libertà che apprezzavo di più e lì mi sentivo meglio.
La luce elettrica io non volevo nemmeno mettercela, ma Annibale era un uomo prepotente, lo diceva anche sua moglie e quando pensava di aver ragione alla fine mi convinceva sempre, aveva sempre convinto pure lei, quando eravamo totalmente contrari ci si divertiva anche di più.
In quel caso mi portò un elettricista senza preavviso, un amico suo, che poi diventò anche mio. In più Annibale rideva e mi dava robuste pacche sulle spalle. Zino disse che il percorso dei fili nel bosco era favorevole e se il lavoretto fosse stato ben fatto non se ne sarebbero mai accorti. Ci volevano un duecento metri di filo grosso, doppio e costoso assai, ma alla fine la resa sarebbe stata ottima, soprattutto per leggere e per fare il bagno. E poi era gratis. Dopo una guerra di una settimana sono riuscito a deviare sui pannelli solari, che non avevano bisogno di tanto filo, erano più cari ma era un investimento praticamente eterno. Gli avvenimenti a seguire mi dettero piena ragione, ma Annibale non fu facile da convincere.”
“Quali avvenimenti?”
“Aspetta, che ora viene il movimento.”
“Mi pare che tu l’abbia presa un po’ troppo larga. Non si era detto un riassuntino breve?”
“Questo l’avevo detto a Pietro 2, ma tu sei Pietro 3, cerca di stare al tuo posto. E poi se non ti spiego tutto quello che è successo prima, dopo non ci capisci più niente.”
“Vabbè, basta non esagerare…”
“No, ascolta: il secondo cane venne da solo, una femmina piena di zecche e di pulci, ma in poco tempo la rimisi a funzionare come un pelosissimo orologio svizzero, si chiamava Annabella, sul solito suggerimento insistito di Annibale. Con l’aiuto del quale e con la lettura dei manuali pensammo anche di mettere su un piccolo allevamento di trote, bastava deviare in parte il torrente lì vicino, ma non sapevamo cosa dargli da mangiare. In seguito stabilimmo che se non fossero state trote potevano essere carpe o qualsiasi tipo di pesce che fosse buono da mangiare e che personalmente non avesse problemi a cibarsi di un po’ di tutto quello che avanzava al metato. Le due vasche grandi ci mettemmo un po’ a prepararle, per via della famigerata impermeabilizzazione. Tutt’e due perdevano un po’, non so più quanti strati avevamo fatto e il catrame dentro a secchiellate, ma Annibale disse che tanto l’acqua lì non mancava mai e allora le lasciammo così.”
“Annibale ha avuto una grande importanza nel tuo inizio di una nuova vita, non è vero?”
“Sì, è stato decisivo e poi era simpatico, un po’ rompicoglioni, ma anch’io lo ero… anzi lo sono ancora, lo sono sempre stato. Insomma ci capivamo. Con estrema serietà poi mi spiegò che le anguille andavano più che bene, mangiavano di tutto ed erano delle bestiacce buone da fare fritte, arrosto e in umido, se non le ammazzavi te erano praticamente immortali, se ce n’era bisogno strusciavano anche sulla terra asciutta come serpi. Risi e replicai che se il Mare dei Sargassi non fosse stato un po’ fuorimano sarebbero state l’ideale. Disse che ero proprio uno scemo e promise che me le avrebbe portate lui, non c’era problema. Chiesi a Pierosky, che mi appoggiò con piacere, ma Annibale era duro come il nostro vicino marmo di Carrara. Il barista poi trovò trai suoi un volumetto che spiegava bene le cose, o almeno senza complicarsi troppo ci provava e l’allungammo ad Annibale, che era un San Tommaso irriducibile e non credeva mai d’acchito a quello che gli si raccontava. In alcuni casi di trincerava sulle sue posizioni e ne faceva un punto d’onore, allora anche due o tre acchiti non bastavano.
Il libretto diceva che la migrazione e la riproduzione delle anguille d'acqua dolce erano rimaste un mistero fino a metà circa del XX secolo, quando furono scoperti per la prima volta, nel mar dei Sargassi fra le isole Bermuda e Porto Rico, i luoghi di deposizione delle uova. Quando l'anguilla europea (Anguilla anguilla) e la specie affine americana (Anguilla rostrata) raggiungono la maturità sessuale nei laghi e fiumi d'acqua dolce cominciano la loro lunga migrazione che le porta nei luoghi di riproduzione. Esse nuotano nei corsi d'acqua, ma a volte strisciano come serpenti fra l'erba bagnata dei campi, fino a raggiungere l'oceano, dove nuotano o si lasciano andare alla deriva portate dalle correnti; vagano così anche per un anno, fintanto che non raggiungono le acque ricche di vegetazione del mar dei Sargassi. Qui le anguille depongono le uova in acque profonde e muoiono. Non appena usciti dall'uovo, i leptocefali si lasciano portare dalla corrente del Golfo, raggiungendo le coste europee in tre anni e quelle nordamericane in un anno. A questo punto, trasformatesi in cieche, si accumulano numerosissime presso le foci dei fiumi; quindi assumono una colorazione gialla sul ventre, nuotano controcorrente, risalgono i fiumi e si nutrono d'animali che vivono sui fondali; infine, diventano individui adulti dal corpo nero e argenteo, completando così il loro ciclo vitale. Ne rimase sorpreso quanto entusiasmato, alla fine glielo raccontò anche alla moglie, erano a cena da me, ricordo che era maggio e fu l’ultima volta che li vidi entrambi. Annibale aveva bevuto un po’ troppo Pitigliano bianco e la prese in giro per un po’ chiamandola ignorantella, lui queste cose le aveva sapute fin da bambino e mi strizzava l’occhio in segno d’intesa. Ridendo e scherzando, bevendo e parlando, eravamo andati piuttosto sul filosofico quella sera e non mi avevano capito tanto bene, quando gli avevo parlato dell’assoluto relativo, una tra le tante mie teorie. Appena me ne ero accorto mi ero subito zittito. Avevamo cambiato argomento.”
“E meno male, ci mancava solo l’assoluto relativo!”
“Infatti. Annibale e sua moglie rimasero addirittura stupiti quando gli dissi che anche mia madre era partita dall’Italia, come le anguille a settembre, si era riprodotta in America Latina e poi era morta, io me ne ero venuto in Italia, un po’ come le cieche, parlavo l’italiano ma non c’ero mai stato prima. Mi chiesero che lavoro facevo in Venezuela e io gli raccontai quello di professore d’italiano.”
“Hai fatto bene, non ci avrebbero nemmeno creduto, secondo me.”
“Dopo vari tentativi falliti decisi che le trote erano buone assai da mangiare ma troppo complicate, le carpe si rivelarono l’ideale, per me ci volevano pesci onnivori e meno sofisticati. Erano meno saporite delle trote, ma la loro stretta economia era sostenibile per me e le avrei mangiate con più sale, aglio, basilico e prezzemolo. La mia provvista d’olio d’oliva intanto era già imponente, un fusto da cento litri, poteva bastare forse per tutta la vita. Quanto volevo vivere ancora non lo sapevo e poi le mie intenzioni non erano necessariamente quello che si sarebbe realizzato.
Confesso che il mio obbiettivo finale non mi è sempre stato chiaro, però durante il percorso ho spesso saputo bene cosa non sopportavo e che non avevo assolutamente voglia d’impegnarmi a cercare d’ignorare tutte queste cose che non mi garbavano, che anzi mi facevano solo irritare e ancora di più tutti questi che adoravano situazioni che io non vedevo proprio alcun ragione per dovere, potere o voler considerare.”
“Sei un po’ esagerato, ma che ci vuoi fare, ormai è tardi per cambiare.”
“Ecco, infatti, tu lo sai che ho accantonato tanta gente durante la mia carriera di snob che si fa solo i fatti suoi, di bastiano assai contrario alla massa e ai gusti comuni, tanta altra gente l’avrei anche messa da parte io, ma per fortuna ci ha pensato prima da sola.”
“Selezione naturale?”
“Proprio. La selezione naturale non è per niente forzata, lo dice il nome stesso, non c’è nessuna scelta da fare. Conosco tanta gente che accetta tutto e tutti, magari non pensa nemmeno che sia una filosofia originale e bella, per loro è semplicemente più naturale così. Non mi sento di dire beati loro, perché vedo che sono trasportati dove non vorrebbero, sono manipolati tanto che non se ne accorgono nemmeno più, non sanno neppure più chi sia il responsabile dei propri guai, che poi alla fine sono proprio loro stessi, in maniera irregolare quanto sistematica. Da quando l’ho capito, il mio lavoro interno, il mio sforzo maggiore è stato eliminare un meccanismo in me, comune a tanti uomini e donne.”




