venerdì 19 maggio 2000

Te lo dico io: sembra di essere nella vecchia Napoli!

Te lo dico io: mettere su un ristorantino tipico napoletano a Benares è parsa un'idea balorda a tutti, anzi lo era, ma Pasquale era troppo convinto del contrario per dare ascolto a chicchessia.
Da qualsiasi punto di vista, le differenze culturali sono troppo grandi, l'India e tutto l'oriente estremo hanno un sistema di vita lontanissimo da tutto quello a cui noi siamo abituati. Allora lo stesso vale al contrario, ho pensato, io, come gli altri, che l'indiano se ne fotte della cucina partenopea, anche perché non la conosce.

Però, andando per ordine, Pasqualino mio l'ho conosciuto da poco, ci siamo incontrati sulle scalinate che scendono nel Gange, in quella parte dove la città si assottiglia, fino a terminare, accompagnando, senza fretta, il fiume sacro verso il mare.
Pasquale sembrava un indiano in divisa da cameriere, i ristoranti erano sempre stati la sua passione (nel bene e nel male) e andava in giro vestito coi pantaloni neri e la camicia bianca, cosa rara in India. Ho detto che sembrava un indiano perché aveva ed ha i lineamenti di uno di loro, la pelle olivastra, i capelli nerissimi... ma l'altezza discorda un poco con il modello più frequente, Pasquale è troppo alto anche per essere napoletano.
"Tu sei italiana, vero?" Ha esordito con quel suo fare serio che ha sempre, specialmente quando sta scherzando.
"Io? Forse. Ma non certo tu!" Ho detto io alludendo a quella sua faccia da indiano.
"Allora sei napoletana!" Si era illuminato del suo miglior sorriso.
"No, no, sono di Procida..." Seria-seria, lo guardavo incuriosita.
Ci siamo messi a parlare seduti sui gradini alti, di quelle lunghe e alte scalinate che scendevano da secoli fin dentro l'acqua, guardando distrattamente il formicolio dei fedeli che si bagnavano, le barche che passavano, il miscuglio dei colori, che girava intorno a noi, in un tiepido pomeriggio di febbraio.    
Arrivando dall'Europa pareva di avere fatto un salto indietro di duemila anni o più.
Guardando questo popolo vestito di vecchie  pezze di tessuto, in un movimento continuo, ma lento... sulla riva del grande fiume la cui altra riva quasi non si vedeva, mi veniva in mente l'attraversamento del Mar Rosso dei cristiani guidati da Mosè.             
Non c'era segno di tecnologia, solo piedi nudi e barche di legno, corpi fasciati e bagnati, nessunissima ciambella gonfiabile, proprio nessuna radio portatile, nessun capo di abbigliamento confezionato.
Siamo rimasti fino al  tramonto, in  una fantasmagorica  scena di pittura in movimento.

Tavola calda
A quel tempo Pasquale mandava avanti, insieme a suo padre, una cosa che avrebbe dovuto essere una specie di tavola calda, dove, più per sfizio che per utilità, servivano anche piatti italiani, ma un po' alla maniera indiana e gli spaghetti venivano sistematicamente ammazzati dalla lunga cottura e dai sughi liquidi e piccanti. Secondo le sue stesse parole, quello era un'accozzaglia di stili e alle pareti c'erano addirittura piastrelle bianche.
Pasquale Barbato mi ha raccontato della sua vita in due ore, ogni tanto inframezzavo qualcosa io, ma poca cosa.
Pareva evidente che eravamo arrivati lì sulla riva del Gange da situazioni assai diverse, se non opposte. Era però altrettanto evidente che ci sentivamo contenti di esserci incontrati.
L'amore è una questione di fortuna, più che altro, ti cambia il mondo, a volte in meglio. Dopo tutto io posso dire che la mia sopravvivenza ha fatto un salto di qualità grazie a Pasquale, ho cominciato proprio in quel febbraio a chiamarla, all'inizio timidamente, 'vita'.
Dall'altro lato, sopportare il suo carattere dispotico e testardo non è attività che rilassi i nervi.

