Fine del secondo millennio: una casa rustica sulla collina, di un colore granata indeciso e tendente al marrone, con una splendida vista sul fiume e sui quartieri sottostanti, a venti minuti dal centro di Porto Alegre, nel sud del Brasile più meridionale.
In una spettacolare tarda mattinata di un inizio d’autunno, Marilaine, la mia bella ragazza, girava come un calabrone impazzito impedendo di rilassarmi.
Sebbene fossero quasi le undici di mattina, la mia testa era ancora incapace di ricordargli che una delle mie teorie sulla libertà era ‘ogni cosa a suo tempo’.
Anzi, appena alzato per me è già difficile scegliere la tazza giusta per bere il caffè.
La mattina, anche a cose normali, per sincronizzare le immagini, nel breve tragitto dagli occhi al cervello, solo per capire quello che stanno brontolando intorno a me e magari anche potergli rispondere, mi ci vogliono ore.
Allora dico, per esempio, che dopo una settimana di lavoro è bene rilassarsi, dopo una notte agitata è meglio concederci una pausa, anche solo per recuperare le energie, nessuno è di ferro e così via.
Soprattutto prima di mezzogiorno, per me, è essenziale questo motto: eliminiamo, per favore, la sgradevole manifestazione dello stress, nelle piccole cose quotidiane, facendo tutto con calma, già che nessuno ci corre dietro.
Purtroppo il concetto di ‘stress’ non è universale, è variabile attraverso lo spazio, il tempo e naturalmente... le persone.
La nostra colazione, infatti, metteva già in fila una determinata serie di situazioni conosciute e catalogate, che, purtroppo, forse tutta la nostra giornata avrebbe preso d’esempio e seguito.
Appena bevuta una tazzona enorme di caffè forte e nero, Marilaine se ne uscì con la prima della sua serie di proposte proprio mentre io, anche se me lo aspettavo, speravo che non lo facesse:
“Amore?”
“Sì?”
“Più tardi, che ne dici di andare a fare un giro allo Shopping Praia di Belas?”
“Mmmm... e a fare cosa?”
“Bene. Potremmo fare un giretto e guardare le vetrine, pranzare là, magari al Mc Donald... o al Pizza Hut, poi fare un altro giretto, prenderci un gelato, insomma... una cosa di questo genere. Che te ne pare?”
“Ma lo sai, che il Mc Donald e il Pizza Hut per me rappresentano le ultime opzioni in fatto di cibarie...”
“E perché mai?”
“Te l’ho già detto, anzitutto perché non mi piace il loro stile di luci al neon e di asetticità standardizzata, poi perché sono cari (rispetto al famoso rapporto qualità-prezzo) e per ultimo, in ordine di apparizione, ma non d’importanza: perché sono americani ed io, quando posso, sento di avere il dovere civile e morale di boicottare i loro prodotti...
Con i film non posso, quasi tutti i film sono americani, con la musica ho un raggio di azione un poco maggiore, ma non posso rinunciare proprio a tutta la musica americana...
Però, quando si parla di mangiare e bere...
Ohóhó!!
Ecco che la mia rappresaglia diventa feroce e completa!”
“Ah, è vero, me ne ero dimenticata... che cosa assurda, però.
Allora potremmo andare allo shopping, senza entrare né nel Mc Donald né nel Pizza Hut, ci sono altre possibilità, figurati, in uno shopping c’è tutto...”
“Tutto o quasi, non c’è il cielo, tanto per fare un esempio, non ci sono gli alberi, né il fiume, né l’erbetta verde che ci piace tanto... o che, almeno, a me, piace tanto.
Guarda, ti dico la verità, la tua, potrebbe essere anche una tra le proposte migliori per questa bellissima giornata, ma ti confesso che rinchiudermi in un capannone pieno di gente, mentre, fuori di là, la natura risplende nella sua manifestazione più gradevole: ‘la famosa giornata di sole’, che è uno dei migliori fenomeni della natura mondiale di tutti i tempi... ecco, mi sembrerebbe qualcosa di improprio, di sbagliato...
Che ne so, perché non goderci in pieno relax questa gradevole giornata senza cercare tutti gli altri milioni di persone?
