mercoledì 7 settembre 2005

NIENTE RENDE PIÙ NERVOSI CHE UN'ATTIVITÀ CHE RICHIEDE CALMA



Giobi è sempre stato un uomo spesso sottovalutato e a torto, ora che è diventato benestante tutti lo stimano di più, ma io lo conosco fin dai tempi in cui eravamo pompieri insieme.
Giovanbattista era un nome troppo lungo, a volte ci si doveva sbrigare e non si poteva certo usare un nome così, allora iniziammo a chiamarlo Giobi.

Lui pelato a trent’anni e con un buffo naso a patata, io con una abbondante pancetta da birra, nessuno ci avrebbe creduto, invece toccava sempre a noi affrontare il pericolo.
Incendio, inondazione, o gattino dell’anziana e gentile signora sull’albero che fosse, i muscolosi e bei ragazzi, giovani e forti ci stavano a guardare al sicuro e con la bocca aperta.
I pompieri di solito lavorano a turni, a squadre di sei, otto o dieci, rimangono a disposizione per ore e ore, cucinano, mangiano dormono insieme e arrivano a conoscersi bene, perché i gruppi si mantengono uguali.
Io e Giobi facemmo parte della stessa gloriosa squadra per quasi dieci anni, ed era la persona migliore, di quel gruppo, ma non solo di quello e, per me, anche fuori dalla caserma S.Giorgio, quella grande dietro all’ospedale.
Da parte mia, sono poi diventato capitano, invece Giobi ci lasciò prematuramente, nel senso che si sposò, purtroppo, una specie di arpia di Picciorana, tale Anna Rita Genovali, già vedova Genovesi, che lo schiavizzò da subito e lo mise a lavorare con lei nella agenzia  immobiliaria  di famiglia.
Dopo anni e anni senza vederlo in faccia, anche se passavo spesso di fronte all’agenzia  Genovali & Genovesi, lo incontrai in banca.
Per fortuna era da solo, senza la sua adorata metà e visto che facevamo la stessa fila, rimanemmo  a parlare dei vecchi tempi, per quella mezz’ora abbondante, o quasi tre quarti d’ora, a dire la verità.
La conversazione con lui funzionava e funziona ancora così: gli altri parlano e lui c’infila dei proverbi in mezzo, commentando, approvando e concludendo gli altrui ragionamenti.
Iniziò con il classico “Chi non muore si rivede”, ci lasciammo con un meno scontato “Vigna vecchia dà buon vino”, alludendo forse alla nostra vecchia e preziosa amicizia.
Li avevo invitati a cena, dimenticando, per quell’attimo, che sua moglie non la sopportavamo, né io né la mia compagna Adriana.
Che come consulente immobiliario aveva fatto fortuna lo vidi da come era vestito, dalla maniera calma e precisa di citare i suoi proverbi e poi dallo sguardo perennemente  beato, placido ed immobile,  anche se quello, a dire la verità, ce lo ha sempre avuto.

In seguito, durante quella riunione, a casa mia, non riuscimmo quasi a spiccicar parola, la vedova Genovesi fece un’ampia panoramica del suo repertorio, io mi scolai praticamente da solo una bottiglia di Dolcetto e una buona parte del Sassicaia.
La signora Genovali in Pasqualangeli era un sergente della Gestapo in gonnella con un naso dritto visto di fronte, ma adunco di profilo, capelli biondi ossigenati e fisico robusto, faccia squadrata a colpi di ascia.
La bocca dalle labbra esangui non si chetava un secondo e se qualcuno cercava, non tanto di interrompere, il che era una faccenda improbabile ed evidente per tutti, ma solo di commentare, pur cordialmente,  i suoi resoconti da lei già ferocemente dettagliati,  ecco che alzava anche la voce e annichiliva  ogni tentativo di virtuale resistenza.
Visto che in questi casi la mia mente si salva in automatico, passai in rassegna i ricordi di Giobi mentre mi gustavo calici di vino buono e caro portato dagli ospiti.
Al matrimonio, per esempio, quando tutti iniziarono a gridare “Discorso,discorso, discorso” si era alzata lei e tutti avevano rabbrividito, si erano pentiti ed erano rimasti in un improvviso e profondo silenzio, la sergentessa fece un discorso delirante sui valori del matrimonio, che pareva parafrasare  - solo nel tono - quelle sequele di frasi sputate dagli altoparlanti dei campi di concentramento, con la differenza che non era in tedesco, ma in capannorese.
Seguì un brusio nervoso.
Poi si alzò Giobi e disse:
“Mogli e buoi dei paesi tuoi.”
Fu accolto da un’ovazione.