Storie di una persona...
La perfezione è una cosuccia che dobbiamo andare a cercare fuori dall'ambito degli essere umani, la possiamo trovare nella natura, nell'arte... che ne so, ma non nel carattere delle persone. E, mettiamoci subito d'accordo, che nessuno si intestardisca di trovarla in me.
La mia storia? Non ho voglia di parlarne, perché la droga non è un argomento piacevole per me, forse per nessuno lo è, ma basti questo: ex studentessa universitaria di belle arti, ex tossico-dipendente, appena uscita dalla terapia di un campo di concentramento per fusi di testa, insieme al mio ex marito, siamo fuggiti in India.
Quasi tutto, nella mia pur corta storia era ‘ex’. E ho detto fuggiti per  evitare attenzioni e parenti, spacciatori e   presunti amici.
Perché proprio in India ed esattamente a Benares? Perché era cominciato tutto lì. Dovevo dimostrare qualcosa a me stessa, ma era Carletto che aveva insistito, anche se per lui il motivo era quello opposto. Credevo che, per uscire da quella situazione, avessi bisogno di fare una retromarcia, per passare esattamente dalla porta d'entrata; avevo già provato tutte le altre e mi era andata male.
Quello che mi mancava, avevo pensato sull'aereo, atterrando a  Kuwait City,  era qualcuno con la testa pulita,  cosa difficile a trovarsi ai tempi moderni.
Doveva esistere, pensavo, qualcuno che per qualche motivo non avesse imparato dagli altri a complicarsi la vita... poco più di un mese dopo l'avevo trovato.
Pasquale non ci pensava nemmeno alla droga, né gli interessava d'immaginarsi che cosa significava, per un essere umano, aver fatto uso di eroina per anni. Come diceva lui: nun me passa manco p'a capa.
Il mio ex marito invece, se l'era ricominciata di nuovo dall'inizio, cioè dall'hashish. Aveva incontrato vecchi compagni di Milano e via, tutto come ai vecchi tempi.
Una volta di più avevo constatato che l'unica cosa che avevamo avuto in comune era la debolezza.
Dico ‘avevamo avuto’ perché ero stanca di vivere a quella maniera, che poi, se vogliamo usare un po' di logica, non si può nemmeno chiamare vivere.
Ero scappata là sul fiume, per evitarli, per godermi un po' di quel mondo... a volte feroce, ma altre volte bellissimo, che stavo tentando di scoprire di nuovo... da tempo avevo deciso, dentro di me, che non ero come loro... stavo facendo le mie dovute riflessioni per rafforzare la mia auto-disciplina...    quando... mentre una nebbiolina da film, (ma autentica e umida), avvolgeva il paesaggio, proprio quando razionalizzavo sui valori della vita, su come è facile perderne il contatto, ma come ci  si  deve sforzare  di vedere  una lucetta piccola in fondo al tunnel...  e  dopo  tutto  quello  che  avevo passato, io  credevo ancora in qualcosa, anche se non sapevo cosa, ma di certo era quel qualcosa che mi manteneva viva... e allora... tappete! Chi t'arriva?
Pasquale.

Pasquà!
Dalla folla è apparsa una figura mitologica... senza turbante e non con una sommaria  gonna fatta di un taglio di stoffa a righe gialle e celesti sgargianti!
No, no, autentici pantaloni! E nella parte superiore addirittura una camicia, con dei bottoni!
Forse l'unico, là in mezzo, con tracce di mondo moderno addosso, visto che io mi muovevo liberamente più o meno in mezzo ad un vestito lungo, largo e svolazzante, comprato ad Agra. Un segno divino affinché lo potessi riconoscere?
Te lo dico io!
Un principe-cameriere che arrivava dal suo mondo odoroso di ristorante. Tanto serio, nel suo modo di fare, da  risultare comico.
Per il momento, il progetto di Pasquale era di mettere su il suo regno napoletano, a Benares, un angoletto tipico e puro di tradizione partenopea!
Quando mi ha rivelato il suo piano di battaglia, per sconfiggere le avversità delle forti correnti contrarie dello spazio e del tempo, quando ha aperto il suo cuore a me, conosciuta da una porzione di minuti, gli ho riso in faccia, pensavo che fosse una battuta, una barzelletta che aveva inventato per conquistarmi, più mi guardava accigliato, più ridevo.
Mentre mi accompagnava con la sua motocicletta lucida e perfetta, nella nuvola di polvere che le sue ed altre ruote, piedi umani e zoccoli di animali alzavano dalla strada, in mezzo al caos di quel transito fatto di moto, risciò e moto-risció, automobili e  migliaia  di persone  a  piedi scalzi,  di mucche e di cinghiali, galline, bufali ed animali di ogni tipo, con quel rumore e quel vortice di colori e di odori, di pozzanghere e di sterco... Pasquale mi ha spiegato che il progetto del ristorante era quasi pronto.
Mi ha chiesto se volevo lavorarci anch'io... ed io, che volevo fuggire dal mondo dei sopravviventi, che non avevo niente da perdere, entusiasmata per quell'incontro, ho detto di sì.
Sì!
Ho spiegato nervosamente a Pasquale che avevo bisogno di un posto dove abitare, che non ero sola lì in India, anche se era come se lo fossi, Carlo sarebbe ritornato a Lodi entro due giorni. 
Napoletano del mio futuro, Pasquale ha detto che potevo abitare con lui e suo padre, non c'erano problemi.
E non ce ne sono stati, Carletto se n'è andato via con quei due idioti con gli occhiali, cammuffati da intellettuali. Sapevo che non ci saremmo più rivisti, forse era meglio così.
Pareva contento, non abbiamo nemmeno pianto, noi che eravamo specialisti di lacrime versate insieme ed in abbondanza, forse era contento di liberarsi di me, di quell'ombra di responsabilità che rappresentavo, ed io ero contenta di disfarmi della droga e del simbolo che lui ne era per me.
Stava cambiando qualcosa, in una maniera troppo rapida perché me ne rendessi conto... ed era l'unica possibile, per non aver tempo di bloccarsi, a causa della paura.


