martedì 11 maggio 2004

Lezioni d’italiano per principianti incalliti

Quando iniziai a insegnare italiano nel Rio Grande do Sul, stato più meridionale del Brasile, conobbi un professore anziano, che mi raccontava scene di vita didattica e non, con poche frasi coincise e contundenti.
Il professor De Bernardis aveva pure una certa capacità teatrale, mulinava le mani quando parlava di turbolenze linguistiche, ma sapeva anche mimare efficacemente gesti più pacati se imitava esseri umani e, soprattutto, riusciva a recitare le sue battute più sarcastiche in completa serietà, la sua impassibilità e mancanza di espressione erano degne di una sfinge, il che mi faceva ridere senza possibilità di controllarmi e tutti si giravano a guardarmi.


Un giorno in una riunione di colleghi, durante una pausa per il caffè, mentre gli altri erano già rientrati nel salone universitario, rimanemmo da soli per qualche attimo e lui si avvicinò per dirmi in un orecchio:
“Il nostro mestiere può essere divertente e istruttivo, sa? Il piccolo ma importante segreto, l’uovo di Colombo, sta nel non fissarsi nell’assurda pretesa che gli allievi imparino veramente...”
Sorrisi un po’ imbarazzato e rimasi lì impalato, con il mio bicchierino di plastica in mano, pieno a metà di caffè tiepido, mentre lui, a grandi passi tornava dentro.
La sua tecnica, di esperiente comico da bar di provincia, era sempre quella di dire la battuta e di allontanarsi, per poi ritornare subito dopo pronto per un’ulteriore performance.
Io ero solo un principiante, almeno da questa parte dell’oltre Oceano Atlantico e mi ricordo che pensai che quella frase era stata solo un’esagerazione di un uomo professionalmente stanco e alla fine della sua lunga carriera.
Solo alcuni anni dopo mi resi conto della grande verità delle sue parole, del senso di frustrazione di qualcuno che tenta di fare bene il suo mestiere e si trova giornalmente di fronte ad un muro d’indifferenza.
Cominciavo a chiedermi: quanti erano gli allievi che veramente avevano bisogno di imparare la lingua italiana?
Pochissimi, mi rispondevo e quelli ci riuscivano, perché s’impegnavano nel farlo; tutti gli altri, che forse erano il settanta per cento, stavano lì più che altro per divertirsi e una grande percentuale di quelli che lasciavano il corso, lo facevano perché le classi erano troppo eterogenee, la lezione era una confusione... e quella piccola fetta che era veramente determinata a studiare e ad imparare, era ostacolata e schiacciata da tutti gli altri.
Stiamo parlando di lezioni in classi di venti-venticinque allievi, all’inizio, che però si dimezzavano solo dopo un mese o due, in sale piccole e asfittiche, dove la porta aperta era l’unica maniera per respirare, ma il rumore che ne veniva dentro, condensato delle voci delle altre sale e del passaggio continuo di gente che parlava ad alta voce, certo non aiutava lo svolgimento della lezione.
Credo che nemmeno il trenta per cento degli allievi, poi, terminasse gli otto semestri di prassi, (che curiosamente in Brasile erano e sono approssimativamente di tre mesi e mezzo ciascuno,) adagiati pigramente nella lunghezza di quattro anni, intervallati dalle vacanze, cioè da un mese più qualche giorno a luglio e tre mesi e mezzo a dicembre.
Oggi esistono, anche gli intensivi, ma solo per i primi livelli... e, per fortuna, da sempre, ci sono anche le lezioni private, attraverso le quali, con allievi capaci e giovani, senza forzare, con lo stesso carico orario settimanale del corso in questione, tutto il programma che si svilupperebbe in quattro anni, si può riuscire a fare in quattro mesi, in maniera anche migliore.