Mesi prima di sposarsi, quando lo incontrai per caso con lei, invece mi aveva detto: “Dio li fa e poi li accoppia”, ovviamente andava capito al contrario:  giacché erano l’uno l’opposto dell’altra.
Mentre Anna Rita continuava a parlare, quella sera, notai che anche Giobi andava in giro a farsi dei viaggi mentali e alla fine di una di queste lunghe trasferte, infilandosi nel discorso, durante il quale anche Adriana era riuscita a dire qualcosa, alzando la voce e usando la stessa prepotenza della sorpresa ospite, disse un proverbio che ci parve completamente  a sproposito.
Prima stavano parlando del problema della casa in Italia, la gente doveva fare mutui per potersi permettere la prima casa, gli stranieri avevano fatto aumentare i prezzi e via con luoghi comuni e stereotipi del genere.
Poi che la sorella di Anna Ritona era infermiera e che nei turni di notte, gli infermieri  si facevano le infermiere, o piuttosto, più che altro, succedeva il contrario: erano le infermiere  che si facevano gli infermieri.
Io m’inventai di commentare, scuotendo la testa: “Che tempi!” E lei m’incenerì con uno sguardo.
Capii, parlandone in seguito, che anche Adriana l’aveva interpretato  - con la sua personale approvazione - come un notevole miglioramento di apertura mentale, rispetto a quando erano gli infermieri che si facevano le infermiere.
Anna Rita Genovali, fu Genovesi, ora in Pasqualangeli, era una che non aveva peli sulla lingua, ma si notava subito che tutto il resto del suo corpaccione era assai setoloso e raccontava i particolari dei contatti – per così dire – amorosi, così come sua sorella glieli aveva dipinti, che forse anche lei non era un mostro di finezza e magari li aveva vissuti pure in prima persona, anche se nessuno, al momento, si sognò di pensarlo, figurarsi di commentarlo ad alta voce…
Fu a questo punto che lui disse, alzando il dito indice davanti alla faccia pienotta:
“Eh sì, can che abbaia non dorme…”
Pareva che non avesse molto a che fare con l’argomento, ma ridemmo tutti, anche perché il proverbio era sbagliato.
Tutti meno che mia figlia Eugenia, che lo corresse:
“Can che abbaia non morde.” Il proverbio è “can che abbaia non morde"!
Giobi sorrise con bonaria malizia  e quello fu uno trai momenti più divertenti della serata e l’unica volta in cui lui parlò, almeno dentro casa.
Quando sulla soglia della porta, noi dentro e loro fuori, rabbrividendo per il freddo invernale, stavamo salutandoci,  i due ripresero con i proverbi, il primo fu Giobi che citò:
“Gennaio secco, massaio ricco.”
Eugenia ribatté  ironicamente:
“Una ciliegia  tira l’altra.”
Giobi non si fece trovare impreparato:
“Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.”
“Paese che vai usanza che trovi.”
“Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi.”
E così via finché gli ospiti non si furono allontanati troppo, in direzione dell’automobile  parcheggiata  dall’altra parte della strada, ma la bocca di Giobi si muoveva ancora, e l’indice della mano destra alzato, sottolineava  l’importanza di quel che diceva, anche quando passò di fronte a noi, aldilà dei vetri dell’Audi blu di Anna Ritona, leggermente appannati .


