Il cervello umano è l’oggetto più
complicato dell’universo, ha detto qualcuno. Non si sa ancora se è una cosa positiva
o negativa, magari tutt’e due, in misura fluttuante, spesso non distribuita troppo
bene da individuo a individuo. Oggi in più sappiamo che sotto
ci sono vari livelli di cosiddetti esseri umani, sopra tanti cervelli diversi,
ne siano causa o conseguenza, comunque tutti più o meno complessi, anche i più
semplici tra di loro.
È
scientificamente difficile capirci qualcosa.
Meno
di tutti ci capiscono gli esseri umani, magari perché agli altri esseri viventi
non gliene frega niente e c’hanno pure ragione. Sia il funzionamento che le capacità sono misteriose, con
quel sacco di neuroni formicolanti, che non se ne stanno mai un po’ fermi e
tranquilli. In conclusione ognuno è pazzo alla sua maniera e tutti cerchiamo di
rifarci a un modello di normalità, senza il quale non saremmo accettati dalla
società, il che non sarebbe necessariamente un male, ma comunemente si crede
che ai più non piacerebbe.
Per sopportare i problemi della
società che si scontra con il mio cervello, (per di più collegato a un cuore e
ad altri organi limitrofi, ognuno con un progetto diverso, anche secondo
Montaigne,) io mi soffermo più volentieri sugli altri, pure sui loro problemi e
metto da parte i miei, un po’ come tutti. Magari preferisco studiare quelli che
mi sembrano i più simpatici, come Giordano Dalle Luche, per esempio. Un ragioniere
diplomato e tutto, un tipo da spiaggia come pochi. A prima vista un fronzuto cespuglio
di capelli sopra un paio di occhiali, relativo naso non a palla, ma comunque
rotondeggiante. Subito sotto, o meglio dentro, c’è molto di più, vediamo cosa e
come. Non so se lo abbia mai conosciuto personalmente, ma una volta Marcello
Marchesi ebbe a dire una cosa interessante, che ha molto a che fare, anche se
indirettamente, con Giordano: “Due rette
parallele si incontrano all’infinito, quando ormai non gliene frega più
niente.” Sì, perché Giordano, ha sempre vissuto in una o più realtà parallele,
anche piacevolmente, direi. Non che ora sia tornato tra noi, no, non ci pensa
neppure. O almeno non sembra. Capita che dica una cosa strana e tutti ridono,
ma chi lo conosce meglio si accorge che invece lui stava parlando seriamente. In
un’altra occasione formula un’ipotesi che nessuno capisce, ma pareva una di
quelle frasi fondamentali che uno dovrebbe annotarsi, che gli può essere assai
utile in futuro. Io che lo frequento dalla nascita, intendo subito che lui invece
voleva dire una facezia, insomma intendeva fare una battuta di spirito.
È probabilmente una creatura benedetta
o maledetta da Dio, se mai esistesse, o piovuta da un altro pianeta abitato, se
mai ce ne fossero. Insomma non lo so, è diverso da tutti, come tutti sono
diversi tra di loro, ma lui di più. Per questo che a livello antropologico è
interessante, e quando parla bisognerebbe fare una particolare attenzione. Solo
che dopo mezz’ora nessuno ce la fa più a seguirlo, basta anche meno tempo. Se
però registri tutti i suoi monologhi e li metti insieme, con un ideale filo
temporale, collegati da qualche particolare a volte importante, altre volte insignificante,
poi è più facile comprendere le sue intenzioni, la praticità della teoria da
lui esposta, che di solito poi sono un coacervo di teorie, comunque sia
interessanti e assolutamente non campate per aria, forse lo sembrerebbero a un
ascoltatore distratto.
