Secondo il nostro concetto occidentale, gli indios sudamericani non sono affatto un buon esempio di apertura mentale, né certo di cultura globalizzata, ma rappresentano, un po’ per tutti, un ritardo incredibile sull’orologio della macchina del tempo.
C’è da notare che loro non hanno nemmeno la pretesa di essere qualcosa di somigliante ai nostri gusti.
Indio Velho, autosiglatosi IV, è uno che ha viaggiato per i cinque continenti, studiato da autodidatta un po’ di tutto e vissuto con i bianchi e altri popoli di vario tipo e colore, prima di ritirarsi… come dice lui, a vita privata.
L’ho conosciuto, pochi mesi fa, lassù nel suo boschetto, sulla collina di fronte a casa mia, ero andato a fare un giro con i miei cani e proprio uno di loro l’ha scovato, seduto su un sasso, con gli occhi chiusi e le mani sui ginocchi.
Dopo avergli abbaiato per un po’, quando IV ha lentamente aperto gli occhi, Alfio si è miracolosamente chetato, poi si è lasciato accarezzare da lui e io mi sono avvicinato, sembrava un rugoso indiano ‘apache’ di un film americano, aveva anche una fascia sulla fronte.
Ora, quando lo vedo, penso alle condizioni, spesso penose, in cui si trova la sua gente, vedo in lui quasi l’opposto, eppure c’è qualcosa che li unisce e che mi affascina: la ribellione tranquilla e pacifica a tutto ciò che gli accade intorno, da secoli.
Usurpato e massacrato, ripetutamente violentato sul suo stesso territorio, l’indio brasiliano ha rifiutato di mischiarsi al popolo invasore e ultimamente - amara ironia della fine del nostro secondo millennio - ci si è perfino stupiti se ha protestato per i festeggiamenti dei 500 anni della scoperta del Brasile, dichiarando che lui era qua da prima e che è stato scoperto, sì, solo nel senso che gli hanno tolto la coperta.
Insomma, essere un indio è tutt’altro che facile, in Brasile, in questi tempi moderni, ma uno di loro, IV, ha deciso di essere prima di tutto un essere umano e una persona, vincendo la resistenza di secoli di mentalità completamente estratta da quelle classiche occidentali o anche di altri tipi di popoli, un indio è solo un indio ed è diverso da tutto e da tutti, questo almeno nella gran maggior parte dei casi.
IV, però, è qualcosa di ancora più diverso.
Ha scelto la sua strada senza protestare, non ho mai conosciuto nessuno più soddisfatto di lui, eppure sa benissimo tutto ciò che è successo prima, quello che sta succedendo ora, forse anche – molto meglio di me - quello che succederà dopo.
La sua filosofia è quello che gli permette di vivere così.
La logica per lui risolve tutto, filtrata dalla sua filosofia, certo, a sua volta derivante dalla sua esperienza di vita.
“Come va l’esistenza?” Mi ha detto con uno sguardo indescrivibilmente pacifico e serio.
“Bene, bene… stavo facendo un giretto.”
“Bravo. Ti piace la natura, eh?”
“Mi piace sì, vivo in quella casa là di fronte, sull’altra collina, vede?”
“Ah sì, ma non c’è bisogno di darmi del Lei, uomo, non che mi offenda… insomma fai come vuoi.”
“D’accordo.”
“Lo sai? Io mi sono sempre chiesto chi aveva fatto una casa così differente dalle altre, da qui sembra una facciata rossastra, con niente dietro…”
“Sì, è vero, ma è veramente stretta e lunga, anche alta, la parte che si vede ha un’altezza di otto metri, lo so perché ho fatto da solo l’intonaco…”
“Si vede, ma non ti offendere… ti dico la verità: a me piace così, rustica, così differente dalle altre e senza badare ai canoni di architettura di qualsiasi parte del mondo… anche la mia dimora si basa sugli stessi principi fondamentali, eppure è abbastanza differente dalla tua…”
Indio Velho, autonominatosi senza cerimonie ‘Sceriffo della palude collinosa’, vive lì, in una baracchetta di legno che ha appena lo spazio per stare sdraiati su una brandina e per un rudimentale fornello a legna che si è fatto con le pietre.
In Amazzonia l’indio continua a campare alla stessa maniera di migliaia di anni fa e questo in generale viene detto con disprezzo, ma certo là in mezzo alla foresta, non si sa nemmeno cosa è lo stress, come non si conoscono, parimenti, altre malattie moderne.
Quando posso mi trasferisco nello spazio e nel tempo, in quel luogo ideale e calmo, insieme ai miei due cani, verso quella piccola palude romantica, che è sulla collina di fronte a casa mia.
C’ero stato spesso, anche prima di conoscere IV, ma ora ho un motivo in più per andarci, almeno una volta alla settimana, a fare un giro, è un boschetto incontaminato in mezzo ad un ‘banhado’, una specie di palude periodica del Brasile.
Lassù dove i tramonti mandano una luce primitiva e autentica, piena di bellezza incantatrice, i rumori delle automobili e sirene della polizia e di ambulanze paiono lontani, il vento fischia un poco di più ed insetti ed uccelli dialogano contemporaneamente, magari separatamente, intrecciando i loro rispettivi ronzii e cinguettii sotto il sole che va e viene, tra le nuvole basse.
Mai viste nuvole così basse come in Brasile.
Specie qui nel sud del Brasile più meridionale.
Alfio e Pasquale, i cani, si godono la libertà della natura e corrono soddisfatti di qua e di là, con la lingua penzoloni.
Nelle periferie delle grandi metropoli vive in capanne di nylon nero e il suo stato è di miseria ed abbandono, ai margini più sporchi e insalubri, l’indio intreccia e vende cestini di vimini.
Avevo sempre avuto bisogno di uno come lui, per chiedergli cose e ricevere in cambio delle belle risposte, magari utili e illuminanti, riguardo i miei recenti interrogativi, oppure anche semplicemente per intavolare una conversazione interessante, o solo piacevole.
È già difficile trovare qualcuno che abbia tempo, in più lui ci mette una serie di altre qualità entusiasmanti…
Indio Velho ha una grande esperienza in conversioni, si è sempre dato, anima e corpo, a quel che credeva.
Quello che ha imparato, di conseguenza, è forse il contrario di quello che la gente normalmente fa: IV dice che è bello capire e riconoscere di aver sbagliato tutto fino a quel momento, perché ricominciare ci fa sentire vivi.
L’umiltà di ammettere il proprio errore è fondamentale per riuscirci a imparare qualcosa di utile, per l’immediato futuro.
Trincerarsi sulla propria posizione è quanto di più idiota può esistere, è come tapparsi gli occhi, infilare la testa in un buco, come gli struzzi, di fronte al pericolo.
Spesso la gente agisce così, per debolezza, per non affrontare la necessaria rivoluzione che ne consegue.
Questo vecchio saggio, rappresenta - per noi -un’assenza atavica e filosofica, per la cui presenza nessuno muoverebbe un dito, là in basso, dove io passo le mie giornate di lavoro.
Sì, è un attraversatore esperiente del mondo, uno che può dare regole e mostrarne addirittura l’applicazione, non ci sono in giro molti esseri umani del genere e, disgraziatamente, non se ne sente affatto la mancanza, perché non si ha nemmeno il tempo di pensarci.
IV chiama le persone che vivono là sotto i Valligiani, mentre io, che abito in collina ma lavoro in città sono un Collinare, il mio vicino, di cui gli parlo spesso, è un Valligiano, perché abita in collina, sì, ma gli piacerebbe abitare in città.
Lui, Indio Velho, è un Montanaro.
Nessuno pensa alla saggezza, tra i Valligiani, i Collinari forse ci riflettono un poco di più, per motivi puramente geografici e, è chiaro, per le loro necessarie conseguenze.
In montagna ecco che abbiamo i pochi casi conosciuti, di umani persi in un mondo in cui non si fa male a nessuno e si ragiona del più e del meno, senza pestare i piedi al proprio prossimo, non perché ci piaccia, il prossimo, non necessariamente, ma perché fa parte di una certa filosofia.
Indio Velho parla un portoghese perfetto, con grande varietà di vocaboli, ma conserva un tipico accento indio.