La proverbiale abilità di Giovanbattista non era certo proporzionale a quella di scegliersi le compagne di sesso opposto, non ne aveva avuto che rarissime, alcuni dicevano addirittura  che lei era stata l’unica, e diversi dichiaravano che perciò non ne aveva avute nessuna.
Abitava di fronte a casa sua, si erano frequentati fin da bambini, quando si erano sposati Anna Rita aveva fatto un incredibile trasloco di dieci metri.
Lei amava veramente Giobi e la parentesi con Luciano Amendola Genovesi era stata solo una questione di affari, che tra l’altro aveva funzionato bene e rapidamente...  ma si sa, la gente è maligna e diceva perfino che lei aveva una certa vocazione per la vedovanza, poi invece non confermata dai fatti a seguire.

La gente diceva anche che l’agenzia immobiliaria funzionava assai bene con Giobi come operatore e Anna Rita come amministratrice, ma lui era la vera scoperta del ramo, non solo perché sapeva sintetizzare la casa desiderata dal cliente nel suo cervello e raccontargliela, poi, anche solo per telefono, sotto forma di proverbio, o maniera di dire, o con le solite frasi fatte, che trite e ritrite, tutti conoscevano e ritraevano una situazione  ben determinata, in maniera coincisa.
Il proverbio giusto al momento giusto, il doppio senso, e anche triplo, a volte, e poi le facce che faceva prima, durante e dopo, le tante espressioni sempre uguali e eppure un poco diverse o di diversa intensità, dietro e attorno a un sorrisino ironico o qualcosa che gli assomigliava ma non lo era mai completamente, ecco la finezza  rara di quell’uomo.
Non era di molte parole, non lo era mai stato, ma a volte, quando apriva la bocca, la gente rimaneva del tempo a pensare al proverbio che aveva detto, cercando d’interpretarlo, spesso senza riuscirci… e quand’anche ce la facesse, per collegarlo alla situazione specifica, poi, era ‘un altro paio di maniche’.
Immobiliariamente parlando, creava mistero e curiosità, che da soli potevano indispettire e ostacolare gli affari, ma la sua applicazione  e dedizione erano tali che riusciva a fare vendite laterali e diagonali, attraverso privati  e altre agenzie,  favorendo un po’ tutti ma principalmente i propri interessi.
Era sempre in giro a vedere case e appartamenti,  a parlare con clienti e intermediari,  la sua intelligenza era  anche il dare nuovi sbocchi al mestiere, non accontendandosi mai di stare lì seduto ad aspettare i clienti, come facevano tutti gli altri, perdendo con la sua concorrenza in dinamicità  e conseguente lucro.
Poi, secondo voci di corridoio, le sue due pur pazienti orecchie, dovevano pur sfuggire alla lingua di sua moglie e quella era la maniera migliore.
Si dice che aveva anche un’amante o più di una e che praticamente  passava a casa solo il tempo di dormire e fare colazione, ma la casa era diventata una villa con un parco attorno, Anna Ritona contava i soldi ed era soddisfatta.
Però, secondo me, l’amante non era cosa di Giovan Battista, semplicemente  non era nel suo stile.

Venne poi il giorno in cui proprio noi avemmo bisogno di Giobi, finalmente avevamo i soldi per comprare una casa nostra, anche se eravamo piuttosto esigenti.
Io e la mia compagna ci saremmo finalmente sposati e le nostre esigue finanze, sommate e calcolandoci sopra le rate eventuali di un finanziamento, dato che Anna Ritona aveva diversi conoscenti importanti in differenti banche lucchesi, si poteva finalmente coronare il nostro grande e pur modesto sogno.
Prima di tutto bisognava trovare la casa, la banca e il finanziamento non erano un problema, secondo le parole di lei e lei era una che non parlava mai a caso, anche se, di regola, eccessivamente.
Fu automatico allora fare un pacco unico con la poderosa famiglia Pasqualangeli-Genovali  che aiutò generosamente la più umile famiglia  Del Ciocco-Benassi che poi eravamo Adriana, Eugenia ed io.
Quello che mi piacque di più, tra le altre cose, fu che il vecchio sodalizio pompieristico Pasqualangeli–Benassi fu ripristinato e intensificato, anche se lontano dalla Caserma S.Giorgio.







