venerdì 30 gennaio 2004

Navigazione quotidiana nel mare degli stereotipi in burrasca


 Era uno di quei signori anziani con il cappello e pieni di fissazioni che, quando fanno una curva in automobile, piegano la testa per accompagnarne e favorirne il movimento, sia per via dell’aerodinamica che per una questione di baricentro.
Se parlava con più persone o con qualcuno che non conosceva, dava ragione a tutti sorridendo e approvando con affabili movimenti ed espressioni della faccia.
Amelio Giannattasio Panagoulis era un ometto apparentemente insignificante, ma guardandolo meglio si notavano due vispi occhietti grigi topigni e una curatissima barbetta sale e pepe.
Con più sale che pepe.
All’inizio pensai che era cinquantenne o magari anche più anziano e perciò meglio conservato e più arzillo di quello che pareva al primo sguardo.
 Il signor Panagoulis era un teorico della maniera di fare delle persone, si innamorava del semplice modo, che alcuni e alcune avevano di conversare, di guardarsi intorno, anche se gli argomenti non gli piacevano.
Certo che ascoltava con maggior piacere se qualcuno raccontava cose interessanti. Fuggiva infatti soavemente, inventando scuse meravigliosamente plausibili, se chi parlava non aveva veramente niente da dire, perché allora anche il modo di fare gli appariva falso e costruito.
Personalmente non parlava molto e mai di cose negative, quelle se le teneva tutte dentro, le tirava fuori solo con i pochi amici, per occasioni particolari... che purtroppo non si presentavano mai, insomma, più che altro gli scappavano quando non resisteva più.

Gli piaceva lavorare all’ufficio di anagrafe, perché aveva a che fare con nascite, morti eccetera, perché, diceva, gli faceva capire la gente da un punto di vista pratico e, allo stesso tempo, statistico.
Quella occupazione, oltre a dargli il denaro per vivere, lo obbligava a stare in mezzo agli altri, almeno per sei ore al giorno.
Era perfettamente conscio che doveva contrastare la sua tendenza istintiva, che era sfuggire alla gente, ‘insomma, non si poteva vivere come eremiti nel mezzo di una città come Porto Alegre’.
Amelio Giannattasio Panagoulis anche se non guadagnava molto, poteva passare la sua giornata extra-lavorativa con calma, senza dover seguire troppo i ritmi ossessivi della vita moderna.
Nelle ore libere scriveva libri per bambini, entrava così in un mondo fatato ed evadeva dai telegiornali, dalle notizie sul mondo che: ‘giorno per giorno andava fatalmente peggiorando’.
Tutte le domeniche mattina andava alla messa, non che credesse in Dio, ma gli piaceva quell’atmosfera e in un certo senso invidiava i credenti.
Lui non ci riusciva proprio, a credere, ma ci provava, o almeno diceva che tentava ogni giorno, diligentemente quanto inutilmente.

I suoi più grandi nemici erano i luoghi comuni, gli stereotipi.
Evitava accuratamente le frasi fatte, le situazioni standard e... chi odia queste cose è condannato a soffrirne continuamente, perché il mondo, specie quello occidentale,  ne è pieno, ‘avendo da tempo sostituito la semplicità con la banalità’.

