Quando parla, le sue frasi sono confuse,
non solo nella forma, ma anche nel contenuto, per via del suo entusiasmo, della
sua gran voglia di condividere ciò che ha dentro, della sua ansia di metterlo
fuori.
Però ha le idee chiare, su se stessa, su di
me e sul mondo che ci circonda.
È completamente differente da tutte le
donne che ho conosciuto prima.
Di schianto mi ha fatto capire che certe
donne erano troppo costruite, troppo poco pratiche, per mettersi in una vita
reale insieme a me.
E se lo avessero fatto, poi, sarebbe stato
anche peggio.
Quando l’ho conosciuta, Maria Dina aveva la
metà dei miei anni e il doppio del mio buonsenso.
Ho pensato subito che in relativamente poco tempo, quelle stesse percentuali sarebbero diventate sempre meno nette, insomma, per una strana ma logica coincidenza, avevamo tutti e due intenzione di mischiarle.
NATALE
Vila Nova è stata fondata tanto tempo fa da
italiani, una volta era un villaggio, poi è diventata un quartiere di Porto
Alegre.
Le strade qui hanno cognomi di emigranti
della nostra terra, in alcuni casi misti, la via principale si chiama Vicente
Monteggia, la nostra strada è la João Locatelli da Silva.
Se si abita su questa collina di Porto
Alegre, di periferia un po’ più esterna e campagnola, ci sono ancora quei
venditori ambulanti col megafono, che si fanno annunciare da frasi registrate e
vendono le cose più diverse.
Non è facile arrampicarsi per questa strada
ripida, però tra i tanti ci viene a trovare regolarmente il camioncino del gas,
con una canzoncina all’altoparlante che ne elogia la qualità e la quantità...
Le donne di qua non sono abituate a
discutere di politica, parlano di quello che fanno e tra le poche altre cose
comprano i prodotti per la casa.
Se intervistate, alcune dichiarano che la
Liquigas mette meno gas nelle bombole della Ultragas, altre dicono il
contrario, naturalmente ci sono anche altre marche e perciò le comari non si
trovano d’accordo su quale sia meglio e quale peggio, ma tutte dicono la pura
verità e per esperienza diretta.
Il camioncino della verdura, dal megafono
sul tettino, elenca una interminabile lista di prodotti genuini, garantiti e
naturali; oltre i vetri sporchi, là dentro, ci sono due ragazzoni dai
lineamenti della faccia tagliati con l’accetta, che parlano con l’accento di
qualche parte dell’interno dello stato, dove ci sono le montagne.
C’è il venditore di zucchero filato, che è
nero di pelle e di capelli, simili nel formato ai suoi bianchi cespuglietti.
Arriva a piedi, è magrissimo e su una
specie di struttura tipo albero di natale porta un’infiorescenza di candide
nuvolette, suona la trombetta per annunciarsi e i cani di tutte le colline
limitrofe abbaiano dal primo squillo all’ultimo.
La domenica mattina c’è addirittura, l’autobus della colonia, che è una
vecchia corriera che pare alimentata a ruggine e sale a stento la collina, il
suo megafono offre prodotti alimentari casalinghi provenienti dalla campagna:
formaggio, affettati, vino, dolciumi e così via.
Più raramente passa un camioncino rossoblu
che si regge in piedi per miracolo, non so cosa vende, il suo megafono è tanto
scassato e la voce così impastata, che non capisco una parola.
Si vede solo un uomo col cappello di un
colore indefinibile e la barba di due o tre giorni che si confonde con il
sudore rappreso, il tipo snocciola frasi
in un microfono come se fosse una sola interminabile parola, non c’è nessuna
scritta per aiutare chi non capisce, magari non vende prodotti ma qualche
servizio, chissà, uno svuotatore di fogne?
E allora il camioncino perché non è una
cisterna?
A venti minuti dal centro, qui pare aperta
campagna, la zona sud è l’unica dove c’è ancora spazio per costruire, dagli
altri lati Porto Alegre è circondata.
Spero di no, ma temo che fra pochi anni non
ci sarà più così tanto verde, non lontano da qui hanno già costruito un
ipermercato e un altro lo stanno terminando, ancora più vicino, il primo con un
enorme shopping center attaccato in costruzione.