Don Gennarino
Don Gennarino, il padre di Pasquale era un signore dai capelli e dalla barba bianchi-candidi, veramente simpatico, dalla faccia assai espressiva, molto educato e piuttosto rincoglionito.
Mi ha accolto con abbracci e baci, era felice che Pasquale avesse trovato proprio qui in India una brava ragazza "napolitana".
Non si ricordava mai il mio nome, ma non era colpa sua... a proposito mi chiamo Patrizia Scoglio, ma lui mi ha sempre chiamata Procida.
Don Gennarì leggeva assai, anche nella confusione del ristorante si metteva lì seduto, spesso con i libri dei copioni delle commedie di Eduardo De Filippo, se li sfogliava con una grande serietà, completamente assorto, si potevano vedere le immagini nascere nei suoi occhi profondi, scavati dagli anni e pure da altre  cose che racconterò poi... allora si allontanava di migliaia di chilometri, si trasferiva nello spazio e nel tempo.
In verità i due non smettevano di pensare a Napoli, forse ci vivevano addirittura... un logico ma strano fenomeno della reincarnazione?
No, Don Gennarino Ruotolo aveva una certa età e attraversato disgrazie a iosa nella sua vita, per questo usciva ed entrava dal nostro piccolo mondo. La realtà per lui era una opzione, non so quanto cosciente, ma non era una cosa fissa e continua.
A volte seduto con gli occhi aperti, immobile, rimaneva ore senza battere ciglio, altre volte si metteva a conversare con qualcuno che gli piaceva ed era vivacissimo.
Litigare con suo figlio era una attività che lo faceva ringiovanire... ma tutto quello che faceva, valeva in quel momento e solo in quel momento, cinque minuti dopo non si ricordava più di niente.
Pasquale, che aveva ereditato i postumi delle disgrazie e l'amore per Napoli, era nato in un ristorante e probabilmente ci sarebbe anche morto, in un giorno, speravo, lontano.


Barbato, padre e figlio
Qual'era la differenza tra i due? La testa di Pasquale, per quanto semplice o forse proprio per questo, funzionava bene.
Don Gennarì dava i numeri, ma non poteva giocare al lotto, infelicemente qua non era tutto esattamente come a Napoli.
Ma tra i due c'era un'altra enorme differenza.
Napoli. Ancora.
Mi spiego, Gennarì c'era nato, a Mergellina, in via Caracciolo, e vi aveva vissuto fino a diciott'anni, molti dei suoi suoi ricordi più belli li aveva avuti là, eppoi c'era andato anche a sposarsi, esattamente nella chiesa dove era stato battezzato, S.Maria in Portico.
In più c'era tornato con sua  moglie  varie volte.  Ecco che
Pasquà, invece, non l'aveva vista che in foto, la sua Napoli... in cartolina, alla televisione, in video... se l'era immaginata forse esattamente com'era, dalle parole del padre, degli amici, ma... nossignore, purtroppo, non c'era mai stato. Mai.

