domenica 5 luglio 2009

LA CALMA CHE COSA È



Non era passato molto tempo dalla fine della prima Guerra del Golfo, avevamo preso un volo che faceva scalo nel Kuwait; per questo eventuale rischio, costava molto meno e in più, dall’alto, si potevano vedere ancora i pozzi bruciare e i crateri delle bombe.
Mi trovavo in viaggio per l’India insieme a un mio amico lucchese e a sua moglie.

Stavamo facendo ‘vita di albergo’ in un sedicente hotel di Connaught Place di Nuova Delhi, che, secondo il mio amico lucchese, significava girare per le camere di amici e/o conoscenti e farsi ripetute canne, o sennò chilum, insomma bonghetti e cose di questo genere, che quindici giorni mi parvero una manciata di secondi e al ritorno a Lucca rimasi seduto sul vaso sanitario per un mese.
Per chi non lo sapesse, c’è da dire che, in India, i sopracitati additivi hanno una funzione preparatoria per le cerimonie dei sacerdoti e relativi devoti .
Fummo invitati da questo signore di cui non ricordo, date le nostre meravigliose pratiche religiose, né il nome vero, né quello fittizio indiano.
Non ascoltavo neppure, se ben mi rammento, quando loro parlavano, assai assorbito com’ero dal pulsare dei colori, degli oggetti, delle persone e animali che andavano e venivano dentro di quello che pareva un sogno, con i ricordi e i pensieri connessi e mischiati, passato, presente e futuro... ma in maniera piacevole.
Da notare la squisita persona del guru in questione seduto sul letto, ma non nella posizione del loto, come ci si potrebbe altrimenti  immaginare.
Durante quella lunga conversazione, in accompagnamento ad additivi fumiganti e preparati dal mio amico, non mosse mai un muscolo che non fossero quei pochi della bocca, ma anche quelli, devo dire mio malgrado, il minimo possibile per parlare, eppure in maniera armoniosa e naturale.
Certo, senza essere visti, si muovevano impercettibilmente pure qualche timpano e relativi ossicini appositi all’udito, dentro alle sue orecchie, ma lui era assolutamente rilassato e lo si capiva dal fatto che se ne stava lì completamente immobile, senza magari ruotare gli occhi intorno, per esempio.
Noi tre invece no: i nostri corpi non si fermavano un secondo, in aggiunta alle nostre instancabili pupille, sgambettavamo come bambini la cui energia traboccante non poteva proprio essere placata.

Questo sacerdote indù di religione, ma romano di origine, anche dopo le ripetute e per noi devastanti fumate, sembrava sorprendentemente uguale a prima, mentre noi eravamo stravolti e sudati come tacchini allo spiedo.
Con quel guru lì, mi resi conto, faceva bene a tutti parlare, anche solo guardare e essere guardati, come avevo fatto io per qualche volta, anche nei giorni seguenti, senza proferire troppe parole.
Faceva bene specialmente alla gente stressata che era abituata a gesticolare, come comitiva di mulini a vento impazziti, a strizzare gli occhi e ad avere tic nervosi a profusione, senza farci troppo caso e/o potersi controllare in minima parte.
Quando parlavi tu, lui ti ascoltava con interesse, senza interromperti, che è una cosa rara al mondo, quando parlava lui, ti veniva da ascoltarlo veramente, le cose che diceva erano belle e semplici, in più le accompagnava con una faccia che combinava, pure.


A proposito di gente forsennata, incontrammo un’italiana fuori di testa, assai atteggiata a profonda e calma meditatrice, ma nervosa e tesa come una corda d’arco.
Questo però fu dopo, a Benares, detta anche Varanasi, Vanarasi, Banaras, Baranas   più un’altra decina di nome simili e graziosamente anagrammati, che poi è un’unica e famosa città sacra sul Gange, pure fiume sacro, dove gli indiani vengono da lontano per morire e ogni tanto si vede qualche cadavere a sedere ritto e in decomposizione avanzata passare sulle acque limacciose.
Loro quell’acqua lì se la bevono anche, sono diffuse a livello endemico malattie come epatite B, tifo e colera.
Noi di fuori non possiamo bere l’acqua del rubinetto, solo in bottiglia e non ci si deve azzardare a mangiare verdure crude.
 Avevo saputo, che questa ragazza, che per le condizioni sopracitate non ricordo proprio come si chiamasse, all’ingresso del centro di preghiera sulle pendici dell’Himalaya che loro frequentavano periodicamente, non era stata neppure lasciata entrare, giacché poteva influenzare gli altri con i suoi vari e intermittenti attacchi d’ansia, tic, scatti, movimenti convulsi.
Avrebbe certo potuto intaccare e danneggiare il sistema di pace e orazioni calate in una dimensione di meravigliosa e giusta fuga dal mondo occidentale.