A Vila Nova la gente non bada troppo alle
apparenze, per Natale le strade rimangono esattamente uguali al resto dell’anno,
ognuno continua a fare la sua vita, senza fingere di essere diventato buono,
senza dover fare l’albero di natale in giardino, forse perché già il giardino
sarebbe improprio chiamarlo così, se la maggior parte delle case non ha nemmeno
la recinzione.
Maria Dina da settimane sta cercando di
mettere il sale sulla coda del venditore di candeggina, che offre cinque litri
per un Real, equivalente a 35 centesimi di euro circa.
Il fatto è che le pareti della nostra casa
sono quelle rugose e rustiche di chi non ha avuto voglia, tempo e soldi di fare
l’intonaco vero e proprio.
Se mettiamo questo fatto insieme all’altro
che il nostro è un clima subtropicale, i ragni e gli insetti in genere sono
prolifici, insistenti e invadenti, le ragnatele su superfici porose ed
irregolari non sono solo difficili da pulire, ma ci si attaccano anche meglio,
i buchi servono da nascondiglio, insomma sono un invito alla delinquenza.
Maria Dina allora ha deciso di pulire i muri
in occasione della visita di mio fratello Sandro, gliel’ho detto che a lui non
gliene frega niente, ma non c’è stato nulla da fare.
C’è da dire anche che pure il soffitto del
piano terra è di quello stesso genere irregolare, poroso, dipinto di bianco e
punteggiato di tele di ragno e insetti mummificati.
Niente di meglio di queste candeggine
forti, non profumate, anzi meglio se puzzolenti, in quella loro tipica maniera,
credo, ancora internazionale, per snidare e sconfiggere prolifiche famiglie di
ragni a gambe lunghe, dal nucleo piccolo come un pallino da caccia e dalle otto
articolazioni dinoccolate, finissime e lunghe fino a tre quattro centimetri.
Queste caricature di aracnidi, quando
raggiungono numero e densità per metro quadrato ragguardevoli, come nel nostro
caso, fanno ridere assai meno, perché te li ritrovi addosso, intorno e dentro
tutto ciò che si azzarda a volersene stare tra i muri in questione, insomma,
quelli che noi pensavamo che rappresentassero la nostra casa.
Si aggiunga che il venditore di candeggina
è inafferrabile, passa solo per la strada principale e non nella nostra, che è
sterrata e senza uscita, si sente la voce del megafono e non si capisce mai in
che fottuto punto della collina si trovi.
Allora Maria Dina cerca convulsamente le
chiavi di casa, i soldi e tenta di vestirsi decentemente in pochi secondi, ma
riuscita alla meglio a precipitarsi fuori, corsa giù a rompicollo per la
discesa, passano i minuti e a volte le mezz’ore, ritorna senza niente in mano e
respirando affannosamente.
La candeggina l’abbiamo poi dovuta comprare
all’ipermercato Big.
TECNOLOGIA
La tecnologia è una cosa
incredibile, nel bene e nel male. Ho avuto il piacere poco convenzionale di fare
il turista in Toscana con un navigatore del cellulare registrato in Brasile,
una voce femminile artificiale pronunciava i nomi delle vie in portoghese,
tutti distorti e non si capiva niente, però ci facevamo delle discrete risate.
Aggiungiamo che questi GPS spesso sbagliano strada e ti fanno fare dei
fottutissimi giripeschi.
Entrati nella regione Lazio la
segnaletica è scarsa e confusa, per trovare il Lago di Vico, vicino al nostro
Hotel di Bagnaia, ci abbiamo messo un sacco di tempo e abbiamo visto anche dei
bei posti, ma che non sapremmo ritrovare più.
Tornati da noi al Quercione siamo
spesso stati interpellati da gente che si era persa, perché il GPS non
considera la strada grande e usata da tutti, fa prendere una scorciatoia trai
campi che non allunga, è vero, ma ci si trova in una strettoia, che se arriva
una macchina dall’altra parte, qualcuno deve tornare indietro per centinaia di
metri a marcia indietro, per chi si sbaglia c’è un apposito fosso da una parte
e uno dall’altra, non è raro che si debba chiamare un carro attrezzi.
AMICHE DI FERMATA DELL’AUTOBUS
Gli uomini s’indebitano quanto
possono e anche di più, spesso vivono in catapecchie, ma hanno i cellulari
all’ultimo grido e l’automobile che pagano solo quando ci riescono, quindi
sugli autobus ci sono più donne, anziani e bambini. I pensionati non pagano e
gli autisti in ritardo fanno finta di non vederli e vanno a dritto, orientati
così dalle imprese.