Pochi sapevano che Amelio era solitario perché non era mai riuscito a trovare una donna che unisse le due virtù per lui irrinunciabili: essere allo stesso tempo fisicamente non repellente e intellettualmente accettabile.
Sulla bellezza fisica avrebbe chiuso volentieri  un occhio o due... e, se non ne avesse avuti abbastanza, anche tre... ma sul carattere di una persona di sesso femminile, alla quale avrebbe dovuto accompagnarsi per il resto della sua vita, non voleva storie, non esistevano e non potevano esistere mezze misure.
Quando lo conobbi aveva solo due amici, Niccolò Schönenberger e Rosetta Picone Chung.
Rosetta, era in parte di origine italiana, sapientemente quanto casualmente incrociata con la razza cinese, aveva una faccina quasi orientaleggiante che l’aveva affascinato dal primo momento che l’aveva vista. Durante il loro primo giorno di scuola.
Rosetta era anche una donna piccola e simpatica, dotata di una pazienza enorme.
 Qualche decennio dopo, poco più che trentenne, lei era stata la sua fidanzata, ma la sua passione per le telenovelas, poi, l’aveva fatta scivolare bruscamente fuori dai suoi progetti.
Lei aveva tentato di nasconderglielo, all’inizio, sapendo della sua rigidità riguardo certi argomenti che lui chiamava ‘fondamentali’.
 Il loro amore sbocciato teneramente durante l’infanzia, cresciuto sensuale e pieno di sentimenti segreti durante l’adolescenza e di visioni utopistiche del futuro, una volta diventati adulti... era stato interrotto prima di essersi consumato, per colpa dell’ex amica di lei, Tara Guitierrez Krauss, che ‘aveva denunciato ‘il misfatto’ ad Amelio.
 Non ci volle molto per constatare ‘la triste verità di quella grave affermazione’, oltre a ciò il pensiero che lei aveva cercato d’ingannarlo, peggiorò la situazione nell’ordine della meccanica della sua testa, dove non esisteva una possibile opzione di pietà per intrusioni di bugie e ‘aperte manifestazioni di stupidità’.
Ai confini della vecchiaia, non solo degli anni, ma anche per via della pietrificazione delle attitudini ormai consolidate, la loro amicizia era sopravvissuta, principalmente perché lei era una donna pratica ed intelligente, assai flessibile e disciplinata, anche se a volte un po’ troppo sentimentale, come molte femmine, attraverso lo spazio ed il tempo, che forse lo sono tanto, per reazione e contrasto, ‘visto che gli uomini lo sono così poco’.
Ora si frequentavano regolarmente, ma non troppo, diciamo almeno una volta alla settimana si telefonavano o si facevano una visita.
Parlavano di tutto e di niente, a volte sospiravano, specialmente lei, quando vedeva nei suoi occhi una luce buona, un atteggiamento caritatevole, solo quando lui si dimenticava, per qualche attimo, di chi erano e di cosa stavano facendo.
Conversavano poco, pure se gli argomenti erano tutti aperti, ora, che perfino le novelas ‘potevano diventare un interessante spunto per chiacchierare’, anche se poi non se ne parlava mai.
Lui non era completamente aperto con lei e non lo sarebbe stato mai, perché era una donna ed era dentro di sé convinto che la vera amicizia si poteva raggiungere con qualcuno che non si temeva, qualcuno che si comprendeva.
Per esempio ‘qualcuno che non guardava certi programmi alla televisione’.
Per lui le donne ‘erano un’altra razza’, qualcosa di molto, troppo lontano dal modo di pensare degli uomini, ancora di più dal suo modo di pensare, che era lontano anche da quello degli uomini.
Lei amava molto gli animali, aveva un cane e due gatti, un grande acquario e un vivaio di tartarughine, una gabbiona di criceti e un pappagallo che parlava solo il tedesco dell’estremo sud della Baviera .
Non che Amelio disdegnasse la lingua tedesca e i suoi dialetti, non che non amasse gli animali, anzi, teoricamente gli piacevano... ma in pratica non ne sopportava odore, peli ed intemperanze varie.
La sua enorme sensibilità lo allontanava, in genere da tutto quello che era vivo, ‘perché aveva la tendenza ad infrangere le regole altrui’.