L’Australia e i ristoranti, Thayara e l’India
La vita di Gennaro era stata difficile, ma con i suoi grandi momenti; pure movimentata, coraggiosa insomma.
Emigrato in Australia per lavoro, aveva conosciuto, nel ristorante Monsignore, dove si guadagnava una pagnotta sudata, quella che era stata la madre di Pasquale, Thayara.
Una donna indiana bella e ricca, che però aveva dieci anni più di lui, la quale non aveva saputo resistere al suo fascino latino, si erano sposati dopo poco, lei era diventata cattolica, poco dopo era nato Pasqualino, a Melbourne.
Lei aveva lasciato da parte la famiglia e la religione, ma i soldi glieli davano lo stesso, anche se a malincuore: era figlia unica.
Thayara e Gennarino vivevano bene, si erano trasferiti a Sidney con il precoce Pasqualì, avevano costruito un ristorante chiamato Mergellina, che  in  pochi  anni era diventato  il migliore  della capitale,  per la sua cucina tipica italiana, anzi, manco a dirlo, "napolitana".
Ma poi lei si era ammalata, avevano dovuto vendere il ristorante.
Avevano dovuto andare in India: istintivamente, sentendo la morte vicina, Thayara aveva voluto stare con i suoi.
Gennarino, che la amava di passione, l'aveva capita, sperando sempre in un recupero, erano venuti là, a Benares, dove lei era nata e cresciuta.
Dopo la morte della moglie, pochi anni dopo, la famiglia di lei lo aveva allontanato. Gennarì, disperato, si era buttato a tuffo nella droga, che in India è così a buon mercato, così facile da comprare per strada.
Cose leggere, per carità, ma che lui si faceva, purtroppo, in abbondanza.
In poco tempo, mentre Pasquale studiava in una scuola che insegnava la "non competitività", il suo capitale si era quasi liquefatto.

Miseria e nobiltà
Però il giovane, nato e cresciuto con una mentalità da ristoratore, aveva capito quello che stava succedendo, quindi, tolti dalla mano del padre i pochi soldi che gli restavano, aveva cominciato a mandare avanti, da solo, a sedici anni, la tavola calda:  ‘Miseria e Nobiltà’, dal titolo di un famoso film del grande comico Totò, un nome che aveva un poco a che fare anche con la loro situazione di quel tempo.
Venderla avrebbe reso ben poco, trasferendo le rupie in lire, per cominciare una nuova vita in patria, eppoi Gennarino, anche se si stava recuperando, era ancora abbastanza scoppiato di testa, non era in condizioni di fare proprio niente.
Passavano gli anni ed erano lì, ancora, sognando Napoli.
‘Vedi  Napoli  e poi  muori’,  dice  il  proverbio,  scritto su  una mattonella di ceramica azzurra, con un piccolo Vesuvio fumante in un angolo e su quello opposto il ritratto di Diego Armando Maradona.
La mattonella è attaccata sopra la cassa. Il ristorante si chiama ‘Vesuvio’, malgrado tutte le previsioni, stiamo lavorando bene, non so né come, né perché, ma si fanno quei trenta, quaranta coperti al giorno che, dati i prezzi altissimi, per essere in India, pagano le spese e danno un lucro decente alla nostra famiglia.

Nuova Famiglia Barbato
Sì, perché  ora  siamo una  famiglia,  abbiamo  anche un figlio:
Bruscolotti, in onore del "roccioso” terzino destro della squadra campione d'Italia di non so quale epoca. Pasquale lo sa, anche se Don Gennarino litiga sempre con lui.
Discordano sulla data dello "scudetto", quando cominciano con quella storia è un film, anzi una sceneggiata alla Mario Merola.
La polemica  finisce sempre con quella frase di Don Gennarino che Pasquale non sopporta e se ne va sbattendo la porta: “ma che ne vuo' sapé, tu, ca nun si mai stato a Napule?? ”
Volevo chiamare nostro figlio con un nome normale, avrei accettato anche Gennaro, nome del nostro patrono e tipico napoletano, oltre che del mio vetusto suocero, ma non c'è stato niente da fare.
Avevo voglia io, di dire che Bruscolotti era un cognome, loro controbattevano che quello (il Bruscolotti autentico) se lo meritava proprio, per la sua forza e la sua fedeltà ai colori della maglia partenope, su questo erano d'accordissimo.
Eppoi c'era anche un precedente, una certa mezz'ala del Cagliari, che, facendo di cognome Greatti, di nome si firmava Ricciotti.
Oltretutto, qui a Benares, recitavano a memoria i due fanatici, nessuno si sarebbe accorto dell'anomalia.
L'unica cosa che mi è riuscita di ottenere è la promessa, che, se un giorno ci fossimo trasferiti a Napoli, l'avremmo cambiato, usando però il nome di battesimo di Bruscolotti, il terzino, vale a dire: Giuseppe.
Lateralmente, appunto per questo, io l'ho sempre chiamato Peppino, o Peppì, a volte Pino, raramente Peppiniello.