Una
donna abituata a stare per ore in giro su automezzi strapieni e talvolta anche
rapinata sui mezzi di trasporto, in congestionamenti urbani che all’ora di
entrata e di uscita dal lavoro sono regolari e giornalieri, sviluppa una
conversazione nervosa, ma confortante, con donne che come lei sono condannate a
fare lavori umili, a stare per ore sugli autobus, o aspettandoli a lungo quando
sono in ritardo.
L’amica di fermata di autobus è
una persona che racconta la sua vita volentieri, tanto per passare il tempo e
divertirsi sulle sue tragedie quotidiane, ride e piange con sconosciute che
però incontra spesso in quei frangenti e poi diventa veramente amica di amiche,
che raramente incontrerà fuori da quelle condizioni di stress giornaliero.
Di che cosa parlano le amiche di
fermata di autobus? Di tutto e di niente, della vita e della morte, delle
offerte speciali del detersivo, come della visita all’ospedale per la malattia
improvvisa della cugina Elizandra.
Consideriamo che Porto Alegre,
come altre città brasiliane, è cresciuta senza uno schema, nessunissimo piano
regolatore. La sua struttura di strade è assai complicata, irregolare e quasi
mai squadrata, colline e dirupi, a volte assai ripidi, ne complicano
ulteriormente il disegno e la viabilità urbana.
Non è raro che per evitare i rami
degli alberi i camion e gli autobus debbano camminare in mezzo alla strada e
bloccare chi arriva dall’altra parte.
Come in tante altre grandi città
brasiliane il transito è una cosa confusa, a partire dal fatto che le strade
sono insufficienti per il numero di macchine, taxi, navette, autobus e camion.
A continuare coll’educazione
stradale quasi inesistente che ha a che fare con l’educazione personale della
gente, o meglio: con la sua mancanza. I brasiliani sono molto più pazienti,
gentili e soavi degli europei, ma in grandi città e agglomeramenti possono
perdere la calma anche loro.
In più in Brasile non ci sono
treni, con una superficie totale superiore a 28 volte quella dell’Italia,
maggiore di quella europea, senza la Russia. I treni sono solo usati
commercialmente nello stato di S.Paulo. A Porto Alegre, come in altre città
considerate quasi grandi, c’è una linea di metropolitana che però porta fuori,
verso le città dormitorio.
Negli ultimi anni, messa in atto
la possibilità di vendere automobili nuove pagando in 99 rate, il numero degli
automezzi in giro è triplicato, poi le macchine non le pagano certo tutte, ma
l’importante non è quello, fondamentale è vendere e già prima il transito era
caotico e pericoloso.
Naturalmente a Rio e S.Paulo è
peggio, la gente è abituata a sorbirsi ore in autobus e in metropolitana, senza
posti a sedere e si calcola che tanti passano più ore nel trasporto che al
lavoro, a casa ci dormono e poi ripartono.
Il trasporto urbano in Brasile è
un problema e non ha soluzioni per i più poveri, perché non è certo una
priorità della mafia del cartello, o del cartello delle mafie. Naturalmente sto
parlando delle grandi città come Porto Alegre, per esempio, che non è una
tra le più grandi, non avendo forse nemmeno due milioni e mezzo di
abitanti, ma è la maggiore nell'estremo sud, dello stato del Rio Grande do Sul,
quasi un triangolo tra Oceano Atlantico, Uruguay e Argentina.
Ci sono strade di grande movimento
in cui troppi autobus bloccano i semafori, essendo le fermate troppo prossime
all'incrocio, e altre strade completamente ignorate perché poco convenienti. I
prezzi sono sproporzionati e non c'è una convenzione, tra le due ditte
principali, che permetta di pagare un solo biglietto se si va in unica
direzione, con un tempo limitato, come nelle grandi città di tutto il
mondo.
Non tutti gli autobus hanno l’aria
condizionata, ma chi ce l’ha, per risparmiare, è orientato a farla funzionare
solo quando non è caldo e ci sarebbe veramente bisogno, succede allora che la
gente dice di spegnerla, perché la accendono solo quando è fresco di suo.
Insomma l’assurdo diventa
ordinario e ripetitivo nel mondo, e quindi anche qua in Brasile, ma i modi e le
maniere sono diverse ed è per questo che la gente è così paziente e aperta
d’idee, stanca, calma e stressata allo stesso tempo.