Di chi è la colpa di tutto questo imbottigliamento linguistico?
Di tutti, anche dei professori, naturalmente, ma in Brasile le cose funzionano così, bisogna conformarsi, tutto si livella dal basso, perché se si facesse il contrario si perderebbe la maggior parte dei partecipanti.
Qua, disgraziatamente o per fortuna, tutto è in funzione di un rapporto sociale assai rilassato e gradevole tra le persone, che noi in Europa potremmo e dovremmo anche invidiare, ma c’è da notare pure che questo limita e confonde, a seconda dei casi, la pretesa serietà di tutto quello che si cerca di fare tra il Carnevale e il Natale, tra la Pasqua e la decina di ponti festivi che interrompono, disgraziatamente... ma anche per fortuna, ogni tentativo di continuità.
Le condizioni in cui si danno le lezioni sono di confusione, spesso con un calore insopportabile, poi, se si accendono i ventilatori, le già proibitive possibilità di udire qualcosa si assottigliano ulteriormente, i divisori tra le aule sono pannelli di plastica, le voci di tre professori si sovrappongono e diventano un’unica confusa zuppa di parole, che non hanno niente a che fare tra di loro, gli allievi arrivano a metà lezione e se ne vanno dieci minuti prima, nessuno studia a casa o quasi.

Certo in Italia, una lezione di portoghese sarebbe una cosa differente, una cosa noiosa e ripetitiva, forse anche banale, senza nessun colpo di scena e gli allievi si limiterebbero a imparare, in silenzio, senza protestare, senza scherzare troppo e si concentrerebbero solo in quello, studierebbero perfino a casa e tutto diventerebbe asettico e normale.
In Brasile, invece, ho conosciuto innumerevoli e interessanti variazioni su questo tema: la lezione è più teatrale, i professori – per essere uditi - gridano ancora come ossessi, gli allievi, (bambini, adolescenti, o adulti che siano,) sono indisciplinati, lo sono per motivi storici e ambientali, per cause climatiche, per la maniera che hanno di vivere e perfino per il tipo di scuola a cui sono abituati.
Abbastanza frequente è anche il caso degli allievi che rifiutano di essere corretti dai professori, che ne contestano le regole, ecco, gli insegnanti, non perché abbiano studiato la materia e/o siano italiani, non devono aver per forza ragione, o addirittura fargli notare di fronte agli altri di aver sbagliato la pronuncia...
Però, nonostante la loro leggera, media, o un po’ più forte difficoltà nel considerare l’idioma in questione serenamente e seriamente; anche se in Brasile il rispetto si conquista millimetro su millimetro, giorno per giorno e non è mai una cosa acquisita definitivamente; mi sono veramente divertito in questi quasi dieci anni e tanti allievi sono diventati anche miei amici.

È facile immaginare che la situazione, all’inizio per noi bacchettoni europei può sembrare drammatica, ma ripetuta per mesi e poi anni, è oggettivamente comica e devo ammettere che mi insegna giornalmente molte cose sulla vita, sulle persone, su come è migliore il modo d’interpretarla di questo popolo.
Il ‘gioco di cintura’ è quello che noi possiamo imparare in Brasile, la flessibilità, il saper giocare con le persone e le situazioni, come se tutto fosse uno scherzo.
È fin troppo facile dire che tutto è serio ma non troppo, il difficile è applicarlo in tempo reale, la vita europea insegna esattamente il contrario, tutto è serio o perfino tragico al momento e, solo per pochi illuminati, diventa divertente e comico dopo, ripensandoci.
Il bello invece è divertirsi mentre le cose succedono, dà una dimensione più viva e presente, nel nostro mondo decadente d’oltreoceano non ci si riesce più bene, forse da una ventina di anni.