Non sono mai stato capace di capire se Giobi faceva lo stesso con gli altri suoi clienti, con la sua pur vasta  gamma di espressioni proverbiali, non è mai riuscito a rispondere alle mie questioni, o semplicemente le ha ignorate, il che è la cosa più probabile, è nel suo stile.
Il fatto è che mi chiamava  quasi tutti i giorni e  mi sottoponeva un proverbio o un modo di dire che doveva secondo lui, dipingere il tipo di casa che raccomandava alla mia attenzione, di volta in volta.
Io, però non capivo mai cosa voleva dire, ciononostante una o due volte alla settimana  mi portava in giro per vederle, queste sue proposte, e solo dopo ricollegandole  alle sua parole, scorgevo una certa logica e almeno di quella rimanevo soddisfatto e in un certo senso intrigato.
Come ho già detto io e Adri eravamo tutto fuori che facili nei nostri gusti, il fatto è che per noi era una scelta unica in tutta la vita, perciò non potevamo fallire, la casa doveva rispondere totalmente ai nostri gusti, che, in alcuni aspetti, contrastavano  o addirittura erano opposti.
La pazienza di Giobi fu sempre proverbiale, per almeno due motivi: nel senso che il suo lavoro per noi durò più di un anno e senza compenso alcuno, e poi anche perché tutto o quasi si svolse e si sviluppò attraverso proverbi e modi di dire popolari.

Giobi e Anna Ritona diventarono gente di casa nostra, quanto noi di casa loro, anche se lei era spesso un poco indigesta, imparammo ad apprezzarne la generosità, non solo di parole, ma anche materiale, era assai attaccata  ai soldi, ma li spendeva anche con piacere e per gli altri.
Dopo un poco di tempo diventò anche meno dispotica e cominciò ad andare d’accordo con Adriana, che certo non si piegava facilmente e Anna Rita l’apprezzava  - forse - anche per questo.
Altri amici non ne avevano e ci riempivano di attenzioni e di regali, oltre al fatto che insieme stavano preparando il nostro futuro, senza farci sborsare un centesimo.
E poi si compensavano, lei parlava tanto e lui quasi niente, e vederli insieme era una meraviglia  della natura, a darsi affettuosi bacini, o quando lei gli urlava contro a un centimetro dalla sua faccia e lui che faceva come se niente fosse.

Tra le altre cose, una volta  rimasi, senza volere, solo con lei per alcuni minuti e mi confidò preoccupata, che pensava che il libro dei proverbi si fosse ormai irrimediabilmente mischiato nel cervello di Giobi, che lei chiamava  solitamente Giò o Giovamba e Giovambattista  solo quando si arrabbiava con lui o per lui, il che era però un caso abbastanza frequente.
Disse che forse il lavoro lo stressava troppo e che le pareva che negli ultimi tempi la sua lucidità si stesse perdendo, dato che, sempre di più, citava i proverbi sbagliati al momento sbagliato.
Anche Adriana lo aveva notato, le sue entrate erano sempre più frequentemente fuori tempo, con proverbi che non venivano quasi mai proposito, a volte sbagliava anche alcune parole chiave.
Secondo me erano loro che non ne capivano la raffinatezza, la  grande varietà di uso delle espressioni, Giobi si doveva capire tra le righe, ma la sua mente funzionava alla perfezione, anche se era vero, però, che  stava diventando sempre più ermetico, e poi Eugenia, per esempio, ci si trovava benissimo e non era una ragazzina  facile  di gusti.