Il trasporto UBER però sta
suggerendo un parziale cambiamento, almeno per la fascia delle meno povere,
perché la passeggera, almeno per le distanze meno lunghe, viene portata a
destinazione in macchina e da sola, per un prezzo che spesso è pari o solo il
doppio del prezzo dell’autobus, poco più di quello della navetta e la viene a
prendere davanti casa, la lascia esattamente dove vuole lei, non deve camminare
proprio. Ovviamente non può usarlo per andare a lavorare e tornare tutti i
giorni, a meno che non sia di classe media, ma anche così diventa un costo
alto.
I tassisti all’inizio hanno
ovviamente malmenato per un po’ di tempo gli autisti UBER, e qualcuno è stato
anche ammazzato, ma ora hanno applicato tariffe più basse per fargli, a loro
volta, un po’ di concorrenza.
Qua in generale gli stipendi
aumentano molto lentamente, piuttosto fisiologicamente quelli dei politici, in
compenso assai velocemente levitano i prezzi di ogni tipo di beni di consumo,
dagli alimenti ai materiali di costruzione, che si calcolano negli ultimi tre
anni raddoppiati se non triplicati. È una tendenza regolare e tradizionale, non
c’è nemmeno bisogno della crisi, anche se quella aiuta, c’è sempre o quasi.
Le questioni di principio sono
conosciute solo dove si può scegliere; in molti paesi del mondo, dove la
sopravvivenza impegna la gente in maniera totale, la base della piramide non ha
tempo e spazio per chiedersi un perché o un percome, le cose semplicemente si
fanno perché si devono fare, il motivo non interessa più, ci se ne dimentica
presto, e senza averlo mai saputo.
Quando
la stessa idea di questione di principio è un concetto astratto, si lotta per
un palmo di terra, per mezz’ora di ricreazione, si perde di vista cioè il senso
di tutto questo, se ce ne ha mai avuto uno, se non la sopravvivenza.
RISTORANTINI
A Riomaggiore, la prima delle Cinque Terre che si
trova arrivando da La Spezia, io e Maria Dina andammo a mangiare in un ristorante
appena sopra il porticciolo che ci avevano indicato, piccolo affollato e dove
si mangiava bene assai.
Il cuoco nei momenti liberi girava per le due
piccole salette, non attaccava discorso ma se qualcuno voleva parlare con lui
lo faceva, non era un chiacchierone ma aveva la faccia intelligente e
soprattutto di persona autentica, uno che voleva capire la gente e se stava
facendo bene il suo lavoro, che doveva essere anche una passione. Non mi
ricordo esattamente cosa mangiammo, tutta roba di pesce naturalmente, ma tutto
quello che prendemmo era assai gustoso e semplice, a cominciare dal pane che in
un ristorante, prima di mangiare ogni pietanza che seguirà, ci fa subito capire
se siamo capitati bene o male.
Al lago Santo per spirito romantico andammo al
rifugio Marchetti dove avevo più volte alloggiato con i miei genitori molti
anni prima. Proposi a mia moglie di prendere la trota, che non aveva mai
assaggiato e faceva schifo, era quasi marcia, al suo posto scelse le
tagliatelle alla boscaiola, ma si sbagliò a ordinarle, disse pappardelle alla
boscaiola e le portarono pappardelle al cinghiale, che facevano schifo anche
quelle, ma forse un po’ di meno della trota. Il padrone voleva venire a
scusarsi, disse la cameriera, ma io dissi che non c'era bisogno, la prossima
volta saremo andati altrove.
Strano a dirsi però, io mangiai bene, forse perché
ero andato sul classico: ravioli alla salvia, roast beef e patatine fritte.
Dopo una cinquantina d'anni, dentro al rifugio
Marchetti non era cambiato niente, c'era ancora la foto in bianco e nero
incorniciata della trota gigante pescata in un'altra epoca, ancora precedente.
Addirittura c’erano gli stessi quadri e gli stessi tavoli e sedie, sembravano
addirittura con la stessa disposizione. Certo i Marchetti erano già vecchietti
a quei tempi andati, attualmente morti e sepolti da tempo, i figli non ne
avevano avuto voglia.
Quella era una gestione che pareva di gente non del
posto, venuta dalla valle, forse persino dalla città.
La passione per la ristorazione o alberghiera che
sia è una cosa rara oggigiorno, quando si trova è una fortuna, io la noto
subito, forse la gente è diventata indifferente anche a questa, come ad altre
cose e il mondo attorno certo non aiuta.