Nelle lezioni d’italiano, anche se la porzione di lingua messa in pratica e in teoria, era ed è scarsa, zoppicante, insufficiente... però il tempo scorre bene e ci divertiamo.
Dopo questi nove anni, quasi dieci, per causa di questi imprevisti tecnici... e della mia conseguente scelta razionale di non pretendere ciò che un individuo, o una classe intera, manifestamente non vogliono fare, sono sempre più convinto che, anche se qua non si sa bene cosa si sta facendo, lo si fa lo stesso e mentre lo stiamo facendo, si sta meglio e se non s’impara quella cosa che volevamo, forse, se ne imparano altre.

Purtroppo, lavorare la notte, per un professore d’italiano a Porto Alegre, si ritiene quasi obbligatorio, perché la maggior parte dei potenziali allievi è occupata tutto il giorno.
Però, visto che io sono un bastiancontrario incrociato con una persona oculata, la notte mi riposo e lavoro il giorno, con quelli che hanno tempo e voglia di farlo, serenamente e seriamente.

Andare controcorrente può essere faticoso all’inizio ma apre mondi nuovi e inesplorati, situazioni inesperate.
I risultati e la soddisfazione personale sono migliorati e stanno costantemente migliorando e fare il professore non è così frustrante come lo è, irrimediabilmente, per chi insegna la sera, o per chi pensa che sia normale lavorare senza soddisfazione.
È un fatto logico ed inesorabile che dopo il tramonto il flusso degli allievi verso le pur improbabili lezioni d’italiano sia più vorticoso, sebbene i cervelli siano già andati a casa e magari anche a letto e i corpi possono solo fingere di manifestare la volontà di essere lì, in quel momento, di concentrarsi su qualcosa che non è mai così semplice come avevano pensato.
Diciamocelo chiaramente: la lezione d’italiano di sera, dopo un duro giorno di lavoro, è un’ipocrisia.

Paradossalmente anche gli allievi di lezioni private che non sono capaci di concentrarsi e ridono di ogni parola differente dal portoghese-brasiliano, sono frequenti.
Quelli che scherzano sempre, perciò, a mio parere, un po’ troppo, sono individui che durante il giorno scaricano tutta la loro energia e la notte non possono controllarsi e fanno italiano solo per conversare in portoghese, tra di loro o con l’insegnante, ma non per rendergli impossibile la vita.
Il fatto è che secondo l’opinione che hanno delle lezioni private, visto che sono loro che pagano, lui dovrebbe mettersi un naso rosso a palla e divertirsi con loro.
Per fortuna di mattina e di pomeriggio le cose cambiano.

Gerson era un mio ex allievo di una classe sesto livello pomeridiana, di due anni prima, poi studente di filosofia all’università e veniva a casa mia il sabato o il venerdì pomeriggio per conversare in italiano della sua materia, voleva fare un incontro in Italia, una specie di gemellaggio, insomma, per scambiare esperienze.
Essendo una ragazzo pieno di iniziativa e anche di cose da insegnare e in più assai desideroso d’imparare, la conversazione era tanto interessante che finiva troppo in fretta.
Allora gli proposi di fare due ore insieme, ma lui doveva pagarmene una sola, visto che anch’io stavo imparando cose interessanti e così facevamo tutto con più calma e più compiutamente.
O almeno quella era la mia intenzione.
Però anche le due ore erano scarse, così, in genere ne facevamo due e mezzo e alla fine eravamo contenti ma stanchissimi.
Infatti attraversavamo con passione e impiegando tutte le nostre energie intellettuali, decine di argomenti, inerenti alla filosofia, all’inizio, ma allontanandoci progressivamente.
Gerson parlava bene l’italiano, le correzioni che gli dovevo fare erano poche, in alcuni momenti mi dimenticavo anche che quella era una lezione, non so se per lui quello era un fattore positivo, ma per me lo era.