Niccolò, era stato suo collega.
‘Un grande chiacchierone quando c’era da lavorare, che nella vita privata si trasformava in un pacifico ascoltatore’.
 Avevano cominciato a simpatizzare quando Niccolò, ereditata una certa sommetta da un parente lontano, si era ritirato in una casetta di legno in cima ad una collina del quartiere Belem Velho, non troppo lontano dal centro della città.
Amelio lo visitava spesso, che per lui significava una volta al mese, al massimo due.
Niccolò invece era più restio, ma ogni tanto, avvisandolo per tempo, montava a cavallo e scendeva a valle, gli portava ortaggi e fiori, mazzi di erbe profumate, insomma ‘qualcosa che potesse fargli ricordare delle sue romantiche allergie’.
Il loro argomento preferito era la letteratura, tutti e due leggevano molto, Amelio a letto, prima di dormire, Niccolò sulla sua poltrona a dondolo, sulla quale si addormentava, d’inverno, di fronte al focolare acceso.
Amelio diceva che nessuno aveva mai superato il Cechov della prima epoca, quella allegra e comica, dalle descrizioni rapide ma assai perspicaci... fatte di poche ma precise pennellate. Anton Cechov sempre pungente e sarcastico, mostrava la Russia di quel tempo con semplicità e profondità.
Per Niccolò invece il Kerouac di ‘Sulla strada’ e dei ‘Vagabondi del Dharma’, era stato il massimo, sia per la pulsante vivacità, che per la visione aperta e piena di sfumature della realtà, che per la maniera rivoluzionaria di scrivere.
Amelio non capiva come un uomo maniaco della perfezione, di sentimenti profondamente anti-americani  e amante della tranquillità casereccia, come Niccolò, potesse amare uno scrittore trai più importanti dei movimenti hippy statunitensi, ma riconosceva l’eterna attualità e la sanguigna pulsazione di quella prosa libera da regole letterarie precedenti e anche seguenti nel tempo.
A titolo di dimostrazione si leggevano, a vicenda, brani di quegli autori ed altri che avevano ammirato in alcuni passaggi significativi.
Amelio gli passava sempre i suoi racconti per bambini, appena terminati, in revisione, ma Niccolò si limitava a dargli un giudizio generale e senza neppure pensare ad eventuali scadenze di tempo.
Ogni tanto litigavano, anche con parole forti, ma, in tacito accordo, quelle erano scaramucce rispettose, per loro due, ‘che con qualcuno si dovevano pure sfogare’.
A proposito Amelio diceva che litigare era necessario, perché con Rosetta lui non poteva farlo e Niccolò poteva solo gridare con il suo cavallo Mordecai, ma con scarsa soddisfazione.
Se i due amici avevano qualcosa in comune era il comune odio per gli stereotipi, solo che Niccolò era più accomodante e Amelio più radicale.
Per questo non guardava la televisione da anni.
A volte l’accendeva, ma senza audio, di notte spengeva la luce e lasciava colorare la stanza da quella girandola di colori in costante movimento e metteva di sottofondo un disco di musica classica.
I colleghi di ufficio, avendo saputo di questa sua eccentrica abitudine, conseguenza della sua avversione per l’inquinamento sonoro delle città brasiliane, scherzavano dicendo che ascoltava anche la radio senza l’audio (...)
Non potevano sapere che era la pura verità: infatti, quando riposava sul letto, accendeva l’apparecchio che aveva sul comodino, e, specie dopo il lavoro, cioè quando si sentiva più stressato, abbassava sempre di più il volume, fino al punto che, coperte dal ronzio misto di rumori esterni, le sue trasmissioni musicali preferite, diventavano effettivamente mute.


Riassumendo, la sua era una perenne avventura in mezzo agli stereotipi in burrasca, sempre troppo numerosi, rumorosi,  invadenti e insistenti.
Si sentiva a suo completo agio solo quando si sedeva nel suo studiolo a scrivere le storie per bambini, in un mondo in cui non esistevano televisioni, computer e automobili.
Partiva allora per dei viaggi autentici per immedesimazione ed intensità, in cui si abbandonava totalmente e correva per i prati verdi e pieni di fiori come non aveva potuto fare da piccolo per causa di una delle sue numerose allergie.
La sua sensibilità ai fattori naturali era diventata sempre più acuta, per cui un prato fiorito gli piaceva come immagine, per la sua bellezza romantica, ma gli dava prurito e lo faceva starnutire, per non parlare dell’asma.

Lo conobbi quando andai a fare un certificato di nascita, si dimostrò gentilissimo e mi fece domande acute e garbate.
La nostra prima e breve conversazione fu punteggiata anche dal suo effervescente senso dell’umorismo.
In seguito capii che lo dedicava solo alle persone che gli piacevano, istintivamente, che non erano molte, con me arrivò infatti alla massima punta di tre.
Certo che, quando parlavi con lui, i suoi meccanismi logici non avevano mai due facce, non si menzionava nemmeno l’ipotesi che lui potesse non avere ragione, perché la sua bocca semplicemente portava a passeggio, all’aria fresca, la voce della logica e da quel punto di vista, che per lui era l’unico, poteva sempre e invariabilmente solo avere ragione lui.
Era molto ben preparato sulla filosofia contemporanea ed antica, citava a memoria Aristotele e Kierkegaard come se fossero suoi amici intimi.
Quando andavo a cercare un qualche cosa là da lui, a volte, lo invitavo a pranzare insieme e lui accettava quasi sempre.
Diceva che poche erano le persone che sapevano ascoltare ed io ero uno di quelle, che non solo non soffrono quando gli altri parlano, ma che ne gioiscono, di conseguenza gli davo una grande soddisfazione, disse che non aveva mai conosciuto nessuno come me.
Mi informò anche che, nei corsi professionali che danno ai rappresentanti commerciali, all’epoca attuale, davano istruzioni di come è più gradevole e redditizio ascoltare il proprio cliente potenziale e saperne studiare i vari angoli, punti di partenza e di arrivo ‘per la conseguente e dannata vendita’.
Per quanto fosse un po’ faticoso argomentare qualsiasi cosa, con lui, mi piaceva perché era una persona speciale e le sue opinioni, per quanto esagerate erano spesso geniali, anche per questo era interessante per me, che, a quasi quarant’anni, ero tornato a studiare filosofia all’università.
Lavoravo, a quel tempo, in uno studio di avvocati della Rua da Praia, vicino all’Usina do Gasometro.
Spesso avevo bisogno di visitare Amelio per motivi professionali, ogni volta che avevo bisogno di qualcosa di anagrafico andavo da lui, al Tabelionato della Rua Andrade Neves, così mi dette il suo numero d’ufficio per potermi fare quello che gli chiedevo per telefono.
Era molto disponibile perché mi voleva bene, a suo modo, perché sapevo ascoltarlo come nessuno aveva mai fatto con lui, non solo, ‘le domande che gli facevo lo stimolavano a parlare di più e meglio’.
Ogni tanto andavo a trovarlo anche a casa, ma sempre avvisandolo in precedenza, ci bevevamo un bicchiere di latte freddo insieme e conversavamo del più e del meno.