Insieme, noi da soli, stiamo troppo bene, impegnandoci solo nel non fare niente e poi nel non farlo senza nessun problema di tempo e spazio, cioè senza muoverci, per tutto il giorno, dal nostro favoloso giardino?”
Marilaine disse che era una buona idea, ma la sua faccia comunicava esattamente il contrario.
Quella ben determinata porzione di tempo, la nostra domenica, era cominciata male, lei si era alzata con il piede sbagliato, era stato chiaro fin dall’inizio.
Io stesso non ero al cento per cento del mio usuale e scarso dieci per cento mattiniero, senza dubbio non ero al pieno della mia quasi vuotezza domenicale.
Forse avevamo bevuto troppo vino, la notte precedente e qualcosa non stava meccanicamente funzionando a dovere dentro di me e anche dentro di lei.
In precedenza, avevo spiegato a Marilaine, che in questi casi specifici, cioè le sbronze, è bene bere un bel bicchierone d’acqua prima di dormire, perché l’alcool ci disidrata il corpo durante la notte e l’acqua ci evita il tristemente noto ‘mal di testa del giorno dopo’.
Magari lei aveva un motivo che io non conoscevo per non farlo, infatti non lo faceva mai e di vino ne bevevamo sempre qualche litro, quando stavamo insieme.
È anche bene accennare al fatto che Marilaine era solita spararsi in gola decine di pasticche di vario tipo.
Alcune per dimagrire, altre per non assimilare quello che mangiava, più altre ancora, che secondo me, erano per combattere gli effetti collaterali di questi primi due tipi.
Marilaine era di quel tipo di ragazze che hanno la pretesa di essere raffinate, ma invece fingono e al minimo pretesto se ne escono subito con parolacce e minacce di sbudellamenti.
Ora il suo sguardo era totalmente perso nello spazio siderale... poi, in un secondo momento, guardando attentamente la tv spenta, domandò all’improvviso:
“Al cinema danno ‘Le Pantere’ , perché non ci andiamo? C’è allo shopping Bourbon, all’Iguatemi... basta comprare il giornale...”
“Amore mio, tenero e sensuale, a parte il fatto che ‘Le Pantere’ è tra tutti i film, di tutti i tempi, quello che m’interessa di meno e te lo ho già detto più di una volta, ma in una giornata così, secondo te, ci dobbiamo mettere in mezzo al traffico e alla gente?
Per poi rinchiuderci in un salone chiuso e buio?
Per poi vedere un film che ci farà pentire, non solo di essere andati là, in una giornata di sole, ma che forse ci obbligherà a rinnegare la nostra, già abbastanza discussa, razza umana?
Pensa, invece, che possiamo stare qui tranquillamente, come due piccioncini, a riposare, prima di affrontare una nuova e feroce settimana di lavoro... Non è meglio?”
Marilaine acconsentì, sorridendo con gli occhi perduti in aria, guardandomi ma forse non vedendomi. Disse che non ci aveva pensato.
Ecco che il disgraziato silenzio fu frantumato dalla pubblicità della televisione, l’aveva accesa lei, approfittando del mio stato di aerea distrazione ed ora una lista di prezzi e di pagamenti in tre o quattro volte, gridati a tutto volume, avevano invaso il mio povero mondo auditivo, placidamente pacifico, fino a pochi secondi prima, o magari appena punteggiato da un leggero e piacevole canto di educati uccellini.
Visto che non lo faceva spontanemente, pregai Marilaine di abbassare l’audio, per favore e di passarmi un altro panino.
Ora la sua faccia era scura e imbronciata ed io, sebbene non fossi ancora completamente sveglio, mi sentivo abbastanza lucido da desiderare di tornare a letto al più presto.
Ma non potevo.
Il malumore non è una colpa, per carità, tutti ne soffrono, almeno ogni tanto, fa parte del nostro vivere, è addirittura necessario, dico io, anche solo per capire cos’è il buonumore.
Questo ragionamento però funziona solo teoricamente, perché poi bisogna anche saper distinguere le due situazioni e fare mente locale, quando i fatti avvengono nella realtà.
Ecco che il mio pensiero era di un ben determinato tipo, quello cioè di sfruttare le rare occasioni in cui il mondo e la vita diventano razionalmente prevedibili, quasi matematicamente calcolabili.