Ha la faccia liscia, senza rughe, gli occhi diagonali, non è per niente selvaggio, ma ha scelto di vivere nei boschi del Morro Teresopolis, perché la sua idea di vita, in progressivo cambiamento, glielo ha suggerito e per questo è un esempio refrigerante e rigenerante per me, che passo le ore perso per le rumorosissime vie della capitale, in mezzo a gente anche piacevole, simpatica e tutto, ma un po’ troppo agitata e che fa agitare anche me.
IV dice che in genere, la gente non sceglie, s’infila in un tunnel di situazioni concatenate ed esce, viva o più frequentemente morta, molto tempo dopo.
Nelle loro comunità, nelle foreste pluviali, l’indio pratica caccia e pesca, un po’ di agricoltura e nel rapporto uomo e donna non prestabilisce limiti o canoni, di nessun tipo: esistono nuclei di due uomini e una donna, come di tre donne e un uomo, a differenza della maggior parte delle civiltà occidentali e orientali, tranne poche eccezioni e tutte a vantaggio dei maschi.
Indio Velho è un indio vecchio, lo dice il suo nome stesso in portoghese, saggio come un diavolo di angelo bonario, che vive di non so quali alimenti, giacché non me ne vuol parlare mai, anche se glielo chiedo sempre, su una collina ai limiti della grande città.
Mi piace vederlo mentre si ciba di valori veri e dimenticati nella corsa al denaro, nel giorno per giorno dell’uomo comune che, secondo lui, è una specie in estinzione, progressivamente sostituita dall’uomo banale, l’uomo che non sa quello che vuole, ma lo vuole fino in fondo.
Per IV, vivere male, significa non concedere a se stessi più di una opzione.
Per andare a trovarlo dobbiamo risalire la collina a piedi, i cani ansano e bilanciano la lingua verso il basso, io che sono un ex quasi snello, senza più nessuna ambizione di magrezza, ho una lingua più corta e i miei polmoni faticano a mantenere il ritmo, a differenza di loro, posso sudare e già che ci sono, sudo a volontà.
Arrivati sul falso piano, usciti dal bosco grande, dobbiamo attraversare la palude, di acqua non ce n’è molta, ma è seminascosta da questa specie di giunchi, è sufficiente per bagnarsi fino ai ginocchi, se si incappa nella pozza giusta… o sbagliata, ecco che devo studiare meticolosamente ogni mio passo, Alfio e Pasquale invece ci s’infilano dentro, sebbene la temperatura oggi non sia troppo mite, per loro pare una goduria, che in un certo senso gli invidio.
Pasquale era rimasto indietro, il piccoletto, s’indovina dov’è dal movimento dell’erba alta e dal relativo fruscio, invece Alfio supera le punte vegetali di una testa, ma la sua è una testona triangolare e in più le sue orecchie ritte sfidano ancora di più il cielo…
Entrati nel boschetto loro sanno già dove andare e li seguo, perché io invece mi perderei, non ci sono viottoli, quell’uomo non ama fare più volte lo stesso percorso… ma loro sentono l’odore di Indio Velho, mentre io non lo distinguo dall’odore caratteristico che c’è qua in giro.
L’umidità è forte e odorosa di muschi e acque ferme, ci sono degli avvoltoi che volteggiano nel cielo, li vedo apparire e scomparire tra i rami, mi pare di sentire dei tamburi, ma forse è il mio cuore che batte troppo forte.
Mi fermo a riposare un momento.
Quando il mio respiro ritorna alla normalità, sento un improbabile rumore alla mia sinistra e girandomi scopro Indio Velho che sta placidamente voltando la pagina di un libro, seduto su una pietra larga e piatta e disegnata dai licheni di vari colori e consistenza, in una minuscola radura dove il sole, fuggito per un attimo dalle nuvole, riesce a battere su pochi metri quadrati di terra erbosa, per pochi secondi.
Indio Velho mi guarda profondo e serio, chiude il libro lentamente, accarezza i cani, i suoi occhi come due fessure, c’è una pace liquida e sonnolenta, la luce ora è dorata, a fette, il verde attorno vivissimo.
“Olà professore di lingua e cultura italiana.”
La sua voce pare adattarsi bene alla natura circostante, la mia invece pare meno armonica, spezza la qualità di quel silenzio fatto di mille piccoli rumori, sarà colpa dei miei polmoni stanchi:
“Olà Indio Velho, come va la vita in mezzo alle frasche?” Gli dico avvicinandomi.
“In mezzo alle frasche niente di nuovo, perciò la vita va bene, si riesce a leggere e anche a meditare, a fare un’osservazione minuziosa e piacevole della natura, la respirazione funziona a dovere anche perché la facciamo quasi esclusivamente col naso, le orecchie filtrano i sussurri della boscaglia e da lontano si sentono gli infernali rumori che fate voi laggiù, scureggioni, che dite di correre dietro alla felicità…”
“Sì, lo so, siamo gente abituata ai rumori forti, vogliamo solo emozioni violente, la televisione sempre accesa e a tutto volume, e se te li portassi qui, i Valligiani, il tuo silenzio li farebbe impazzire…”
“Il silenzio non è mio, è alla portata di tutti, almeno in teoria… anche se nessuno lo vuole, ma tu dici che non resisterebbero, a questo fragoroso silenzio?”
“Non lo so, non ci sono abituati, di sicuro non gli piacerebbe. Magari gli spaccherebbe i timpani…”
“Beh, allora è meglio che non ci vengano qui, pazienza.”
“Pazienza, sì, sì, ci vuole pazienza, ma tu di pazienza ne hai da vendere, mi pare…”
“Ma la pazienza nessuno la compra…”
“Hai provato ad offrirne in giro?”
“Sì, ma per quanto sia preziosa, non è quotata in mercato. Ne ho immagazzinata un bel po’, l’ho mostrata alla gente e gliene ho decantato le proprietà miracolose, ma sembrano considerarla senza valore, allora sono costretto a tenermela.”
“Per me ha un grande valore, invece, potresti darmene un poco, te la pago, ne ho un gran bisogno io, con il mio lavoro…”
“Prendine quanta ne vuoi, io ne ho di avanzo, non voglio niente in cambio.”
Dice con finta aria solenne e poi sorride.
Sto pensando seriamente a come farò a prendere e a portarmi via un carico della preziosa pazienza di Indio Velho, ma la soluzione si trova già in questa pausa del dialogo, solo a vederlo mi viene da essere più paziente e tollerante, esattamente come a vedere certe persone stressate mi stresso anch’io, queste cose magari sono trasmissibili o forse anche contagiose…
Quando mi sento di aver immagazzinato abbastanza pace e serenità, poi, gli domando:
“Ma tu, piuttosto, non ti senti solo, qui?”
“Mi sono già sentito solo, all’inizio, ma avevo avuto già tanta compagnia, prima, ora è stivata in deposito, tu non lo sai, ma io ho attraversato il mondo, in lungo e in largo, ne ho conosciuta di gente, sono un po’ stanco di tutto quel parlare, sì… parlare è bene ma stare zitti ha anche il suo fascino… quelli che parlano di più sono quelli che hanno meno da dire, la conversazione è un’arte, ma la gente ha bisogno di fare tutto alla svelta, non ha tempo e poi, quando ne ha, pensa ad altro… comunicare è importante e necessario, ma dovrebbe essere anche un piacere. Invece è diventata principalmente una necessità. Ed ecco che il suo fascino è diminuito, almeno per me.”
Ora che il sole sta scendendo e nella boscaglia sta diventando sorprendentemente freddo, Indio Velho si alza ed io lo seguo, camminiamo insieme senza parlare.
La sua presenza è rassicurante, per me, non come quella di una guardia del corpo, cosa da Valligiani, ma piuttosto come quella di una guardia della mente, che è tipico dei Montanari.
Una guardia della mente che sa attraversare ogni quesito con il suo ragionamento, la sua filosofia personale, senza pretendere di risolverlo, senza dover credere che tutto abbia necessariamente una risposta definitiva.
Insieme a lui non mi sento in dovere di parlare, riesce a trasmettermi la sua energia quieta a sguardi, a gesti, anche nella sua immobilità in mezzo al cinema esotico della natura circostante.
Usciti dal boschetto, attraversata la salita coperta da erbe basse, certo spuntate da poco e di un verde chiaro vivissimo, siamo ora su un altopiano più largo, vicini al crinale, il vento è aumentato.