Un giorno, passando per caso davanti alla sua casetta di legno, del quartiere Camaquã, bussai alla sua porta e lui mi aprì solo dopo un bel po’, mentre stavo già andando via, pensando che fosse uscito.
Amelio viveva il rapporto con gli altri sul perenne filo del terrore che qualcuno sconfinasse, che ci fosse cialtroneria, che ci si comportasse in maniera insensibile e sfacciata.
Questo qualcuno, che poteva invadere il territorio altrui, poteva essere anche lui, senza volerlo, quindi stava molto attento a quello che faceva, ci riusciva in maniera impeccabile quando era in forma, quando stava bene.
Ma, a volte, bastava una piccola variazione sul copione previsto, a farlo stare male, allora non riusciva a fingere, il suo disagio era tangibile.
Una visita inaspettata, per esempio, lo poteva disturbare, anche se fosse stata una persona gradita, come me, come quel giorno.
Non poté avere il tempo di pettinarsi come voleva, di fare mente locale, almeno all’inizio.
Pretendeva molto da se stesso, diceva, perché gli altri erano sciatti e non avevano la minima sensibilità con il loro prossimo, non voleva assomigliargli.
“Ciao Amelio, come va?”
“Bene, insomma, così-così, stavo scrivendo qualcosetta, e tu come stai?”
“Benissimo, passavo di qua e ho pensato di fare una capatina, se non ti disturbo, naturalmente.”
“No, no, cosa dici? Entra. Vuoi un caffè?”
“Forse è meglio che torni un’altra volta, magari eri ispirato e ho interrotto le tue idee...”
“No, no, no. Non mi fare arrabbiare, eh?
Tu devi sapere che le mie idee, purtroppo, non si possono interrompere, se potessi lo farei, sono loro che mi schiavizzano e non il contrario.
Questo non te lo avevo ancora detto, vero?”
Aggiustandosi continuamente i capelli e la camicia, guardandomi negli occhi per indovinare un mio disagio che ora c’era, ma non ci sarebbe stato senza il suo, riuscimmo in pochi minuti, durante i quali lui andava e tornava dalla cucina per preparare il caffè, a riprendere la nostra calma interrotta nella tempesta di sentimenti in contrasto tra di loro.
Seduti di fronte alla televisione muta, ascoltando una soave musica che mi parve caribica per via delle marimbas, iniziammo a conversare, proprio in quella maniera che più ci piaceva.
Arrivato con il vassoio del caffè, ora Amelio era ben pettinato, la sua camicia perfettamente in ordine e anche i suoi occhi, poco prima agitati, ora seguivano una rotta tranquilla fino ai miei.
Entrando con il vassoio del caffè sorrise e allora gli proposi subito  un classico inizio di conversazione :
“Allora ci sono novità?”
“No, che io sappia, no.”
“Allora va tutto bene.”
“No, se non ci sono novità significa che va tutto male.”
“Come va tutto male? Pensavo che tu fossi soddisfatto della tua vita!”
“Sì, diciamo, anche per il miglior proseguire del nostro ragionamento, che ne sono soddisfatto.
Ma, che c’entra?
Questo non significa che quello che accade intorno a noi ci lasci completamente tranquilli...”
“Stai parlando dal punto di vista sociologico o filosofico?”
“No, più che altro dal punto di vista calcistico... hai visto che pessima partita del Brasile ieri?”
Io risi e lui ne rimase soddisfatto .
Le sue battute di spirito erano sempre accompagnate dalla massima serietà, che è anche una caratteristica dei grandi comici. Poi io domandai come sempre alimentando il filone che lui generalmente s’incaricava di introdurre:
“Ma come, ti è sembrata così orribile? A me non è parso che giocassero male.”
“Dipende che cosa intendi tu per partita di calcio. Per me dovrebbe essere una cosa che fa piacere a vederla, invece ho sentito, nell’ordine: prima di tutto noia, poi rabbia... e per ultima una bella dose di rassegnazione.
Non so se hai visto la stessa partita che ho visto io, ma io, mentre guardavo ho notato un centrocampo immobile ed un attacco stanco... una difesa che faceva acqua da tutte le parti e quel portiere poi, per me è meglio quello del palazzo dell’anagrafe, almeno sa raccontare delle barzellette sporche; questo invece, oltre che a essere incapace, non ride mai e se qualcuno fosse maligno potrebbe dire che le due cose siano in qualche modo collegate...”
Risi di nuovo.
Rilanciare, appena tornato alla serietà, dopo le sue battute di spirito,  toccava a me:
“Bene. A dire la verità non m’intendo molto di calcio, lo sai, a me sembravano tutti bravissimi, forse perché come giocatore io non sono mai riuscito a fare un granché... poi, considerato che hanno vinto uno a zero...”
“Anche io non m’intendo molto di calcio, ma non c’è bisogno di grandi ragionamenti per capire che una squadra come il Brasile quando vince 1 a 0 con una squadra come l’Islanda, è come se avesse perso 4 a 0 con l’Argentina.”
“O magari anche perso 3 a 1 con l’Italia...”
“Esatto, o vinto 1 a 0 con la Birmania...”
“O forse-forse pareggiato 3 a 3 con la Romania...”
“In casa o fuori?”
“Non lo so, c’è differenza?”
“Moltissima amico mio caro.”
Mi feci la terza grassa risata, ma dopo tentai di cambiare argomento: “Va bene, ma che ne diresti di parlare di qualche cosa altro?”
“Certo, come va la tua famiglia?”
“Bene, non c’è malaccio. Tutto a posto.
Ah, ho una buona notizia per te, Rosetta ieri, parlando con mia moglie Nina le ha lasciato capire che per stare con te rinuncerebbe anche a guardare le telenovelas...”
Amelio parve più preoccupato che contento:
“Ah.
Da tanti anni guarda le novelas ed ora, in vecchiaia, le abbandonerebbe?”
“Solo per dire che per lei tu sei più importante. E poi non credi che le novelas abbiano anche qualcosa di positivo dentro i clichees e le forme standard di vedere la società brasiliana?”
In faccia ad uno che lo conosceva, mentire non gli riusciva bene, ma lo faceva perché pensava, così, di essere diplomatico.
“Senza dubbio. Ma io non sono capace di trovarci niente di buono. Dipende da me, probabilmente. Ma che matrimonio potrebbe essere quello tra due persone di cui una ama le telenovelas e l’altra invece le odia?”
“Con un poco di tolleranza penso che potrebbe essere un buon matrimonio, è impossibile avere gli stessi gusti su tutto, specie tra uomini e donne...”
Amelio si era alzato e guardava fuori dalla finestra, quell’argomento lo disturbava, io lo sapevo e proprio per questo, continuai:
 “Amelio. La vita non è un’equazione.
 I tuoi ragionamenti sono assai logici, ma troppo rigidi. In questi casi, forse non è quello che dici tu che si dovrebbe valutare... ma i sentimenti, invece, cioè non tanto la razionalità a tavolino, quella teorica, ma tutto ciò che il cuore dice al cervello. Per esempio: il tuo cuore non dice niente riguardo alla bellezza interiore ed esteriore di questa donna che, a parte i suoi piccoli difetti, ha molti pregi e una grande volontà di stare con te?”
