domenica 21 giugno 2020

GIORDANO DALLA LUCHE, COMMERCIALISTA


                                                       (Foto Francesco Bambini)




Il cervello umano è l’oggetto più complicato dell’universo, ha detto qualcuno. Non si sa ancora se è una cosa positiva o negativa, magari tutt’e due, in misura fluttuante, spesso non distribuita troppo bene da individuo a individuo. Oggi in più sappiamo che sotto ci sono vari livelli di cosiddetti esseri umani, sopra tanti cervelli diversi, ne siano causa o conseguenza, comunque tutti più o meno complessi, anche i più semplici tra di loro.
È scientificamente difficile capirci qualcosa.
Meno di tutti ci capiscono gli esseri umani, magari perché agli altri esseri viventi non gliene frega niente e c’hanno pure ragione. Sia il funzionamento che le capacità sono misteriose, con quel sacco di neuroni formicolanti, che non se ne stanno mai un po’ fermi e tranquilli. In conclusione ognuno è pazzo alla sua maniera e tutti cerchiamo di rifarci a un modello di normalità, senza il quale non saremmo accettati dalla società, il che non sarebbe necessariamente un male, ma comunemente si crede che ai più non piacerebbe.

Per sopportare i problemi della società che si scontra con il mio cervello, (per di più collegato a un cuore e ad altri organi limitrofi, ognuno con un progetto diverso, anche secondo Montaigne,) io mi soffermo più volentieri sugli altri, pure sui loro problemi e metto da parte i miei, un po’ come tutti. Magari preferisco studiare quelli che mi sembrano i più simpatici, come Giordano Dalle Luche, per esempio. Un ragioniere diplomato e tutto, un tipo da spiaggia come pochi. A prima vista un fronzuto cespuglio di capelli sopra un paio di occhiali, relativo naso non a palla, ma comunque rotondeggiante. Subito sotto, o meglio dentro, c’è molto di più, vediamo cosa e come. Non so se lo abbia mai conosciuto personalmente, ma una volta Marcello Marchesi ebbe a dire una cosa interessante, che ha molto a che fare, anche se indirettamente, con Giordano: “Due rette parallele si incontrano all’infinito, quando ormai non gliene frega più niente.” Sì, perché Giordano, ha sempre vissuto in una o più realtà parallele, anche piacevolmente, direi. Non che ora sia tornato tra noi, no, non ci pensa neppure. O almeno non sembra. Capita che dica una cosa strana e tutti ridono, ma chi lo conosce meglio si accorge che invece lui stava parlando seriamente. In un’altra occasione formula un’ipotesi che nessuno capisce, ma pareva una di quelle frasi fondamentali che uno dovrebbe annotarsi, che gli può essere assai utile in futuro. Io che lo frequento dalla nascita, intendo subito che lui invece voleva dire una facezia, insomma intendeva fare una battuta di spirito.
È probabilmente una creatura benedetta o maledetta da Dio, se mai esistesse, o piovuta da un altro pianeta abitato, se mai ce ne fossero. Insomma non lo so, è diverso da tutti, come tutti sono diversi tra di loro, ma lui di più. Per questo che a livello antropologico è interessante, e quando parla bisognerebbe fare una particolare attenzione. Solo che dopo mezz’ora nessuno ce la fa più a seguirlo, basta anche meno tempo. Se però registri tutti i suoi monologhi e li metti insieme, con un ideale filo temporale, collegati da qualche particolare a volte importante, altre volte insignificante, poi è più facile comprendere le sue intenzioni, la praticità della teoria da lui esposta, che di solito poi sono un coacervo di teorie, comunque sia interessanti e assolutamente non campate per aria, forse lo sembrerebbero a un ascoltatore distratto.
Peccato che i più se ne fregano di Giordano e di tutto quello che lui vorrebbe trasmettere al mondo, eppure secondo me varrebbe la pena di pazientare un pochino:

“Bisogna leggere anche i libri brutti, per almeno due ragioni, se non tre, secondo Primo Terzi, illustre critico letterario di origini mantovane, anche se da alcuni considerato un petulante pistoiese. La prima sarebbe per poi apprezzare maggiormente i libri belli, la seconda potrebbe essere perché in giro si sa, tutti i gusti son gusti e l’opzionale terza è perché ci può essere utile, se noi ambissimo a una certa umana saggezza, immaginare - anche per poco tempo - lo squallore di una vita di una determinata categoria sottosviluppata, di una mente distorta, di un’incapacità sistematica non solo letteraria e non solo di chi l’ha scritto, ma anche di coloro che di riflesso lo apprezzano, magari perché è alla moda, probabilmente fingono, non lo leggono nemmeno e in questo sono oculati. Opportunamente filtrata attraverso il nostro stato d’animo del momento, le nostre rispettive origini e relative prospettive future, sempre secondo Primo Terzi, ognuna di queste pur controverse opere è una casella da non saltare, per arrivare alla verità finale, oppure a un suo surrogato à la page. Cita a proposito, qualcuno dice a sproposito, La Bestia Bleu del bergamasco Fiorentino Catanesi, di insospettabilmente prossime origini lucane, autore minore, ma tutt’altro che trascurabile, almeno in quest’ambito purtroppo olimpicamente ambito, un esempio di questo viaggio immaginario che noi stessi potremmo fare, a nostro rischio e pericolo, in quella malsana maionese metaforica, emulsione dolente di una generazione, di un popolo e di un mondo sul quale preferiremmo tacere, ma non possiamo più.”

Una volta per questi suoi discorsi fiume preferiva esibirsi davanti al bar, ormai nessuno più si siede lì per ore a guardare passare il mondo. L’internet e i palmari ci hanno invaso le teste, le tasche e le case, allora lo andiamo a trovare dove vive, o lo incontriamo per strada, lui ci riconosce a stento, ma è capace di partire subito dopo incollando le sue frasi a quelle dette la volta precedente, magari un mese prima o due:

“Anche i film brutti, bruttissimi e orripilanti hanno la loro ragione di essere visti, soprattutto a livello sociologico, magari non c’è bisogno di sorbirseli tutti. I primi cinque minuti, almeno per alcuni possono bastare, per altri perfino avanzare. Il famoso critico cinematografico oriundo argentino Romildo Perpoli Diaz, di comprovata maternità pugliese, dice che lui ha più imparato da questi che dagli altri, non specificando però quali, e si vede anche a occhio nudo, oppure con degli occhiali tridimensionali, che qualche tempo fa si acquistavano anche da annunci sul giornalino Il Monello.
Su questo e altri derivanti argomenti, il filosofo contemporaneo Latino Urbaniak, di probabile padre polacco, ci dice: la psicologia degli esseri umani, anche solo quella spicciola, non piace a nessuno, specialmente agli esseri umani e se ci pensiamo un poco, noi ne scorgiamo subito un perché evidente: anche sapendo a menadito quello che non si dovrebbe assolutamente fare, cioè con matematica certezza, nella nostra pur provvisoria vita terrena, spesso non riusciamo affatto ad accantonarlo, no, lo usiamo piuttosto come struttura portante della nostra routine giornaliera, come normale ossessione nei nostri sogni, o eventuali incubi.
La spontaneità può anche essere una buona cosa, non diciamo assolutamente di no, eppure alcuni animali di riconosciuto successo ne fanno a meno, e qui meglio non fare nomi, né cognomi. Pur riconoscendone l’indubbio valore va diretta e frenata, lasciata libera quando è il momento, stimolata o regolata, dipendendo dai casi, la spontaneità. Pensiamo di esserci capiti, la riflessione non è riflessiva, ma reciproca.”

Non dice affatto delle cretinate, a ben guardare, basta capire lui e collegarlo al mondo circostante, due cose difficili a prescindere, anche prese singolarmente. Eppure è uno studioso assai competente, diciamo un antropologo, la sua materia è l’uomo, ma anche tutto quello che l’uomo fa, sia inteso come umanità che come maschio della donna. A proposito: Giordano non ha mai avuto una fidanzata, per quel che se ne sa, ma i tempi stanno cambiando, secondo alcuni ora ce la potrebbe anche fare, il mondo è più confuso, in qualche maniera anche un po’ diagonale, insomma sembra più aperto, almeno rispetto a prima.