…QUATTRO

La libertà è quel bene che ti fa godere di ogni altro bene.
                                       (Montesquieu)
Un ulteriore metodo è la conversazione con zia Gigliola, sorella più giovane di mia madre, entrambe da tempo defunte, ma con lei posso parlare di tutto, perfino della ricerca dell’assoluto relativo:
“Ho notato che nella vita ci sono dei problemi, che al di fuori di questo ambiente, diciamo, fuori dalla vita non si presentano.”
“Quindi?”
“Quindi togliendo la vita si evitano tutti questi problemi, diciamo, tutta una serie di problemi se ne va. Sparisce.”
“E allora?”
“Ecco l’utilità di un killer. Una tra le altre che abbiamo già citato.”
“Ne abbiamo già parlato?”
“Sì, in un certo senso, diciamo.”
“Rinfrescami la memoria.”
“Beh, oltre all’ovvio vantaggio materiale per il killer, che se ne esce più danaroso, diciamo, c’è il fatto che uscito da quell’ambiente il prematuramente defunto non deve più pagare le bollette, scappare dai creditori, diciamo, non deve sottostare a tutte quelle assurde regole che la vita impone, se ne va da questa valle di lacrime e chi s’è visto s’è visto.”
“Bravo. Non fa una piega. Forse il prematuro non è d’accordo, ma in fondo basta non chiederglielo.”
“E poi c’è la ricerca dell’assoluto relativo, non dimentichiamocelo.”
“Me lo sono già dimenticato.”
“Non ci credo.”
“Giuro.”
“Sei una bugiardona, ma te lo riassumo subito lo stesso:
“Sarebbe come dire l’imperfetto perfetto. La ricerca dell’assoluto relativo, è già in sé un controsenso, eppure un’esigenza tipicamente umana, quella di cercare un’improbabile quanto auspicata e stabile sicurezza. L’assoluto relativo è un interrogativo irrisolto e nascosto, al quale nessuno di noi sfugge, per molti è la chiave di volta dell’esistenza. Quello che noi vogliamo è qualcosa il più possibile perfetto, desiderio legittimo e illegittimo allo stesso tempo, è bene intendersi, ma il fatto è che tutto intorno ci pare tanto incompleto e mal funzionante, che lavoriamo quindi incessantemente sulla base di un’idea complessa, quanto meravigliosa e sbagliata.”  
“Per fortuna non tutti vanno dietro a questo assoluto improbabile. A pensarci è un po’ scomodo, magari fa parte della storia dell’uomo?”
“E la scomodità non ce l’ho certo messa io. C’era già quando sono arrivato. Insomma io a quei tempi leggevo assai e scrivevo in proporzione, a volte leggendo mi veniva voglia di scrivere, ma quando scrivevo assai - e mi divertivo a farlo - allora non leggevo quasi per niente. Avevo iniziato a scrivere dei racconti per i miei allievi, in Venezuela, tanto per spiegare le regole di grammatica e di sintassi, insieme al loro uso corrente. Poi ci avevo preso gusto e alla fine mi ero immedesimato in quei corti viaggi nel tempo e nello spazio, che mi ero dimenticato degli allievi e delle regole. Mi si era aperta una porta nuova e un mondo inesplorato. Poi ho letto da qualche parte che scrivere è un’attività altamente dissociativa e io non faccio altro che dissociarmi, da quando sono nato.”
“A intermittenza direi, ti piace anche associarti, ma vuoi scegliere troppo forse con chi e alla fine resti solo.”
“Soli si sta bene assai.”
“Sì, ma in compagnia si sta meglio!”
“No. Non è per tutti così.”
“Sì, forse sei abituato a pensare troppo.”
“Forse.”








…CINQUE

Il timore di essere sopraffatti e distrutti da orde barbariche è vecchio come la storia della civiltà. Immagini di desertificazione, di giardini saccheggiati da nomadi e di palazzi in sfacelo, nei quali pascolano le greggi, sono ricorrenti nella letteratura della decadenza dall'antichità fino ai giorni nostri.
(W. Schivelbush)