Dopo ho mischiato un po’ anche con
quelli di prima, e ogni tanto li rileggevo, oppure m’infilavo nei libri di loro
stessi, ma che non avevo ancora letto. Poi Andrea Vitali, Gianrico Carofiglio,
Donna Leon (che però non scriveva in italiano), Luis Fernando Verissimo e qui
entravano tutti i brasiliani. Dopo Stieg Larsson, che ha cominciato a fare
apprezzare al pubblico mondiale la letteratura scandinava. Bulgakov, Piero
Chiara, Malvaldi forse il più popolare tra gli autori toscani e naturalmente
Fruttero e Lucentini.
“Le cose migliori vengono nascoste
dalla quantità enorme di quelle insignificanti, ripetitive, velleitarie,
rivolte a chi non ama la letteratura, ma solo l’eventuale sensazionalismo.”
“Dici?”
“Se tu volessi qualcosa di bello, interessante
e gradevole, almeno per me è raro, quando ci riesco è una data da segnare sul
calendario.”
“Come sei esagerato!”
“Magari hai ragione, forse è solo un aspetto
personale. Resta il fatto che per me è difficile trovare qualcosa di buono in
libreria, ma se volessi tante cose stereotipate e ovvie non c’è problema. Cerco
una ripetizione della stessa roba all’infinito? Quanta ne voglio, il mondo è
diventato così, migliaia di copie di una cosa già inutile al primo documento
originale, nessuna di quelle che potrebbero dire qualcosa di proprio e che
valga la pena.”
“Sei un falso pessimista, vuoi che
ti convincano che non è esattamente come tu dichiari, ti lamenti perché ti
facciano cambiare idea. Lo so, dici sempre così, poi trovi della roba bella e
ti entusiasmi, ti dimentichi per un po’ di tempo di tutta l’affannosa e
precedente ricerca…”
“Hai ragione. Sì. Infatti, è vero,
qualcosa di bello ogni tanto c’è. Ma mi pare sempre più raro.”
“Sei te che sei cambiato.”
“Forse sì, ma non solo. Guardati
attorno.”
Di solito regalo i libri che
scrivo a chi legge abitualmente e lo faccio per amicizia, ma anche per sentire
la loro opinione. Ultimamente ho notato che invece l’opinione non me la danno
per niente volentieri, anzi mi evitano, non so se i libri non gli piacciono e
si vergognano a dirmelo, oppure gli garbano e non vogliono darmi questa
soddisfazione, ma credo che sia più facile la prima ipotesi.
Alcuni mi pare perfino che si
siano quasi offesi mentre gli porgevo uno dei miei libri, hanno rifiutato con
veemenza, ma non credo che fosse per causa di uno dei miei libri in
particolare, piuttosto a ogni tipo di libro, come se rappresentasse un peso che
non avrebbero voluto sopportare, una specie di minaccia che preferivano
evitare.
Ho donato alcuni miei volumetti al
Circolo del Libro della Coop, dove si prendono gratis in prestito, visto che
non si paga niente, è più facile che qualcuno, magari solo per sbaglio, alla
fine se li legga. La scelta per fortuna è relativamente assai più limitata che
in libreria, o peggio ancora su internet.
Alla Coop ci andiamo più o meno
una volta alla settimana, mentre mia moglie inizia a fare la spesa, io
intraprendo una ricerca di qualche minuto, perché poi la devo aiutare.
Ci lascio i libri che ho già letto
e prendo quelli che m’ispirano, quindi ho maniera di vedere se i miei qualcuno
se li prende e vedo che per la maggior parte del tempo rimangono lì ad
aspettare invano.
Un giorno che ero da solo e di
particolare buonumore mi sono messo a parlare con la gente che si avvicinava
per scegliersi qualcosa da leggere. Chiedevo che cosa gli garbava e se era il
caso gli consigliavo uno dei miei volumetti che c’erano lì, dicendo che cosa
poteva trovarci dentro e che li avevo orgogliosamente scritti io. Con alcuni di
loro mi sono messo anche a scambiarci idee letterarie e con una certa
soddisfazione.
Una signora piuttosto gentile e
alla mano ha detto che lei leggeva volentieri cose diverse, ma anche gialli, le
piaceva Camilleri quindi le ho consigliato il Manuale dell’infallibile segugio,
che poi era più un noir e lei se lo è portato via.