Evitando i miei occhi, ora impegnatissimo a guardare una statuetta da tutti gli angoli, gli ci volle un po’ di tempo per rispondere:
“Il fatto è che questi stereotipi non mi permettono di arrivare ai contenuti, mi nascondono la verità.”
“In che senso?”
“Vedi, io... da anni mi sto facendo domande come questa: una persona che vede questa spazzatura televisiva... e, quel che è peggio, ne trae piacere, che idea sballata può avere della vita, che filosofia infima e dappoco può avere?”
“Forse la verità sarà anche nascosta come dici tu, ma è anche vero che non fai nessun sforzo per cercarla... allora, vedi se puoi seguirmi in questo ragionamento: non può essere che una persona semplice ma simpatica e di buoni sentimenti sia migliore di quelle invece più profonde e perciò complicate?”
“Ma di che cosa stai parlando? È possibile secondo te che una persona decente ami quella accozzaglia di scene di meravigliose case di personaggi ricchi quanto esteticamente standardizzati, con sentimenti prefabbricati e numerati e propaganda seminascosta di prodotti di ogni tipo e pensi che sia bello e poetico, o magari anche artistico e soprattutto che abbia a che fare con la nostra autentica realtà di tutti i giorni?”
Ora aveva posato la statuina e gesticolava energicamente accompagnando le sue parole. Per quanto capissi il suo punto di vista, non era ancora completamente e sentivo che aveva profondamente torto.
“Non ti arrabbiare, forse hai ragione, ma io dico che può essere anche visto tutto in questa maniera: forse per lei non è tutto oro colato, quello che vede là in quella che tu chiami accozzaglia, ma è solo una maniera per vedere tutti i giorni qualcosa che parli di sentimenti, delle cose della vita, anche se esagerati e malfatti, forse tutto questo per lei non è la perfezione che tu sei convinto che lei abbia in mente...”
“No! Per me una persona che sia degna... no, non volevo dire questo, una persona che vuole vivere insieme a me, insomma, deve saper scegliere e rifiutare certe cose...”
“Amelio... scusami tanto, dai retta a me: saper rifiutare non è tanto essenziale, quanto essere capaci di accettare, permittimi di dirti con assoluta certezza che è indispensabile che tu sappia diventare elastico, perché la tua copia fatta femmina, tu non la troverai mai e anche se la trovassi, ne sono convinto, ti sembrerebbe la più insopportabile di tutte!”
Qui il silenzio diventò pesante per qualche secondo, pensai di averlo offeso oppure di averlo, finalmente, colpito.
Nell’incertezza ora dovevo cercare di affondarlo, da quando avevo saputo la storia di Amelio e Rosetta, stavo giocando con lui una lunga e tattica battaglia navale.
Decisi quindi di giocare il tutto per tutto, prima che potesse riorganizzare una difesa:
“Allora, per me, se lo vuoi sapere, per quanto siamo amici tu rifiuti troppo, spesso senza tentare di filtrare, quando è possibile, la parte buona delle cose, che ne esiste una in tutto... nel caso delle novelas, non è necessario che ti piacciano, ma secondo me dovresti fare uno sforzo per non odiarle tanto, vedresti che, magari con difficoltà al primo momento, fatto questo piccolo passo, poi anche Rosetta ti piacerebbe di più e cominceresti a pensare che le novelas non sono poi così negative...
Quello che voglio dire è che tu, rifiutando una cosa, bocci anche una persona... una persona che tu ed io crediamo sia meritevole e anche molto al di sopra della media, rispetto a tante cose importanti della vita.
Riguardo alle novelas, se vuoi, cominciamo a vederne una insieme, perché sono sicuro che tu non hai mai nemmeno tentato di vederne una... per più di cinque minuti.
Credimi: il tuo è solo un ragionamento teorico, sulla base di regole che ti sei fatto da solo, d’accordo, ma esattamente contrarie a quelle degli altri, perciò rappresentano anch’esse una schiavitù, se tu sei costretto a fare quello che gli altri non fanno, dove va a finire la tua libertà personale?
E poi il fattore emotivo dove lo metti? Non hai sentimenti per una donna che conosci fin da bambino e che, malgrado questo piccolo difetto di fabbrica, ti ha fatto passare i tuoi migliori momenti con un essere umano di sesso femminile?
Mi dici una cosa?
Pensi che potrai conoscerne, nei pochi anni che ti restano di vita, qualcuna migliore?”
Il silenzio di Amelio mi fece pensare che stava riflettendo su quello che gli avevo detto e che magari, sotto-sotto, ammetteva che io potessi aver ragione.
Dall’altro lato, forse, si sentiva offeso perché, per la prima volta mi ero surriscaldato con lui e gli avevo apertamente dato torto.
Quello che disse dopo, però, all’inizio, mi irritò profondamente:
“Ritornando al discorso di prima, giocare in casa è importante, c’è il calore del pubblico, il tifo, che spinge le squadre a dare il massimo della pressione sugli avversari, pareggiare con la Colombia a Bogotà, per esempio, può essere un buon risultato, ma se fosse a Rio o Salvador, magari a S.Paolo, allora no, lì dobbiamo vincere, hai capito la differenza?”
Feci una pausa silenziosa guardandolo negli occhi, che lui – come per caso - girava sempre altrove, respirai e feci finta di niente, ripresi come se niente fosse il discorso sul calcio.
Mi pareva che la sua reazione fosse positiva, se non aveva più possibilità di fuga la sua tattica era di cambiare argomento.
In fondo anche Amelio era un essere umano.
Più tardi, al momento di andarmene, sulla soglia di casa, mi sembrò anche, dal suo modo di accomiatarsi un poco assente, poi dal movimento della sua mano aldilà della tendina per salutarmi, dal suo sorriso quasi serio, che ci stava pensando su.
O forse era solo risentito perché lo avevo trattato come un bambino?
Che  stesse incominciando quel processo che lui stesso definiva ‘ un sano sentirsi stupidi’?
Magari.
Se così fosse e se lo conoscevo come pensavo, avrebbe automaticamente messo in moto un altro significativo processo: ‘ricostruzione parziale ma necessaria di una filosofia di vita provatamente inefficace’.
Le mie parole lo avevano colpito, in una maniera o nell’altra, speravo ora che facessero lievitare la sua materia grigia, appoggiandosi sul grande cuore che teneva ben nascosto dentro al suo petto, per poter arrivare a quello che la sua logica da sola, non era riuscita ad elaborare.
Infine, secondo me, un uomo molto intelligente può diventare assai stupido, se non sa controllarsi... o meglio, forse, al contrario, se non la smette di controllarsi.