Per fare un esempio assai pratico, di una determinata azione, che ci porta ad un altra e poi ad una conseguenza, diciamo... nel nostro caso di esagerazione vinaiola notturna: senza il buon bicchierone d’acqua, ecco arrivare il prevedibile mal di testa e il mal di testa ci provoca un inevitabile malumore...
Nonostante questa mia pratica riflessione, della cui sperimentata efficacia ero orgoglioso e della quale avevo più volte fatto partecipe la mia compagna, cominciavo a capire che Marilaine, anche se si sforzava di ripetere e di tentare di dimostrare che amava pace e tranquillità, forse lo dichiarava per far piacere a me e non sapeva proprio cosa significavano e, di conseguenza, a cosa servivano.
Mentre vagavo col pensiero tra questi ragionamenti, cercando articolarli meglio, per quanto fosse perfettamente inutile e sorseggiavo un succo d’arancia senza zucchero, lei disse:
“Allora perché non ce ne andiamo alla spiaggia d’Ipanema? È una bella giornata di sole...”
“...e sarà pieno di gente che solo trovare il posto per la macchina sarà un problema.
Non è meglio stare qui?
Ci mettiamo seduti, leggiamo un po’, mangiamo, beviamo, stiamo in santa pace, magari facciamo anche un altro poco di sana ginnastica orizzontale, insomma... che bisogno abbiamo di infilarci nel mezzo della confusione?”
Marilaine, concordò, come se non avesse pensato prima a questo aspetto secondario, ma anche per lei importante... e s’immerse di nuovo nei suoi pensieri ed io nei miei.
Tra noi si creavano contrasti, a volte, per il fatto che lei non aveva una linea di comportamento di fronte alle varie situazioni della sua vita, andava più che altro per tentativi, riflessi nervosi e condizionati, gesti convulsi... senza usare una vera e propria logica, una coscienza politica.
Diciamocelo: Marilaine non aveva nessuna dannata filosofia.
Invece, ad ogni tipo di situazione corrispondeva una mia risposta pratica, dal punto di vista filosofico, io avevo risolto la mia vita.
Anche se, nei miei bei ragionamenti, non avevo considerato la presenza degli altri e Marilaine forse era anche lì per ricordarmelo.
Se il mio problema era che lei e gli altri esseri umani non potevano applicare la stessa praticità del mio vivere, perché per loro era troppo complicata, la tattica di Marilaine era prendere per buono il mio stile, insieme a tutti i suoi contenuti, anche se era quasi l’opposto, non solo di quello della maggior parte della gente che ci circondava, ma anche del suo.
Ebbene sì, eravamo molto differenti.
Marilaine era, una brasiliana dalle labbra carnose e rosse, una bellissima razza incrociata con indios e africani, forse anche qualche portoghese o spagnola, non si sapeva bene... insomma dentro di lei c’erano quasi tutti, è vero che mancavano i giapponesi, ma posso garantire che era un confusione dannata.
Per causa di questa mescolanza di tipi umani e culture e anche di una situazione familiare di bassa borghesia, lei aveva il conseguente desiderio di gonfiare di più il suo conto in banca, magari, un giorno, diventare una donna di alta borghesia.
La sua pretesa raffinatezza era forse in vista di questo passo futuro.
Altro fattore importante era la laurea in psicologia, per la quale, il suo cervello passava, senza nessun avvertimento, dalla limitata mentalità perbenista di stampo europeo, alla pazzia carnevalesca carioca.
Marilaine era una brasiliana scura e di quel tipo di mulatto quasi dorato, anche per via dei capelli riccioluti tinti di un colore che lei pensava che fosse biondo, ma che in giro poteva anche parere arancione scuro e aveva quegli occhioni grandi, i denti bianchissimi e la bocca carnosa.
Invece io ero un biancone europeo di capelli castani, tipica faccia da italiano, con un naso un poco sproporzionato in eccesso e nessun altro segno particolare, almeno fisicamente.
Dentro di noi, la testardaggine più esagerata, era forse l’unica cosa che avevamo in comune.
È interessante studiare il cammino forzato delle tendenze umane, attraverso le generazioni: tutti vogliono quello che non hanno e si ribellano a quello che sono.
La mia famiglia toscana, era certo stata di idee borghesi, anche se non ricca, molto più di quella di Marilaine... e in Italia; perciò io andavo contro quello che avevo visto e vissuto.