Un uomo forse un po’ più vecchio
di me, mi ha specificato che abitava a Piombino, veniva ogni tanto a Lucca e
ancora più raramente alla Coop. Poi abbiamo parlato dei gialli e dei nostri
gusti a riguardo, mi ha consigliato Anne Holt, che io non conoscevo ancora, io
gli ho parlato del mio Manuale e lui se lo è portato a casa. Però, prima di
andare via, mi ha detto che se lo avessi ritrovato lì, il mio libro, sarebbe
stato perché non gli era piaciuto. Sono stato contento di non rivedere più
quella copia, né quella della signora.
Un terzo signore, che faceva parte
della direzione del Circolo, mi ha chiesto quasi subito della loro iniziativa,
se mi era garbata o no. Dopo avergliene cantato le lodi più sincere, è stato da
me consigliato a leggere L’emigrante alternativo, il mio primo libro, stampato
a mie spese in Brasile, di cui ho raccontato un po’ la bizzarra storia e lui mi
parlato un po’ di sé e dei suoi gusti letterari. Sarà anche per caso ma pure
questa copia non è più riapparsa sugli scaffali pieni.
Qualcuno penserà che sono
bischerate, ma io credo che siano piccole soddisfazioni, alle quali
bisognerebbe fare più attenzione che ai torti subiti, alle normali ingiustizie
dell’esistenza.
MAMMA
“Da
quanti anni si è manifestata la sua malattia?”
“Le
prime avvisaglie di senilità non so più quando le abbiamo notate. Quando è
venuta in Brasile la seconda volta, nel 2010, parte di una manovra per
permettere i lavori di casa qui al Quercione, (che con lei presente sarebbero
stati più ostici assai,) cominciava già a essere poco ragionevole. Non voleva
una badante, non voleva che Sandro venisse ad abitare con lei, non voleva
nessun cambiamento, ma si lamentava sempre di essere sola. La soluzione, quella
di fare due appartamenti separati, per fare in maniera che mio fratello potesse
stabilirsi qui con la sua famiglia l’abbiamo dovuta prendere contro la sua
volontà.
Un
brutto ricordo che però è stato indicativo del suo cervello in stato
degenerativo è l’ultima volta che ho passato un po’ di tempo da solo con lei,
nel 2016.
Durante
i pasti si litigava sempre perché lei non accettava che io mangiassi quello che
volevo, quello che si preparava lei era troppo pesante per me, non ce la facevo
a digerire, io glielo spiegavo ma poi lei se lo dimenticava e ricominciava. Si
arrabbiava che io non volessi quelle stesse cose che lei mangiava. A tavola
eravamo solo io e lei, dopo decine di fasi alterne, lei non si ricordava certo
perché, ma nessuno parlava, per nessun motivo. Era estate e cercavo di sfuggire
alle sue pazzie, come potevo scappavo e lei rimaneva da sola davanti alla TV a
tutto volume, guardava quei talk-show maleodoranti del pomeriggio, si
arrabbiava anche con loro e urlava agli ospiti di non parlare tutti insieme.
Ricordo
che trovai una Settimana Enigmistica tutta pasticciata, sembrava capitata in
mano a un bambino piccolo. Una volta lei la completava quasi, facendo anche i
rebus e vari tipi di giochi, e naturalmente le parole crociate più difficili,
come quelle di Bartezzaghi. Ora invece si vedeva che non era riuscita nemmeno
lontanamente a riempire quelle della copertina, che erano le più facili. La
calligrafia anche era spezzata, incerta. Che tristezza, il declino di un
cervello di una persona amata, senza speranze di poterlo fermare.
Poi è
andata sempre peggio, l’alzheimer l’ha consumata e annichilita, e ora dopo anni
di declino suo e di sforzo enorme di tutta la famiglia, ma principalmente
nostro che abbiamo lasciato casa e tutto a Porto Alegre per stabilirci qui, poi
la pandemia di mezzo, mamma è agli sgoccioli. Credo che abbiamo fatto tutto il
possibile, probabilmente più di quello che la maggior parte dei figli avrebbero
fatto nelle nostre condizioni, grazie soprattutto a mia moglie infermiera
brasiliana, che dopo aver perso recentemente in poco tempo i suoi genitori l’ha
presa come se fosse sua madre. Per fortuna Maria Dina ha stabilito con lei un
contatto forte, finché era in testa si divertivano assai insieme, ridevano
parecchio, ora è l’unica che riesce a parlare, anche in maniera minima con lei,
riesce addirittura a farla sorridere.