Scelsi tra le novelas quella che mi pareva migliore, stavano dando a quel tempo ‘Rei do Gado’ (Re dei Bovini), piombai alle otto e mezzo a casa sua senza preavviso.
Mi sorprese anzitutto vedere che era perfettamente pettinato e che sul centrino del tavolo c’era un cartone di latte ben ghiacciato e dovutamente imperlato di gocce e due bicchieri sui relativi sottocoppa...
Ci rimasi di sasso.
Lui sorrise trionfante, mi versò da bere... e solo allora mi accorsi che la televisione era accesa, perché in quel momento lui stava alzando l’audio con il telecomando: stava iniziando la sigla.
Quella sera Amelio, negli intervalli di pubblicità e alla fine della novela, fece vari commenti appropriati, più qualche sua tipica esagerazione cerebrale e per finire varie elucubrazioni conseguenti e tragicomiche.
Alcune di esse di contenuto positivo.
Conversammo allegramente, poi, scolandoci due cartoni di latte.
Ebbi modo di capire che, anche se si stava sforzando di essere più elastico possibile, non poteva amare al primo tentativo una cosa che la sua mente aveva etichettata come nemica per tutta la sua vita precedente.
Ma pensai, tra me e me, che si poteva arrivare, con un allenamento intensivo, a buoni risultati, perché almeno ora ci stava provando.