Lei aveva sofferto, almeno mentalmente, la sua relativa povertà, quindi cercava, in maniera convulsa, l’opposto.
Non poteva vedere dieci reais in situazione di riposo, li doveva spendere subito.
Marilaine non sopportava gli spazi verdi, o marroni che fossero... con tutti i piccoli esseri: rettili, mammiferi ed insetti, che facevano parte di quell’offerta speciale, forse anche perché la natura non costa niente.
Probabilmente, per il consumista incallito, quando il prezzo è troppo basso è perché c’è un trucco nascosto e poi che gusto c’è con le cose che non si possono comprare o possedere?
Anche se non lo ammetteva, Marilaine amava il cemento e l’asfalto, adorava andare a far compere e appena entrava in casa accendeva la televisione e metteva il volume al massimo... il silenzio la terrorizzava.
Io, invece, apprezzo e santifico i rari momenti in cui l’inquinamento sonoro della grande città sudamericana mi permette una pausa di quiete.
Forse perché sono cresciuto in campagna e conosco l’assenza di rumori, che mi fa stare meglio che il frastuono.
Il consumismo mi ha influenzato molto... ma al contrario: più gli altri comprano io meno lo faccio, più spendono e più io risparmio, più buttano via e più io aggiusto e conservo cose antiche.
Mentre gli altri vogliono tutto nuovo, di plastica, senz’anima, io amo oggetti fatti di materiale riciclabile, per esempio il legno, animati da un passato più umano, meno elettronico e nevrastenico.
Quando torno a casa la sera, se è caldo, giro nudo in giardino e faccio il bagno in piscina, converso con il cane sdraiato sull’erba fresca e guardo le stelle, il cane non risponde ma il suo silenzio è rassicurante.
Poi, seduto in veranda, leggo libri allietato dalla compagnia di zanzare e relativi fornellini per mantenerle a distanza, di ululati di cani con manie di lupi mannari, con nenie di grilli e animaletti misteriosi che fanno un concerto nei campi là sotto che vale la penna di stare ad ascoltare, o di usare come sottofondo.
Perché non meditare al buio o leggere alla luce di lampade potenti circondate da voli ubriachi di farfalline notturne e insetti di vario tipo e misura?
Con due altoparlanti sistemati sulle mensole, in veranda, posso ascoltare musiche soavi e strumentali, chiudere gli occhi e sognare senza dormire.
Purtroppo chi è cresciuto in mezzo ai palazzi di cemento, come Marilaine, non sente questo tipo di romanticismo e se vede uno scorpione muore di paura e figurarsi una serpe o un topolino, un ‘lagarto’ può causargli un infarto e non cammina mai scalza sull’erba, soffre del prurito di una puntura di zanzara prima di essere punta, si sveglia la mattina innervosita dai canti degli uccelli.
Verso mezzogiorno, con il massimo piacere, avevo cominciato a leggere il mio libro, che in quell’epoca non mi ricordo quale fosse, ma era sicuramente un vecchio poliziesco, gli altri libri li leggo solo quando sono in vacanza.
Eravamo seduti fuori, all’ombra di un albero e il venticello piacevole faceva svolazzare le nostre pagine, i nostri pensieri e ogni tanto qualche foglia, qualche insetto... tutto intorno i rumori romantici della natura: frusciare di fronde, canto di passerotti, perché no... anche la sirena di una nave sul fiume.
Marilaine diceva che adorava leggere i libri di Sidney Sheldon, oppure ancora meglio, le sue riviste femminili, per lei era una occupazione assai gradevole e ci avrebbe rinunciato solo se avesse potuto fare qualsiasi altra cosa.
Cosicché, verso l’una e mezza, dopo un pranzetto cucinato senza particolare entusiasmo da Marilaine, consumato distrattamente da me e appena becchettato da lei, mi sono deciso a darle retta, anche perché, vederla così in pena, mi faceva stare male e non mi permetteva di godermi la lettura del romanzo.
Anche se non mi piaceva, ho accettato il fatto che lei era abituata a fare quello che tutti fanno, la domenica, che fare qualcos’altro la faceva sentire improduttiva.