Quadri e paesaggi partenopei
Tornando al ristorante, quando abbiamo aperto, c'erano solo due quadri con relativi panorami della città del nostro cuore, uno raffigurava il Castello dell'Ovo, che è proprio vicino alla casa natale di Don Gennarì, un originale, dipinto probabilmente dalla finestra di un edificio alla sua sinistra, a giudicare dalla posizione di sbieco e dal paesaggio che viene fuori quasi timidamente nello sfondo.
L'altro era un'imitazione australiana che raffigurava il golfo di Napoli, mi pare copiato da una cartolina. Pasquale aveva perfino ritoccato la firma, in fondo a destra, devo dire abbastanza bene.
Mark Peels era diventato De Marco Pietro.
Un altro paesaggio marino, o magari lacustre, era stato comprato in un negozio di Connaught place   durante una gita di tre giorni a Nuova Dehli.
Il proprietario del negozio, un marchigiano di San Benedetto del Tronto, non sapeva che cosa esattamente raffigurasse e dove situare quel luogo sul mappamondo, ma mio marito, che se ne intende, ha dichiarato che la firma era italiana, per quanto agli altri paresse illeggibile, e se un quadro italiano inscena flutti e gabbiani, con alcune casupole colorate, barchette a remi e a vela, un bel pino marittimo, bene, se quello non è Napoli, può essere solo una sua imitazione, per carità!

Pino Nocera e la musica tipica
La musica è stata un problema, per una porzione di tempo. Avevamo due cassette decrepite di Roberto Murolo, una di Nunzio Gallo, passavamo solo quelle e la qualità del suono peggiorava di giorno in giorno, pure le nostre orecchie, per quanto amassimo i due vecchi cantanti, non ne potevano più.
Un giorno, però, è arrivato un napoletano autentico, che aveva delle cassette con sé di Pino Daniele, Teresa De Sio, Eugenio Bennato e altri autori moderni, in più cose antiche e sfiziose come Aurelio Fierro ed altri napoletanissimi d'epoca... per arrivare al massimo del romanticismo con una vecchia ma gloriosa cassetta pirata del Festival della musica Napoletana del 1966, ma registrata benissimo, che Don Gennarì quando l'ha ascoltata si è messo a piangere. In tutto un ventina di nastri che hanno lasciato senza parole tutta   la famiglia Ruotolo. 
Pure  Bruscolotti, nella  sua  ignoranza in materia partenopea, normale per un bambino di tre anni nato e cresciuto in India, è rimasto tanto colpito che si è messo a piangere quando il signor Nocera, fattosi scuro in volto, ha detto che gli dispiaceva vendercele.
Noi siamo ammutoliti, Peppì piangeva, Don Gennarì stava ancora lacrimando assai per la cassetta del festival Napoletano, cosicché, quel pover'uomo, commosso, ha deciso addirittura di regalarcele, tutte.
A questo punto Pasquale ha fatto aprire una bottiglia di vino californiano, ma di una vinicola di un italo-americano, un tale Giacomo Speranza, con tutta certezza di origine napoletana.
Dopo qualche bicchiere ha fatto pure la dichiarazione solenne che il signor Nocera avrebbe mangiato gratis al "Vesuvio" tutte le volte che passava di là.
E ci passava sempre più spesso.
Però, tutti siamo  stati felici, abbiamo  cominciato  a parlare dei  bei vecchi tempi,  degli avvenimenti  cittadini  e  di periferia.
Chi  non  ne aveva, come Pasquale, ne inventava e sembravano verità.
Alcuni episodi, secondo me, se li doveva essere sognati, erano così ricchi di particolari che nessuno avrebbe potuto dubitare della sua buona fede. Chiuso il ristorante per la pausa pomeridiana abbiamo continuato la chiacchierata insieme.
Il signor  Cosimo Nocera, passa da noi frequentemente, sempre da solo. Pure se spesso richiesto, non ci ha mai confessato quale è il motivo del suo perambulare asiatico. Mangia come un bufalo, ci porta le ultime novità musicali, parliamo di Napoli e del suo magnifico circondario, dei suoi paesaggi romantici, di come è vivere là, di tutto insomma.
Gli altri clienti abituali sono commercianti che passano regolarmente o meno ma non vogliono dire in che tipo di attività si muovono.
Pure il signor Nocera, dicono che venda armi o droga, o tutte e due, ma per noi è tanto una brava persona, che non ce ne importa.
Non lo vogliamo sapere proprio.
E poi le malelingue, che esistono anche in India, devono parlare male di qualcuno, sennò muoiono avvelenate dal loro stesso veleno, non ci pensiamo nemmeno, possono dire quello che vogliono, ma per noi il signor Cosimo è un galantuomo e basta.