Ci sediamo su una pietra, qui il vento è più caldo, nella boscaglia invece l’aria era ferma, umida e fredda, si rabbrividiva.
I suoi occhi si spostano verso il crinale e il suo naso sembra fiutare a lungo, come quello di un cane:
“Hai sentito qualche odore o qualche variazione nello spazio e nel tempo?” Gli domando ironicamente.
“Sì. Domani pioverà, o forse stasera, o stanotte.”
“Come fai a saperlo?”
“Aria di pioggia, dal lato del fiume, di là gli odori arrivano in anticipo.”
Non mi sorprendo, in città non si riusciamo più a sentire gli odori della natura, ma una volta la gente era più legata a queste cose… Indio Velho è come un vecchio cane selvatico della boscaglia, sente tutto e tutto ha il suo significato, là in mezzo, per lui.
Là sotto, nella grande città, invece noi barcolliamo nel buio, non capiamo la metà di quel che ci succede, siamo barchette in mezzo alla tempesta.
Indio Velho fiuta e vede e ascolta, è sempre padrone del suo presente e non pensa troppo al passato e al futuro.
“I cani lo fanno ancora. Fiutano. Loro non perderanno mai il loro contatto con la campagna, il loro bagaglio di memoria gli viene trasmesso, istintivamente e spontaneamente, noi da piccoli dobbiamo imparare tutto, gli animali invece hanno tante nozioni acquisite dai loro predecessori, che sono praticamente autosufficienti da subito, noi invece, senza i nostri genitori moriremmo, nei primi giorni.”
“E allora?”
“Allora la nostra scarsa attitudine fisica, ai primordi, ci ha fatto sviluppare l’intelligenza.”
“Secondo te eravamo predestinati?”
“Non lo so, ma se fossimo stati ugualmente abili a procacciarci il cibo, come gli altri animali, forse ora non saremmo così complessi.”
“Questo è il famoso elogio all’inferiorità?”
“Esatto, ma se ora abbiamo sviluppato tutto questo progresso attorno a noi, ci siamo distanziati da loro, gli animali, e dalla natura e siamo diventati di nuovo inferiori, è perché non stiamo bene…”
“In che senso?”’
“Non capiamo più qual è il senso della vita.”
“Ma come, non è il denaro?” Dico con uno stupido sorriso indagatore.
Indio Velho ride di gusto, poi sorride amaramente, infine guarda lontano, serio e pensieroso, dietro alle mie spalle, sa che laggiù il denaro detta legge. È per questo, e per le sue dannate e ramificate conseguenze, che lui ha scelto di vivere qua.
“ ‘Il denaro è il prezzo della vita’, non mi ricordo chi lo ha detto, ma credo che sia vero. Io però, credo che il senso della vita sia da cercarsi nella natura, più ce ne allontaniamo e meno ci sentiamo bene.”
“Allora tu cosa suggeriresti?”
“Di cambiare argomento.”
Tre giorni dopo, nella mia visita seguente, iniziamo a parlare dei giovani.
A proposito dei giovani, lo so, lui vuole che gli racconti i dialoghi che sento in giro per la città, lo fanno ridere, si diverte e dice che impara tante cose nuove, specie quando riesco a trovargli qualche storia inedita.
Oggi ne ho una che forse gli piacerà:
“L’altro giorno ho sentito una conversazione interessante per strada.” Propongo, con sguardo intrigante.
“Tra giovani?” Incalza vivace Indio Velho.
“Giovanissimi.” Dico orgoglioso di me e del mio ruolo di osservatore acustico, per lui, della società moderna brasiliana.
“E com’è stata?”
“Rapida, ma simpatica e indicativa.”
“Sono pronto. Raccontamela allora. Che diavolo aspetti?” Dice preparandosi seduto Indio Velho.
“Sì, va bene, ma non c’è bisogno di sedersi, è velocissima. Dunque: ieri pomeriggio c’erano due ragazzine che passavano camminando davanti a me, avevano forse quattordici o quindici anni, non lo so, siccome avevamo quasi la mia stessa velocità di passi, prima che attraversassero la strada, le ho sentite raccontarsi le loro cose… e qui devo dirti che, per loro, quello che dicevi, qualche giorno fa, della necessità del comunicare e dello scarso piacere nel farlo, non vale, sembravano veramente contente di parlare tra di loro…”
“E che dicevano, che dicevano?” Domanda lui.
“Bene, una di loro, quella che parlava di più, ha raccontato: ieri ho incontrato Mello, e lui mi ha detto: ‘perché non facciamo non so cosa, non so quando, insieme, uno di questi giorni?’ ”
“Ah, bello, e lei che cosa ha risposto?” Chiede Indio Velho.
“ ‘Ma quanto tempo ci vuole?’ Ha domandato. Già che la seconda ragazzina glielo aveva chiesto immediatamente, come te. ”
“E l’altra, e l’altra?” Domanda IV.
“ ‘Ah, questo non lo so’ ha detto la prima ragazzina.”
IV ride pensieroso, lo sguardo alto oltre di me, come se si immaginasse la scena, per qualche secondo.
Poi dice entusiasta:
“Meraviglioso, piccola-grande storia, sei un grande osservatore Emanuele, questo è uno stupendo esempio di stringata banalizzazione moderna, pieno di mancanza di significato e perciò autenticamente significativo e significante, ma… a proposito: cosa diavolo significa?
Ecco, ti dico la mia interpretazione: i giovani non specificano più le situazioni che già appartengono a schemi standardizzati e conosciuti da tutti e si riferiscono ad essi con parole e frasi cortissime e convenzionali.
(Un po’ come la barzelletta del club dei raccontatori di barzellette, che ormai le raccontano citandole e ridendo usando i loro relativi numeri di riferimento dopo averle catalogate…)
Insomma, le persone nel mondo globalizzato pensano di non avere tempo per stare a conversare e allora usano i nomi per le situazioni, avendole da tempo catalogate e divise in categorie… la totale assenza di specificità appiattisce e semplifica tutto, senza doversi dilungare in descrizioni noiose e fuori moda, dato che il tempo corre…
Fenomenale.” Aggiunge lui.
“Fantastico.” Aggiungo io con malcelato poco entusiasmo.
“Incantevole.” Termina Indio Velho con grande gioia bambina.
“Ma questo non è anche un poco triste?” Rincaro allora, da mezzo avvocato del diavolo, per capire meglio cosa ne pensa Indio Velho e perché penso, in fondo-in fondo, che sia triste veramente.
“Non lo so se è triste.” Dice lui. “Ma la gente è così, specialmente quella giovane che studia e quella che lavora, mi pare che veramente non abbia tempo, per conversare come vorrebbe e comunque non ci è più abituata…
Non si sente più piacere nella conversazione, nella modernità tutto si frammenta, tutto diventa rapido e necessario, allora si va al passo con i tempi, oppure si viene dimenticati, basta pensare ai computer, all’economia virtuale, ai dialoghi tra persone che lavorano, ai cellulari e ai messaggi di testo o di voce, agli incontri rapidi e in più interrotti da continue telefonate, la comunicazione sta correndo come impazzita, per forza diventa uno stereotipo, perché la descrizione è molto più lenta, si deve sintetizzare al massimo, per mantenere il ritmo…” Aggiunge lui, con entusiasmo, come se fosse una catena di cose positive.
“E questo non è malinconico?” Domando io.
“Forse sì o forse no, ma quello che noi dobbiamo pensare è che la natura stessa non si fa questa domanda, va avanti e non pensa alle soluzioni, ma vive la sua realtà dolorosa o meravigliosa che sia, dipende dai punti di vista, ma la natura non ha punti di vista è qualcosa di enorme e mischiato, e in movimento.
Io cerco di ragionare in questa maniera, essendo io stesso poco ragionevole ma assai pratico, le soluzioni per me sono diventate automatiche, da qualche anno a questa parte non ne ho più, di decisioni, tutto si muove da solo.
Come la mia maniera di isolarmi, che non è stata cosciente né improvvisa, ma il risultato di tutto quello che ho vissuto prima, sommato al mio carattere, alle condizioni di vita che stavo attraversando…”
“Ma per fare così bisogna un po’ disumanizzarsi…”
“Certo, ma non fa così male come si pensa, animalizzarsi un poco, perché è il ritorno alle nostre origini, io sto meglio ora che di prima, certo non posso consigliarlo a tutti, ma chi se ne importa?”