Con mia madre al contrario non posso dire tante cose, bisogna mantenersi sul neutro, mi fa piacere parlarci, perché quando era viva non ci parlavo mai, cioè si dicevano le cose necessarie alla routine giornaliera della convivenza, ma raccontarle qualcosa non mi è mai riuscito.
“Sei tutto sudato!” Comincia lei.
“Sì mamma, in Venezuela era impossibile non sudare, con un clima caldo e umido, equatoriale come quello, ma qui è un po’ meglio, è più asciutto e fresco, comunque ora faccio il bagno e mi vesto tutto ammodino, come se andassi alla messa. Sei contenta?
Ti stavo raccontando che nelle notti di vento e burrasca là dentro il metato mi sentivo veramente bene, tranquillo, al sicuro, come quando ero bambino e mi sentivo protetto da voi genitori. Misi su le galline, facevo un po’ di orto libero, senza curarmi troppo delle erbacce, coltivavo un po’ di tutto, seguendo i miei gusti, i manuali per quello che si poteva fare qui, che non era certo tutto quello che esisteva al mondo.”
“Ma te hai sempre lavorato in città, queste cose dove le hai imparate?”
“Sui manuali, te l’ho detto ora, non ti distrarre, quando parli con qualcuno guardalo in faccia, magari. Poi c’era il mio amico Annibale che m’insegnava un sacco di trucchetti campagnoli, e anche sua moglie Ivalda, loro avevano sempre vissuto in mezzo ai campi. Intanto stavo abituandomi a fare a meno del pane, mi piaceva e anche assai, ma sarebbe stato troppo complicato da produrre senza comprare niente. Andavo sempre meno in paese, Annibale veniva qualche volta, sempre più rara, ma le sue gambe erano, ogni giorno in più, troppo ballerine.
Ero ancora forte e mi sentivo piuttosto in forma, ma la mia età era già avanzata. Alla fine del terzo anno di ritiro ormai ero autosufficiente e le pandemie che erano scoppiate e terminate, ritornate e andate via di nuovo erano state diverse, secondo la radio, avevo perso il conto. Intanto ero diventato pressoché un eremita felice e avevo rinunciato a scendere a valle. Figurarsi che l’ultima volta, attorno alla mia Panda arrugginita, nel piccolo posteggio del paese, avevo notato che era cresciuta l’erba alta.”
“Sempre macchine brutte e scassate hai avuto!”
“Sì, costavano meno e l’importante non era la bellezza, per me, ma che funzionassero.”
“Ma quelle si rompevano sempre!”
“Ogni tanto, le macchine usate hanno questa caratteristica!”
“Allora il tuo risparmio nel comprarle lo pagavi con gli interessi.”
“Va bene mamma. Considera che finalmente la macchina non mi serviva più, ero diventato quasi autonomo e autarchico! Lasciami raccontare ora.
Passò un bel po’ di tempo, forse troppo, senza scendere a Pardona e non che ne avessi sentito la mancanza, solo che sul mare non vedevo più navi e sull’autostrada là sotto, qualche chilometro in basso, non passavano più automobili né camion. Anche con il cannocchiale non vedevo più niente in giro, niente aerei nel cielo, né sentivo più rumori che non fossero di animali nel bosco e di uccelli sugli alberi. La radio in precedenza non aveva accusato avvenimenti speciali, la solita routine di epidemie, o pandemie che fossero. Poi, di punto in bianco, le trasmissioni erano finite.”
“No! E che era successo?”
“Se hai pazienza un attimo, ora te lo dico.
Andando al paese incontrai muli che giravano liberi, galline e animali da cortile che circolavano senza persone intorno, nessuno. Incontrai i primi cadaveri putrefatti, mangiati dagli animali e consumati dalle intemperie, tanti corvi e uccelli in generale, topi e tarponi vivaci e quasi ammiccanti, parevano sorpresi di vedermi, forse mi vedevano già come potenziale cibo. Impossibile non notare eserciti di formiche in movimento, blatte e insetti a profusione, di ogni tipo e grandezza, finalmente liberi dai vari ed eventuali veleni. Gatti e cani andavano su e giù, in disperata ricerca di mangiare, non c’erano più abituati a doverselo trovare da soli.
Avevo più volte pensato che ci sarebbe stata di nuovo una guerra mondiale, per come stavano andando le cose in giro, sarebbe stata solo una questione di tempo.
Invece no, peggio ancora.”
“Eri rimasto solo sulla terra?”
“No, sì… insomma non lo sapevo ancora. Mi dispiaceva per tanta gente perbene che era morta senza colpa, anche se una colpa piccola ma indicativa ce l’avevano pure loro, non si erano dissociati. Io stesso mi ero salvato forse per caso, forse sì o forse no, ma almeno da tempo ero uscito da quel gioco stupido. Esistevano altri sopravvissuti? E loro come si erano salvati?”
“Finalmente sarai stato contento, potevi giocare da solo, con i soldatini, come quando eri piccolo che non volevi altri bambini, che erano ignoranti e facevano sparare i soldati romani col mitragliatore!”
“Infatti, cioè no, non è stato così semplice, mamma.
Andai da Annibale, la casa era chiusa, forse erano morti dentro, sfondai la porta, dentro non c’era nessuno, nel frigo chiuso roba putrefatta, forse erano stati ricoverati in ospedale quando le cose si erano fatte bige, o forse erano vivi, erano scappati.
Il bar di Pierosky era stato saccheggiato, qualcuno si era ubriacato per bene prima di morire. C’era un grosso cadavere in putrefazione, mezzo spolpato, per terra vicino alla scala per il suo appartamento sopra il bar, doveva essere lui.”
“Ma era pericoloso, potevi contagiarti e morire anche te!”
“Infatti mamma, all’inizio ho dovuto usare la mascherina, quando stavo vicino ai morti.”
“E dopo?”
“Dopo piano-piano i morti sono putrefatti e io stavo più che altro al metato, lontano da loro.”
“Non avevi sentito il puzzo dei cadaveri, prima?”
“No, il vento veniva dal bosco, dalla parte non abitata.”
“E gli animali non erano infetti?”
“No, questo era stato comune anche a tutte le pandemie precedenti, gli animali se ne erano sempre fregati. Pensai però che qualcuno ci doveva ancora essere in giro, che camminasse con le proprie gambe, in cerca di roba da mangiare, di sicurezza e di conforto perduti. Presto o tardi mi sarebbe toccato di difendermi da quei gruppi di feroci affamati tipo film dei sopravvissuti. Quando il mangiare attorno sarebbe finito mi avrebbero trovato anche quassù, ne ero convinto.
A giudicare dalle bestie a passeggio, loro non erano stati contagiati nemmeno stavolta, non ne avevo vista morta in giro nessuna, allora avevo un certo lasso di tempo di vantaggio, diversi mesi ancora per prepararmi. Prima di tutto una jeep, e c’era l’imbarazzo della scelta, già qui in paese, ci voleva un fuoristrada coi controcazzi, me ne scelsi una assai infangata ma in buone condizioni, con le chiavi infilate nel cruscotto. Dunque me ne andai in giro per cercare la benzina, poi mi accorsi che era a gasolio, c’era scritto vicino al tappo del serbatoio. Là sotto era uno sfacelo di cadaveri e di mezzi di trasporto abbandonati, però in relativo ordine, la gente era morta ma non improvvisamente, non per strada, la maggior parte, forse negli ospedali, o a casa. Insomma si passava abbastanza bene senza bisogno di dover spostare oggetti o cose peggiori. A parte il volo di migliaia di mosche c’era un silenzio irreale, mai sentito tanto tutto insieme e così insistito, nemmeno nella giungla amazzonica. Al secondo distributore di benzina trovai anche grosse taniche e riempii tutto, due anche di benzina che mi sarebbe servita per accendere il fuoco o per l’eventuale difesa estrema, non si sapeva mai. Non vidi nessun essere umano vivo, solo animali e anche allo sbando, troppo abituati come erano a essere cibati dai rispettivi padroni, prematuramente e inopinatamente schiantati. Pecore e vacche sperse mi fecero venire l’idea di portarmene qualcuna su, mi ci voleva un rimorchio e non fu facile trovarne uno, ma in pochi giorni di lavoro avevo reclutato e trasportato quattro pecore e un montone, due mucche e un toro, il latte mi avrebbe fatto comodo e dovevo anche pensare alla riproduzione. Stavo già costruendo i loro recinti, una capanna per l’inverno e le nostre prossime notti fredde. Riuscii a trovare dei cavalli, per girare attorno erano meglio della jeep, che lasciavo in paese in un garage abbandonato, avevo già preso anche due muli per portare i carichi. La mia mandria era sempre più numerosa e aumentava anche il mio lavoro quotidiano per dargli da mangiare.”
Naturalmente del mio secondo lavoro mia madre non ha mai saputo niente, anche nei miei dialoghi virtuali non gliene parlo, non si sa mai.