Italiani e altri non indiani, residenti o di passaggio
Ci sono vari italiani che abitano a Benares, come i signori Marsili, che sono toscani, ma che amano la nostra cucina e adorano parlare col vecchio, ma arzillo Don Gennarino.
Sono due buone forchette e ottimi bicchieri, i soldi non gli mancano, il che non guasta.
Tedeschi, che amano più la nostra cucina che quella germanica, come Hans, un finocchione simpatico da morire che sta tentando di mettere su una compagnia di teatro, i coniugi Kaltenbrunner che invece sono molto riservati, ma che dopo qualche bottiglia, diventano espansivi e pure esagerati... , i due fratelli Staden, con relative signore, che sono austriaci, ma che per mangiare sembrano bolognesi.
Americani, naturalmente ed inglesi... tanti cittadini del mondo, che vagano appunto per il globo terracqueo, che devono fare? È normale.

Ma ditemi voi: a chi non piace la cucina italiana?
I prodotti sono quasi sempre imitazioni, fedeli in tutto agli originali, per carità.
         La pasta però è di marca Vojello e non poteva essere un'altra, è cara ma va bene così.
C'è un napoletano che dal Pakistan ci manda un vinello Gragnano che è perfino migliore di quello vero, frizzante e fresco-fresco!
Non sappiamo dove lo fa, ma quello che conta è che è buono di gusto e non provoca dolori di testa.
Ci arriva in fusti, come quelli della birra e noi ci mettiamo le bottiglie e la etichetta del ristorante, che è stata disegnata da un italo-cipriota nostro cliente. Il prezzo del Gragnano è un po' alto, ma è una sciccheria.
I pomodori pelati sono importanti e importati: ci arrivano da Singapore, ma sono napoletanissimi.
La mozzarella è fatta qua vicino a Lucknow, in India i bufali non mancano, arrivato un determinato maremmano, ecco che il prodotto se n'è uscito, un signor prodotto, è cos'e' pazze, ve lo dico io.
Dal nostro forno a legna escono delle pizze che sono opere d'arte, le vedo e soprattutto le sento, quando passano e mi viene l'acquolina in bocca, ma noi non ce le possiamo mangiare, nossignore, sono troppo care.
Ah, dimenticavo che il basilico, la salvia e il prezzemolo  crescono in abbondanza e qualità, sul terrazzo di casa, abbiamo messo dei grandi vasi ed è già un piacere vederli venire su in quella maniera, con tutta una speciale voglia di collaborare, con quasi un orgoglio di fare parte di una gastronomia, in loco, tanto rara e preziosa.
Il nostro fiore all'occhiello è il cuoco Anacleto, che è quasi turco, vabbuó, ma quello ha lavorato a Berlino, per dieci anni, nel ristorante "Pasta e Basta!"
Parla un dialetto napoletano che è impressionante, nel senso positivo, dico, inoltre fa dei calzoni col pomodoro fresco, la ricotta salata e il basilico che mi fanno morire!
Diciamo che l'aspetto puramente culinario è quello che mi piace di più, che mi da più soddisfazione, tanto che Pasquale, visto il mio entusiasmo e la conseguente competenza, ha affidato a me il controllo della cucina, non se ne lamenta mai, significa che è soddisfatto.
Se penso a quello che ho fatto prima di arrivare a Benares e d'incontrare Pasquale mi pare di essere un'altra persona.
Sono riuscita a semplificare la mia vita, a togliere i pensieri inutili, dannosi, mi sento viva, anche se faccio le stesse cose tutti i giorni.
Vedete che la routine è una cosa psicologica, non dobbiamo lasciare andare in giro i nostri pensieri, dobbiamo farli pascolare un po' e poi rimetterli dentro l'ovile, come le pecore.