Allora siamo andati a Ipanema, era abbastanza vicino e almeno, se riuscivamo a posteggiare, potevamo restare all’aria aperta, passeggiando in mezzo a centinaia di persone, ma sul più bel lungofiume di Porto Alegre.
Però la strada era leggermente imbottigliata.
Camminando a passo d’uomo, o fermi al caldo sole autunnale, ora potevamo dire che la volontà di Marilaine si era realizzata e la vedevo più viva, più partecipe.
Almeno poteva lamentarsi di qualcosa, offendere gli altri automobilisti o i pedoni che attraversavano la strada approfittando della nostra lentezza, o della Prefettura di Porto Alegre che avrebbe dovuto dare al cittadino delle strade migliori, per tutte le tasse che pagavano, che non erano poche e così via.
In fondo poteva essere bello, semplicemente ascoltare una ballata contemplativa alla radio, guardando il panorama dal finestrino.
Solo che le altre automobili avevano il volume assai più alto e quasi esclusivamente farcito di batteria elettronica, non ci permettevano di ascoltare la nostra e nemmeno una singola armonia alla volta.
L’affollamento di persone e mezzi di trasporto, non lasciava spazio alla vista ed il fiume, della cui esistenza pur eravamo certi e che secondo noi era proprio lì, a destra, a pochi metri, rimaneva irraggiungibile ai nostri sguardi assetati... allora ci siamo bevuti una birretta comprata da uno che vendeva bibite tiepide da un’enorme cassa frigorifera di polistirolo bianco sporco che aveva a tracolla.
Una volta trovato il posto per la macchina, in una viuzza laterale, Marilaine ha detto che era troppo lontano dalla passeggiata.
Perciò ci siamo imbottigliati di nuovo per andare allo Shopping più vicino e, in quella direzione, abbiamo capito uno dei perché della congestione stradale.
La via che da Ipanema portava allo Shopping Por do Sol, lì vicino, era chiusa per lavori in corso, anche se ne nessuno ci stava lavorando, essendo, evidentemente, domenica.
Per andarci, dovevamo fare allora un giro lunghissimo e a quella velocità non valeva la pena, perché quello lì, della zona sud, era uno Shopping piccolo e Marilaine ha detto che era meglio andare ad un altro.
Il prossimo grande Shopping era Praia de Belas, a una decina di chilometri, ma arrivati in loco, abbiamo visto che parte del quartiere era chiuso, per una corsa podistica ed era la parte che ci interessava.
Questo nuovo imbottigliamento, però, era molto meglio articolato, pareva addirittura progettato da un famoso urbanista.
Infatti, anche invertire la marcia per tornare indietro era difficile, perché in tanti lo stavano già facendo, le vie laterali erano già piene di macchine e ci voleva tempo e pazienza.
Il tempo ce lo avevamo, ma non lo volevamo sciupare così, la pazienza invece non c’era già più e all’inizio ho fatto un considerevole sforzo per non bestemmiare.
Devo ammettere che da solo non ci riesco mai, in questo ben determinato tipo di situazioni, dò triste spettacolo di me stesso, lo capisco dalle facce degli altri automobilisti.
Però Marilaine mi ha aiutato.
Nell’ambito delle frasi forti e delle minacce verbali, ci ha pensato lei a dire tutto quello che si poteva dire... e, alla fine, mi sono anche divertito.
In Brasile, queste emozionanti avventure metropolitane sono chiamate ‘Programa de Indio’, ed io dico che è un vera ingiustizia perché l’Indio Brasiliano, invece, se ne sta placidamente nella sua capanna vicino al fiume e se anche avesse un’automobile (che saggiamente sostituisce con una canoa scavata in un tronco d’albero), non gli passerebbe nemmeno per la testa di trascorrere le domeniche in questa maniera.
Anzi per loro, secondo me giustamente, la domenica è un giorno uguale agli altri, se non c’è da mangiare vanno a caccia, o a pesca, se no si riposano.
L’indio, qua in Brasile, è considerato una creatura completamente stupida, sebbene viva, nella maggior parte dei casi, una vita più degna e piacevole di quella dei cosiddetti uomini civilizzati.
Un’azione assai sconsiderata, o qualcosa che solo le persone povere o poco raffinate farebbero, allora prende questo nome e loro non ci possono fare niente.
Per fortuna, l’indio ha anche molta più pazienza dell’uomo bianco.
