La casa è vecchiotta, ma
rimessa a nuovo da poco, i muri sono larghi quasi un metro, le
finestre a vetri doppi e il riscaldamento funziona bene. Fuori oggi è
freddo e siamo in osservazione frammentaria e distratta dalla
finestra della camera di mamma. In alcuni casi le immagini non ci
arrivano nemmeno al cervello, ma lo attraversano piacevolmente.
Sonnecchiamo, leggiamo un po', ci facciamo un caffè, ci facciamo due
caffè, e poi tre, dopo perdiamo il conto.
Ecco
che chiama di nuovo, gli anziani, specie quando sono malati di
senilità, ritornano all'infanzia, come i bambini, la prima parola in
caso di bisogno, anche solo immaginario, è quella: “Mamma...
mamma...”
Facciamo a turno ad andare a
vedere, ma io ci vado meno. È strano trovarsi a fare da madre a mia
madre, ma la mamma vera qui è mia moglie Lorena, (per tutti e due,) e non è
neanche italiana, cioè solo di origine, ma di nazionalità
venezuelana. A volte mamma Nora fa le bizze, oppure necessita solo di
calore umano, non sa dirci cosa vuole, le parole e di conseguenza
anche le frasi che dice non hanno senso, almeno per noi. Lorena le
chiede cosa le fa male, se poi le fa realmente male qualcosa o sta
solo commentando quello che vede alla televisione senza audio, o una
scena del passato che si è immaginata, o cos'altro noi non riusciamo
a figurarci, ma il suo sguardo spesso è perso nel vuoto, ci guarda
ma non sempre ci vede. Oltretutto passa a occhi chiusi la maggior
parte del giorno.
Mia moglie le fa la solita lista
orale delle possibili magagne. Senza risultato. La mette un po' più
stesa sul seggiolone polifunzionale, un po' di acqua gel, sembra
stare meglio e si riaddormenta. Mentre dorme ogni tanto una bella
bestemmia, riferita a non so cosa, di solito un dio
boia, due dio
cani, tre o quattro
dio maiali.
Anche le parolacce fioccano tra le poche frasi comprensibili che
ancora dice, forse non per caso, ma prima della malattia, da quando
la conosco, non ne ha dette mai.
Oggi è abbastanza lucida, forse
troppo, il medico le ha tolto un farmaco, il Destezil, che la
rincretiniva assai, per vedere se senza non si incasina piuttosto il
cervello e allora bisogna ridarglielo. Non il cervello, che purtroppo
quello non si può più, solo il farmaco.
Una malata di alzheimer, specie
del tipo agitato come lei, deve vivere costantemente sotto l'effetto
di varie medicine che curino le ripetute reazioni psicotiche, che si
manifestano con le parolacce verso i programmi televisivi e fin qui
avrebbe anche ragione, però anche rivolte alle persone che sono lì
per aiutarla o agli oggetti in generale, in ogni tipo di situazione
in maniera disordinata e discontinua, nel suo caso. Negli altri casi
non lo sappiamo e confesso che non sono nemmeno troppo curioso, per
me questa realtà è già un pozzo senza fondo. Un giorno sembra star
meglio, poi si torna a qualcosa di già visto e passato, poi un
peggioramento, dopo un miglioramento, ma più piccolo, coscienza e
incoscienza mischiate, poi separate, senza spazio né tempo, senza
alcun ordine comprensibile, almeno per noi. I farmaci servono per non
farla star male, cioè in quello stato di ansia esagerata e continua,
ma soprattutto senza alcun motivo.
Le mie tre sorelle vivono nel
nord Italia, non possono, non vogliono e non devono (aggiungo io)
lasciare famiglia e lavoro. Noi anche se viviamo a Bruges, che è
assai più lontano, non abbiamo figli né lavoro fisso, solo due
cani e due gatti, ora lasciati alle cure dei vicini di là. Lorena è
infermiera e viene pagata con i soldi della famiglia per stare qui,
forse ci saremmo stati anche per nulla, ma visto che lei non lavora
più, ha un logico bisogno di soldi. Anche questo è un fottuto
lavoro, però, l'unica differenza è che se non fosse per mia madre
non lo faremmo mai, non così, 24 ore su 24, neanche per tutti i
soldi del mondo. Insegno italiano agli stranieri in internet, con
Skype, ho pochi allievi ma alcuni da parecchio tempo.
Ci aiutano i vicini, che poi
sono abbastanza lontani, ma rappresentano i terrestri più a portata
di mano, fortunatamente gente simpatica e disponibile, qualche volta
si fermano anche per fare quattro chiacchiere, ma raramente si arriva
a cinque. Ci portano i prodotti dei loro orti, marmellate e conserve,
libri usati a valanghe, magari i gusti letterari non coincidono,
pretenderemmo troppo.