Pasta fatta in casa... fresca o quasi collosa
Però una cosa che Pasquale ha tentato invano di fare è stata la pasta casalinga.
Aveva messo due camerieri addestrati a puntino, tutti i giorni, nella pausa pomeridiana, i due tentavano di seguire le istruzioni di Don Gennarino.
E per tentare hanno tentato, ma vuoi perché lui è testardo e un pochettino fuori dall'ordinario indiano, vuoi che il suo inglese e il loro, per quanto maccheronico alla stessa infima bassezza, lo era in maniera diversa e allora non si capivano, vuoi per causa delle teste dure dei due camerieri... beh, i risultati sono stati catastrofici.
Allora Pasquale si è messo personalmente, ha fatto di tutto, poi si è scoraggiato o quasi perché mi ha passato il compito.
Non so se le cose sono peggiorate, ma non sono migliorate, con certezza. Nemmeno noi, con tutta la nostra buona volontà,  riusciamo a mangiarla... quella roba che pare una colla densa, né noi, né il personale del ristorante.
Vedete che la fame in India è una cosa relativa.

Il personale napoletanizzato
Parlando del personale, Pasquale insisteva ed insiste per insegnargli il dialetto napoletano, dice che tra loro, passando tra i tavoli devono lanciarsi delle frasi fatte di tipo napolitano come:
"Aggio capito!" "C'a pommarola 'n'coppa?" Eccetera. Il fatto è che loro s'imparano le frasi, le dicono anche, ma non fanno la relazione necessaria con il loro significato.
Pasquale dice che va bene così.
Il nome dei camerieri, naturalmente, è in stretto rapporto con la cultura partenopea, cioè spesso e purtroppo con la nostra "amata" squadra di Fuorigrotta.
Diego Armando è un cameriere basso e con i capelli a cespuglio, dribbla i tavoli e gli altri camerieri, è sicuramente il più abile, il che non significa che lo sia molto, o sempre.
Pesaola ha gli occhi sgranati e parla molto lentamente, Juliano è il caposala, quello cioè che, quando Pasquale è impegnato in qualcosa, dirige gli altri, o almeno ci prova. In passato abbiamo avuto anche Canè, che era molto scuro di pelle; Careca, che era rapido e calvo, eppoi, agli inizi, pure il cameriere "Comessichiama", dato che, prima di cominciare a dargli nomignoli, abbiamo tentato di chiamarli con i loro veri nomi indiani, ma alcuni erano assai complicati.
In quell'epoca abbiamo avuto il peggiore di tutti, che mi pare si chiamasse Bhulli, ma tutti lo chiamavano "A-Quello-La-Testa-Non-Lo-Aiuta".
Un autentico massacro di piatti e di bicchieri, il suo dialetto napoletano pareva barese pronunciato con una susina matura in bocca, se lo guardavi negli occhi pareva che fosse stato ipnotizzato.
Ma quello ha durato poco, Pasquale l'ha buttato fuori quando lo ha scoperto che dormiva sui sacchi di farina, nel magazzino.