Peccato che i più se ne fregano di
Giordano e di tutto quello che lui vorrebbe trasmettere al mondo, eppure
secondo me varrebbe la pena di pazientare un pochino:
“Bisogna
leggere anche i libri brutti, per almeno due ragioni, se non tre, secondo Primo
Terzi, illustre critico letterario di origini mantovane, anche se da alcuni
considerato un petulante pistoiese. La prima sarebbe per poi apprezzare
maggiormente i libri belli, la seconda potrebbe essere perché in giro si sa, tutti
i gusti son gusti e l’opzionale terza è perché ci può essere utile, se noi
ambissimo a una certa umana saggezza, immaginare - anche per poco tempo - lo
squallore di una vita di una determinata categoria sottosviluppata, di una
mente distorta, di un’incapacità sistematica non solo letteraria e non solo di
chi l’ha scritto, ma anche di coloro che di riflesso lo apprezzano, magari
perché è alla moda, probabilmente fingono, non lo leggono nemmeno e in questo
sono oculati. Opportunamente filtrata attraverso il nostro stato d’animo del
momento, le nostre rispettive origini e relative prospettive future, sempre
secondo Primo Terzi, ognuna di queste pur controverse opere è una casella da
non saltare, per arrivare alla verità finale, oppure a un suo surrogato à la
page. Cita a proposito, qualcuno dice a sproposito, La Bestia Bleu del bergamasco Fiorentino Catanesi, di insospettabilmente prossime
origini lucane, autore minore, ma tutt’altro che trascurabile, almeno in
quest’ambito purtroppo olimpicamente ambito, un esempio di questo viaggio
immaginario che noi stessi potremmo fare, a nostro rischio e pericolo, in
quella malsana maionese metaforica, emulsione dolente di una generazione, di un
popolo e di un mondo sul quale preferiremmo tacere, ma non possiamo più.”
Una volta per questi suoi discorsi
fiume preferiva esibirsi davanti al bar, ormai nessuno più si siede lì per ore
a guardare passare il mondo. L’internet e i palmari ci hanno invaso le teste, le
tasche e le case, allora lo andiamo a trovare dove vive, o lo incontriamo per
strada, lui ci riconosce a stento, ma è capace di partire subito dopo
incollando le sue frasi a quelle dette la volta precedente, magari un mese
prima o due:
“Anche
i film brutti, bruttissimi e orripilanti hanno la loro ragione di essere visti,
soprattutto a livello sociologico, magari non c’è bisogno di sorbirseli tutti. I
primi cinque minuti, almeno per alcuni possono bastare, per altri perfino
avanzare. Il famoso critico cinematografico oriundo argentino Romildo Perpoli
Diaz, di comprovata maternità pugliese, dice che lui ha più imparato da questi
che dagli altri, non specificando però quali, e si vede anche a occhio nudo, oppure
con degli occhiali tridimensionali, che qualche tempo fa si acquistavano anche
da annunci sul giornalino Il
Monello.
Su
questo e altri derivanti argomenti, il filosofo contemporaneo Latino Urbaniak,
di probabile padre polacco, ci dice: la psicologia degli esseri umani, anche
solo quella spicciola, non piace a nessuno, specialmente agli esseri umani e se
ci pensiamo un poco, noi ne scorgiamo subito un perché evidente: anche sapendo a
menadito quello che non si dovrebbe assolutamente fare, cioè con matematica
certezza, nella nostra pur provvisoria vita terrena, spesso non riusciamo
affatto ad accantonarlo, no, lo usiamo piuttosto come struttura portante della
nostra routine giornaliera, come normale ossessione nei nostri sogni, o eventuali
incubi.
La
spontaneità può anche essere una buona cosa, non diciamo assolutamente di no,
eppure alcuni animali di riconosciuto successo ne fanno a meno, e qui meglio
non fare nomi, né cognomi. Pur riconoscendone l’indubbio valore va diretta e
frenata, lasciata libera quando è il momento, stimolata o regolata, dipendendo
dai casi, la spontaneità. Pensiamo di esserci capiti, la riflessione non è
riflessiva, ma reciproca.”
Non dice affatto delle cretinate, a ben guardare, basta
capire lui e collegarlo al mondo circostante, due cose difficili a prescindere,
anche prese singolarmente. Eppure è uno studioso assai competente, diciamo un
antropologo, la sua materia è l’uomo, ma anche tutto quello che l’uomo fa, sia
inteso come umanità che come maschio della donna. A proposito: Giordano non ha
mai avuto una fidanzata, per quel che se ne sa, ma i tempi stanno cambiando,
secondo alcuni ora ce la potrebbe anche fare, il mondo è più confuso, in
qualche maniera anche un po’ diagonale, insomma sembra più aperto, almeno
rispetto a prima.