Cominciammo quindi a vedere e a commentare insieme le tre novelas in sequenza, per il momento lasciammo da parte ‘Vale la pena di vedere di nuovo’, che, alle tre del pomeriggio era la replica di una novela di successo del passato, in quei mesi stavano trasmettendo ‘Pantanal’.
Intanto Amelio, che stava scalpitando, iniziò, di nascosto, a intensificare anche gli incontri con Rosetta.
Lo capii da un fatto chiaro ed inequivocabile: che non mi parlava più di lei.
Senza dirmi niente passò a vedere anche la replica della novela del pomeriggio, Pantanal, ma poi non resistì e me ne volle parlare, perché gli piaceva troppo.
La ripresa della relazione di Amelio con Rosetta, iniziò con lentezza, ma lei si rese conto subito delle intenzioni di lui, anche perché aveva un contatto segreto ma non troppo con mia moglie.
Prima i due piccioncini si frequentarono per un poco di tempo, fuori dal famoso ‘orario nobile’ della televisione brasiliana.
Naturalmente lui era troppo riservato e dovevo raccogliere notizie attraverso mia moglie Nina, che era amica di Rosetta.
Niccolò, per quanto scettico per natura, si dimostrò entusiasta, quando gli detti la notizia quasi cadde dalla sedia dondolo.