A volte andavo anche a pescare con lei e il mio ex collega pompiere e odierno consulente immobiliario, mi divertivo anche in silenzio con lui, per le facce che faceva e per i proverbi che immaginavo che avrebbe detto in un occasione o l’altra, indovinandoci  però raramente.
Pesci se ne prendevano pochi o nessuni, ma mi rilassava la sua compagnia, anche Eugenia si divertiva un mucchio, quella bambina era sempre stata troppo seria.


Giobi aveva più o meno cinquantanni, una decina più di me, ma a parte la sua quasi totale assenza di capelli sulla testa lucida, sembrava più giovane, la sua pelle era liscia e colorita, la sua forma fisica eccellente.
Iniziai a capire il successo nel suo lavoro, Anna Ritona lo lasciava fare come voleva, i clienti non sempre lo capivano, ma ormai si era fatto una fama e lo cercavano anche perché li faceva divertire, perché gli dava tante possibiltà di scelta, non gli faceva perdere tempo con discorsi farciti di luoghi comuni, come gli operatori delle altre agenzie e gli forniva un assistenza completa, sempre corredata da ottimi risultati finali, che poi è quello che conta di più.
Inoltre Giobi amava fare quel lavoro, perché lo faceva come se lo sentiva, usando la sua personalità e la sua sensibilità  senza doverle modificare troppo, come succede in genere a tutti, presto o tardi, in quel mercato che sta diventando sempre di più la vita nel mondo occidentale .

In poco tempo le case che mi aveva proposto erano già decine, alle nostre spalle, senza nessun risultato apparente, ma lui capiva sempre meglio cosa noi volessimo e chi veramente comandava in famiglia, cioè non io.
Intanto io intendevo sempre meno cosa significavano i suoi proverbi, di volta in volta usati, come descrizioni di immobili sottoposti alla mia attenzione.
Certo che il mio lavoro mi permetteva più disponibilità  che quello della mia compagna, segretaria di un famoso luminare ginecologo, legato ai ritmi di orario diurno.
 Quelle erano le ore migliori per andare a vedere le case in giro, ore che spesso sfociavano in lunghi straordinari serali, assai ben pagati, che erano la nostra maggiore fonte di denaro per la casa futura.

I proverbi di Giobi erano diventati un’arte, la sua raffinatezza certo non era capita da tutti, con  una frase mi descriveva la casa, magari in un messaggio di segreteria  telefonica, o di e-mail, o di cellulare.
Da parte mia il significato mi era puntualmente oscuro, ma una volta vista la situazione in causa, gli riconoscevo una certa logica, abilmente o involontariamente  cammuffata.

Una volta mi chiamò di mattina  presto, disse che aveva trovato la casa per noi, la cui definizione  era “Gallina vecchia  fa buon brodo e i cocci sono vostri”. (…)
Ci trovammo nel tardo pomeriggio, dopo il mio turno e andammo in loco, trai due argini del fiume Serchio, in corte Maggianelli, era una bella giornata.
Aveva sul fondo un grande terreno, la casa era forte, di pietra, ‘vecchia come il cucco’, ma in buono stato e da pagare alle nostre condizioni, ad un prezzo che era la metà di quello che avevamo pensato di spendere, con un lotto di tegole, mattoni e altro materiale da costruzione, già comprato per il restauro, un anno prima e non utilizzato per ragioni di famiglia.
Lati negativi:  nello spazio trai due argini l’assicurazione  non copriva i danni di eventuali  inondazioni e un tremendo puzzo di brodo di gallina, in tutte le stanze.
Adriana disse di no, ma chi se ne fregava se l’assicurazione non pagava i danni dell’alluvione?
Noi non avremmo certo pagato nessunissima assicurazione sulla casa, noi, e con ogni probabilità saremmo riusciti a scacciare il fetore di brodo di gallina con un nuovo intonaco.
La descrizione di Giobi era divertente, anche se Eugenia non amava le misture di maniere di dire e si ostinava a correggerlo, lui ci godeva anche di più.
 “Gallina vecchia fa buon brodo e i cocci sono vostri” era un proverbio e mezzo,(con opportuna variazione del pronome possessivo,) in allusione al puzzo di brodo di gallina, al buon prezzo della vecchia casa e ai pezzi nuovi per la riforma, che entravano nel pacco senza aumento.
Insomma: niente da fare e con l’appoggio di Anna Ritona, che, pur non richiesta, dichiarò e sentenziò, a pochi centimetri dal sorrisino ironico - ma non troppo - di Giobi.