…SEI

L’uomo veramente libero è colui che rifiuta un invito a pranzo senza sentire il bisogno di inventare una scusa.

                                                                     (Jules Renard)

Un dialogo virtuale che ho inventato recentemente è quello con Annibale, a volte interviene anche sua moglie, ma è già difficile spiegare a lui tante cose, senza che arrivi lei a chiedere chiarimenti.
“Caro Annibale. Ogni giorno si lavorava di binocolo e osservazione delle strade, eventuali imbarcazioni dal mare, forse sarebbero arrivati da quella parte, ma potevano anche arrivare dalle altre. La sera pianificavo, il giorno mettevo in pratica. Dare mangiare agli animali era già un’occupazione impegnativa, lo facevo il pomeriggio, dopo pranzo, tutto il resto del giorno era un piano di guerra di difesa, un nuovo tipo di guerriglia moderna. Intanto i miei cani erano arrivati a otto, erano liberi e giravano intorno alla casa. Il bosco intorno era impenetrabile per i rovi alti e intrecciati in basso e un sottobosco fitto in alto e intorno, te lo sai bene, nei passaggi obbligati c’erano roccioni e strettoie, nei punti strategici i miei mortali tranelli imparati dagli indios della foresta amazzonica, intorno alla casa uno steccato di pali appuntiti di castagno.
Erano passati forse sei mesi quando vidi arrivare uno yacht bianchissimo da lontano, con il binocolo spiai per un po', attraccarono con evidente scarsa perizia marinaresca, presero la strada dopo aver scelto delle automobili abbandonate. Non mi sembrò che fossero dei samaritani che volessero reclutare gente pacifica per la loro buona causa. Li seguii con il cannocchiale e stavano venendo nella mia direzione, possibile che aldilà del mare avessero saputo che avevo della carne fresca e del pesce vivo da mangiare? Il capo era un piccoletto pelato che teneva sempre le mani sulle sue due automatiche Glock, forse temeva una rivolta interna al gruppo.”
“Ma te le armi le conosci bene, o come mai?”
“Non hai ancora capito che facevo di mestiere?”
“No, se un me lo dici…”
“Già, è vero, meglio se te lo dico dopo. Insomma erano una ventina, in mezzo c’erano tutte le razze e gli abbigliamenti erano misti, strappati, erano sporchi e sudati, contai più uomini che donne, più orientali che occidentali. Evidentemente la vita dell’epoca non permetteva più l’esistenza di malfattori in giacca e cravatta, c’era già un miglioramento, almeno era sparita la falsità, quello che si faceva, bello o brutto, era alla luce del sole. Notai anche che le armi erano di ogni tipo, cioè quelle che avevano trovato in giro.
La rivoluzione era stata magari non improvvisa, però rettilinea e inarrestabile, quando la luce elettrica e le altre fin troppo scontate comodità erano venute a mancare, si tornava automaticamente all’età della pietra e la gente non avrebbe avuto il tempo d’imparare a fare quello che da secoli non aveva più fatto. Tornare a essere cacciatori e guerriglieri dopo una vita da impiegati non era facile, ci voleva del tempo, contemporaneamente il tempo non giocava a loro vantaggio, perché non avevano da mangiare. La maggior parte della gente che si era salvata, non sarebbe riuscita a mantenersi in vita, per questo si associavano e diventavano dei saccheggiatori capaci di badare a sé stessi appena al momento, al domani non ci pensavano proprio. Forse anche io avevo sottovalutato qualche aspetto, come per esempio che gli animali chiusi e lasciati imprigionati nelle stalle, come vacche e pecore, sarebbero morte di fame o di sete, se non c’era nessuno durante i primi giorni a liberarle.
Un vantaggio che io avevo da sempre era quello di non farmi illusioni, la gente era attaccata alla vita in una maniera spropositata, avevo notato che chi viveva peggio c'era più aggrappato degli altri, forse per via dell'ansia, perché non sapeva cosa gli sarebbe successo dopo. Non che io lo sapessi, ma da anni avevo imparato che sopravvive più facilmente chi non ha paura di morire e per me i cambiamenti erano più il bello che il brutto dell'esistenza. Il timore di perdere porta inevitabilmente alla sconfitta, non sto parlando di qualche stronza competizione, ma della normale lotta per la sopravvivenza, che improvvisamente, dopo secoli di tecnologia che aveva impigrito la gente, aveva cambiato a sorpresa tutte le regole. Lo diceva anche il vecchio Darwin, la specie che sopravvive alle ostilità dell’ambiente non è quella più forte, o quella più intelligente, ma quella che sa adattarsi meglio ai cambiamenti.
Forse le mie paure si identificavano con l’inattività, l’abulia, la depressione, la prigione o cose di questo genere. Se potevo muovermi ed essere il percussionista del mio ritmo, invece, niente mi spaventava.