“E allora non ti rattrista per niente questo processo di diminuizione del valore della cultura? L’appiattimento del dialogo, la morte della piacevole conversazione?”
“Forse sì, ma solo se sono cose prese separatamente.”
“Che cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che tutta questo progressivo peggiorare è solo una sensazione di gente che è abituata a cercare i difetti e non i pregi, a separare e non a associare, ma questa tristezza la maggior parte della gente non la sente, secondo me, perché si è abituata a vivere in questa maniera…”
“Certo che l’ignoranza e la povertà, almeno qui, fanno parte della vita di tutti i giorni…”
“Non solo qui, la storia si ripete come la geografia, la religione e la storia dell’arte, sì, sì, anche come la matematica… ridi? Ma è la pura verità, amico caro, tutto è copia di tutto, io non so immaginare un mondo differente, è sempre stato così e lo sarà ancora, nei secoli dei secoli…”
“Ma noi, però, dovremmo sperare che il mondo migliori, non è vero? Magari anche fare qualcosa affinché questo possa succedere.”
“Certo sarebbe bene, ma non tutti lo possono fare.”
“Non sono d’accordo. Secondo me tutti quelli che se ne rendono conto dovrebbero fare qualcosa, attivamente, non solo parlare.” Dico io.
“Il difficile è non guastare la propria vita, nella ricerca di un qualcosa del quale probabilmente non vedremo risultato.
Beh, il mondo è stato infelice sempre, più o meno come ora, anche se in maniera differente, si può scegliere un’epoca preferita del passato, ma non si sa se le persone erano più felici di ora.
Si potranno sempre migliorare alcune parti, ma allo stesso tempo altre peggioreranno, almeno dal nostro punto di vista.
Dal punto di vista di altre persone, invece, proprio le cose che per noi saranno peggiorate, per loro sembreranno migliorate e ogni cosa e il suo contrario si avvereranno puntualmente, insieme alle mezze misure, nelle minuzie come nelle cose importanti, ci sarà eternamente una mistura confusa, sarà sempre difficile trovare la verità, ognuno ne avrà sempre un’idea differente, in un momento, e in un altro sarà già cambiato…
Per esempio: siamo abituati a dire come nostre le parole di un commentatore televisivo, a crederci veramente come se fossero nostri pensieri, le frasi udite in giro e che ci sono piaciute, ma il nostro pensiero sarebbe assai differente se veramente conoscessimo i fatti e non le notizie… perché i fatti sono già stati presi e filtrati, mangiati e digeriti da quel giornalista… ”
Siamo rimasti zitti per qualche attimo, gli uccelli cantano forte, sono in tanti, mi pare che ci sia in loro una particolare agitazione, me ne accorgo solo ora, che Indio Velho mi ha aperto una nuova porta, come sempre.
Insistere nel mio punto di vista però mi porta a capire meglio, a sviscerare più completamente possibile l’argomento, come se immaginassi il punto di vista di chi sta di fronte a me e come se le parole di IV fossero le mie.
La pausa finisce quando io gli dico:
“Ma quella maniera di parlare, se ho ben capito, non ti piace, così rapida, disturbata, frammentata, sintetizzata, senza personalità. Se la gente vive in questa maniera, non è peggio anche per noi?”
“No, o almeno solo in parte, quella è la loro vita, come potremmo fare per uniformare il nostro pensiero a quello di loro? E anche se potessimo, non può essere che in alcune cose loro abbiamo ragione e noi torto? E poi noi chi siamo? Tu sei diverso da me, siamo tutti diversi… anche se ci sforziamo di apparire uguali.”
“Va bene, va bene, ma vedere gli altri che stanno male non fa stare male anche noi?”
“Sì, in un certo senso, ma è la condizione dell’uomo, se anche tutti gli uomini stessero bene, non sentiremmo pena per gli animali? Se potessimo anche risolvere tutti i problemi animaleschi, poi le piante e le pietre ci parrebbero sfruttate e mal retribuite della necessaria e dovuta gratitudine… la pietà, insomma, nel senso classico, la compassione, certo, è bene avercela… ma non dobbiamo esagerare, prima di tutto perché non siamo per niente onnipotenti.
Come fanno gli stessi animali? Il tuo cane, per esempio, pensa a se stesso, o forse nemmeno quello: cammina, abbaia, mangia, poi dorme, si procrea e non pensa mai, per esempio, a come sta male il cane del vicino che invece è legato e non può nemmeno farsi un giretto per il terreno recintato, e che nessuno lo accarezza mai…
Ecco: la pluralità porta la diversità e la diversità è più da accettare che da capire, il senso della vita è godersi la bellezza che c’è in giro, approfittare di quello che abbiamo e non stare a riflettere troppo su quello che non abbiamo noi o che gli altri non hanno.
In sintesi, se noi stiamo male per gli altri, è solo perché non sappiamo dare, a loro o alla situazione, la opportuna collocazione nell’ordine delle cose.
Invece, se ci dedichiamo un po’ del nostro prezioso tempo, formiamo la nostra filosofia personale e solo allora possiamo accettare, perché allora non è più una cosa passiva, ma attiva.
Ecco che possiamo aiutare gli altri, non dico materialmente, ma anche solo con la nostra presenza, una frase, una parola… cosa che non possiamo certo fare se stiamo in pena, se soffriamo, se la vita ci pare ingiusta e penosa, il bene che potremmo fare si tramuterà in dolore, questo sarebbe ciò che doneremmo agli altri, solo che di questo nessuno ne ha bisogno, però.”
“Ma allora come fai a giustificare a te stesso che esistono persone che muoiono di fame ed altre che invece hanno milioni di dollari in banca nelle isole Kaiman? Come puoi sentire giustizia nel fatto che questi secondi si arricchiscano sfruttando i primi?”
“Non sto dicendo che è giusto, ma solo che è inevitabile, perciò non me ne sento responsabile, come mi sentivo un tempo, che pensavo e dicevo che volevo cambiare il mondo e poi mi sono accorto che invece era me stesso che volevo cambiare e che il personaggio di lottatore politico che mi ero costruito addosso, anche lavorando come sindacalista, era quasi tanto falso quanto quello dell’industriale arrogante e vorace di sangue dei suoi operai… con le debite e necessarie proporzioni, naturalmente.
Insomma, ho pensato che tutti rientravamo nei modelli stereotipati di una società costruitasi nel tempo e nello spazio, progressivamente dimenticandoci della propria natura e calcificando e pietrificando odio nei propri ruoli, per arrivare a dimenticarsi anche degli obbiettivi, difendendo le proprie posizioni senza pensare più alla realtà al di fuori della mentalità standard del partito o della propria condizione – privilegiata, da un lato e scomoda dall’altro - di difendere coi denti la proprietà, senza accettare critiche o variazioni, ma solo difendendoci e attaccando… esattamente come facevano e fanno gli animali, nella foresta, gli uomini primitivi…
Però noi siamo uomini, invece, adesso più civilizzati di prima, almeno in teoria, abbiamo la nostra libertà - seppur relativa - a disposizione di tutti, o quasi.
Ecco che la pratica la dobbiamo sviluppare personalmente, ognuno in maniera diversa, evitando ogni tipo di schiavitù.
Cominciando da noi stessi, prima di tutto dobbiamo capire come siamo fatti noi, ognuno deve farsi un esame di coscienza regolare e cercare di non ingannarsi nelle risposte, perché rappresenteranno la base del nostro cammino futuro.”
Indio Velho si è scaldato più del normale, ha alzato la voce, ha accellerato il ritmo delle frasi.
Lo guardo incuriosito e cerco di infilarmi in quella fessura, in quel punto debole, perciò, di approfittarne, domandandogli subito in maniera leggermente provocatoria:
“Che cosa vuoi dire, che secondo te non vale la pena di fare attività politica? Che nemmeno i sindacati servono a niente?”
“No, al contrario, molte cose sono migliorate grazie agli scioperi e ai sindacati, all’esistenza di un’opposizione che controbilanci un potere che non deve mai diventare assoluto, sennò sono guai per tutti.”
“Qual è allora il tuo pensiero? Non ci ho capito niente.”