Neiva era una ragazza che insegnava informatica all’università e veniva a casa mia una o due volte alla settimana.
Parlava benissimo la lingua e mi era quasi impossibile riuscire a fermarla, il suo torrente di parole animato da un entusiasmo bambino la trasportava troppo e gli argomenti attraversati erano tanti, ma le correzioni che le facevo erano sempre le stesse, per esempio “da forma que”, in italiano si dice in maniera o in modo che... ma lei continuava a sbagliare e lo faceva ancora quando smise di frequentare le mie lezioni.
Era molto intelligente, forse un po’ stressata, sicuramente aveva un rapporto problematico con la gente, ma alla sua maniera, era simpatica, grassoccia e bionda, non smetteva mai di parlare.
Anche quando la salutavo, mentre se ne andava e scendeva con la sua Gol per la discesa, la sua bocca si muoveva ancora, aldilà del finestrino chiuso, già che accendeva sempre l’aria condizionata, anche quando non era caldo...
Abbiamo attraversato insieme tanti temi, quelli che mi ricordo sono: l’interpretazione della trama dei sogni, la politica brasiliana, alcuni articoli di giornalisti polemici, il carattere della gente (in generale e in particolare), i movimenti collettivi e per la prima volta ho sentito parlare della ‘doppia morale’ da usarsi, secondo lei, con le persone con le quali non abbiamo sufficiente intimità e interessi comuni, per non entrare in inutile contrasto con loro.

Da qualche mese, il venerdì, vado in uno studio di audiovisivi, in centro, dove faccio conversazione con un brasiliano di origine italiana che studia varie lingue.
Erasmo e i suoi collaboratori fanno propaganda in video per la televisione e in audio, per la radio, lo studio è anche attrezzato per le varie registrazioni, camere insonorizzate, apparecchi sofisticati eccetera.
Lui parla molto bene l’italiano ed è uno dei pochi che ho conosciuto che non sbaglia nemmeno le preposizioni articolate.
Gli piace la letteratura e allora ci affondiamo in testi di autori contemporanei, ma gli argomenti tipo politica, economia e vari tipi di temi sociali anche gli piacciono.
Le nostre conversazioni sono interessanti perché ci presentiamo sempre novità e aspetti reciprocamente di interesse.
Un’ora passa in cinque minuti.


Comunque sia, uno degli allievi più simpatici e intelligenti è Nazario, certamente anche uno dei meno studiosi, uno psichiatra che lavora in centro e ha uno studio accogliente, senza il tradizionale lettuccio dell’analisi, all’ultimo piano di un palazzo dove non abita nessuno, ma tutti ci lavorano.
Mi è rimasto subito simpatico, perché ha la sua forte personalità e conosce i trucchetti del dialogo, dei rapporti tra le persone, per ottenere quello che vuole da loro, ma anche per godersi la loro compagnia e, in definitiva, la vita.
Il suo maggior ostacolo è lo stress, naturalmente, perché le sue cellule grigie, dopo una giornata piena di appuntamenti, di inevitabile assorbimento di problemi altrui, di necessario controllo della propria persona e delle altre, sue clienti... Nazario ha troppo bisogno di rilassarsi e io, secondo una logica europea, dovrei invece forzarlo e rinchiuderlo in un mondo pieno di verbi e di preposizioni articolate...
Per una disgraziata o felice coincidenza io sono una persona sensibile e penso che l’impresa in questione è di quel tipo sarebbe molto più congeniale a quei professori dal cuore di pietra, persone senza pietà, che insegnano il rispetto della grammatica come unico possibile Dio e regolatore delle faccende terrene.
Qui in Brasile questo tipo di professore non è mai nato, oppure è già morto da tempo... o io non ne ho mai conosciuto nessuno.
E Nazario, già dall’inizio, cominciò ad invitarmi, qualche volta a cena, poi al suo compleanno, che festeggiò in un localino affittato per l’occasione, ma ho rifiutato le sue proposte per qualche tempo, per motivi contigenti e differenti, in generale perché non esco mai la sera, preferisco stare a casa.
Infatti, la prima volta che c’incontrammo fuori da una lezione, venne lui, con la sua ragazza, a casa mia per una cena a base di fettuccine al pesto e vino bianco, dove prendemmo a schiaffi le zanzare, sudammo, mangiammo e bevemmo a sazietà, seduti al tavolino in veranda.
C’erano anche mio fratello e sua moglie e la mia ragazza, Alina.
Nazario e Carolina arrivarono un po’ in ritardo, perché stavano tornando trafelati da un viaggio a Santa Cruz, di centinaia di chilometri, ma arrivarono e passammo un buona serata, saltando da un argomento all’altro piacevolmente.
Una caratteristica dei brasiliani del sud, che contrariamente a quello che si pensa in Europa, lavorano molto o troppo, è di voler fare tutto insieme, anche quando matematicamente non c’è tempo per farlo, o quando peggiorerebbe la qualità delle singole cose, almeno per la nostra concezione europea.
Il risultato è un intreccio assai confuso e, anche se sembra che non sia possibile, approfittare anche parzialmente di tutta quella sovrapposizione di azioni, propositi e spropositi, invece, loro, alla loro maniera, ci riescono.
In quale misura non l’ho ancora capito, ma credo che un oltreoceanico qualsiasi non sarebbe in grado di ficcare tante cose in poco tempo e capirci qualcosa.
È vero che anche il Gaúcho non ci capisce troppo, ma si diverte e questo è l’essenziale.