L'alzheimer è stato il destino
di mia madre, come di tanti altri ed essendo Lorena l'unica badante
da lei accettata, eccoci qua a disposizione, nella nostra casa di
collina quasi montagna, con computer e internet, un cannocchiale che
per fortuna il panorama è profondo, largo e interessante.
Siamo a Bagni, appena sopra
Bagni di Lucca, nei pressi delle terme, sul ripido versante del monte
opposto a noi ci sono poche case, una delle quali si raggiunge solo
con una teleferica. Abbiamo visto molti film negli ultimi mesi, forse
troppi, la maggior parte polizieschi, magari siamo stati anche
influenzati, ma abbiamo deciso di filmare con il cellulare il su e
giù di questa gente che va e viene con la teleferica, ma che cosa
trasporta? Osservandoli con il binocolo non siamo riusciti a capirlo.
La nostra assistenza a mamma è
giorno e notte, per lavarla, metterla sul seggiolone e riportarla a
letto bisogna essere in due, altre cose di ordinaria amministrazione
le fa mia moglie da sola. Per sistemare e cambiare il catetere viene
un'infermiera ogni tanto, su nostra chiamata. Il sistema sanitario
italiano, che per quanto ora incasinato e male organizzato è ancora
dei più completi che ci sono in giro, a chi ha l'invalidità
manderebbe gratis all'occorrenza gli OSS (Operatori Socio Sanitari)
che nel nostro caso sono donne, ma possono essere anche uomini.
L’Italia
è la dodicesima nazione europea in quanto a spesa sanitaria. Il
paese ha impegnato in questo settore il 7,1% del proprio Pil. La
Germania è la nazione che spende più soldi in sanità, ben 217
miliardi di euro. A seguire il Regno Unito, con 191 miliardi, e
Francia, 178 miliardi. L’Italia in questa classifica è quarta con
112 miliardi. In
questi anni, gli interventi legislativi sono stati occasionali,
dettati dalla contingenza, dall’urgenza e non certo da una
programmazione coerente con le problematiche che oggi affliggono i
sistemi sanitari di tutto il mondo.
Durante il giorno a mamma più
che altro bisogna darle un sostegno morale, quello che un figlio
aiutato da una nuora possono fornire, le medicine da somministrarle
regolarmente poi sono tante, oppure troppe. Quelle solide si
sbriciolano con un pestello, poi si mischiano nell'acqua gel, che
sostituisce l'acqua ed è una specie di gelatina che le si può dare
con una siringa o col cucchiaio, perché mamma non deglutisce più
bene e non gli si possono dare né i liquidi, né i solidi, solo
pappette e gelatine, insomma cose intermedie.
La mattina appena sveglia la
prima scarica di bombe chimiche: una pasticca di Quetiapina che è un
antipsicotico; 200 milligrammi di Depakin liquido, uno stabilizzatore
di umore; una pasticca di Bisoprololo per l'insufficienza cardiaca;
una di Laxis che è un diuretico; una di Pantoprazolo un riduttore di
acido nello stomaco e dieci gocce di Trittico, il famoso
antidepressivo. Prima di andare a letto le stesse dosi di Trittico e
Depakin, doppia dose di Quetiapina. Il Neuleptil è un antipsicotico
che le diamo solo quando è assai agitata, contro aggressività e
ostilità, ma agisce dopo molto tempo e la rincoglionisce
completamente, secondo Lorena le inibisce anche l'importante capacità
di deglutire, senza la quale avrebbe e avrà, presto o tardi, bisogno
di una sonda sia per mangiare che per bere.
Quando è agitata mamma comincia
a preoccuparsi per cosa deve fare da mangiare a pranzo la domenica,
(ormai sono anni che non cucina più, eppure per lei è sempre
domenica e guai se non si prepara qualcosa di speciale), o per i
vestiti da selezionare perché vuole andare via. Pensa di essere in
una specie di ospizio, o in una casa alla spiaggia, dice che quella
non è casa sua e non c'è verso di convincerla. Per farla stare più
tranquilla usiamo anche il Cannabis, che i medici naturalmente
sconsigliano, forse perché non ci guadagnano niente sopra e il
sistema farmaceutico mondiale è trai più corrotti e vili, combatte
una guerra di concorrenza e di potere quotidiana, il benessere dei
malati è la loro ultima priorità eppure la prima nella pubblicità.