“Aspetta, non sono ancora arrivato al punto principale… però, rispetto all’attività politica e a quando facevo il sindacalista in Francia, quello che volevo dire era questo: in genere i ruoli diventano stereotipati, nessuno fa quello che dovrebbe essere fatto, si è legati al personaggio e si fanatizza in maniera perlopiù fanatica, con le mani legati da un lato e l’etica del partito dall’altra, senza mai uscire dai binari, si andava avanti come un treno, senza decidere né come né dove, in mano a meccanismi che non si capivano, ma si correva come matti.
Ecco, per questo ho messo metaforicamente in parallelo i due ruoli del politico di sinistra e dell’industriale di destra, tutti e due non escono mai dal loro ruolo e si portano avanti lotte standard con protesta e contro-protesta su un sistema binario che non ha mai variazioni significative.
Quando mi sono reso conto di questo aspetto ho abbandonato la politica, e l’idea di cambiare il mondo, è troppo dannatamente difficile spostare un sassolino, dentro ad un sistema di sistemi, in modo che abbia una qualsiasi importanza, in compenso è molto più facile riuscire a frustrare e a rovinare di conseguenza la propria vita.
E noi di vite non ne abbiamo due o tre, io alla reincarnazione, non ci credo.”
“Sì, ora ti ho capito, ma il punto principale qual’era?”
“Ah, secondo me il nodo grande è questo: nella natura i pesci grossi mangiano quelli piccoli, la legge del più forte esiste, da sempre, è crudele e spietata, quello che vuoi tu, ma fa parte della natura.
Il comunismo predicava:’pesci tutti uguali nello stagno’, ma alcuni pesci erano più uguali degli altri, quelli che dedicavano la loro vita al partito, non tanto per il bene del popolo, come dicevano, ma per il loro tornaconto personale: denaro potere e sesso… è chiaro finivano per essere di nuovo pesci grandi, un n uovo tipo di pescioni, capitalisti anche loro, mangiando i pesci piccoli, giurando che era per il loro bene.
Esistono animali erbivori e altri onnivori, i carnivori sono i più pericolosi, l’uomo è un animale progredito, ma è sempre un animale, nella società moderna cambiano i metodi, la mentalità è più complessa e in costante evoluzione, ma esistono vari tipi di persone e alcune non si accontentano, altre sì, alcune vogliono una vita tranquilla, altre invece hanno bisogno di emozioni violente.
Certo, gli animali uccidono solo per necessità, l’uomo ha sviluppato molto di più questo lato, perché dopo la rivoluzione industriale ha iniziato, come fenomeno di massa, ad immagazzinare ricchezza, a pensare al domani, lavorando oggi per prevenire i tempi duri.”
“Facendo i suoi tempi attuali indurire, per qualcosa che domani forse non avverrà mai, economizzando un’esagerazione per quello che poi, nel futuro, non avrà mai luogo.”
“Anche, anche. Ma l’industriale è convinto che può mantenere il suo stato di privilegio, conquistato duramente, solo sfruttando il lavoro altrui, estraendo il suo bastardo plusvalore, mettendosi sotto i piedi tutto e tutti, per lui è necessario come per il Tirannosauro sgozzare la sua vittima ogni giorno, sennò muore di fame, o almeno è quello che crede, questo è ciò che hanno in comune, hanno bisogno del sangue altrui.
Io non dico che bisogno sottomettercisi, al contrario, ma che ognuno ha il suo ruolo ed è proprio questo che ogni uomo deve scoprire, prima di tutto.
Esistono uomini pacifici ed altri aggressivi, come gli erbivori e i carnivori degli animali, secondo me l’onnivoro avrà sempre una vita migliore, perché saprà riconoscere il pericolo da che parte viene e non dovrà pensarci più di tanto e vivrà di conseguenza, divertendosi abbastanza, se mancherà la verdura mangerà anche la carne e il pesce, metaforicamente, insomma si adatterà meglio ad ogni condizione di vita e ai cambiamenti costanti, ma irregolari e discontinui che la vita gli impone.
Questo per dire che gli uomini non sono né cattivi né buoni, ma semplicemente grandi e piccoli, aggressivi e pacifici, eccetera eccetera.
È sempre e comunque una questione di sopravvivenza, in teoria, o di economia, in pratica, ma i risultati sono più o meno quelli dei tempi passati, come tra gli animali, anche per noi è cambiato poco, i metodi si sono trasformati progressivamente, a volte anche improvvisamente, ma ora c’è più stress, perché ora il pericolo è più difficile capire da che parte viene, come si manifesterà, e c’è più ansia, perciò.
Una volta, non troppo tempo fa, si cacciava per mangiare o si era cacciati per essere mangiati, si scappava dal predatore o s’inseguiva la preda, non esistevano altre possibilità, non c’era da lambiccarsi troppo il cervello.
Ora no, ora le maniere in cui le cose possono andare storte sono moltissime e quando uno sta troppo attento a tutto quello che gli può succedere vive una vita che non vale la pena…”
“Aspetta un po’, sennò me lo dimentico: tu hai detto poco fa, che tutto è una questione di economia. Io non sono completamente d’accordo. E il potere? Dove lo metti il potere? Non credi che tanta gente sia ammalata di sete di potere?”
“Certo, il potere. Ne abbiamo parlato anche prima. Anche quello è antico, mi pare che, quando qualcuno alza la testa, già gli vengono automaticamente manie di potere.
Magari è vero che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma era meglio se non lo diceva a nessuno.
E poi, per me, è più facile che invece sia successo il contrario, è l’uomo che si è costruito un Dio nel cervello, a sua immagine e somiglianza.
Quello è nato appena ci si è creata l’idea dell’essere superiore, è un istinto di imitazione, tanto infantile quanto innato, purtroppo dannoso e in nome del quale tutto passa in secondo piano, è una malattia, fa parte dell’ordine a volte apparentemente disordinato delle cose. Ma è un disegno a fantasia, sebbene complesso ha la sua logica.”
“Allora dobbiamo accettare tutto pacificamente, no? Certo, basta risolvere nel cervello tutto questo e ci siamo conquistati la pace? Vorresti lasciar governare il mondo dalle multinazionali?”
“No, prima, infatti, parlandoti dei Tirannosauri, volevo dire che la multinazionale è come un enorme Tirannosauro moderno fatto di macchine e gente, che per il proprio lucro sacrifica ogni cosa altrui, ma indirettamente anche sua… provoca ogni genere di danno, all’economia e all’ecologia, insomma alla qualità di vita di più paesi, in generale.
La loro tattica è esternalizzare i costi, produrre a basso costo e vendere a prezzi competitivi… o meglio, a prezzi che strangolano senza pietà le piccole fabbriche.
Quando vogliono fargli pagare qualcosa che loro non hanno intenzione di pagare, rispondono con frasi fatte, perché non si tratta più di persone, ma di macchine di lucro, di mostri senza testa.
Per esempio, a Porto Alegre si tentò di negoziare, insomma, di trattare questi esagerati costi esternalizzati alla comunità di Guaiba e la Ford , che voleva metterci su una grande fabbrica, recitò a memoria la famosa frase, attraverso un suo rappresentante:
“Non potete farci carico di questi costi, sennò i nostri prezzi non saranno più competitivi…”
E detto fatto, rotta la trattativa, se ne andarono a 3000 chilometri di distanza, nello stato di Bahia.
Dentro la multinazionale le persone cessano di comportarsi come tali e si vendono l’anima, è l’unica maniera di sopravvivere nella tempesta dei mercati globalizzati, il mondo è un mercato, solo i mostri carnivori sopravvivono, gli onnivori vengono a scoprire metodi alternativi e vivacchiano, gli erbivori spesso soccombono.
La multinazionale inquina la natura, abbassa i salari nella regione in cui opera, diminuisce i prezzi della merce in maniera che l’impresa piccola fallisce, in generale, nel mondo intero, obbliga le persone a comprare i prodotti a un prezzo più basso, ma solo relativamente, pagando stipendi anche più bassi, visto che il costo della manodopera è uno di quelli su cui può giostrare, non importa se poi le persone che si scannano per lavorarci fanno la fame e le condizioni di lavoro non sono sane. La multinazionale non ha coscienza e le persone che ci lavorano anche non ne devono avere.”
“Che cosa proporresti allora?”
“Non lo so, che ne diresti di parlare di qualcos’altro?”
“Va bene… o magari potremmo anche stare in silenzio…”
“Come quando si ascolta il vento?”
“Sì, ecco, ascoltiamo il vento.”