Alla fine, di nuovo a casa, Marilaine ha detto che io avevo ragione e ora pareva pensarlo veramente.
Potevo leggere tranquillamente il mio libro, lei avrebbe letto le sue riviste in pace, visto che, definitivamente era la cosa migliore da fare, poi avrebbe messo un poco in ordine la casa e cucinato qualcosa per la sera.
Ho constatato però che la pratica e la teoria in lei non si toccavano troppo spesso e quello in corso non era uno di quei fortunati momenti.
Conoscevo Marilaine da quasi sei mesi, ma riusciva a stupirmi ancora, con lei niente era scontato, ci si doveva conquistare ogni centimetro di terreno, poi, dopo aver vinto la sua resistenza, lei faceva finta di niente e tutto era come prima.
Quel giorno certo era stato ed era ancora particolare, forse l’alcool le circolava ancora nel cervello, forse il suo corpo non era capace di stare semplicemente fermo a respirare una quiete qualsiasi, o di seguire un piano prestabilito.
Qui qualcuno si chiederà, magari, che diavolo faceva durante la settimana questa giovane donna della fine del diciannovesimo secolo.
Marilaine era segretaria-assistente e tuttofare di un medico famoso, ma di origine italiana e non era conosciuto per la sua generosità, per cui aveva tante funzioni, per la metà di uno stipendio decoroso, ma questo in Brasile è normale.
La sua settimana era qualcosa che non conoscevo nei dettagli, ma tutte le volte che le telefonavo, sul lavoro, mi poteva dedicare pochi secondi.
Là dentro decine di telefoni suonavano di continuo e c’era sempre anche qualcuno, a giudicare dalle voci, che le chiedeva informazioni personalmente e intanto lei manovrava il computer, si sentiva in lontananza il suono di clacson e di motori di automobili e, a volte, di martelli pneumatici e non.
Marilaine era una donna incapace di rilassarsi.
Infatti ora lei andava e veniva, si alzava e si sedeva, parlava a vanvera, litigava colle formiche, imprecava contro il vento e le numerose libellule che vi erano magicamente contenute, che si libravano in aria con la grazia di strani pesci nell’acqua, in quel meraviglioso acquario che era la verde vallata sotto di noi.
La sua sedia a sdraio era scomoda e mezza rotta, allora ce la siamo scambiata, ma la mia era anche peggio, Marilaine sfogliava freneticamente e rumorosamente le pagine della sua rivista senza posarci nemmeno lo sguardo, nemmeno sulle figure.
Per cui ho avuto quella malaugurata idea, che però, al momento, lo confesso, mi parve geniale.
Per rendere più interessante e movimentata la sua vita e la mia, le ho suggerito di fare un giretto con Alfio, il mio pastore tedesco simpatico e dolce, una pelosa e zuccherata pasta di cane.
Marilaine ha accettato con un bel sorriso, Alfio le piaceva, lei piaceva ad Alfio.
Affare fatto.
Ho cercato di convincerla a non usare sandali coi tacchi alti... chi lo sa, era meglio mettersi le scarpe da ginnastica, ma lei non ne ha voluto sapere.
Intorno era tutta campagna, la giornata estremamente gradevole, erano le quattro e il sole splendeva, ancora alto nel cielo, ma il calore non era eccessivo.
Alfio, una volta visti in giro collare e guinzaglio, per un’associazione d’idee, si eccita un po’, allora l’ho aiutata a metterglieli, perché è un po’ come cavalcare un toro inferocito in un rodeo...
Non riesce, sempre ammesso che ci provi, a mantenersi fermo, gira su se stesso abbaiando e correndo vorticosamente, almeno fin quando non si è usciti dal cancello.
Dopo però prende direzioni più lineari, infilandosi nel bosco laterale o nelle località più sgradevoli possibile, attirato dagli odori che spesso sono veri e propri fetori e dagli eventuali rumori di qualsiasi tipo di creatura che a suo rischio e pericolo si aggiri lì intorno.
Un maestoso spettacolo della natura, quarantacinque chili di cane felice e contento come un cucciolo, ma con la forza e la determinazione di un grosso adulto...
Chiuso il cancello alle loro spalle, sicuro dell’effetto tragicomico di quella mia idea ho preso il cannocchiale e mi sono seduto comodamente sul terrazzo.