“L’uomo è un essere molto più automatico di quello che si crede, nella maggior parte dei casi, come un pulcino di allevamento, se accendi la luce mangia, se spengi la luce dorme. Per evitare di essere ingrassati come galline, per poi farci tirarci il collo dalla cosiddetta democrazia, dobbiamo sapere prima di tutto da dove veniamo e poi dove andiamo, dopo dobbiamo costantemente tenerne conto, se non lo sappiamo è lecito e auspicabile indagare, chiedere in giro, documentarsi insomma. Tutti si riempiono la bocca di democrazia, ma chi lo fa così spesso è per toglierla e non per darla. Una bella parola che piace a tutti, ma finora non si è ancora vista in giro, se non per spacciarla per tale, per ingannare qualche fessacchiotto in più. La nostra provenienza spiegherà anche la nostra direzione o viceversa, in alcuni casi, se ci fosse bisogno.
Gli psicologi e gli psichiatri all’unisono hanno più volte dichiarato che le cose che vengono in mente alla gente la notte, prima di addormentarsi, sono molto spesso delle bischerate. Forse le stesse ipotetiche persone non dovrebbero dare eccessiva importanza a questi e ad altri dolenti, volenti o nolenti interrogativi, magari solo occasionalmente o apparentemente simili ai precedenti, che gli si infilano nel cervello la mattina, appena consumata una frugale colazione a base di cereali.
Dice il noto psicologo trentino Pino Silvestri, spesso anche ospite alla TV, qualche volta perfino in orario nobile: una buona boccata d’aria pura, eventualmente montana, ci serve a pennello prima di addentrarci nel misterioso sonno, nella nostra romantica notte, come disse Alberto Lupo, l’attore degli anni 60, (non il protagonista del fumetto, che poi quello è piuttosto un Lupo Alberto).
A volte, prima di dormire, anche una serie di bestemmie, sussurrate a denti stretti nel buio, ci può aiutare a sfogarci delle vicissitudini della giornata appena trascorsa. Dopo sì che ci pare di vedere il mondo dall’esterno, condizione necessaria per poterlo comprendere a fondo, anche se dura pochi illusori istanti, ma assai chiarificatori e alla luce di quello spiraglio in fondo a quel tunnel, che personalmente ho più volte esplorato, qui ho buone ragioni per credere che i cosiddetti esseri umani si abbandonino troppo a sé stessi e non piuttosto agli altri. Su questo fanno anche bene, devo dire, meglio non fidarsi, ma non c’è bisogno di passare i confini della paranoia senza passaporto bollato, vidimato e timbrato dalla autorità preposte. Mi sembra altresì che non facciano la minima resistenza a certi goliardici marchingegni mentali, pur intuendo che ridendo e scherzando li porteranno a soffrire e anche parecchio. Insomma che abbiano la tendenza a ossessionarsi, senza saperlo gli piace scovare una situazione qualsiasi in cui sprofondarsi e ripetere gli stessi ragionamenti, gli stessi pensieri, sbattere e risbattere la testa contro il muro, all'infinito. Più che lecito rammentare qui che la vita del singolo individuo non è affatto eterna, anzi.

Giordano va regolarmente dallo psicanalista, lo sanno un po’ tutti, ma c’è una cosa che non tutti sanno e che invece mi è arrivata all’orecchio recentemente, da fonte attendibile, dato che mia moglie è amica della compagna del terapeuta in questione, ovviamente senza fare nomi, né cognomi. Pare che più che una psicanalisi sia una discussione sulle teorie e le relative pratiche, dove Giordano suggerirebbe al professionista come comportarsi, in generale ma anche in particolare, con questo cliente particolarmente difficile che è lui stesso, per esempio, e lo psicanalista non accetta certo passivamente, no, giustamente discute e si ribella, lui, senza perdere mai la calma, tenta di dargli dei timidi consigli sui consigli spesso anche rifiutati, ma è un rapporto aperto, sincero, eppure estremamente tecnico. Giordano naturalmente non si arrabbia mai, ammira e disdegna allo stesso tempo queste manifestazioni piene di temperamento che capitano solo agli altri. Talvolta sono gli interlocutori eventuali che tenderebbero, almeno idealmente, a volerlo strozzare con le loro mani.