Sulla
diagnosi di alzheimer i vari dottori sono stati d’accordo, ma alcuni dicevano
che era una forma frontotemporale e altri lo negavano, comunque pare fosse per
cause miste, come spesso accade.”
Edo e Dorina, genitori di Rinaldo,
erano al loro modo due fenomeni di simpatia, ma in maniera assai diversa. Lui
era sarto e di quelli bravi, c'aveva un banjo e ci suonava le opere liriche e
le intonava anche con il pianoforte. Giocava bene a pallone e ci aveva un
sinistro con il giro che eludeva i portieri e si infilava nel sette. Ma quelle
che più contavano erano la sua apertura mentale e la sua intelligenza, la sua
simpatia, la sua flessibilità certo non comuni. Dorina era quasi l’opposto: più
prepotente e rozza, era capace di frasi sorprendenti di saggezza campagnola, di
modi di dire un po' atavici, ma improvvisi e inaspettati, spesso anche volgari.
Una volta passando in tuta e scarpe da ginnastica accanto alla Certosa, per una
camminata, era lì con delle amiche, lei mi vide da lontano, e gridò: “Sei
venuto a piglià la rihotta?” Lì davanti c’erano i pastori, che mettono ancora
le pecore in Certosa e vendono ricotta e formaggio. Un'altra volta, dopo che
era stata male, la incontrai sulla strada vicino a casa mia e le dissi che mi
sembrava in forma, lei rispose: “Sì, hai ragione. Vado bene di corpo e tutto.”
Edo in vecchiaia avanzata diventò amico di mio
padre, cimento non facile per nessuno e ho saputo recentemente da Rinaldo che
negli ultimi tempi lì a casa sua stavano a ore a parlare.
C'è da capirlo, a Edo non piaceva
mettere i soldi in banca, non mi garba neanche a me, ma lui li metteva in un
panciotto e quando ne aveva bisogno erano lì attaccati a una gruccetta,
nell'armadio. Quando è morto, e aveva quasi cent'anni, nella confusione che ne
venne fuori, dispiacere e rivoluzione nell'ordine della vita degli altri,
Rinaldo se ne era scordato. Quel panciotto lo mise, insieme alle altre cose,
nello scatolone per poi andare a finire in quegli appositi cassonetti gialli, a
quel tempo dove si mettevano i vestiti usati per i bisognosi. Non sapeva quanti
soldi c'erano, potevano essere tanti o pochi, non si sa. Non molto tempo prima
Dorina disse che le avevano regalato dei funghi, li cucinò per tutti. Rinaldo
ne mangiò pochi, lei per niente. Anziano e debole Edo ne mangiò assai, si sentì
male, lo portarono all'ospedale, dove ebbe due infarti, ma non morì. Rinaldo si
era sentito solo un po' strano, male ma non malissimo, ne aveva mangiati pochi,
lui disse uno solo. Venne fuori che erano funghi tossici, che Dorina aveva
colto in giardino. Non erano di quelli mortali, ma non facevano certo bene.
Però se lo avesse detto, dove li aveva presi e non avesse inventato quella
strana bugia, forse nessuno li avrebbe mangiati.
ALTRE COPPIE
La
mia vita amorosa direi che è stata intensa, ma con lunghi periodi da solo a
grattarmi l’anima. Diciamo che non ho mai avuto troppa soggezione della
solitudine, anche se una volta sentivo un forte bisogno di compagnia femminile,
non escluderei che fosse per il continuo veder coppie attorno a me.
Mio padre e mia madre, per
esempio, erano due che avevano poco in comune, se non un reciproco rispetto, ma
neanche tanto. Anche l'amore per noi figli si manifestava in maniera assai
differente se non opposta. Indubbiamente si giovavano a vicenda della reciproca
compagnia, ma non erano d'accordo su niente o quasi. Discutevano spesso e la
sera dopo cena litigavano per vedere una cosa o l'altra alla televisione, ma
compiuto questo rito quotidiano lei dormiva sul sofà e lui faceva le parole
crociate.
Quando mio padre andava a
Viareggio per fare uno o quell'altro lavoretto nell'appartamento della
spiaggia, lei spesso rimaneva a casa, ma lui le telefonava cento volte per un
parere o una conferma del suo già manifestato disaccordo.