“L’uomo
è un essere molto più automatico di quello che si crede, nella maggior parte
dei casi, come un pulcino di allevamento, se accendi la luce mangia, se spengi
la luce dorme. Per evitare di essere ingrassati come galline, per poi farci tirarci
il collo dalla cosiddetta democrazia, dobbiamo sapere prima di tutto da dove
veniamo e poi dove andiamo, dopo dobbiamo costantemente tenerne conto, se non
lo sappiamo è lecito e auspicabile indagare, chiedere in giro, documentarsi
insomma. Tutti si riempiono la bocca di democrazia, ma
chi lo fa così spesso è per toglierla e non per darla. Una bella parola che
piace a tutti, ma finora non si è ancora vista in giro, se non per spacciarla
per tale, per ingannare qualche fessacchiotto in più. La nostra provenienza
spiegherà anche la nostra direzione o viceversa, in alcuni casi, se ci fosse
bisogno.
Gli
psicologi e gli psichiatri all’unisono hanno più volte dichiarato che le cose
che vengono in mente alla gente la notte, prima di addormentarsi, sono molto spesso
delle bischerate. Forse le stesse ipotetiche persone non dovrebbero dare
eccessiva importanza a questi e ad altri dolenti, volenti o nolenti interrogativi,
magari solo occasionalmente o apparentemente simili ai precedenti, che gli si
infilano nel cervello la mattina, appena consumata una frugale colazione a base
di cereali.
Dice
il noto psicologo trentino Pino Silvestri, spesso anche ospite alla TV, qualche
volta perfino in orario nobile: una buona boccata d’aria pura, eventualmente
montana, ci serve a pennello prima di addentrarci nel misterioso sonno, nella nostra
romantica notte, come disse Alberto Lupo, l’attore degli anni 60, (non il
protagonista del fumetto, che poi quello è piuttosto un Lupo Alberto).
A
volte, prima di dormire, anche una serie di bestemmie, sussurrate a denti
stretti nel buio, ci può aiutare a sfogarci delle vicissitudini della giornata
appena trascorsa. Dopo sì che ci pare di vedere il mondo dall’esterno, condizione
necessaria per poterlo comprendere a fondo, anche se dura pochi illusori istanti,
ma assai chiarificatori e alla luce di quello spiraglio in fondo a quel tunnel,
che personalmente ho più volte esplorato, qui ho buone ragioni per credere che i
cosiddetti esseri umani si abbandonino troppo a sé stessi e non piuttosto agli
altri. Su questo fanno anche bene, devo dire, meglio non fidarsi, ma non c’è
bisogno di passare i confini della paranoia senza passaporto bollato, vidimato
e timbrato dalla autorità preposte. Mi sembra altresì che non facciano la
minima resistenza a certi goliardici marchingegni mentali, pur intuendo che ridendo
e scherzando li porteranno a soffrire e anche parecchio. Insomma che abbiano la
tendenza a ossessionarsi, senza saperlo gli piace scovare una situazione
qualsiasi in cui sprofondarsi e ripetere gli stessi ragionamenti, gli stessi
pensieri, sbattere e risbattere la testa contro il muro, all'infinito. Più che
lecito rammentare qui che la vita del singolo individuo non è affatto eterna,
anzi.
Giordano va regolarmente dallo psicanalista, lo sanno un
po’ tutti, ma c’è una cosa che non tutti sanno e che invece mi è arrivata
all’orecchio recentemente, da fonte attendibile, dato che mia moglie è amica della
compagna del terapeuta in questione, ovviamente senza fare nomi, né cognomi.
Pare che più che una psicanalisi sia una discussione sulle teorie e le relative
pratiche, dove Giordano suggerirebbe al professionista come comportarsi, in
generale ma anche in particolare, con questo cliente particolarmente difficile
che è lui stesso, per esempio, e lo psicanalista non accetta certo passivamente,
no, giustamente discute e si ribella, lui, senza perdere mai la calma, tenta di
dargli dei timidi consigli sui consigli spesso anche rifiutati, ma è un
rapporto aperto, sincero, eppure estremamente tecnico. Giordano naturalmente non
si arrabbia mai, ammira e disdegna allo stesso tempo queste manifestazioni
piene di temperamento che capitano solo agli altri. Talvolta sono gli interlocutori
eventuali che tenderebbero, almeno idealmente, a volerlo strozzare con le loro
mani.