Una volta, in Italia, almeno una decina di anni prima, sono stato una settimana in un appartamento del litorale toscano durante l’inverno, avevo fatto la spesa, non c’era nessuno e io volevo scrivere.
Dopo sette giorni senza parlare, tornando verso casa, mi sono fermato a fare rifornimento per la mia Renault 5.
Quando è arrivato il benzinaio, per qualche lunghissimo secondo, non sono riuscito a parlare, mi pareva di essere diventato muto, mi sono anche spaventato... poi, un poco alla volta, quasi come se fossero state anchilosate, informicolite e appiccicate l’una all’altra, sono uscite faticosamente le prime parole.

Per questo e per altro ancora, penso di avere avuto un grande privilegio, avendo conosciuto personalmente, una quindicina di anni fa, questo formidabile guru romano, al quale avevano imposto un anno di silenzio, per raggiungere la sua calma interiore, per poi diventare un sacerdote del Buddha.
Non deve essere stato facile, sebbene io non sia tra gli esseri umani più loquaci, non credo che ci sarei riuscito.

Idea per un film.
Come tutti sanno il Brasile è uno dei paesi dove il materialismo arriva ai suoi maggiori eccessi, ma nello stato del Rio Grande do Sul, per fortuna, c’è il più famoso tempio buddista, a Dois Irmãos.
 Amato e venerato da tutti, il santone del tempio muore, per succedergli si fa una specie di concorso su tre durissime sfide Zen.
La prima è un anno di silenzio a Porto Alegre, città dove tutti attaccano discorso, dove la gente non smette mai di parlare, non è capace di stare zitta.
Durante quest’anno i candidati devono studiare pure otto ore al giorno, gli Antichi e Sacri Veda, in una biblioteca del centro di Porto Alegre.
Questa è la seconda prova, ma già col silenzio obbligatorio, vari candidati brasiliani erano caduti, sorpresi a parlare.
Le biblioteche di Porto Alegre, come tutte quelle brasiliane, sono rumorose e piene di gente che ride e parla ad alta voce.
In un giorno di leggera ma continua pioggia, nella biblioteca di Praça da Matriz, vari individui, (che tra di loro non si conoscono, ma che hanno certo un qualcosetta in comune,) si mettono inavvertitamente, ma sistematicamente, a tirare su col naso, facendo cedere i nervi a quasi tutti i candidati rimasti, che se ne vanno delusi protestando.
Rimane l’unico italiano in gara: il flemmatico e silenzioso Napoge (all’anagrafe Napoletani Gennarino).
Affronterà da solo la terza prova.
Sceglie una delle buste in mano al monaco enigmista: la numero tre.
Per archiviare definitivamente ogni sua remora mentale, per poter diventare un guru che si rispetti, dovrà superare una prova apparentemente più facile di un anno di silenzio a Porto Alegre, a studiare i Veda in una biblioteca del centro.
La sfida sarà questa: dovrà guidare un’automobile e attraversare la città di Porto Alegre, da nord a sud, andata e ritorno, in un giorno di pioggia, a partire dalle cinque di pomeriggio, senza poter perdere la sua calma di tipo tibetano.
Un monaco anziano siede al suo fianco per controllare, o/e per aiutare in caso di bisogno.
Finale: dopo aver mandato invano affanculo le categorie più irritanti di autisti, maledetto di conseguenza l’intera specie umana, nei secoli dei secoli, scende e prende a bastonate i soggetti più meritevoli.
La scena sfuma, sotto una pioggia torrenziale, in una colossale rissa alla quale si è sorprendentemente unito pure il monaco anziano, il quale mena tosto.
Il tempio di Dois Irmãos dovrà purtroppo rimanere ancora senza un capo spirituale.
Ricordarsi di descrivere, nei vari dettagli, la contrapposizione della pacifica vita del tempio con il caotico centro di Porto Alegre e poi il carattere calmo ma deciso del monaco anziano, che prima di diventarlo era stato un lottatore di Sumo.

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