Rinfrancarsi regolarmente, se non quasi ritmicamente, con una sequenza conosciuta di azioni e reazioni è solo apparentemente rassicurante, ma esagerare spesso si rivela inevitabile e può condurre al dolore sistematico, insistito e senza visibile scampo, dico io. Se è una cosa buona diventa cattiva, se è già brutta va verso il peggio e se me lo chiedessero direi, senza neppure pensarci troppo, che è un meccanismo piuttosto prepotente che t’imprigiona senza essere per niente leale a qualsivoglia regola etica, che se ne va e poi ritorna, a spirale si allontana e poi si riavvicina.
Pino Silvestri si confida poi con noi: tante volte mi ci sono trovato in mezzo, e se la durezza della vita in quei momenti mi pareva evidente e particolarmente dolorosa, dall’altra parte mi induceva a gioire di ogni pur piccolo istante di libertà da quel morbo satanico.
Tutt’oggi non posso dire di esserne totalmente fuori, ma dalla fredda e marmorea soglia potrei arrischiarmi a dichiarare di conoscerlo, quel virus a dir poco dispettoso, anche se, quando mi si presenterà di nuovo, e di sicuro lo rifarà presto o tardi, magari un venerdì pomeriggio, si camufferà come sa fare bene assai, e io non saprò riconoscerlo d’acchito, non in tempo almeno per potermi godere poi il sospirato weekend. In quelle sabbie mobili burlone dovrò sprofondarmici almeno un poco, soffrire per riuscire a sottrarmici, per capire di aver veramente capito e nonostante questo piegarmi come un fuscello al vento del loro capriccio.” (forse delle sabbie mobili, per noi non facilmente immaginabili se e quando capricciose o ventose).

Mia sorella Veronica si era quasi innamorata di Giordano, anni fa, io non le ho detto niente, poi aveva capito da sola di non averlo compreso bene, era un tipo sufficientemente esotico per lei, ma forse troppo esoterico, surreale ma concreto, onesto e ragionevole, solo apparentemente fuori di testa, dipendendo dai punti di vista, occasionalmente anche assai. Figurarsi che oggi ci vede ancora tutto il romanticismo che si era sognata a quei tempi, immaginando Giordano come un essere umano meno astratto di quello che è, lo ascolta con entusiasmo quando lo trova in giro e allora lui non si risparmia, oltre alle parentesi tonde ci mette anche quelle quadre, eventualmente - ma più raramente - le graffe:

“A questo proposito, ci riagganciamo al parere indicativo di Primo Terzi: nei libri giunti alla mia portata, ma che poi non leggo, trovo spesso trame claustrofobiche, in cui scrittori e lettori si dannano l'anima invano, in maniera per niente piacevole, ardirei dire sia agli uni che agli altri. Questo mi pare diabolico, pur personalmente non credendo al cornutaccio come creatura a sé stante, se non figura di una piuttosto discutibile metodologia umana, di stampo non esclusivamente religioso, perché si deve soffrire tanto, per il solo piacere di essere spontanei?
L'insistenza è quella rete virtuale, ma fin troppo inutilmente tosta, in cui troppi s'impigliano, la ripetizione all'infinito di quadratini, insomma di caselle con dentro immagini e suoni di cose già viste e sentite, come se attorno non ci fosse scelta possibile e invece ce n’è tanta, forse troppa e magari è proprio questo che ci spaventa?
Eh?
Ebbene sì, lo ammetto: tra i libri che non ho letto mi è particolarmente piaciuto l’Ulisse di Joyce.
Diranno tutti, invece no.
È vero che non l’ho mai letto, ma dire che non leggerlo mi sia piaciuto assai sarebbe troppo banale, chiunque ne sarebbe capace, come pure dello stesso autore Gente di Dublino.