Rinfrancarsi
regolarmente, se non quasi ritmicamente, con una sequenza conosciuta di azioni
e reazioni è solo apparentemente rassicurante, ma esagerare spesso si rivela
inevitabile e può condurre al dolore sistematico, insistito e senza visibile scampo,
dico io. Se è una cosa buona diventa cattiva, se è già brutta va verso il
peggio e se me lo chiedessero direi, senza neppure pensarci troppo, che è un
meccanismo piuttosto prepotente che t’imprigiona senza essere per niente leale
a qualsivoglia regola etica, che se ne va e poi ritorna, a spirale si allontana
e poi si riavvicina.
Pino Silvestri
si confida poi con noi: tante volte mi ci sono trovato in mezzo, e se la
durezza della vita in quei momenti mi pareva evidente e particolarmente
dolorosa, dall’altra parte mi induceva a gioire di ogni pur piccolo istante di
libertà da quel morbo satanico.
Tutt’oggi
non posso dire di esserne totalmente fuori, ma dalla fredda e marmorea soglia potrei
arrischiarmi a dichiarare di conoscerlo, quel virus a dir poco dispettoso,
anche se, quando mi si presenterà di nuovo, e di sicuro lo rifarà presto o
tardi, magari un venerdì pomeriggio, si camufferà come sa fare bene assai, e io
non saprò riconoscerlo d’acchito, non in tempo almeno per potermi godere poi il
sospirato weekend. In quelle sabbie mobili burlone dovrò sprofondarmici almeno
un poco, soffrire per riuscire a sottrarmici, per capire di aver veramente capito
e nonostante questo piegarmi come un fuscello al vento del loro capriccio.” (forse delle sabbie mobili, per noi non facilmente
immaginabili se e quando capricciose o ventose).
Mia sorella Veronica si era quasi innamorata di Giordano,
anni fa, io non le ho detto niente, poi aveva capito da sola di non averlo
compreso bene, era un tipo sufficientemente esotico per lei, ma forse troppo
esoterico, surreale ma concreto, onesto e ragionevole, solo apparentemente
fuori di testa, dipendendo dai punti di vista, occasionalmente anche assai. Figurarsi
che oggi ci vede ancora tutto il romanticismo che si era sognata a quei tempi,
immaginando Giordano come un essere umano meno astratto di quello che è, lo
ascolta con entusiasmo quando lo trova in giro e allora lui non si risparmia,
oltre alle parentesi tonde ci mette anche quelle quadre, eventualmente - ma più
raramente - le graffe:
“A
questo proposito, ci riagganciamo al parere indicativo di Primo Terzi: nei
libri giunti alla mia portata, ma che poi non leggo, trovo spesso trame claustrofobiche,
in cui scrittori e lettori si dannano l'anima invano, in maniera per niente
piacevole, ardirei dire sia agli uni che agli altri. Questo mi pare diabolico,
pur personalmente non credendo al cornutaccio come creatura a sé stante, se non
figura di una piuttosto discutibile metodologia umana, di stampo non
esclusivamente religioso, perché si deve soffrire tanto, per il solo piacere di
essere spontanei?
L'insistenza
è quella rete virtuale, ma fin troppo inutilmente tosta, in cui troppi
s'impigliano, la ripetizione all'infinito di quadratini, insomma di caselle con
dentro immagini e suoni di cose già viste e sentite, come se attorno non ci
fosse scelta possibile e invece ce n’è tanta, forse troppa e magari è proprio
questo che ci spaventa?
Eh?
Ebbene
sì, lo ammetto: tra i libri che non ho letto mi è particolarmente piaciuto
l’Ulisse di Joyce.
Diranno
tutti, invece no.
È
vero che non l’ho mai letto, ma dire che non leggerlo mi sia piaciuto assai sarebbe
troppo banale, chiunque ne sarebbe capace, come pure dello stesso autore Gente
di Dublino.