Quando IV si stanca preferisce riposare, non vuole forzare, ecco cosa lo contraddistingue dagli altri, se non ha più voglia, se non ne ricava piacere, ecco che smette, semplicemente.
Che cosa c’è di più naturale?
Io non resisto troppo ad ascoltare il vento, non provo il gusto che dovrei, non sento tutti gli odori e i segnali conseguenti che porta, il mio piacere è guardare Indio Velho che lo fa.
Alcuni giorni dopo, siamo seduti su un gruppo di rocce, con il vento sferzante e alcune nuvole che ogni tanto ci fanno rabbrividire, perché tagliano il cammino del sole in direzione dei nostri corpi.
Indio Velho parla molto lentamente, lo ho punzecchiato su un argomento del quale mi potrei anche pentire: gli ho chiesto quale sia, insomma, la sua dannata filosofia di vita.
Lui ne è rimasto tutto soddisfatto, come mi aspettavo, anche perché potenzialmente può sfoderare il suo concetto di base, del quale ha un orgoglio quasi infantile, ma non lo fa, ci gira intorno, vuole testare la mia capacità, la mia resistenza, forse mi vuole insegnare la sua arte di essere paziente.
O forse ha troppi argomenti, che si ingorgano per trovare la via della bocca
Intanto io divento sempre più nervoso.
La mia personale filosofia è stata deformata e poi modificata dal pensiero di IV, in questi pochi mesi, non gliel’ho mai detto, ma lui certo lo sa.
Ecco che parte a tutto gas dalla filosofia in generale, sebbene non ce ne sia nessun bisogno, lo fa per me, non per insegnarmi cose che so già, ma per temprare i miei nervi.
“Essere un filosofo significa credere a qualcosa ed applicarlo, nel mondo ci sono tante variazioni, tante apparenti o effettive opzioni, ma la gente non sceglie quasi mai la sua strada, si prende strade già pronte, prefabbricate.
La gente dice cose a cui non crede completamente, udite da altre persone, pensa in una maniera, parla in un’altra e agisce in una terza ancora.”
“E tu, invece?” Cerco d’incalzarlo.
“Io sono uno scettico tranquillo, lo sai, dopo averne attraversate tante, di strade, ho visto che quelle che portano ai dogmi non m’interessano, i grandi filosofi sono stati quasi tutti dogmatici… secondo me erano gente geniale, non dico di no, ma con i piedi lontani dalla terra, io no, io cerco di essere più pratico, non pretendo di risolvere tutto subito, lascio gli interrogativi aperti, se non riesco ad arrivare alla risposta, non m’invento delle storie suggestive, delle dimostrazioni forzate, aspetto di vedere la soluzione in seguito, col correre del tempo e della mia esperienza.
Non ho paura di dire ‘non lo so’, anzi mi pare una dimostrazione di onestà, giacché non si può sapere tutto.
Quello che conta è che non forzo il mio ambiente a darmi quello che non può, non cerco cose assolute e definitive, perché per me non hanno troppa importanza, se tutto si muove ed è in costante evoluzione, perché perdere tempo con statue di verità formale che forse non erano vere nemmeno ieri… già che stanno attraversando l’oggi e diventando un altra cosa ancora nel domani?”
Ha detto tante cose, ma non ha detto ancora niente, che cosa diavolo significa essere uno Scettico Tranquillo?
Anche se, secondo me, non ce n’è bisogno, si butta in alcune lunghe spiegazioni delle filosofie greche, tra cui il mito della caverna di Platone, quando parte per questi viaggi, nella storia della filosofia, non c’è maniera di fermarlo, ci ho già provato, ma non serve a niente, allora io mi metto a cercare le zecche nel pelo folto dei cani.
Tra le altre cose, Indio Velho mi ha insegnato a infilarle dentro ad un barattolino con un forte detersivo per tappeti, là muoiono narcotizzate e non possono spargere uova in giro, come fanno se uccise schiacciandole col piede od una pietra.
Anche quella è una dimostrazione della legge del più forte, mi ha spiegato a suo tempo, la pietà è un’altra cosa, da usarsi, magari, con chi non ci succhia il sangue.
Il sentimentalismo, in sé, è una specie di autocommiserazione.
Dopo qualche mezz’ora di racconti e di storie, di filosofie legate e slegate, moderne ed antiche, arriviamo, forse e finalmente alla definizione della sua: perché Indio Velho è un cazzo di scettico tranquillo?
Manco per niente: se ne scappa di nuovo da un’altra parte, magari limitrofa, adiacente se non consecutiva e complementare, ma non quella che io volevo, ecco che prende una ramificazione a caso del suo pensiero e la segue:
“Il difficile nel mondo è il non alterare l’equilibrio della natura, perché la natura quando s’arrabbia non le si può più domandare scusa, spesso è troppo tardi.
L’attenzione che dobbiamo dedicargli è una cosa delicata, ma è estremamente naturale, non uccidere nemmeno una formica, quando possiamo evitarlo e non usare la violenza se non è necessario e soprattutto se è dannoso.
Rispettare animali ed alberi e perfino le pietre, amarne la purezza, come rappresentati molto più semplici e nobili di noi esseri umani, ci fa essere migliori.
La vedi questa pietra qui, dove sono seduto? Non so niente della sua storia, ne deve aver viste e sentite di cose, a volte è anche troppo dura con il mio sedere e ci potrei anche litigare… ma altre volte mi fa da poltrona in maniera egregia, ecco, pensa quello che vuoi, ma io ci sono affezionato, la rispetto e ne sentirei la mancanza, se non ci fosse.
Non si muove da lì da millenni, non dice niente, non puzza e non profuma, eppure…
Dare il valore giusto ai vari elementi significa non essere rigidi, statici, ma sempre in costante movimento, ogni cambiamento di posizione, di punto di vista, è necessario per accompagnare una realtà che non è mai stata ferma, non lo è ora e non lo sarà mai.
Come diceva Kant le la nostra idea delle cose le modifica dentro di noi, ma la cosa è reciproca, perché loro, le cose, intese come tutto, in generale, ci influenzano anche dal fuori.
È, cioè, un processo di andata e ritorno continuo, l’unica maniera per poterne usufruire con continuità e soddisfazione è l’elasticità, che è grande nemica dell’assoluto, almeno apparentemente, secondo la concezione umana.
Kierkegaard risolveva tutto dicendo “Non si può realmente sapere, ma solo aver fede”, io sono parzialmente con lui, ma quell’aver fede è un poco delegare la nostra propria responsabilità a qualcun’altro o a qualcos’altro, che potrebbe essere indifferentemente, un dio qualsiasi, inventato da un leader spirituale, un boss mafioso e un relativo grasso e praticissimo conto in banca garantito da un lavoro moralmente sporco.
È vero, però, che non si può realmente sapere, gli interrogativi sono troppi e non sempre possiamo rispondergli, ma quello che dovremmo fare noi, secondo le mie esperienze passate, è un poco provare a noi stessi tutto quello che succede, anche attraverso le discussioni con gli altri, ma partendo da un dialogo interno, che ci permetta di collocarci anche in dubbio e perciò ci dia costantemente, anche se a volte faticosamente, una posizione nello spazio e nel tempo, cioè ci faccia capire chi siamo e cosa stiamo facendo al mondo.
Allo stesso tempo dobbiamo accettare che la nostra sete di verità non sempre sarà saziata, non dobbiamo rinunziare, ma non possiamo nemmeno credere che tutto si possa regolare al momento, che si debba dare un corso a tutto, per arrivare ogni giorno a qualcosa di nuovo, perché è una capacità che non abbiamo, noi, come non ce l’ha nessuno.
Dobbiamo invece mantenere l’attenzione costante, magari alle risposte, anche arrivate in ritardo, di domande fatte nel passato, o alle novità assolute passate di fronte a noi all’improvviso, se ci facciamo attenzione queste cose ci accadono continuamente, ma di solito, purtroppo, noi siamo troppo distratti per accorgercene…”
Rinunciando su suo recente insegnamento all’insistenza su un unico punto, non ripeto la domanda che ho ancora dentro di me.
Sì, questo ultimo suo ragionamento mi è parso logico, ma difficilmente attuabile, allora domando a IV:
“Come facciamo a fare attenzione a tutte queste cose, se dobbiamo lavorare, tirare su una famiglia, confrontarci tutti i giorni con i cimenti quotidiani della nostra vita nel mezzo degli altri, che diventa sempre più rapida e complessa?”