Mamma rimane parte della mattina
e quasi tutto il pomeriggio su un seggiolone polifunzionale a
rotelle, che si può mettere in varie posizioni e inclinazioni, per
mettercela sopra una specie di paranco metallico, entrambi imprestati
dal nostro buon sistema sanitario. Durante questa operazione lei
non economizza gli urli. Il resto del tempo è a letto, perché non
si può più muovere autonomamente da qualche mese a questa parte.
Quando la puliamo, almeno una
volta al giorno, la prende come un grave gesto d'invasione e si
arrabbia parecchio, ci apostrofa con tutte le variazioni possibili
della parola puttana:
puttanaccia, puttanosa, puttaniera, puttanesca, puttanante e
puttaneggia,
occasionalmente anche al maschile e al plurale, coadiuvati dai
meno
frequenti
maledetti, troie, budelloni
e alcune minacce di morte incluse, più qualche parola di uso
differente da quello che lei intende o inventa parole che anche se
non esistono possono essere capite, come culagna
merdò e puzzante.
Cerca di darci calci, sgraffiarci e qualche volta, raramente, degli
sputi leggeri che di saliva purtroppo o per fortuna ne ha poca. Mi
chiama babbo, nonno e Sandro, che era suo marito e mio padre. Per
Lorena ha tirato fuori nomi nuovi e vecchi che da tempo non udivo
come Mariannina, che era una donnina sua parente lontana della
Garfagnana, che a volte era venuta ad aiutare in famiglia. Se
parlando si menziona qualche nome proprio, specie se ha conosciuto
qualcuno così chiamato, dopo poco lei lo viene a usare per qualche
situazione incomprensibile di cui si captano alcuni vocaboli e a
volte si riesce a ricostruire l'intenzione della sua frase, ma più
spesso non ci si riesce e allora, per cambiare discorso gli si mette
in bocca qualcosa da mangiare o da bere.
Quel che c'è di bello,
nell'assurda tragicità della situazione, è che ogni cosa viene
dimenticata subito dopo, anche quando si arrabbia con noi perché
invadiamo la sua sfera privata e ci offende con tutta la forza che
ha, (accompagnando anche i titoli poco nobiliari con gesti della
mano, con il dito indice alzato e una faccetta molto poco amichevole,
per esempio,) dopo pochi minuti non ricorda più niente e, tornata al
calduccio delle sue coperte, ci guarda amorevolmente, magari dice che
siamo belli assai e che sta veramente bene.
Siamo sempre più incuriositi
dal movimento di questa casa, di persone sempre diverse, che salgono
e scendono con contenitori di plastica e sacchi capienti. Dal loro
camino poi s'innalza sempre un fumo nero, giorno e notte.
Chiariamo subito che la polizia
non mi garba troppo, ma i trafficanti di droga sono un
gradino ancora più sotto, nel mio indice di gradimento, che con il
tempo ha automaticamente sovrapposto decine di livelli e sfumature.
Nei rari momenti di lucidità
mamma chiede perdono per offese verbali e materiali, ci fa fare
qualche risata e lei stessa ride contenta, specialmente la mattina
quando si sveglia e non si ricorda ancora in che condizioni sta
vivendo da un po' di tempo a questa parte. Dichiara e ripete che il
suo sogno è di andare alle Terme di Caracalla, da tanti anni ha
questo obbiettivo che non si è mai potuto realizzare per una serie
di coincidenze, poi è arrivata la malattia, di tante o quasi tutte
le cose si è dimenticata, ma di questa no.
Dopo ripetute domande, seguite
non sempre da risposte, eventualmente poco coerenti, abbiamo inteso
però che lei vorrebbe recarcisi per fare dei bagni terapeutici, ma
sono un po' lontanucci per una che non cammina e non connette
più se non raramente o quasi per caso. Quelle terme da tempo immemore non sono
più funzionanti e sono una specie di località storica da visitare,
pagando anche il biglietto.
Ci sorprendiamo a pensare un po'
troppo spesso alla fine della nostra vita, oltre all'impotenza di cui
siamo protagonisti ogni giorno sulla terra, forse senza rendercene
conto che in determinate occasioni, come questa, per esempio. Un'infermiera che riflette
ricorrentemente sulla morte è più che normale, la scura e
sensazionalista falciatrice la frequenta costantemente ogni giorno
sul lavoro, ma io non ci avevo mai pensato troppo, almeno finora. È
un argomento interessante, lo ammetto, non tanto complesso quanto
l'esistenza, ma meno semplice di quello che si pensi.
Che cosa tiene in vita mia madre
ora che non ne ha più alcun piacere, se non il caldo rassicurante
del suo letto, o il sapore di una pappetta centrifugata? Tra poco
anche quest'ultimo le sarà negato oltretutto, si paventa già l'uso
della sonda, dalla quale passerà sotto forma di liquido tutto quello
che ingerirà.