In caso di guerra nucleare i topi e le blatte sono i più resistenti e quindi favoriti alla sopravvivenza, gli esseri umani i più soggetti all’estinzione e se lo meritano anche visto che il nucleare lo hanno inventato loro. Nel caso di una guerra batteriologica anche, perché i microbi dei virus senza di loro non sarebbero esistiti, ma anche perché hanno complicato talmente la propria vita che non saprebbero più tornare a campare in maniera diversa.
Nell’oscurità i cani abbaiarono più volte, sentii un baccano ritmico e insistito quando era quasi l’alba e mi preparai. Ma era solo il vento che si era alzato al sorgere del sole e sbatteva qualcosa nel silenzio circostante. Ovviamente non dormii, ma il giorno dopo approntai nuove trappole nel bosco e sui sentieri attorno a me. Tutte le mie armi erano ben oliate e cariche, pronte in punti strategici.
Avevo dei fucili di precisione col cannocchiale, potevo colpire e uccidere da grandi distanze calcolando anche il vento. Pensai che i più sofisticati e fanatici tra i miei colleghi disdegnavano la praticità della pallottola a distanza, gli piaceva di più il pugnale, il corpo a corpo. Invece così il poveraccio in questione moriva senza nemmeno sapere cosa era successo, in più non ci si sporcava le mani, si aveva tutto il tempo per allontanarsi.”
“Allora te eri un killer?”
“Sì, ma non ero come credi te, sono sempre stato una persona di principi saldi.”
“E come si fa ad ammazzare la gente e a credere nel mondo e nella vita?”
“Non è facile. Hai ragione, ma la mia vita è stata una lotta di sopravvivenza, come per tutti, sicuramente più estrema, anche di quella dei miei cosiddetti colleghi. Ero l’unico del mio campo che rifiutava degli incarichi, se mi documentavo e la vittima non mi soddisfaceva, io dicevo di no. È successo di rado, solo quando avevo visto che i mandanti erano peggiori delle vittime. Lo sapevo che perlopiù erano equivalenti, almeno approssimativamente, non c’era da farsi illusioni, facevano schifo da entrambe le parti. Ma quando mi mandavano ad ammazzare una persona giusta, per pochissime che ne esistevano, ai livelli di guerre di potere, non volevo certo farle diminuire. Ecco che dopo mi mandavano altri killer, in alcuni casi dei poveri debuttanti allo sbaraglio. Forse con timore che li potessi denunciare, cosa che non mi passava nemmeno per la testa, o magari per una pura dimostrazione di potere o di infantile orgoglio ferito. Non c’è niente di più assurdo della logica umana. In questi rari ma indicativi casi dovevo farli fuori, anche i matadores, se volevo sopravvivere e a volte la loro testardaggine sostituiva il semplice buonsenso, dovevo arrivare anche ad ammazzare i mandanti originali. Una faticata che durava anche dei mesi. Solo per una questione di principio.”
“Ma non è successo tante volte, credo.”
“Infatti, solo tre volte in venticinque anni di onorata carriera. In genere il caso era fatto di comportamenti di routine, i cattivi erano gli altri e il buono, che ero io, ne ammazzava uno e prendeva soldi dall’altro. Per me i principi erano ancora validi e ci tenevo. Ho ingannato venticinque anni la società che mi ha creduto un professore per tutto quel tempo e io non ero mai nemmeno passato una volta per la polizia. Avevo abbandonato le lezioni alle classi e avevo continuato le lezioni private, che mi permettevano orari elastici e una facciata di attività legale.”
“Se glielo dico a Ivalda un ci potrà credere…”
“E te non glielo dire, tanto siete morti tutti e due credendomi un innocuo professore…”
“Innocuo?”
“Sì, uno che non può far male a nessuno. Ma lasciami raccontare le cose ammodo ora. Mi trovavo avvantaggiato, a quel punto, il gioco era cambiato, in maniera totale, solo che io lo avevo già praticato in precedenza. Per scalzarmi da lassù ci volevano degli eserciti, oppure dei professionisti esperienti e scaltri. Comunque per riuscirci non mi dovevano far accorgere che arrivavano, sennò il mio vantaggio era incolmabile.
Certo non mi potevo concedere errori, la notte dormivo troppo poco. I miei cani abbaiavano anche per delle stronzate, avrei avuto bisogno di qualcuno che mi desse il cambio, un compagno, meglio una compagna, ma dove l’avrei trovata? Saltavo su per ogni più piccolo rumore: l’abbaiare dei cani, il muggire delle vacche, il belare delle pecore, il cinguettare degli uccelli in maniera differente. I gatti stavano zitti per la maggior parte del tempo e per fortuna le carpe aspettavano in silenzio, abitualmente non sono di molte parole, e poi essere mangiate da me o dagli invasori non faceva differenza per loro.