Seppi così che, quando Amelio si sentì pronto, arrivò a casa di lei con un mazzo di fiori e proprio prima che cominciasse ‘Proxima vitima’ , la novela delle sette.
Pensai che il suo ragionamento era stato  che apparirle in casa già dalla novela delle sei era troppo sfacciato e invece giungere solo alle otto e mezzo avrebbe dato tempo insufficiente per stare insieme, entrambi andavano sempre a letto presto.
Aveva perciò scelto la via di mezzo.

Non molto tempo dopo iniziarono a prendere di petto e quotidianamente le tre novelas integralmente, dalle sei alle dieci.
Una volta casa di lui, una volta a casa di lei.
Salatini e latte, dolcetti e guaranà...
Nei giorni feriali, con l’intervallo del telegiornale, seduti sul divano nuovo di Amelio o su quello vecchio di Rosetta, consumavano visioni e chiacchierate finali.
Questa fase dei commenti, ad Amelio piacque particolarmente, perché dava maniera di confrontarsi e di parlare di tanti aspetti della vita di tutti i giorni, che le novelas, nel bene o nel male, affrontavano.
A volte andavo da loro solo o con mia moglie, una volta ci portai anche mio figlio Uollas (Wallace), a volte ci invitavano a cena e guardavamo ‘Rei di Gado’, poi dopo un interessante dibattito.
A volte, specie quando eravamo insieme a Rosetta e a mia moglie, Amelio evidenziava i valori importanti introdotti dalle novelas come la polemica dei Sem Terra (Senza Terra), di Rei do Gado, o dell’accettazione degli omosessuali nella società, di Proxima Vitima.
Rosetta lo guardava adorante, specie quando lui perorava la causa della validità delle novelas, non tanto perché per lei fossero tanto importanti, ma perché era una dimostrazione del suo amore.

Un anno dopo, fatti i necessari lavori di ristrutturazione della casa di Amelio, si sposarono e iniziarono a vivere insieme anche le ore fuori dall’orario nobile.
Era tanto entusiasmato che accettò in blocco anche tutti gli animali di Rosetta, per i quali però fu edificata una apposita casetta nel fondo del terreno... con intorno un piccolo recinto per il cane.
Ovviamente lui là dentro non ci metteva mai piede e nei giorni caldi e sottovento non si sentiva molto a suo agio... ma l’importante era che aveva accettato, grazie a me, l’uso della tolleranza, forse perché aveva capito che anche lui non era un fiore profumato e senza spine.

Quando ci trovavamo da soli gli esprimevo la mia sincera felicità per l’inesperato riaggancio, dopo una vita intera che si conoscevano, passato tanto tempo dalla loro avventura di amore sfiorita per colpa delle novelas, che ora rappresentavano, invece, non solo il veicolo di rincontro, ma la maniera pratica di conversare, tra di loro, sui temi della vita di tutti i giorni.
‘La quotidianità, deve essere affrontata,’ dichiarava lui, ‘non solo ogni tanto, o come semplice teoria, ma nella pratica della stessa quotidianità e quotidianamente.’

Tra di loro tutto andava bene e lui me ne ringraziava spesso, non a parole, ma attraverso i suoi occhi, che, quando lui non se ne rendeva conto, sfuggivano al suo controllo e sapevano essere assai espressivi.

Si lamentava però che le novelas stavano peggiorando, in generale, forse seguendo la tendenza dello stesso Brasile o magari di tutta la civiltà occidentale.
Sì, stavano diventando sempre più aggressive, spesso e volentieri ideate per sfruttare il telespettatore e sempre meno per educarlo.
All’inizio lo contrastai per il suo bene e indirettamente anche per il mio, perché fare del bene a chi ci sta intorno significa portare avanti noi stessi e questa è più o meno la mia filosofia.
Perdevo però convinzione nel vedere che, purtroppo, Amelio aveva ragione.
Tutte le volte che guardavo le novelas a casa, insieme a mia moglie e a mio figlio, pensavo che il livello stava scendendo e temevo per il loro matrimonio.
Mia moglie mi tranquillizzava, diceva che ormai loro stavano troppo bene insieme, io obbiettavo che la loro vita, il loro stare insieme, era troppo sensibile ai cambiamenti e alle novità della televisione.
Dopo alcune settimane di Big Brother Brasil*, però, anche mia moglie perse la sua sicurezza e inaspettatamente anche il nostro rapporto ebbe uno scossone violento.
Fino a quel momento non avevo mai dato troppa importanza alla televisione, oppure la consideravo come se fosse cosa fondamentale solo per gli altri.
Rosetta e Amelio si lasciarono all’inizio della seconda edizione.

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* L’equivalente brasiliano del Grande Fratello italiano

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