Trai libri che mi hanno portato
i vicini sto leggendo “Piccoli suicidi tra amici” del finlandese
Arto Paasilinna, che mi piace parecchio, sia perché non prende tanto
sul serio la morte, sia perché in Italia i suicidi all'anno sono
ormai intorno ai 4000, quindi si comincia o si dovrebbe cominciare a
considerare di più quest'esercito poco casuale, un fenomeno da
studiare piuttosto, magari pure nelle sue cause e se ci sono, anche
delle responsabilità. Secondo me e lo scrittore finlandese ci sono.
I due protagonisti principali,
casualmente trovatisi a suicidarsi nello stesso fienile, trovano
nuovi spunti e stimoli per vivere e suggeriscono ai suicidi di
unirsi. Sia per morire insieme che eventualmente per ricominciare una
vita differente e per quanto possibile migliore.
Difficilmente ci si suicida per
mancanza di salute, più facilmente mancano lavoro, soldi, compagnia
e amore. Insomma un senso per vivere, un qualcosa con cui e per cui
mantenersi occupati. Mi pare buffo che chi fisicamente ha la salute
dalla sua parte si tolga la vita, mentre mamma che non ha più la
forza di stare al mondo, non vuole a nessun costo lasciarlo.
Intanto quei personaggi
sospetti, continuano a portare su e giù con la teleferica qualcosa, ma non si capisce cosa. Decidiamo di chiedere consiglio a Moreno, uno
dei vicini, un poliziotto. Se ne viene a casa nostra un pomeriggio,
due o tre giorni dopo e ci rimane a osservare, con il cannocchiale o
senza, fino alla sera tardi. Dopo i ripetuti caffè ci spariamo
alcune grappette da polverose bottiglie che sono in casa da chissà
quando, credo almeno da quando era vivo mio padre, quindi sono assai
invecchiate.
Gli facciamo vedere i filmati
che abbiamo registrato con il cellulare, ma dice che non si vede
niente di potenzialmente utile e non possiamo non dargli ragione.
Tra un sorso e l'altro Moreno ci
chiede cosa abbiamo visto e non filmato, cosa ci è sembrato il
materiale trasportato, ma poi gli argomenti degenerano e quando se ne
va ci stiamo quasi addormentando parlando di cinema e teatro.
Forse ci siamo distratti troppo,
oppure è stata semplicemente sfortuna, ma non è stato avvistato
nessuno salire né scendere con la teleferica, nessuno in casa o
negli immediati dintorni.
Un giorno poi cediamo alle sue
periodiche insistenze, portiamo mamma alle Terme di Caracalla, il
medico ha detto che basta proteggerla dal freddo ed essendo metà
luglio, pensiamo che non ci siano problemi. Per il catarro le farà
anche bene.
Coll'ambulanza facciamo un
giretto per Bagni di Lucca e magicamente arriviamo alla Roma
imperiale. Mamma sorride e sguazza, come una bambina di 89 anni e si
guarda intorno, avrà notato che la struttura attorno è magari un
po' successiva a quella delle autentiche Terme di Caracalla? Non lo
sappiamo, ci sembra di no, è assai contenta, forse troppo e si
spegne tra le nostre braccia, mentre ancora in acqua la stiamo
facendo scivolare fuori dal materassino gonfiabile per riportarla sul
bordo della piscina e poi a casa.
Dicevi sempre. “È colpa mia
se non mi riesce morire?” Ora sarai contenta.
Dopo sommarie indagini Moreno ha
agevolmente scoperto che la casa con la teleferica non è di
trafficanti di droga o peggio, ci vivono piuttosto venti indiani di
Sri Lanka, sei donne e quattordici uomini che producono a raffica
specialità tipiche da vendere a Lucca, dove hanno un negozio.
Trasportano su e giù le leccornie pronte, le materie prime e le
rimanenze che poi se le mangiano. Il continuo fumo dal camino è
normale con un forno in piena attività. Una fumata nera come quella
del papa morto, non ancora eletto il nuovo, mia madre non c'è più e
noi, che pensavamo che sarebbe stato un sollievo per tutti, in questi
giorni ci sentiamo assai pesanti. Con qualche lacrima di nascosto.
Dopo quasi due anni di clausura torniamo al mondo là fuori sapendo
che probabilmente rimpiangeremo questi lunghi mesi di relativa pace,
in cui ci siamo sentiti utili più di quello che ci eravamo sentiti
prima, e che magari ci sentiremo anche dopo.
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