…SETTE

Non disperare la tua anima gemella è lì fuori! Tra 7 miliardi di persone. In 5 continenti diversi. Supponendo che sia viva e che sia single.
(Iddio, Twitter)



“Sulle cause e sui motivi per cui tutto finì si potrebbero scrivere cento volumi, ma dopo nessun libro fu più scritto. Nonostante la situazione pesante avevo una specie di entusiasmo addosso che in un certo senso mi spaventava, uno normale si sarebbe sentito perso.”
“Ma come fa uno a vivere da solo, senza Ivalda io sarei già perso!”
“Sì, lo so Annibale, anche io avrei trovato, più di una volta una donna con la quale mi sarebbe piaciuto invecchiare, ma a loro non sono piaciuto io, certo non è una cosa facile, non tutti ci riescono, ma meglio stare da soli che con qualcuno che non ti piace. In un certo senso voi mi avete abbandonato, chi ve lo ha fatto fare di morire? E poi io da solo sono sempre stato e la gente, almeno la maggior parte, non mi è mai garbata troppo. Da una parte tutta quella solitudine mi faceva paura, dall’altra devo confessare che mi piaceva. I cosiddetti esseri umani se lo erano voluto, senza saperlo si erano stancati loro stessi di esistere, non avevano ideali né metodo.”
“Ma quale metodo? La gente si è trovata in una situazione impossibile! Te hai avuto culo! E basta.”
“No, no, ascolta. Quelli, non tu, ma chi doveva fare qualcosa a livello sociale e organizzativo, loro passavano il tempo a litigare, a rubare i soldi pubblici, a favorire amici e parenti, il loro stesso vivere li indeboliva e li allontanava dagli obbiettivi veri e fondamentali. E poi c’era troppa gente, il mondo diventava sempre più piccolo e il cibo scarseggiava, anche l’acqua - avvelenata dalla stessa umana produzione esagerata di beni inutili - cominciava a mancare. Ma dove volevano andare? I batteri delle peggiori pandemie non avrebbero potuto procedere se ci fosse stata una resistenza ben organizzata. Ripetutamente era accaduto che una volta che i virus erano giunti dalla Cina, gli occidentali avevano fatto confusione, usato la situazione per arricchirsi a danno di chi moriva, per salire politicamente a danno degli altri partiti, in poche parole erano riusciti invece di solidarizzare a fare del loro peggio per tentare di estinguersi. Ci avevano provato e riprovato, alla fine c’erano riusciti. Nessuno aveva un piano a lungo termine, per il bene della maggioranza, non gli passava nemmeno per il cervello. Detesto ogni tipo di elite, perché dicono di andare lì a comandare per fare del bene e fanno solo del male, non solo per incompetenza, ma per ipocrisia, individialismo, protagonismo, disonestà e prepotenza. Un’elite idiota può far comodo alle varie mafie locali e nazionali, più di tutte a quelle internazionali. Tanti erano incompetenti, altri cercavano di guadagnarci, tutti o quasi facevano propaganda politica contro i nemici tradizionali e quelli nuovi, già che c’erano. Inizialmente in Cina invece riuscivano con la loro rude disciplina a debellare i contagi, ma altrove, specie nei paesi ricchi a sanità privata, tendevano a fare tutto quello che non si poteva e nell’ordine peggiore. La globalizzazione aveva fatto il resto, quasi nessuno era più separato dagli altri, quei pochi forse erano quelli che si erano salvati.”
“Qui a Pardona noi siamo stati solo vittime di quel sistema che dici te.”
“È vero, ma sto parlando in generale, guarda: storicamente migliorare il nostro livello di vita era stato il nostro obbiettivo da sempre. In maniera sistematica abbiamo cominciato dopo l’anno mille, visto che non ci eravamo ancora estinti, a cercare di risolvere gli interrogativi pungenti. Poi, visto che non ce la facevamo, abbiamo pensato che mentre aspettavamo le soluzioni, potevamo costruire una struttura stabile e duratura, per poterlo fare in maniera regolare. Che poi significa mettere il carro davanti ai buoi. Per migliorare il nostro livello di vita abbiamo lasciato perdere tutto il resto, ogni utopia via per una prospettiva razionale, che poi a guardare bene era irrazionale, ma ormai c’eravamo dentro con i piedi e tutto. Ci siamo fatti un bel culo per arrivare al duemila, ma ora invece di starcene sdraiati a riposare, come speravamo, lavoravamo sempre di più, per guadagnare sempre di meno in termini di benestare, non solo di denaro. Gli interrogativi si sono addirittura complicati, almeno quelli di prima, poi ne abbiamo scoperti altri, ai quali non avevamo pensato. Quella che doveva essere una maniera per vivere meglio ci ha preso la mano e ci ha portato dove voleva lei. Insomma l’uomo impara solo quando è troppo tardi, per questo mi sono dissociato, per questo mi sono salvato. Quando si nasce non si può certo scegliere dove e come, questo non significava che io dovessi seguire sempre e per forza questo gregge di pecore impazzito.”
“A queste cose non ci si era mai pensato, chi poteva prevedere una epidemia che avrebbe spazzato via il genere umano dalla terra?”
“Nessuno forse e io ho magari ho avuto solo culo, ma intanto io mi ero dissociato. Quando me ne sono reso conto ho cambiato vita, ero già adulto e maggiorenne, diciamo più prossimo alla trentina, ma sono andato per gradi, o meglio mi sono costruito degli scalini ideali che poi ho salito, uno alla volta. Non me ne pento affatto. Lo so che la soluzione ideale non era nemmeno quella, la soluzione ideale non esiste, bisogna creare il proprio terreno fertile giorno per giorno, senza paura di dover cambiare sempre e di nuovo.”
“Ma se tu fossi nato e cresciuto qui non ci avresti neanche pensato a queste cose qui.”
“È vero. Forse avrò anche avuto solo fortuna, ma il piccolo dettaglio che io, per qualche ragione sconosciuta, avessi cambiato terra e cultura è stato decisivo, perché mi ha aiutato a capire. Per quanto apprezzassi la vita e le cose buone del mondo, non avevo un dio al quale mi riuscisse di credere, né una religione che mi potesse sembrare autentica, forse più per istinto ma anche per scelta razionale, nessun idolo da glorificare, né da santificare. Apprezzavo la bellezza in senso generale, purtroppo ne trovavo molto più spesso di fisica che di morale. Tra i cantanti, attori, personaggi famosi o semplici esseri umani non ho mai intravisto nemmeno lontanamente una perfezione, cosa che non cercavo più nelle persone. Ne trovavo nella natura e anche spesso, e quella non interessava più a molti.
A me sì. È lì che trovavo il carburante per il mio motore a scoppio, la voglia di vivere, il desiderio di un domani.
Se nessuno me lo chiedeva potevo stare tranquillamente zitto, ma se volevano sapere la mia opinione io non dicevo bugie, né mezze verità.
Non potevo fingere che mi piacessero tutte le canzoni di un disco, a volte è anche successo, ma raramente. Di registi di film preferiti ne avevo tanti, italiani e stranieri, ma nessuno ha mai raggiunto la vetta della classifica, da me mentalmente ideata e stilata, di uno, uno solo che avesse fatto tutti i suoi film di mio gradimento.”
“La natura mi garbava anche a me, anche se non la chiamavo così. Insomma vivere in campagna, non in città.”
“Infatti questa è stata la tua fortuna, finché hai vissuto sei stato bene, senza pensare ai problemi della globalizzazione e del consumismo. Ma poi… arrivata la pandemia sei caduto insieme agli altri. Insomma fammi raccontare, che ora viene il forte della storia: mi misi al lavoro, quindi, con le vecchie ma efficaci tattiche di azione-reazione e le varie trappole, fili tesi nei boschi e attraverso i passaggi obbligati. Avevo imparato a rendere specifiche per animali ad andatura eretta i miei tranelli, per non fare male ai cani e a tutti quegli animali che andando a quattro zampe non raggiungevano l'altezza che gli sarebbe stata letale.”
“Un ne hai mai ammazzato nessuno per sbaglio?”
“Uno sì, Rocco, un cane bello e forte, c’è rimasto secco sul colpo, ma la colpa è stata sua che ha fatto un salto troppo alto…”
“E come faceva a saperlo, poverino?”
“Non poteva, lo so, ma forse agli altri è servito come esempio, dopo non è più successo.”
“Meno male.”



…OTTO


Gli uomini combattono per la libertà, poi cominciano ad accumulare leggi per portarla via a se’ stessi.
                                                                              (Anonimo)

