mercoledì 15 maggio 2019

RIFLESSIONI DIETRO ALLO SPECCHIO



Difficilmente il lunedì di Pasqua il cielo si mantiene sereno, di solito quando la gente parte per il picnic si aspetta già di doverlo fare sotto i ponti, o in qualche capannone abbandonato. Dipendendo dalla clemenza del tempo atmosferico la gente di Mologno, nel giorno del cosiddetto Merendino, giocava a bocce sul circuito squadrato delle strade sassose, quelle con la fascia di erba nel mezzo, che come angoli avevano le loro quattro case in mezzo ai campi, oltre il passaggio a livello del treno, andando verso il fiume Serchio. Mi ricordo di averne seguito un giorno gli sviluppi, ero bambino e la gente non litigava ancora per stabilire se Barga faceva o meno parte della Garfagnana. Chi non giocava portava il vino e la roba da mangiare, era un divertimento, perché si facevano coloriti commenti accompagnati dalle relative bestemmie e da bicchierotti di rosso, una cosa alimentava l'altra e il gioco era più che altro un veicolo di ghiaia. Le vecchie tradizioni ora si sono perse e, anche chiedendo agli abitanti dei luoghi in questione, si ricordano appena di questa cosa, secondo me invece d'importanza non indifferente.

Quando sono a letto e non mi addormento facilmente, cosa niente affatto rara, vado a cercare conforto nelle cose del passato remoto, nei ricordi nebbiosi e lontani, almeno mi sento bene e - anche se non dormo - la respirazione prende un ritmo più umano, più a misura di polmoni conosciuti e rassicuranti.
Non ho potuto fare a meno di notare che le idee migliori mi vengono quando sono sdraiato e al buio, forse perché così non le posso annotare. Quelle che leggete qui ora sono solo una seconda o terza scelta, un ricordo ormai assai sfocato di quelle belle frasi, complete di virgole e punti, che mi sono automaticamente dimenticato appena infilate le ciabatte. Svanite che mi sono dalla mente, una volta che sto con la vorace penna in mano, o addirittura davanti al computer acceso e scalpitante, trepido e impaziente mi scopro piuttosto incapace, scrivo l'elenco della spesa da fare al supermercato, dimenticandomi che poi non ho nemmeno la stampante.
L'uomo è nevrotico. E il fenomeno non riguarda soltanto un limitato numero di casi, è l'umanità, in sé, a essere nevrotica. Il problema non è quindi quello di prendersi cura di alcuni individui; si tratta di curare l'umanità in quanto tale. La nevrosi è la condizione dell'uomo poiché ciascuno attraversa un'esperienza educativa condizionante. Non gli si consente di essere semplicemente quello che è... no, ognuno si sforza invano di sembrare normale, ma non lo è, la normalità è una convenzione scomoda per tutti.
Personalmente non sono uno specialista, ma solo figlio di uno che in vita lo è stato e modestamente la nostra casa era nel bel mezzo del recinto dell'Ospedale Psichiatrico di Maggiano. Figurarsi che mi hanno chiamato poi a fare lo scrutatore per tre volte nello stesso manicomio, dove anche i pazienti votano, come ovunque in Italia, giacché è difficile stabilire con certezza se una persona è incapace d'intendere e di volere. A mio modesto parere quasi nessuna lo è, anche se a vari e distinti livelli, il voto e i suoi stessi risultati sono una manifestazione di questa mia teoria, piuttosto difficilotta da dimostrare. Bisognerebbe fare prima dell'improbabile autocritica e sarebbe pure una salutare ginnastica, ma purtroppo preclusa ai più, per la stessa tendenza auto-affermativa della società e quindi di riflesso dell'individuo, o viceversa. Causa ed effetto girano a loro piacere, si scambiano il posto, in questo caso, ma anche in altri che non sto qui a spiegare: pure io non li capisco. A mio favore c'è anche la famosa legge Basaglia, ma forse avrebbe liberato meglio i pazzi dai manicomi, se avesse dichiarato apertamente l'inutilità degli stessi, visto che fuori ci sono più e migliori matti che dentro. Gente che fa dei danni allargati anche a livelli regionali, nazionali e internazionali. Stendiamo un velo pietroso, dei macigni ci vorrebbero, eventualmente marmorei e apuani.
Come dicevo prima, mio padre era uno specialista della mente umana, di quella degli altri, che nella sua non ci capiva altrettanto bene, capita anche nelle peggiori famiglie. La menzogna è un passato senza eccessivi testimoni, si potrebbe anche dire, se qualcuno ci ascoltasse, ma non è questo il nostro caso attuale. Almeno negli ultimi decenni, tutti parlano ma l'importante è che nessuno ascolta veramente, qualcuno fa finta. Ogni tanto qualche parola, esigue parti di frase, più raramente un'ombra di concetto, trapelano tra le dichiarazioni auto-celebrative, perché sfuggono al loro controllo, distratto da cose effettivamente assai più importanti. Mio padre tecnicamente non era affatto bugiardo, era solo piuttosto esagerato. La parte migliore veniva quando, dopo aver gonfiato a dismisura la sua storia, chiedeva relativa conferma a mia madre, che pur senza eccessivo entusiasmo assentiva e poi cercava ripetutamente, ma invano, di cambiare argomento. Noi bambini qualche volta siamo intervenuti in quei discorsi da grandi, pur non direttamente interpellati, per puntualizzare le effettive misure di quelle situazioni alle quali avevamo casualmente e nostro malgrado partecipato. Ci hanno sempre e malamente scoraggiato però, anche se non ne abbiamo capito bene il motivo ci siamo adeguati a tacere, soffrivamo, come mia madre, ma in silenzio.