Indio Velho ha sorriso, forse contento che avessi lasciato perdere la sua filosofia personale e allo stesso tempo individuato il punto essenziale del discorso:
“Ti posso dare due risposte, entrambe sono verosimili, ma sono estreme e la verita è una media tra le due, che tu potrai fare, non oggi né domani, ma nel correre del tempo: la prima è quella che mi viene più naturale, per la scelta che ho fatto, ma questo non significa che io non mi renda conto delle difficoltà che si trovano là sotto, tra i Valligiani e i Collinari, per cercare un equilibrio.
La mia prima risposta è che non si può e proprio per questo io me ne sono uscito e sono venuto qui, a fare il Montanaro.
La seconda risposta, più aperta e flessibile, meno assoluta, è che dentro la vostra realtà di lavoro di tutti i giorni voi potete scegliervi una strada poco battuta, che è quella di seguire il vostro cuore.
È la scelta più difficile eppure è la migliore.
Non fare come gli altri è difficile, certo, almeno all’inizio, ma poi scivola meglio, è indispensabile saper separare, distinguere, ragionare su tutto quello che succede e può succedere, vivendo insieme a tanta gente tutto è più complicato, ma ragionare col proprio cervello, agire secondo il nostro pensiero e dire cosa pensiamo veramente, per quanto apparentemente la strada più faticosa, è la meno stancante, perché andiamo dietro a noi stessi e non agli altri e non ci sentiamo stressati, perché facciamo, in fondo, quello che è naturale, anche se tutti intorno si sono dimenticati di come è, e, in più, grazie a noi, tanti ritroveranno questo anello di congiunzione con se stessi.
È inutile parlare e dire cose importanti, se poi nella vita agiamo in maniera differente da quello che diciamo, quello che conta sono i fatti e la gente ci vede e confronta le nostre idee con quello che facciamo, se facciamo come loro, non gli pare strano, in fondo è ciò che vedono e sentono tutti i giorni, ma se invece la nostra armonia è maggiore, se siamo più compatti, vedono e sentono la differenza e inevitabilmente gli piace… ma questa non è la nostra unica missione, quella di piacere agli altri, il nostro fine è quello di stare bene, anche piacere agli altri è importante, certo, ma dobbiamo anche farci piacere gli altri e quello è più difficile, ma possibile, anche se sono diversi da noi.
Quello che è profondamente sbagliato, nella tendenza umana occidentale, è di voler parere tutti uguali, mentre dal dentro le persone vogliono affermare la loro individualità e non sanno come.
Questo provoca una grande frustrazione.
Hai visto gli adolescenti come vogliono vestirsi in maniera originale e invece seguono sempre e solo le mode?
Si stanno aprendo al mondo, cercano di affermarsi, di capire chi sono e di impressionare gli altri… poi finiscono per fare esattamente quello che tutti si aspettano… e se non lo facessero sarebbero guai: la gente ama l’originalità, ma solo dopo che si sia affermata, prima, invece, qualsiasi cosa è sbagliata, perché è nuova, non è conosciuta, perciò può essere solo un errore.
In seguito le loro ali verranno immobilizzate, fasciate da una realtà molto differente da quello che avevano immaginato e finiranno a vivere come formichine casa e lavoro e lavoro e casa, il mondo ha tarpato i loro sogni in pochi anni e li ha standardizzati.
Forse questo è necessario, forse sono solo fasi, caratteristiche delle varie età, ma quello che conta, poi è riuscire, presto o tardi, ad avere una meccanica di vita che funzioni e per funzionare deve dare all’individuo soddisfazione, prima di tutto dal punto di vista del divertimento, non c’è cosa peggiore della noia... o forse sì, peggio ancora di annoiarsi c’è il fingere di divertirsi.
Il successo diverte, certo, affascina, ma spesso schiavizza, pochi hanno l’umiltà di scegliere e poi di realizzare sogni semplici eppure costruttivi, tante cose distraggono dal punto focale, dal baricentro del ragionamento necessario, gli esseri umani.
Uno di questi è il sesso, ma il denaro e il potere sono altri, sono collegati e intrecciati, ma il nostro riferimento deve sempre essere la natura, invece. Ed è esattamente il contrario di quello che sta succedendo…”
Per la visita seguente, già durante la ripida salita, mi sono preparato a mantenere IV sul punto, a non farlo fuggire e farmi spiegare definitivamente cosa significhi essere uno Scettico Tranquillo.
Sono uscito presto, perché tutte le volte, quando lui sembra al punto di rivelare la regola fondamentale, è tardi e non ha più voglia di parlarmene o io me ne devo tornare a casa.
Lo ho trovato sdraiato sotto il sole, abbiamo passato i nostri primi minuti senza parlare.
Alfio e Pasquale stanno pascolando, appaiono e scompaiono, cercando odori, tracce e relativi animaletti di appartenenza, i quali non sempre ne sono divertiti e in alcuni disgraziati casi, vengono addirittura spiaccicati senza averne alcuna intenzione, magari per il bene della scienza, testandone – per esempio - la consistenza con le robuste zampe.
“Ma te l’ho già detto varie volte cos’è uno Scettico Tranquillo, lo scettico tranquillo è uno come te, che non crede a tutto quello che gli dicono e non ha nessuna fede fissa, uno che non ha bisogno di piattaforme di regole fatte da altri, ma semplicemente vive in maniera empirica, provandosi tutti i giorni la propria capacità in modo pratico e cercando di imparare cose nuove.
È scettico perché non usa mai, senza filtrarlo, un consiglio dato da un altro, è tranquillo perché non ha bisogno di risposte immediate.”
In genere, nella mia vita, e in particolare in questo determinato momento, mi sento assai poco tranquillo, anzi, al contrario, piuttosto ansioso di risposte urgenti.
Sono scettico, sì, ma solo per quanto riguarda la mia capacità di usare il suo consiglio di ‘portare pazienza’.
“Io sono Scettico, con la S maiuscola, per determinare non uno stato momentaneo, ma, se possibile, quasi definitivo; perché?
Ecco un esempio: in Brasile la filosofia e i filosofi sono scarsi, tutto è abbastanza materiale, per motivi storici e geografici che ora, per mancanza di tempo, magari lasciamo perdere…”
Visto che io non ribadisco, i ‘motivi’ vengono per il momento lasciati di lato e IV continua la sua arringa:
“Ma la filosofia s’insegna a scuola e all’università, una materia come un’altra, ci si confonde facilmente, tra gli stessi specialisti, tra l’essere professore di filosofia e l’essere filosofo, addirittura!! Che sono due persone che potrebbero anche coincidere in una, ma non lo sono quasi mai, il professore pensa una cosa, ne dice un’altra e ne fa un’altra ancora… il filosofo non può, lui, almeno lui, se mi permetti: deve pensare, dire e fare la stessa identica cosa, sennò perde la sua identità speciale, la sua credibilità eccetera.
Ora, come abbiamo detto la filosofia qua è insegnata male, da cattivi professori, come spesso in tutto il mondo moderno, professori che non sono filosofi e che contraddicono il loro pensiero con la loro azione.
Un mio conoscente dice che è preferibile che la filosofia sia insegnata male, è sempre meglio che non essere insegnata per niente.
Io invece posso solo dire che non lo so, perché non sono capace, realmente, di convincermi a forza, ho bisogno di essere convinto dai fatti e non dai ragionamenti, i ragionamenti, semmai, li uso per riconoscere i fatti, ma non per forzare una decisione tra le due o più possibili.
Se non ci riesco, bene, non decido, perché se lo facessi andrei contro me stesso, dovrei ignorare la mia logica, non sarei più un filosofo.
Bada bene che la mia presunzione di essere un filosofo è basata solo sul fatto che penso, dico e faccio quasi la stessa identica serie di cose.
Ci riesco poco ma meglio di tanti altri e questo già non è facile, ma è importante, e bisogna rinunciare a tante cose, alle comodità per esempio, e ad altre che non sto qui ad elencarti…
Sono Tranquillo, perché la mia filosofia mi permette di incastonare il tutto al suo dovuto posto, di capire come funziona il mondo e come ha funzionato fino a questo momento, certo, tutto abbastanza approssimativamente.