Comunque per me, la casa era scivolata progressivamente in secondo piano, avevo scoperto, ormai definitivamente, che non avevo voce in capitolo, e mi ero abbandonato nella corrente dei proverbi, che tra Giobi e Eugenia scorreva vorticosa.
Impossibile ricordarsi di tutte le opzioni rifiutate, per un motivo o l’altro, prima di approdare, sorprendentemente, dove stiamo ora e assai felicemente, direi.
Alcune delle ‘proverbiali occasioni’, però, mi risultano difficili da scordare, in più, non avevo potuto fare a meno di notare che le uova e le galline ci perseguitavano.

In una piovosa sera di autunno, Giovambattista Pasqualangeli mi chiamò in ufficio, in caserma, disse il suo bravo proverbio, fece una ghignata diabolica  e riattaccò.
L’andai a vedere il giorno dopo, sotto la pioggia incessante, nel primo pomeriggio, dopo una notte mal dormita e un turno di lavoro.
Era enorme, non troppo lontana dal centro, località Pinaccione, in buone condizioni di conservazione, la sua forma caratteristica  ad uovo, una metà sezionata in lunghezza,  sdraiata, per la precisione… ovale, bianca e dalle piccole finestre.
Ex rivendita di prodotti galliniferi, uova, polli, pulcini, mangimi speciali.
Il prezzo era buono, il terreno era grande, le condizioni di pagamento ottime, era chiaro che nessuno la voleva, per ovvi motivi, ma non per questo noi dovevamo seguire la corrente…
Il proverbio era: “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”, aggiunse Giobi con la massima serietà, che era meglio prenderla oggi, anzi subito, perché se la gallina del giorno seguente, fosse stata proporzionata all’uovo, che già era gigantesco, sarebbe stato un ottimo affare non aspettarla  e… ‘tagliare la testa al toro’.
Anna Ritona si limitò a prenderlo ad ombrellate.
Eugenia questa volta passò dalla nostra parte, anche perché il proverbio era originale e ‘senza mescolanze idiote’, ma, purtroppo, le due donne adulte avevano, evidentemente, maggior  peso nella somma delle due famiglie, e non se ne fece di niente. Anna Ritona da sola doveva pesare quasi un centinaio di chili, a occhio e croce, almeno a quell’epoca, ma poi iniziò ad ingrassare.
Per dei giorni, ogni volta che ci pensavo, mi ricordavo la faccia di Giobi simulare il relativo spavento, quando parlava della minacciosa  e sproporzionata  gallina del giorno dopo…

‘Prendere la vita come viene’, questa fu l’intenzione, forse, dell’insegnamento di Giobi; la casa era diventata un divertente  passatempo, per me, ormai passavo un sacco di tempo a pensare ai possibili proverbi che si potevano adattare ad una metaforica  definizione di casa.
In caserma avevano notato la mia espressione distante e la mia crescente tendenza a rispondere con modi di dire misteriosi, alle loro questioni.
La vita a Lucca è scarsa di divertimenti, fatta di interminabili serie di routine composte di altre routine più piccole, insomma, il povero vivente deve pur inventarsi qualcosa…


Non mi ricordo se fu prima o dopo della casa “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”,  ma venne fuori un’altro modo di dire da pollaio, in una cena a casa di Giobi e Anna Ritona, che fece divertire la combriccola  e causò rimproveri e urli da parte di lei, in direzione di lui, che però non sembrò minimamente  accorgersene.
Dopo qualche bicchierotto di Santa Cristina, portato da noi, Giobi se ne era uscito con il detto popolare: “Quando troppi galli cantano non arriva mai l’alba”, evidentemente e dolcemente esortativo per una maggior collaborazione di sua moglie e della mia compagna, a non rifiutare sempre e comunque le ottime offerte che il mondo, generosamente,  ci proponeva.