Il Vesuvio come stile di vita    
La vita in casa è limitata, passiamo quasi tutto il tempo dentro al Vesuvio e come pare logico, c'è un caldo infernale, ma che ci vuoi fare? Sempre di più il suo  arredamento  diventa  simile alla nostra idea di  un  ristorante  tipico,  vicino  al mare...  che  nel nostro  caso è fiume, è chiaro, ma è grande assai e lo chiamiamo "il golfo".
È il nostro mondo, questo vulcano culinario e pure culturale, lo amiamo forse di più della nostra casa, ci sono delle belle reti attaccate alle pareti incorniciate, a loro volta, di legno scuro, sempre più mobili e soprammobili, quadri, articoli da decorazione, che, se non sono quasi mai originali, per noi è come se lo fossero eppoi lo sembrano, veramente.
Don Gennarino, nelle ore di servizio, se ne sta seduto al tavolo del personale, a lato della cucina, vestito da cameriere, anche se non partecipa attivamente alla "fatica", la sua funzione è decorativa, folkloristica, potremmo dire,  e la sa svolgere pure assai bene.
Ogni tanto fa un giretto per i tavoli come se controllasse le cose e sorride e saluta con la mano, i suoi occhi sembrano vispi e forse, quando vuole, lo sono anche, tutti i clienti lo conoscono.
Quando poi viene qualcuno che gli piace, gli si piazza al tavolino e lo accompagna per tutta la refezione. Non dovrebbe, ma accetta più o meno di nascosto, (contro proteste feroci del figlio), eventuali aperitivi e bicchieri di vino offerti, raccontando storie che nessuno più di lui ce ne ha in repertorio, gridando come se fosse al mercato del quartiere e cantando a volte le canzoni che stanno suonando in quel momento, oppure altre che gli vengono in mente.
Pure pezzi di commedia napolitana, sono parte del suo teatro personale, oltre a qualche scena di Totò... e qui si va già nel cinema.
A volte mi sento innamorata anche di lui, di questo mio suocero che è un esempio di bellezza senile, la sua conversazione è piena di una cortesia ormai perduta  nel tempo, di una lentezza saggia, le sue parole sembrano illuminate da un concentrato di passato, di esperienza, di vita vissuta.
Don Gennarino ha ancora la visione incantata di chi, nonostante le  peripezie e gli incidenti, segue la sua strada con amore, con l'affetto per i tanti e piccoli particolari della vita di tutti i giorni, guardando lui, questo quasi ottantenne, non si capisce perché tanti, a ventanni, sono stanchi di vivere.
Difficile credere che io pure sono stata così persa, allora.

Ognuno fa la sua parte...
Però io adesso me ne sto alla cassa, vestita da cameriera, ma con un fazzoletto di seta al collo che ho comprato a Capri, l'ultima volta che ci sono stata, un bel po' di anni fa, prima di mettere il mio ex gentile piedino in India...
Ebbene sì, sono 'nu poco  ingrassata, che ci volete fare.
Metto la musica, cercando di alternare la frequenza, usando le cose migliori nelle ore di punta, regolando il volume a seconda del rumore che c' è, in conformità col momento.
Preparo anche i gelati, ai quali Pasquale tiene molto, i dolci nelle ore di pausa, vado sempre a salutare al tavolo i clienti importanti, cerco di limitare Bruscolotti e Gennarino quando diventano troppo esuberanti.
Pure Bruscolotti è vestito da cameriere, ha già cominciato a lavorare, ma si limita, per ora, a togliere i piatti sporchi, a romperne alcuni, a volte un bicchiere o due, a scambiare qualche battuta in napoletano con i clienti, a correre di qua e di là ed a complicare la vita dei camerieri indiani, che non ne avrebbero bisogno... ma si sa, è 'na criatura, che dobbiamo fare?
Pasquale è un caposala nato, ama questo lavoro come nessun'altro al mondo, sa scherzare e fare la battuta preparata al momento opportuno, è severo con i camerieri che hanno un terrore sacro dei suoi occhi indagatori, si trova sempre al momento giusto nel posto giusto, niente gli scappa... ma purtroppo... (ebbene sì, c'è un piccolo purtroppo) anche in famiglia è così, una specie di dittatore.
Certo, è simpatico, ma quando gli viene in mente, di solito è troppo occupato con altre cose.

Tra non molto prenderemo l’aereo...
Non mi posso lamentare, per carità, stiamo anche mettendo i soldi da parte, fra poco potremo coronare il sogno nostro. Il Pasqualone mio sta diventando ogni giorno più nervoso, manca poco, tra cinque mesi e mezzo ce ne andremo tutti quanti, voi sapete dove, chiuderemo il Vesuvio per trenta giorni, passeremo il prossimo maggio a Napule, visiteremo finalmente la mia famiglia a Procida... che vi devo dire, non mi ero mai accorta di quanto era bello là, fino a che non me ne sono uscita!


“Napoli e il mondo hanno la seguente relazione: Napoli è l'originale, il mondo è un’imitazione, qua c'è tutto e tutto è più concentrato, invece il mondo... quello è troppo grande, è facile perdersi...”
                                                Pino Nocera





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