Una volta adulto non sono affatto diventato un intellettuale, per carità, né un antropologo, no, però mi sorprendo spesso a studiare il comportamento umano. Come ieri al banchetto dei libri usati, nell'omonima piazzetta poco frequentata. Quasi senza accorgermene mi sono progressivamente avvicinato a quei due, apparentemente attirato dai volumi grossi e pieni di pagine, che invece non avrei mai comprato giacché assai poco pratici da leggere a letto. Solo per ascoltare quel dialogo seduto tra la commessa e un suo amico barbuto con l'accento sudista. Parlavano di amore senza mai nominarlo, di vibrazioni ricordandone spesso la natura tremula e incontrollabile. Mi sono incuriosito, all'inizio senza rendermene conto, ma mi muovevo già in loro direzione. Uno strano fenomeno si stava verificando, mentre io senza fingere credevo d'interessarmi davvero a quei pesantissimi tomi lì accanto, i due parlavano a turno, forse di rapporti tra uomini e donne, di casi specifici ai quali avevano preso parte attiva. Senza interrompersi però, né cambiare continuamente argomento, sembravano addirittura ascoltarsi a vicenda e per sincerarmene, ogni tanto, da qualche finestrella trai libri degli scaffali, ne scrutavo attentamente le facce, che parevano autenticamente assorte, dalla maniera di guardarsi negli occhi e dalle prossime e relative orecchie persino seguire le vibrazioni tra le righe delle scambievoli frasi. Un tenero affresco dei tempi che furono: commentavano a tono quello che avevano poc'anzi udito, e niente affatto a sproposito. Non voglio entrare nel merito dell'intelligenza delle loro affermazioni, ma era tanto tempo che non assistevo a uno spettacolo così ammirevole, che quei libroni enormi che non avrei accettato nemmeno in regalo, per una qualche proprietà transitiva, improvvisamente mi sembravano cose rare e auspicabili perfino per una futura lettura, o anche solo per guardare le figure. Io stesso, che come attore sono il peggiore che conosco, dovevo parere così assorbito da quell'indagine letteraria, che loro non ci hanno fatto caso più di tanto, anche se ero a un metro e mezzo di distanza, hanno continuato a confessarsi i reciproci fatti personali più intimi totalmente a loro agio, finché lui se n'è andato e io ho comprato una monumentale storia degli ebrei, solo per quattro euri, perché la copertina era rovinata e mancavano sei pagine strappate. Mi sono avviato verso la macchina schiacciato da quel peso non indifferente, è vero, ma alleggerito in tutti gli altri sensi.
La storia illustrata degli ebrei mi ha sempre affascinato, a suo tempo me ne avevano prestata una bellissima in portoghese, piena di foto, pitture, papiri e testimonianze. Però avevo fatto l'errore di restituirla, anche sapendo che al proprietario non gliene fregava niente, non l'aveva e non avrebbe mai letta, si era addirittura scordato di averne mai posseduta una, cercò perfino di convincermi a tenermela. L'onestà è una cosa incontrollabile, come la puntualità, non so da chi le ho ereditate, la colpa credo che sia ancora di mio padre. Certo che una volta erano robe più scusabili e tollerate, ma ora non più.
Tornando alla letteratura, questa sconosciuta, riesco a perdonare molti difetti ai libri gialli e a quelli comici, quelli buoni sono i più difficili da scrivere, ma sono pochi che ci riescono. Lo stesso ai film corrispondenti. Tolleranza zero ai film d'amore e alle tragedie, parimenti ai libri da cui sono tratti. È così facile identificarcisi che si possono fare a occhi chiusi e si assomigliano un po' tutti. Chi riuscisse poi in un'unica opera a ficcarci dentro tutto, in un ordine anche sparso ma comprensibile, senza perdersi nel mare dello spazio siderale, dono tutta la mia massima considerazione, per quel poco che vale, gli posso perdonare quasi tutto, ma anche in questo caso non posso esagerare. Premesso ma non concesso che non interessa a nessuno del mio giudizio, terminerei dicendo che non riesco proprio a giustificare i film o i libri che ricalcano storie già lette e rifilmate, che se ne vadano rispettivamente affanculo. Lo so che sono la maggior parte, di tante o forse troppe disponibili, pazienza. Tutti scrivono e nessuno legge, tutti filmano e nessuno sa distinguere un pastrocchio d'ingredienti cucinati a caso da un'opera d'arte.
Meno male che non siamo tutti uguali, d'accordo, ma non c'era bisogno di esagerare tanto, dico io. Chi siamo noi si riassume nei ricordi, poi, il risultato di tante cose passate è quello che oggi vediamo allo specchio. Riflettere è sinonimo di specchiarsi, in alcuni casi, di vedere il proprio riflesso, di pensare alla situazione, a se stessi, alla vita, alla nostra porzione attuale. Intanto scene del passato spuntano fuori da un quadro, da un calendario, da un libro, dallo stesso computer, perfino da uno specchio. 


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