In ogni maniera, il meglio di sé Nazario lo da’ quando siamo da soli, non si maschera troppo con la sua pur scherzosa autorità di uomo di pensiero e di cultura e si comporta in maniera più naturale.
Certo che è un allievo assai particolare e lo è per il solito motivo essenziale, che poi è un’esagerazione di quello degli altri brasiliani, cioè sa ingannare molto bene se stesso e la sua principale tendenza, durante la lezione, è l’instabilità, la distrazione in genere... e, più in particolare, il cambiare argomento per evitare abilmente la grammatica o le cose che non gli piacciono.
Il guaio è proprio che lo sa fare molto bene, i suoi modi sono simpatici e soavi, perciò la sua tecnica, (mi trovo di fronte ad una vera e propria tecnica,) è una signora tecnica, articolata e sopraffina, diversificata a seconda delle occasioni.
Il saper simulare e dissimulare qua sono vere e proprie arti, molto ben sviluppate in generale nel carattere delle persone delle varie classi sociali e sto cercando di assorbirle ed impararle ad usare con un discreto profitto, dal momento che penso che si viva meglio, se non si è troppo diretti e sinceri ad ogni costo.

Dato che il tempo con Nazario passa assai piacevolmente, lui approfitta della mia conseguente flessibilità, per allontanarsi sempre di più dalla grammatica ed affrontare e dibattere insieme, in portoghese, i grandi temi della vita, cioè le donne e la politica.
È chiaro che i nostri interessi, essendo molto vasti, permettono passaggi su tutti gli aspetti del quotidiano e anche del trascendentale, della psicologia e della natura di tutte le cose, la musica popolare brasiliana, il calcio internazionale e la cucina italiana.
Un dialogo informale e divertente, che per tutti e due rappresenta la magnifica fuga dal lavoro e dallo stress.
Peccato che l’ora di lezione che lui mi paga diventa sempre più stretta... e nel mezzo della conversazione assai interessante, perlopiù in portoghese, ma con alcuni sprazzi d’italiano, devo infilarci anche, a sorpresa, ma non troppo, qualche frase scritta con l’uso del condizionale o del passato prossimo...
Visto che pronomi, articoli, preposizioni e altri soggetti grammaticali sono relativamente meno importanti, ho deciso ben presto di lasciarli perdere quasi completamente e di farlo concentrare sui verbi, ma lui riesce sempre, con l’inganno, di cui sono sempre più cosciente e complice, a portarmi su altre spiagge più salutari... dove piovono meno regole e coniugazioni... però, in compenso, sono più assolate e profumate di bellezza umanistica.