Inutile
dire che Giordano è professionalmente competente, tiene la contabilità a
numerose ditte con i cui rappresentanti ha rapporti continuati. Mio cugino
Alfeo, detto il Petrolchimico, che ha
una piccola azienda che si serve da lui, ne dice solo bene. Secondo Alfeo basta
evitare ogni conversazione informale, mantenersi sullo stretto tecnico e
necessario. Sulla sua onestà non si discute, imbrogliare o rubare non fanno
parte del suo DNA, e dicono nemmeno dell’RNA di Giordano Dalle Luche.
No, non è che io ambisca a fare
l’originale a tutti i costi, anzi, vorrei riconoscermi nitidamente nello
specchio di Buber, confesso che mi garberebbe.
[L'essere umano, secondo Buber,
è per essenza dialogo, e non si realizza senza comunicare con l'umanità, la
creazione e il Creatore.
Il dialogo riposa sulla
reciprocità e sulla responsabilità, che esiste unicamente là dove vi è una vera
risposta alla voce umana. Dialogare con l'altro significa affrontare la sua cazzo
di realtà e farsene carico nella vita vissuta. L’altro è il nostro beneamato specchio,
riflette ciò che noi vediamo in lui e viceversa.
Martin Mordechai Buber, non per
caso nato nel 1878 a Vienna, grazie all’ambiente favorevole della casa
galiziana, entra
in contatto con una grande varietà di lingue. (La Galizia,
qui da non confondersi con la più nota regione spagnola, è una regione
storica divisa tra la Polonia e
l'Ucraina. Dal
1772 al 1918, il Regno di Galizia e Lodomiria, che spalmato
su tale regione, fu la più grande, la più popolata e la più settentrionale
delle province dell'Impero Austro-Ungarico, con la
romantica Leopoli come
capitale. Fu creata dai territori presi alla Confederazione Polacco-Lituana durante
le Spartizioni della Polonia ed
esistette fino alla dissoluzione dell'Austria-Ungheria, cioè alla fine della prima guerra mondiale.) A casa il tedesco, a scuola il polacco, nel
quartiere ebraico l’yiddish e in sinagoga l’ebraico. Da ragazzo la lingua
preferita è il greco e la sua formazione filosofica si concentra soprattutto
sulla lettura dei testi platonici. Buber al termine della sua vita parlerà
tedesco, ebraico, yiddish, polacco, francese e italiano, anche se pochi lo
capiranno, leggerà correntemente lo spagnolo, il latino e il greco, ma ancora
meno se ne interesseranno. Tutte queste lingue per il filosofo non sono altro
che tante facce di uno stesso prisma: i cui molti riflessi rimandano la sola
luce del dannato dialogo umano, nella singola lingua allo stesso tempo
frammentato e preservato.]
L’Italia
ha avuto generazioni di grandi oratori, sia per l’indiscussa bellezza della
lingua, che per la cultura a 360 gradi, magari anche per il narcisismo di
ascoltare sé stessi ammirati parlare a braccia per ore, remando spesso con
larghi gesti, a tratti volando idealmente sopra l’ampia platea. Giordano è una
dimostrazione anche di questo, il mondo attorno si è modernizzato pure troppo,
lui rappresenta in qualche maniera la nuova onda, quella dell’incomunicabilità
di cui narrava anche il regista Antonioni, quella più legata al passato e alla
tradizione, per fortuna. Ultimamente ha avuto anche la sua prima donna
ufficiale, lei è caruccia e parla poco o niente, lo ascolta a oltranza, ma da
quando sta con lei, lui si esibisce meno in pubblico, sembra più geloso delle
sue stesse parole, di cui certo una volta era assai più generoso. In maniera
velata, per una qualche influenza del rapporto appena iniziato con Rosetta,
pare anche più intransigente se quasi incazzereccio.
Ciò
nonostante qui tra noi è inutile citare qui quello che è stato scritto in
lingue che non conosco, però tra i peggiori libri che non ho letto c’è senza
dubbio Se
una notte d’inverno un viaggiatore di
Italo Calvino, che ho altresì apprezzato in Marcovaldo e in altri dei suoi primi, escluso Il sentiero dei nidi di ragno. Disdegno i secondi in blocco e i terzi ai
quali Se una notte… appartiene, e
aggiungerò, senza timore, che se lo avesse scritto un altro autore qualsiasi,
un po’ meno conclamato, lo avrebbero - con ogni probabilità - accolto con
allegre ma severe pernacchie.