Poi c’è il dialogo virtuale con mio padre. Ritornava ogni tanto per criticarmi e per trovare in me i suoi peggiori difetti, con l’intento di scaricarmeli e liberarsene. Purtroppo per lui non funziona così, e meno male per me. Morto da una ventina d’anni, ancora continuava a fare le stesse cose che faceva da vivo. La comunicazione tra noi è sempre stata problematica, dopo averlo seppellito mi ero illuso che sarebbe migliorato, invece niente.
“Sai perché mi piace leggere un buon libro?” Chiedo io.
“No.” Risponde lui.
“Beh, perché ogni tanto mi fa piacere avere a che fare con qualcuno che ragiona in maniera logica, nella vita di tutti i giorni mi capita raramente.”
“Ma se sono tutti morti!”
“No. Anche prima, voglio dire, mi capitava raramente anche prima. La gente comune non usava il cervello che per farsi del male, per indirettamente che fosse, per ossessionarsi con cose inutili se non dannose. Per fingere che andava tutto bene e così non doveva affaticarsi per provvedere a risolvere i problemi…”
“Ah sì? Non ci avevo fatto caso.”
“Forse perché anche tu sei come loro, per quanta teoria tu abbia, in pratica sei uno che si fa del male sistematicamente, col tuo stesso e proprio pensiero.”
“Meno male che ci sei tu, prendi tutti a fucilate e poi te ne stai in pace a goderti la vita.”
“Lo sai che ho ammazzato solo dei delinquenti, dei rifiuti umani.”
“Pagato da altri rifiuti umani.”
“Va bene, intanto ce ne era sempre uno in meno nel mondo. Ne abbiamo parlato tante altre volte, forse troppe. Comunque quello che volevo dire prima era che un buon scrittore ha il potere di riportarmi in un mondo in cui le cose funzionano, dove la gente usa il proprio raziocinio a suo vantaggio, ma non a svantaggio di qualcun altro.”
“Forse è un mondo che non esiste?”
“Forse, ma è bello sognare ogni tanto. Chissà se è mai esistito?”
“La realtà è sempre stata fatta di molteplici sfaccettature…” Riprende lui.
“Sì, ma che vuoi dire con questo?” Chiedo io.
“Niente, per esempio che gli esseri umani sono… o meglio erano tanti e tutti molto diversi tra di loro…”
“Bene, e allora?”
“Allora tu non sai o non sapevi cosa stava succedendo in quel momento in ogni parte del mondo.”
“No, non lo so e non avrei potuto saperlo…”
“C’erano tante persone buone, simpatiche e intelligenti. Anche gentili. Tu non puoi fare a meno di tutti, lo sai.”
“Ritorni fuori con le tue accuse rivolte a me, perché sei irritato con te stesso?”
“Nooo, e quando mai? Piuttosto ti chiedo: se gli altri sono il nostro specchio, se ti ci guardi e non vedi niente riflesso non ti spaventi?”
 “Forse, ma anche sentirmi uno di loro mi spaventa. Gli animali sono migliori.”
“Siamo d’accordo, almeno in parte, ma i tuoi simili sono gli esseri umani, la solitudine si sente per mancanza di altri esseri umani, o no?”
“Magari per te è così, per me no.”
“Ma come fai a passare il tempo? Da solo il tempo non passa mai.”
“A te. A me passa benissimo. Guarda un po’! I cani mi stanno sempre intorno e la sera d’inverno si sdraiano sul tappeto vicino a me accanto al caminetto, io leggo e bevo un bicchiere di vino rosso, a volte.”
“Sì, vabbè… dove li metti dieci cani? Qui non c’è spazio!”
“Diciamo che non tutti vogliono entrare, alcuni preferiscono stare fuori, gli ho fatto uno sportelletto nella porta…”
“E loro entrano ed escono continuamente portando freddo dentro e il caldo fuori…”
“Dopo chiudo e…”
“Quelli dentro abbaiano perché vogliono uscire, che hanno sentito un rumore, quelli fuori perché hanno freddo e vogliono entrare grattano la porta…”
“Alla fine tutti fuori e mi godo un po’ di pace.”
“Ma sei troppo stanco e vai a dormire.”
“Sì, è bello sentire il vento che fischia e stare dentro al calduccio, mi addormento pensando a quando si andava a pescare insieme, o quando si leggevano le lettere arrivate dai nonni italiani…”
“Ci rinuncio a farti ragionare.” Si rassegna alla fine.
“Bravo. Se vuoi farmi arrabbiare come facevi una volta, ora non ci riesci più, puoi trovare sempre dei difetti alla mia vita, ma se guardi nella tua ce ne sono altrettanti, se non di più. Ma lì tu non ci vuoi guardare, ti fa paura.”
“Va bene.” Alza gli occhi al cielo.
“E vaffanculo.” Lo saluto ora che posso, quando era in vita non potevo.



…NOVE

Gli uomini, per essere liberi, è necessario prima di tutto che siano liberati dall’incubo del bisogno.
                                                          (Sandro Pertini)

Il mio dialogo preferito era con Annibale, perché se nella vita ascoltava poco e parlava tanto, nel mio metodo terapeutico lo facevo tacere e ascoltare.
“Avevo letto che un navigatore solitario brasiliano diceva che, se c’è bisogno, si può dormire a rate e allora cominciai anch’io, in maniera sistematica. Un’ora alla volta, in certi casi due, raramente tre. Però ero troppo teso e la mia salute di vecchietto peggiorava, mentre passavano le settimane e non succedeva niente. Il gioco era anche psicologico, bisognava anzitutto stare tranquilli, per riuscire a dormire, per poter far riposare la mente, l’esagerata necessità spesso sfocia nell’effetto contrario a quello desiderato. Pensai che avrei avuto più pace in paese, magari nascosto in qualche casa alta, magari a tre piani. Loro non sarebbero venuti a cercare prodotti a lunga conservazione, quelli ce li avevano già laggiù a valle. No, volevano piuttosto gli animali, la roba da mangiare viva, avrebbero sentito l’odore delle galline e del bestiame.
Quindi sul campanile della chiesa misi un letto e organizzai la difesa con Pippuzzo, il cane più tranquillo trai dieci che erano diventati, gli altri li lasciai alla base, dove passavo anche tutto il giorno a lavorare, ma la notte lassù dormivo meglio. C’era una vista a 360 gradi ed ero ragionevolmente sicuro che qualsiasi banda di disperati prima di arrivare alla mia piccola fattoria modello, doveva per forza passare lì sotto.
Per chi guarda in faccia la realtà, spesso il futuro è facilmente prevedibile, ma non bisogna mai escludere le potenziali sorprese. In sostanza non si deve mai dare niente per scontato e questo era un po’ il mio motto da sempre.
Saccheggiai le librerie che trovai nelle città vicine, le mie incursioni erano sempre mirate a trovare dei beni abbandonati, ma non potevo caricarmi di cose superflue, a portare tutto lassù poi era dura e per mantenere il mio patrimonio animale non potevo stare via molto tempo.
La sera mi godevo quel silenzio e la relativa lettura, ero ormai abituato a riconoscere i rumori degli animali attorno, non solo i miei ma anche degli uccelli, per capire se c’era qualcuno o qualcosa in avvicinamento.
Un elefante sopravvissuto a qualche circo una volta fece suonare tutti gli allarmi e distrusse con la sua mole qualche trappola non destinata a lui, in sostanza mi fece prendere uno spavento e si tirò dietro i miei cani inferociti, corse impaurito e ferito fino a cadere in un burrone.”
“Madonna mia! Si sfracellò?”
“Per un po’ ho cucinato sulla brace la sua carne, per i cani, ma poi è ammarcita.”
“Ma non avevi il frigorifero?”
“Sì, uno piccolo, ma i pannelli solari non potevano alimentare frigoriferi così grossi e l’elettricità ottenuta mi serviva per tante altre cose.”
“Che storia… e dopo?”
“E dopo ero quasi contento che la nostra insensata umanità fosse arrivata alla meritata fine, che gli eventuali sopravvissuti avessero occasione di ricominciare da capo, magari anche in maniera più degna. Se fossi stato uno normale avrei dovuto sentire la mancanza degli esseri umani, in senso generale, invece no, solo di alcune persone, come te, Ivalda e Pierosky, ma anche prima vi frequentavo assai di rado e non ero quasi mai io a cercarvi. Passati i primi anni ero diventato esperto della mia nuova routine e avevo imparato a dormire in due o tre rate notturne, una o due più brevi pomeridiane, insomma mi sentivo di nuovo bene fisicamente e mentalmente. Là a valle, anche in lontananza, sentivo dei boati, ogni tanto, qualcuno si stava facendo la guerra, come la storia insegna, per togliere agli altri quello che avevano.”


…DIECI

È dubbio se gli oppressi abbiano mai lottato per la libertà. Essi lottano per l’orgoglio e il potere – potere di opprimere gli altri. Gli oppressi vogliono soprattutto imitare i loro oppressori; vogliono vendicarsi.
 