Ho visto subito dopo la curva del mini-mercato di Tonico, che Alfio stava facendo il suo numero preferito: ‘lo sci nautico’... trascinava cioè Marilaine e i due bei piedini di lei, puntati sulla strada sterrata, alzavano nuvolette di polvere.
Alfio è l’equivalente di un potente motoscafo, in questo ben determinato tipo di situazione e non gliene importa niente se quella è terra ghiaiosa e non acqua...
Ho potuto udire anche le grida di lei che cercava di frenarlo, visto che non poteva con la sua forza fisica, ci provava con l’intimidazione, ovviamente senza successo.
Prima che sparissero dietro un grande albero, col binocolo, ho potuto seguire i movimenti stizzosi della bocca di lei e l’occhio vispo di chi si sta divertendo abbastanza, di lui, con la linguona fin quasi a terra e le orecchie ritte e pronte a cogliere ogni piccola variazione di suono.
Fuori dal muro di recinzione Alfio non dà ascolto a nessuno, sia la mia voce rabbiosa, o quella venerabile del Papa Wojitila, o anche quella autorevole del presidente Lula.
Se si decide per un ben determinato punto della boscaglia, può trascinarci - senza sforzo apparente - lo sventurato attaccato all’altra estremità del guinzaglio, delle cui rovinose botte contro alberi e altri eventuali ostacoli pare del tutto incurante.
In questo ben specifico tipo di situazione la sua ostinazione e la sua determinazione sono impermeabili alle più forti bastonate di un eventuale padrone.
La forza del suo collo taurino montato sul corpo triangolare e le quattro zampone muscolose è impressionante.
Intanto ho iniziato a leggere il mio poliziesco, prima di riapparire sulla discesa, alla mia destra, potevano passare alcuni minuti, seguivo il paesaggio con la coda dell’occhio e attraverso le voci ben conosciute dei vari cani dei terreni che loro stavano scendendo.
Però, dopo le conferme delle differenti e per me ben note voci canine di Tiazinha e Tarzan non è seguito l’abbaiare isterico di Lupicinio... al suo posto una lunga e misteriosa pausa e poi la voce di tutti i cani della via che abbaiavano contemporaneamente.
Passato un bel po’ ho sentito la voce profonda di Roque, un giovane Rotweiler che abita in una zona lontana e dalla parte opposta di quella che doveva essere la direzione giusta.
A questo punto mi sono accorto anche che, a pensarci bene, ci eravamo dimenticati di stabilire un itinerario ideale.
Per questo mi sono preoccupato un po’ e sono andato a vedere, ho trovato Marilaine piangente di rabbia a metà della strada principale della ‘favela’ là sotto, ho capito che avevo esagerato, ma come facevo a sapere che sarebbe andata così?
Alfio era scappato con il guinzaglio e tutto e lei lo aveva seguito per riprenderlo, ma non l’aveva trovato ed aveva avuto paura perché era dovuta entrare nella ‘favela’, per la prima volta nella sua vita.
Dopo non c’è stato verso di poterla fare ragionare, Marilaine era furente, aveva un sandalo rotto, la minigonna nuova leggermente strappata, il trucco sbafato eccetera eccetera.
Nonostante le mie insistenze ha preso la macchina e se ne è andata.
In un colpo solo avevo perso la fidanzata e il cane... in quel momento ho pensato che era un’ingiustizia, visto che avevo agito a fin di bene, con il buon proposito di movimentare una situazione stagnante.
Alfio è riapparso solo il giorno dopo, assai più magro e sanguinante dall’organo riproduttivo.
La veterinaria, poi, mi ha detto che c’è perfino un osso là dentro, nei cosi dei cani, ma che fortunatamente nel nostro caso non si era rotto.
Si è rimesso in sesto con un trattamento di una settimana di una costosissima pomata, che gli applicavo due volte al giorno, infilandola in quella specie di sacco peloso che nei cani avvolge il pene, in posizione di riposo.
Invece Marilaine da quel giorno non l’ho più vista. Per telefono, anche se mi sono più volte scusato per quella mia idea balorda, mi pareva sempre più fredda e distante, credo che alcune volte, le ultime, abbia detto a sua madre di riferirmi che non era in casa.
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