Italo Calvino nasce il 15
ottobre 1923 a Santiago de las Vegas, a Cuba, da genitori
italiani. Il padre, Mario, è un agronomo originario
di Sanremo,
poi trasferitosi in Messico e infine a Cuba, mentre la madre, Eva Mameli, originaria di Sassari, dopo
aver lavorato come assistente presso la cattedra di botanica nell'Università di Pavia, ha ottenuto la
libera docenza nel 1915. Dopo la prima guerra mondiale, Eva e Mario, già
conosciutisi anni addietro, approfondiscono il loro rapporto finché la donna
accetta di sposare l'agronomo e seguirlo a Cuba, dove questi dirige una
Stazione Agronomica sperimentale per la produzione di canna da zucchero. La sua
vita intera e il suo modo di scrivere ne saranno inesorabilmente influenzati.
Di Cuba però Calvino non ha
nessun ricordo come egli stesso afferma: "Della mia nascita d'oltremare
conservo solo un complicato dato anagrafico, un certo bagaglio di memorie
familiari, e il nome di battesimo che mia madre, prevedendo di farmi crescere
in terra straniera, volle darmi perché non scordassi la patria degli avi, e che
invece in patria suonava bellicosamente nazionalista."
Nel 1925 i coniugi
Calvino decidono di ritornare in Italia. Secondo lo stesso autore,
tuttavia, il rientro in patria era già stato programmato in precedenza ma
rinviato per l'attesa della sua nascita. La famiglia si trasferisce a Sanremo
dove il padre fu responsabile della Stazione sperimentale di floricoltura
"Orazio Raimondo"; in tale periodo fu utilizzato anche il parco della
villa di famiglia "La meridiana" per svolgere studi sperimentali su
colture floreali.
"Sono cresciuto in una
cittadina che era piuttosto diversa dal resto dell'Italia, ai tempi in cui ero
bambino: San Remo, a quel tempo ancora popolata di vecchi inglesi, granduchi
russi, gente eccentrica e cosmopolita. E la mia famiglia era piuttosto insolita
sia per San Remo sia per l'Italia d'allora: scienziati, adoratori della natura,
liberi pensatori".
Detto questo: a che gioco di pessimo gusto ha voluto giocare
Calvino? Ha prima illuso il lettore svelandogli i meccanismi della magia; lo
ha, poi, frustrato lasciandolo sul più bello delle storie; gli ha negato la
“verità” del titolo e dell’autore. Questo libro è stato tutto un presuntuoso
scherzo? Forse ha voluto dimostrare che un autore internazionalmente ammirato
può permettersi qualsiasi cosa?
I
posteri gli hanno dato ragione, inutile negarlo, è opinione comune che proprio
quel libro sia il libro dei libri, la consacrazione di un genio.
Anche
secondo alcuni filosofi, tra cui il sopracitato Latino Urbaniak, l’opinione
altrui è da rispettarsi religiosamente, a patto che non risulti eccessivamente
idiota.”
Non
so se è una malattia comune al mondo, magari sì, però qui in Italia, in
particolare nella nostra bella Toscana, mi sembra che si esageri con la scarsa
attitudine ad ascoltare, Giordano è un esempio pratico di chi parla e parla,
senza curarsi nemmeno lontanamente se effettivamente qualcuno lo stia ascoltando,
e poi, quando si tratta di prestare attenzione lui alla parola altrui, è allora
che si perde negli spazi siderali e il suo sguardo considera le sfumature di un
orizzonte, permea le nebbioline, viaggia oltre le montagne, attraversa gli
oceani.
C’è
da dire però che, in un recente e magnifico pomeriggio primaverile, alcuni attendibili
testimoni, non solo oculari, abbiano dichiarato di averli visti e sentiti, seduti
all’aperto, al caffè più elegante della città, di fronte alle rispettive tazze
di thè fumante. Era lei che parlava e lui non solo ascoltava, ma la guardava
anche negli occhi. Inutile dire in quale maniera. L’amore è una cosa
meravigliosa, un miracolo della natura, forse anche una rivoluzione nell’ordine
delle cose, come ebbe a dire a suo tempo anche Cooper.
Secondo
Arthur Bloch una grave malattia mentale.
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