È utile distinguere, in tre fasi differenti, la nostra traiettoria di professore e allievo, fino a questo momento: la prima era di sera, alle otto, due volte alla settimana, insieme alla sua ragazza Carolina, che è stata l’epoca più diligente, ma anche quella meno divertente, ci conoscevamo poco ed essendo lei professoressa d’inglese, era più disciplinata e lo forzava a fare più attenzione alla lingua italiana in sé e a disperdersi meno nello spazio siderale delle opzioni dell’ambiente circostante e dei meandri della mente umana.
La seconda fase, dopo il suo viaggio in Italia e negli Stati Uniti, senza Carolina, ma sempre allo stesso orario, stessa frequenza settimanale, nella quale la nostra cominciò ad avviarsi a diventare amicizia.
La terza, che è quella in corso, sempre senza lei ma di mattina, il martedì e il venerdì, e, nella quale, la sua mente più riposata è meno stressata e dispersiva, non mi obbliga a riportarlo all’ordine, forse anche perché me ne sono stancato o rassegnato, non ne sento tanto il bisogno e lo lascio fare come vuole, garantendo quel minimo di conversazione necessaria per non sentirci in colpa.
La sua colpa lo ingombra, naturalmente, in maniera differente dalla mia, o meglio: anche se non sembra, esiste in lui qualcosa del genere, ma rappresenta qualcosa di meno importante, occupa meno spazio e lo disturba meno.
Tra le altre cose, durante i miei vani tentativi di fare una regolare lezione contro la sua volontà, scriviamo spesso e-mails ai suoi amici del sud dell’Italia, che io non conosco, ma che insieme trattiamo a scherzi e lazzi, perfino in dialetto, estratti dai miei ricordi di conversazioni con amici sudisti del passato...
La nostra non è una vera lezione, ma è troppo interessante... e non ci sarebbe niente di male, solo che il materiale trattato, in lingua 2, è poco, in proporzione, anche perché nel mezzo a tutta questa confusione, lui telefona e riceve telefonate, chiama il bar sottostante per ricevere acque minerali, caffè, cappuccini, macchiati e panini... e, quando la cameriera li porta su con un vassoio, Nazario conversa anche con lei, finalmente in italiano, che però lei non capisce per niente, ma, per compensare, Nazario le da sempre la mancia e in più cerca di convincerla, chissà perché, che deve assolutamente prendere anche lei lezioni d’Italiano.
Forse non ci sarebbe bisogno di menzionare anche quelle volte in cui la lezione non veniva fatta, per un motivo o quell’altro e mi veniva comunicato solo al mio arrivo in loco.
Uno di questi giorni, dopo aver aspettato per mezz’ora in corridoio, quando Nazario arrivò, mi arrabbiai, anche perché quello era un andazzo regolare, bisognava che capisse che non era giusto, mi sentivo preso in giro.
Questo però fu il mio ultimo tentativo di fare lezioni in maniera regolare e affrontare l’italiano seriamente.

Infatti Nazario mi pagò con un unico assegno, in anticipo, il mese seguente e quello che stava terminando.
Il suo tentativo di corruzione riuscì perfettamente.
Il suo intento era farsi perdonare, però, simultaneamente, io cominciavo a sentirmi in colpa per essermi arrabbiato con lui.

Bene, da quel momento lui fa quello che vuole e io mi sono completamente rilassato.
Non è che non facciamo lezione, la facciamo, ma alla sua maniera: sfioriamo appena la grammatica, la conversazione viene sviluppata in italiano maccheronico corrente e/o portoghese inframezzato d’italiano, spesso seduti al bar là sotto, ai tavolini fuori, lui si fuma anche un bel sigarone, guardiamo chi passa e i loro relativi movimenti di natiche e su e giù di mensole frontali... discutiamo temi di attualità e interrogativi preistorici... beviamo le nostre bevande, almeno fino a questo momento, analcoliche.

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