Ciò non significa che domani un gruppo di giovinastri non possa venire qui ad appiccarmi il fuoco e a tramutarmi in una torcia umana, solo per farsi quattro risate.
So che sono indifeso, ma ne ho coscienza e non sto a perdermi dietro polizze di assicurazione e a mettere denaro da parte per il futuro, perché, sebbene sia quello che tutti fanno, per me è pazzia pura.”
“Anche perché non hai un soldo.”
“Certo, ma anche quando ne avevo non mi sono mai perso dietro a queste cose, perché cercare di controllare il futuro partendo da ora, è solo una trovata di marketing, le assicurazioni sono nate per guadagnare soldi, non per proteggere le persone, loro cercano di non pagare i danni, spesso ci riescono.
E poi il mondo è burlone e ti farà facilmente succedere una delle tante cose non previste dalla polizza…
Ma dicevo che sono Tranquillo perché, questa mancanza della totalità delle risposte, che tanto fa soffrire l’uomo, non significa per niente l’inutilità delle mie domande, io sono disposto a pazientare e anche a dibattere i temi polemici con chiunque, anche ad ammettere di aver torto, per me proprio questo è un punto di arrivo migliore che quello di aver ragione, perché ammettendo di aver torto io capisco qualcosa d’importante e questo può rivoluzionare la mia vita, che ben venga.
Ciò non significa che in una discussione io non faccia appello a tutte le mie forze dialettiche per difendere la mia tesi.”
Rimango un po’ in silenzio a pensare, IV sta accarezzando Pasquale ed il vento fischia un’armonia sommessa, il ritmo è costruito dal ronzio di insetti tra cui api sui fiori e pio-pio di uccelli sul pino solitario, lì vicino, ad una ventina di metri, che ci fa un’ombra enorme perché allungata dalla posizione del sole e dal pendio della collina.
Trovo tutto giusto, quello che ha detto e forse ho anche capito, finalmente, cosa vuol dire con la definizione della sua filosofia.
Però c’è qualcosa che non ho capito bene, tra le ultime sue frasi e glielo chiedo:
“Aspetta un po’: hai forse rinunciato ad amare una donna, tra le rinunce che mi hai detto prima, per le quali riesci, quasi, a pensare, dire e fare la stessa serie di cose?”
“No, non ho rinunciato ad amare una donna, in quella maniera fisica che tu probabilmente intendi, anche se non mi capita quasi mai di poterlo fare.”
“Sì, ma ieri hai detto che il sesso, come il potere e il denaro, è una distrazione…”
“Sì, non che lo sia in generale, ma lo diventa, perché viene strumentalizzato nella propaganda di articoli di consumo, forzato dalle mode del momento e dai mass-media, o addirittura ci si rinuncia, perché è rischioso, ma in ogni caso ci si pensa troppo… se fosse una cosa più naturale, come dovrebbe essere, sarebbe meglio, sarebbe più bello.”
“Allora: vuoi per caso dire - con tutto questo - che tu hai rinunciato al sesso?”
Il suo sorriso è profondo e triste.
“Questo è un punto dolente, non è che io abbia rinunciato al sesso perché non mi piaccia, anzi, cosa c’è di più bello che fare all’amore?”
“E allora come fai?”
“Mi astengo. Ma non perché mi faccia schifo, per me la donna è meravigliosa, è la purezza della bellezza, hai visto che ho delle riviste pornografiche, che hanno per me due funzioni, come ho già detto, quella della ammirazione della bellezza pura…”
“E?”
Pausa imbarazzata.
“E anche quell’altra.”
Mi viene da ridere a pensare a un filosofo qualsiasi che lavora di mano di nascosto, anche se questo filosofo qui, in questo determinato momento della sua vita, non ha nessuna voglia di ridere, evita addirittura di guardarmi.
Allora gli domando ancora, incuriosito:
“Ma come fai… senza?”
“Beh, non è proprio senza, sai… il mio sesso è autogeno, come ti stavo dicendo - e per favore smetti di ridere in quella maniera – perché, beh… semplicemente non trovo nessuna donna che mi piaccia che sia disposta a farlo con me.”
“Ah.”
Rimaniamo in pausa di nuovo, per pochi attimi in cui le nuvole coprono il sole e di nuovo lo lasciano uscire.
Dopo mi parla di sesso e distrazione, di funzione distorta, di quanto abbia a che fare con denaro e potere, (almeno nel mondo moderno, e invece non avrebbe niente da spartirci,) ma sono troppo distratto dala sua precedente rivelazione, per fare attenzione alle sue parole.
Penso che lui ha rinunciato a tutte e tre le cose. Sesso, denaro e potere. E lui me lo conferma, come se avesse letto nel mio pensiero:
“Se per avere quel sesso che tanto mi piace, io devo rappresentare una porzione di successo nella società, se devo essere uguale agli altri o più uguale ancora, perciò migliore… secondo il concetto di regole fatte dagli altri e che non accetto, beh, io ci rinuncio.”
Poi recita con espressione seria:
“Se è per denaro, non è amore, disse la prostituta.”
Ci ridiamo su. Poi gli domando:
“Ma mi dici una cosa? Una curiosità: ma quanti anni hai?”
“Settantadue… pensavi di più o di meno?”
“Pensavo di meno. Sembri più giovane.”
“Negli ultimi anni sono stato bene, mi sono stressato poco o niente.”
“Ma da quanti anni ti sei ritirato a… diciamo così… vita privata?”
“Una ventina.”
“E il sindacalista lo hai fatto quando?”
“Subito prima, è stato il mio punto di scoppio, da lì è cominciato il cambiamento.”
“Ah. E il coso laggiù in basso ti funziona ancora?”
“Certo, il coso funziona ancora bene e senza additivi moderni, poi il desiderio quello non passa mai, anche per chi non riesce più a farlo alzare…”
Sorrido e ci fermiamo di nuovo a riflettere.
Il mio silenzio lo incorraggia a parlare ancora, a rivelarmi a pieno quella sua parte nascosta:
“Non è che negli ultimi anni io non abbia mai fatto sesso, qualche volta mi è capitato, ma l’amore non c’era, sono esperienze che svuotano gli organi e stappano le orecchie, tirano le ragnatele, ma sono un po’ vuote… se non c’è niente che le accompagna… e poi vivendo quassù, non frequentando né la bassa, né l’alta società… lo sai da te, le occasioni non sono molte e allora l’attività manuale offre due vantaggi in uno.”
Io lo guardo in maniera interrogativa, lui mi riguarda in maniera significativa e dice:
“La prima funzione è quella puramente sostitutiva, l’altra è per la buona manutenzione della prostata…”
Un mio amico medico poi mi ha confermato che il mancato uso dello sperma fa peggiorare negli adulti lo stato della prostata, pare che la manutenzione di quell’organo funzioni coi due tipi più comuni di sesso: autogeno e in compagnia.
Intanto io comincio a preoccuparmi per la sua salute, ho un gran bisogno di avere qualcuno con cui conversare, come faccio con IV, mi sono assai affezionato a lui.
Allora, visto che lui a valle non scende, per principio, oggi gli ho portato su un tipico Valligiano, Mariano Luiz, il mio amico medico, e lo ho fatto visitare.
Mariano ha detto che è in perfetta salute, ha aggiunto però che: una prosperosa professionista a buon mercato, ogni tanto, sarebbe una piacevole diversione, non solo per la sua prostata.
Finita la nostra risata, IV è partito con una acuminata serie di teorie concatenate, che Mariano, che se ne stava andando, si è seduto e si è messo ad ascoltare.
Il mio amico medico, per quanto assai intelligente e sensibile, è proprio uno di quelli che nella vita ha scelto poco, ci si è trovato dentro ed è partito già dentro al tunnel, per lui denaro e potere e sesso sono essenziali, è un formidabile materialista.
Proprio ultimamente, però, ha concordato con me, che la competitività del mondo occidentale è un rincorrersi la coda senza senso, poi, ti rendi conto, alle soglie della vecchiaia, che hai girato e girato, ma solo su te stesso: non ti sei mai mosso dal posto.
IV è diventato suo paziente, e Mario ha accettato di essere suo discepolo: in cambio di farsi spiritualizzare un poco, lo aiuta nel proteggere materialmente il suo vecchio corpo.
Anche se, per questo vecchio, piccolo e grande filosofo contemporaneo, il problema del sesso è ancora irrisolto.
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