Poi seguirono altre decine di case da polli, galli e galline, uova, penne e piume e razzolate tra i ciottoli della provincia.
Non sto a raccontare le case ‘gallina che canta ha fatto l’uovo’, ‘gallina che non razzola ha già razzolato’, ‘quando il gallo esce i pulcini ballano’, poi ci fu addirittura  l’appartamento‘ a pollo donato non si guarda il becco’…  ritenuto papabile perché dotato di giardino e in località tranquilla, ma la commissione lo rifiutò.
Un giorno magicamente  tutto  terminò, niente più galli e galline, ma la casa non l’avevamo ancora trovata.

In seguito i pollai non s’infilarono più in mezzo, anche se mi rammento del successivo intervento di lupi e orsi, e le cose non parevano migliorare.
La casa ‘La fame caccia il lupo dal bosco’, visitata in un mattino di freddo invernale, era troppo lontana da tutto, la strada sterrata e piena di voragini, scavate dall’acqua piovana, era da rimettere a posto, l’allacciamento della luce elettrica e del telefono erano ancora da fare, il prezzo assai basso, nel vasto terreno c’era anche un meraviglioso ruscello, dentro il bosco di proprietà della signora Giannina Dalla Vedova, che invece non si era nemmeno mai sposata .
Secondo Giobi ‘si poteva acquistare come investimento per poter poi rivendere al doppio, dopo una serie di modifiche e migliorie’, oppure si poteva anche abitare ‘per separarsi definitivamente dal decadente ed immorale mondo globalizzato’.
Anna Ritona disse che era un’affare da considerare, anche se a lei del mondo globalizzato non gliene importava un fico secco: ci si potevano guadagnare dei soldi, ma Eugenia e Adriana, questa volta solidali, opposero il loro veto assoluto.
Giobi mi guardò con una strana espressione delusa e disse “Chi russa si addormenta sempre per primo”.
Apparentemente  nessuno capì, forse era un detto che aveva a che fare con le ingiustizie della vita, ma non l’avevo mai sentito dire.
Eugenia mi spiegò, poi, che era una delle tante leggi di Murphy, raccolte in quattro librettini che poi Giobi, su mia richiesta, mi prestò, scritti da un tale Arthur Bloch, che faceva sorridere e riflettere sulla base di un pessimismo esagerato, quasi da caricatura, bizzarramente  geniale.

In un pomeriggio di primavera apparse la scritta cubitale sul mio computer di ufficio, in caserma: “A volte tu mangi l’orso, altre volte è l’orso che mangia  te.”
Giobi mi spiegò, poche ore dopo, viaggiando sulla sua Mercedes dorata, che era un proverbio popolare delle montagne  rocciose, negli Stati Uniti, l’aveva sentito dire nel film “Il grande Lebowsky”.
La casa aveva tutto ciò che poteva interessarci, cioè a Adriana piacque subito e Eugenia e Anna Ritona concordarono che era proprio quello che ci voleva, io già pensavo con rimpianto a quanto mi sarebbero mancati i proverbi di Giobi sulle case, ma lui disse: “Non si sa mai chi ha ragione, ma bisogna sempre sapere a chi darla”.
Poi in in un orecchio mi sussurrò:”La  migliore difesa è l’attacco  degli altri.”
La casa, però, aveva problemi di agibilità, il padrone la vendeva a un prezzo basso ma non troppo, le crepe si riformavano e venivano nascoste dal restauro, l’abitazione scendeva lentamente ma inesorabilmente verso l’incantevole  laghetto sottostante.
La vendita in malafede poteva essere testimoniata dai geologi che ci avevano fatto ripetuti test, insomma era una lotta, dalla quale avremmo potuto anche uscire vincitori, ma anni e anni dopo.
Meno male che Giobi sapeva di tutte queste cose e ce le disse subito, questa volta, a scanso di equivoci, senza proverbi  in mezzo.
La decisione fu unanime.