Inutile dire che Giordano è professionalmente competente, tiene la contabilità a numerose ditte con i cui rappresentanti ha rapporti continuati. Mio cugino Alfeo, detto il Petrolchimico, che ha una piccola azienda che si serve da lui, ne dice solo bene. Secondo Alfeo basta evitare ogni conversazione informale, mantenersi sullo stretto tecnico e necessario. Sulla sua onestà non si discute, imbrogliare o rubare non fanno parte del suo DNA, e dicono nemmeno dell’RNA di Giordano Dalle Luche.

No, non è che io ambisca a fare l’originale a tutti i costi, anzi, vorrei riconoscermi nitidamente nello specchio di Buber, confesso che mi garberebbe.
[L'essere umano, secondo Buber, è per essenza dialogo, e non si realizza senza comunicare con l'umanità, la creazione e il Creatore.
Il dialogo riposa sulla reciprocità e sulla responsabilità, che esiste unicamente là dove vi è una vera risposta alla voce umana. Dialogare con l'altro significa affrontare la sua cazzo di realtà e farsene carico nella vita vissuta. L’altro è il nostro beneamato specchio, riflette ciò che noi vediamo in lui e viceversa.
Martin Mordechai Buber, non per caso nato nel 1878 a Vienna, grazie all’ambiente favorevole della casa galiziana, entra in contatto con una grande varietà di lingue. (La Galizia, qui da non confondersi con la più nota regione spagnola, è una regione storica divisa tra la Polonia e l'Ucraina. Dal 1772 al 1918, il Regno di Galizia e Lodomiria, che spalmato su tale regione, fu la più grande, la più popolata e la più settentrionale delle province dell'Impero Austro-Ungarico, con la romantica Leopoli come capitale. Fu creata dai territori presi alla Confederazione Polacco-Lituana durante le Spartizioni della Polonia ed esistette fino alla dissoluzione dell'Austria-Ungheria, cioè alla fine della prima guerra mondiale.) A casa il tedesco, a scuola il polacco, nel quartiere ebraico l’yiddish e in sinagoga l’ebraico. Da ragazzo la lingua preferita è il greco e la sua formazione filosofica si concentra soprattutto sulla lettura dei testi platonici. Buber al termine della sua vita parlerà tedesco, ebraico, yiddish, polacco, francese e italiano, anche se pochi lo capiranno, leggerà correntemente lo spagnolo, il latino e il greco, ma ancora meno se ne interesseranno. Tutte queste lingue per il filosofo non sono altro che tante facce di uno stesso prisma: i cui molti riflessi rimandano la sola luce del dannato dialogo umano, nella singola lingua allo stesso tempo frammentato e preservato.]

L’Italia ha avuto generazioni di grandi oratori, sia per l’indiscussa bellezza della lingua, che per la cultura a 360 gradi, magari anche per il narcisismo di ascoltare sé stessi ammirati parlare a braccia per ore, remando spesso con larghi gesti, a tratti volando idealmente sopra l’ampia platea. Giordano è una dimostrazione anche di questo, il mondo attorno si è modernizzato pure troppo, lui rappresenta in qualche maniera la nuova onda, quella dell’incomunicabilità di cui narrava anche il regista Antonioni, quella più legata al passato e alla tradizione, per fortuna. Ultimamente ha avuto anche la sua prima donna ufficiale, lei è caruccia e parla poco o niente, lo ascolta a oltranza, ma da quando sta con lei, lui si esibisce meno in pubblico, sembra più geloso delle sue stesse parole, di cui certo una volta era assai più generoso. In maniera velata, per una qualche influenza del rapporto appena iniziato con Rosetta, pare anche più intransigente se quasi incazzereccio.