Quando ci andavano insieme, la
sera andare a prendere il gelato con il cane al guinzaglio era un classico
quasi quotidiano, anche quando andavano all'appartamento di Bibbona.
Là mamma cucinava come a casa e
ricordo a mezzogiorno tutti sudati a pranzo sul terrazzetto e lei più sudata di
tutti, ma si mangiava roba calda per lo più, anche ad agosto, che poi era
quello il periodo in cui tutti andavamo al mare.
ALTERNATIVE
Forse il gatto
non è il migliore amico dell'uomo, nemmeno il cane, ma dall'uomo viene stimato
proprio per la sua indipendenza.
I gatti per esempio ho cominciato
ad apprezzarli già verso i 60 anni, magari perché non li avevo mai avuti
intorno, insomma la vecchiaia ha i suoi lati positivi. Il tempo passa molto più
veloce, ma si hanno più soldi e calma per fare tutto senza dover correre.
Nella vita si ha bisogno di
alternative e spesso si fa di tutto per non farci caso. Bisogna fermarsi per
riflettere e ripartire, non aver paura di ammettere di aver sbagliato e
ritornare anche indietro se e quando diventa necessario. Comunque a 30 anni ti
rendi poco conto, hai più forze, meno soldi, meno entusiasmo, più alternative
potenziali, ma non te ne accorgi ancora come vorresti.
Forse perché si lavora e il lavoro
abbrutisce un po', cioè non ti permette di riflettere e di capire fino a che
punto sei stanco, e fino a che punto non ti piace quella realtà che ti
impedisce di vedere fuori.
La stanchezza viene dal lavoro, che se tu
lavorassi senza stancarti sarebbe facile, insomma la saggezza viene quando mancano le forze e si capisce di doverle
dosare, se ne abbiamo la possibilità.
Insomma se hai più forze allora
devi lavorare e forse senti anche l'obbligo di farlo, la saggezza viene dopo
quando invece lavori di meno, rifletti di più, insomma è difficile avere tutto
insieme. Questo si vede anche nei giocatori di calcio, ma io di fare
l'allenatore poi non credo che ne avrò voglia mai. Sono sempre stato uno che
non aveva voglia di insistere, ma non so se è un bene o un male.
MORRO DOS VENTOS UIVANTES (CIME TEMPESTOSE)
Saranno a malapena due o trecento
metri di altezza, sul livello del mare, ma quassù il vento che viene da sud, il
Minuano, ci fa spesso sentire la sua voce e d'inverno fischia anche minaccioso.
Quello che mi
hai detto, con quel tuo silenzio neanche un po' ammiccante, ma pieno di parole
che andavano a rivolgersi altrove e altrimenti, è che anche in un domani posso
contare con la tua assenza.
La tua assenza
sempre presente qui con me, in una casa dove hai vissuto quasi venti anni, mi
basta e mi avanza, la presenza continua diventa un'abitudine, quest'abitudine è
un’ignoranza involontaria e sistematica.
Siamo rimasti in cinque, Agata è
morta a marzo, rimpiazzata da Tamara, detta anche Cocca, dieci giorni più
tardi. Il terreno è molto scosceso, a suo tempo l’ho tagliato a terrazze, come
in Liguria, qui non c'è il mare, ma una bella vista sulla Lagoa dos Patos
(Laguna delle Anatre) che sono poi cinque fiumi che uniti, tanto tenpo fa, non
trovavano la via per il mare e hanno formato questo allargamento, che in alcuni
punti è così ampio che non si vede l'altro lato.
L'anno prossimo saranno trenta che
sono arrivato qua, cioè quasi metà della mia vita. A volte mi chiedo se mi
pento di esserci venuto e mi rispondo che ho fatto un salto di qualità oltre
che di oceano.
Naturalmente penso a cosa sarebbe successo se
fossi rimasto dall'altra parte e, anche se non lo so, considero che ero
incamminato male, capivo assai poco di ciò che avevo attorno e difficilmente mi
sarei tirato fuori dal mio stato di abulia.
Qua mi sono messo molto di più in
gioco e ho rischiato sulla mia pelle, senza l'appoggio dei genitori, che in
Italia anche se rassicurante diventa poi una malattia.
Il Brasile è ancora un posto più
affidabile a livello di rapporti umani, la gente è simpatica e affabile, ti
aiuta anche prima che tu glielo chieda.
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