Mi ricordo che Giobi e Eugenia mitigarono la cocente delusione, nella nostra compagnia, con un batti e ribatti pirotecnico,  fu lei che iniziò:
E:“Non c’è rosa senza spine.”
G:“Tutto è male quel che finisce male.”
E:“Vale più la pratica che la grammatica.”
G:“Non si può avere la botte ubriaca e la moglie piena.”
E:“Ride bene chi ride l’ultimo.”
Seguirono le dovute correzioni di Eugenia e una borsettata di Anna Ritona al marito, ma data trattenendosi dal ridere.

Sembrerà trano, ma la casa dove viviamo ora, già da quattro anni, l’abbiamo trovata senza il loro aiuto.
Giobi l’ha chiamata, con un po’ di amarezza, tanto per riallacciarsi a uova e galline:  la casa ‘uovo di Colombo’, perché era tanto ovvia, che nessuno ci aveva pensato .
È quella dove abitavamo  prima, con qualche dovuto restauro.
Con il movimento insistito e ripetuto di Giobi, per più di un anno, ormai, nel raggio di venti chilometri, tutti sapevano che volevamo comprare una casa.
Ecco che il proprietario della nostra, l’eccentrico signor Battistoni, un giorno, ce la offerse e il prezzo ci parse ragionevole, potevamo permetterci  anche  le famose modifiche, riforme e migliorie.

Non c’è nessun laghetto o ruscello, il bosco è fatto di due unici grandi pini che fanno immancabilmente un sudiciume dannato quando c’è vento, ma il terreno - anche se non grande - è sufficiente per giocare a pallone e il vicino di casa, con quell’esercito di cani feroci che abbaiavano giorno e notte, ha traslocato e non vogliamo neppure sapere dove.

Giobi e Anna Ritona ci sono rimasti un po’ male.
I nostri reciproci inviti sono continuati, ma l’atmosfera era assai cambiata.
Lei era un po’ più aspra del solito, chiudeva la bocca nei momenti di pausa, cioè quando si assentava per via di qualche urgenza idraulica o cose di questo genere.
Dopo giorni e giorni di proverbi ammutoliti, lui ha poi lanciato il suo urlo di dolore, o qualcosa di simile, una sera, a casa nostra, davanti ad un formidabile  quanto lugubre piatto di spaghetti al nero di seppia, che non gli riusciva di finire.
Ha alzato il suo bicchiere di Vernaccia di S.Gimignano e, sopo un ruttino sommesso, ha affermato:
“La gente a cui piacciono le salsicce e rispetta la legge, non dovrebbe mai guardare come entrambe vengono fatte.” 
Un proverbio che apparentemente non aveva niente a che fare col caso e perciò nessuno se ne poteva offendere, ma non s’intendeva nemmeno bene dove voleva andare a parare.
Certo, si vedeva che qualcosa non gli era andato giù, ma potevano anche essere stati gli spaghetti: il nero di seppia è pesante, lo sanno tutti.
Secondo me, però, era chiaro che ci voleva ancora bene, anche perché, dopo averci ha pensato un po’ su, in silenzio, con una faccetta ironicamente inespressiva, davanti ad una coppetta di macedonia di frutta di stagione, ha dichiarato:
“Il senno di poi è una scienza esatta.”
Il sorriso che ha aperto subito dopo, la maniera con cui ha preso il cucchiaino ed ha attaccato  con entusiasmo e decisione la macedonia, non ci ha lasciato dubbi: ci aveva perdonato.
Oppure aveva digerito.







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