Ciò nonostante qui tra noi è inutile citare qui quello che è stato scritto in lingue che non conosco, però tra i peggiori libri che non ho letto c’è senza dubbio Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, che ho altresì apprezzato in Marcovaldo e in altri dei suoi primi, escluso Il sentiero dei nidi di ragno. Disdegno i secondi in blocco e i terzi ai quali Se una notte… appartiene, e aggiungerò, senza timore, che se lo avesse scritto un altro autore qualsiasi, un po’ meno conclamato, lo avrebbero - con ogni probabilità - accolto con allegre ma severe pernacchie.
Italo Calvino nasce il 15 ottobre 1923 a Santiago de las Vegas, a Cuba, da genitori italiani. Il padre,  Mario, è un agronomo originario di Sanremo, poi trasferitosi in Messico e infine a Cuba, mentre la madre, Eva Mameli, originaria di Sassari, dopo aver lavorato come assistente presso la cattedra di botanica nell'Università di Pavia, ha ottenuto la libera docenza nel 1915. Dopo la prima guerra mondiale, Eva e Mario, già conosciutisi anni addietro, approfondiscono il loro rapporto finché la donna accetta di sposare l'agronomo e seguirlo a Cuba, dove questi dirige una Stazione Agronomica sperimentale per la produzione di canna da zucchero. La sua vita intera e il suo modo di scrivere ne saranno inesorabilmente influenzati.
Di Cuba però Calvino non ha nessun ricordo come egli stesso afferma: "Della mia nascita d'oltremare conservo solo un complicato dato anagrafico, un certo bagaglio di memorie familiari, e il nome di battesimo che mia madre, prevedendo di farmi crescere in terra straniera, volle darmi perché non scordassi la patria degli avi, e che invece in patria suonava bellicosamente nazionalista."
Nel 1925 i coniugi Calvino decidono di ritornare in Italia. Secondo lo stesso autore, tuttavia, il rientro in patria era già stato programmato in precedenza ma rinviato per l'attesa della sua nascita. La famiglia si trasferisce a Sanremo dove il padre fu responsabile della Stazione sperimentale di floricoltura "Orazio Raimondo"; in tale periodo fu utilizzato anche il parco della villa di famiglia "La meridiana" per svolgere studi sperimentali su colture floreali.
"Sono cresciuto in una cittadina che era piuttosto diversa dal resto dell'Italia, ai tempi in cui ero bambino: San Remo, a quel tempo ancora popolata di vecchi inglesi, granduchi russi, gente eccentrica e cosmopolita. E la mia famiglia era piuttosto insolita sia per San Remo sia per l'Italia d'allora: scienziati, adoratori della natura, liberi pensatori".
Detto questo: a che gioco di pessimo gusto ha voluto giocare Calvino? Ha prima illuso il lettore svelandogli i meccanismi della magia; lo ha, poi, frustrato lasciandolo sul più bello delle storie; gli ha negato la “verità” del titolo e dell’autore. Questo libro è stato tutto un presuntuoso scherzo? Forse ha voluto dimostrare che un autore internazionalmente ammirato può permettersi qualsiasi cosa?
I posteri gli hanno dato ragione, inutile negarlo, è opinione comune che proprio quel libro sia il libro dei libri, la consacrazione di un genio.
Anche secondo alcuni filosofi, tra cui il sopracitato Latino Urbaniak, l’opinione altrui è da rispettarsi religiosamente, a patto che non risulti eccessivamente idiota.”

Non so se è una malattia comune al mondo, magari sì, però qui in Italia, in particolare nella nostra bella Toscana, mi sembra che si esageri con la scarsa attitudine ad ascoltare, Giordano è un esempio pratico di chi parla e parla, senza curarsi nemmeno lontanamente se effettivamente qualcuno lo stia ascoltando, e poi, quando si tratta di prestare attenzione lui alla parola altrui, è allora che si perde negli spazi siderali e il suo sguardo considera le sfumature di un orizzonte, permea le nebbioline, viaggia oltre le montagne, attraversa gli oceani.
C’è da dire però che, in un recente e magnifico pomeriggio primaverile, alcuni attendibili testimoni, non solo oculari, abbiano dichiarato di averli visti e sentiti, seduti all’aperto, al caffè più elegante della città, di fronte alle rispettive tazze di thè fumante. Era lei che parlava e lui non solo ascoltava, ma la guardava anche negli occhi. Inutile dire in quale maniera. L’amore è una cosa meravigliosa, un miracolo della natura, forse anche una rivoluzione nell’ordine delle cose, come ebbe a dire a suo tempo anche Cooper.
Secondo Arthur Bloch una grave malattia mentale.


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