                                                               (Eric Hoffer)

Gli anni passavano e ogni tanto provavo a vedere se c’era la luce, se funzionava la radio, senza alcun risultato. Ogni tanto qualche fuoco, a volte anche qualche incendio. Più nessuna automobile però, o imbarcazione, autobus o anche piccoli aerei. Nulla.
Ci sono tanti uccelli in giro e col fucile da caccia ogni tanto sparo a qualche fagiano, o colombaccio, ma non sono mai stato un amante della cacciagione. I cinghiali sono tanti, si sono riprodotti in maniera esponenziale e qui non ci sono molti predatori, a parte me, che ogni tanto ne arrostisco qualcuno, anche per dare da mangiare ai cani. Ci sarebbero anche i cani selvatici, spelacchiati, magrissimi e rabbiosi che attaccano a gruppi, pare siano incrociati con i lupi e sembrano malati, mi dispiace ma gli devo sparare, sennò mi sbranano i miei cani fedeli, le mie risorse alimentari, e poi magari anche me, se non sto attento.
C'è da difendersi anche dai topi e dai corvi, gli avvoltoi si avvicinano sempre di più, come se aspettassero impazientemente la nostra morte. Una volta dalle nostre parti non ce ne erano, con tanti cadaveri devono aver proliferato abbastanza, dopo anche i corpi allo sfacelo hanno cominciato a mancare.
Stare attenti a non essere mangiati e procurarsi da mangiare erano le occupazioni degli uomini primitivi, però a pensarci bene ora io sono già ritornato a quel periodo in cui la caccia veniva in parte sostituita dall’allevamento. Per l’agricoltura forse ci voleva la donna, ma qui non ce ne ho. Le donne badavano ai figli e al territorio adiacente l’abitazione, l’uomo stava fuori tutto il tempo a caccia. La donna mi manca e anche qualche amico come te, Annibale, ma non si può avere tutto.
Per conto mio, a nome dell’umanità forse avrei dovuto andare a cercare una donna in mezzo a questi gruppi di predatori che vagano per il mondo, magari prenderli a fucilate, rapirla e portarla qui. Avevo concluso però che alla riproduzione, se ne avevano voglia, ci avrebbero pensato loro. Sarebbe stato bello che l'uomo avesse imparato dai propri errori e avesse sviluppato un'umanità più umana, ma non ci credevo.”
“Io un lo so nemmeno se ci credo o no!”
“Te certe cose non te le sei mai chieste, perché non ne hai mai avuto bisogno. La tua vita è stata tranquilla e senza pensieri!”
“Insomma, c’è stata la guerra…”
“Ah sì, è vero. Ma anche il virus nostro è stato come una guerra, anzi peggio. Io ogni tanto insisto e provo ancora se la radio trasmette qualcosa, invano. Nelle mie trasferte cerco il passaggio di esseri umani e ne trovo anche, ma difficile sapere quando è stato, se ancora vivono, chissà dove. Ma sembrano tracce vecchie e polverose.
Ho costruito un capannello mimetizzato con teli militari su una quercia alta, da un punto di vista sopraelevato e strategico.”
“Su alla Lecciona?”
 “Sì, di lì si domina tutto il paesaggio. Con il fucile a cannocchiale faccio la guardia qualche ora al giorno, di solito dopo pranzo, sonnecchiando anche un po’, il resto del tempo lo passo al metato, che di lavoro ce n’è sempre assai, per nutrire la mia mandria mista e affamata. Qualche escursione giù a valle ogni settimana per trovare cose nuove o vecchie: vestiti, medicine sempre più scadute ma alcune ancora utili, tante cartucce, gasolio, benzina e farina, sto facendo di nuovo il pane, ma di notte per non far vedere il fumo del forno da lontano.
Il tempo si è piacevolmente fermato da quando sono spariti gli esseri umani, non so da quanto tempo che non guardo un orologio, devo ammettere che anche prima della catastrofe non ne avevo uno, ma ora è totalmente inutile, a cosa può servire?”
“A niente, io al tempo un ci penso mai.”
“Perché sei morto!”
“No, anche quando ero vivo, solo quando lavoravo, tanti anni fa. Domandaglielo a Ivalda!”
“Beh, il tempo per noi esseri umani passa in una maniera, per gli animali è un concetto astratto.
Il tempo per noi passa anche se non sembra e come su un’ideale Arca di Noè ci sono inevitabilmente anche i parti, che purtroppo non sempre si trasformano in nascite. Le galline e le carpe fanno da sole, basta cambiarle di gabbia o di vasca al momento opportuno.”
“Per le anguille invece no.”
“No, infatti. E per gli altri ho letto sui libri come si fa. Ho imparato a mie spese, ma soprattutto a spese delle mie cavie involontarie, a non fare più cazzate. Cogli anni e la multilaterale esperienza sono diventato un discreto ostetrico, modestamente penso di essere trai migliori in circolazione. Finché siamo vivi bisogna seguire i segnali di vita, i sistemi sono tanti e la cosa migliore è osservare quotidianamente i cambiamenti. Ecco che attualmente secondo i miei calcoli e i doloretti alle articolazioni dovrei avere approssimativamente novant’anni, quassù non è arrivato ancora nessuno, non so se sono rimasto solo o no. Non credo. Comunque non fa molta differenza, ormai.
Spero di non avere bisogno di un medico, quando morirò che possa accadere d’improvviso. A volte penso che avrei dovuto provvedere alla continuazione della specie umana, altre volte penso che in fondo è meglio così, comunque sia è troppa responsabilità per uno che non è mai stato un dio e non ci ha nemmeno mai assomigliato. Chissà cosa faranno poi le mie bestioline senza di me. Con il tempo, avendo io bisogno di mangiare meno, alcuni li ho liberati, ma non se ne vanno, continuano a girare attorno al recinto. Ho pensato che almeno gli avrebbe fatto bene vedere di nuovo la strada aperta, se potevano. Si erano affezionati oppure si rendevano conto che io ero una fonte di cibo sicura? Ho continuato quindi a dargli da mangiare lì attorno al recinto.”
“Hai fatto bene, povere bestie.”
Oltre che per Annibale la libertà per gli animali è un concetto vuoto, non possono teorizzare nemmeno la sua mancanza, della libertà, non avendo mai conosciuto la purtroppo umana paura della paura, seguono solo le regole essenziali della sopravvivenza e il resto lo ignorano, quindi se ne fregano.
Invece per noi umani cresciuti nelle grandi città è una cosa sempre parziale e anche così da conquistare faticosamente, perché tutto il sistema, che proprio noi ci siamo costruiti attorno, ha la tendenza a obbligarci a fare delle cose che noi non vorremmo fare.
La prepotenza, spesso anche inconscia, a volte anche ipocritamente mascherata, è una delle manifestazioni più comuni sulla terra.
Annibale mi ha fatto notare che quando lui era vivo io non parlavo mai così tanto, anche se era già morto io gli ho risposto che questa è una cosa scritta, dal vivo era lui che mi faceva parlare molto meno, difficilmente riuscivo a finire una singola frase.


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