Dal 1989, cioè dopo la caduta dei muri dell’Europa Orientale, Praga è diventata progressivamente una città con tendenze consumistiche, ma molto attiva sotto vari punti di vista. Principalmente da quello turistico, strettamente legato a quello economico, i quali portano in genere ad una crescita, almeno iniziale, delle prospettive. Un vento di novità, di rinascita, allora anche l’arte che si sente meno oppressa se ne esce in forme nuove e diverse, quelle cioè che parevano sorgere direttamente dalle ceneri del comunismo.
In una discoteca punk ho conosciuto il professor Rugani, il famoso specialista di didattica per l’insegnamento delle lingue, l’inventore della nota tecnica di dare lezioni di lingua sott’acqua.
La prima volta che ne ho sentito parlare, ho pensato ad una barzelletta, ma era invece una cosa molto seria. Scoppiare a riderne, era normale, a quei tempi, ed è normale ora, anche se, come si sa bene, è una realtà ormai più che confermata e di ambito mondiale.
IL Bulk
Quella notte, comunque, il professorissimo stava ballando in mezzo ai punks, fasciato alla perfezione, ma per niente impacciato1, da giacca e pantaloni in gessato2 blu, camicia bianca e cravatta bordeaux. Si muoveva come un ossesso, sventolava la chioma bianca al vento che il suo stesso movimento creava, fumava una sigaretta lunghissima e dava grandi sbuffate di fumo a tempo con la musica: era solo lui l’attrazione della pista.
Il Bulk era un anfiteatro-disco dove andavo solo per guardare, solo per il gusto di studiare la razza umana: era popolato da figure post-modern, mostri cibernetici, punks, maschere da bassifondi metropolitani, creature notturne che parevano uscite da fumetti3 futuristici, una più che impressionante fantascienza urbana... là sembrava sempre un film. Con la musica più radicale, ai ritmi pompati e grezzi di feroci rock elettronici e non, ma sempre tipicamente metropolitani, erano generalmente altri tipi di personaggi che si scatenavano là dentro, quelli che facevano lo spettacolo raramente erano dei cinquantenni, quasi mai avevano i capelli alla Einstein, proprio mai vestivano giacca e cravatta.
Ecco che il professore era il più notevole là dentro, tutti lo guardavano, in alcuni casi in cagnesco4, anche quando stava fermo da una parte, a riposarsi, a fumare, a guardare: il suo modo di vestire rappresentava là dentro un simbolo, una sfida, un antagonismo.
Il Bulk era noto anche per un’altra caratteristica che lo distingueva dai concorrenti: il volume della musica là era così alto che non solo era impossibile parlare, ma anche pensare.
Ad un certo punto credo che Nello abbia pestato un piede a qualcuno, o qualcosa di questo genere... ed è nata una rissa, visto che ero vicino sono andato ad aiutarlo, non so perché, visto che non sapevo che era lui, ma solo perché mi era stato simpatico, avevo visto qualcosa di simpatico in lui.
Sono rimasto sorpreso quando mi ha detto chi era, ed era un personaggio che avevo sempre ammirato, anche se ne parlavano abbastanza male, aveva suscitato in me una dose di curiosità e sapevo che viveva a Praga in quell’epoca, avevo anche tentato telefonicamente di parlarci, per intervistarlo, ma senza successo, avevo visto delle fotografie, ma con quelle sarebbe stato impossibile riconoscerlo.
Ne è valsa la pena, perché, anche se dopo quella scazzottata5 ho perso un poco di udito all’orecchio sinistro, ho conosciuto una persona fuori dalla norma, molto differente da quello che avevo sperimentato fino a quel momento... e anche dopo.
Nello Rugani, sanguinando dal naso e con il lobo di un orecchio quasi staccato, conservava il suo tipo di classe, assai particolare, che consisteva nella sua totale assenza; si fumava golosamente una sigaretta macchiata anch’essa di rosso e parlava con me, in italiano, come se ci fossimo sempre conosciuti. Dentro la sala d’entrata, seduti sui lunghi divani parlavamo, tamponandoci le ferite, quella non era esattamente la lingua che si studia a scuola, a dire il vero, ma quella specie di misto di dialetti sudisti che s’impara lavorando nei ristoranti di peninsulari all’estero, siciliano e napoletano, un po’ di pugliese e calabrese, in più lui ci metteva le bestemmie, caratteristiche principali del suo toscano.
“Ma che è successo, professò?”
“Guagliò6, lascia perdere! Solo questo, Dio lupone7, e fai bene attenzione a quello che ti sto dicendo: mai, dico mai-mai-mai, sottovalutare la conoscenza di lingua straniera dei cechi! Budellaccio della Madonna impestata8!”
“Ma perché professò? Non ho capito.”
“E certo. Vorrei vedere! Mó9 ti spiego. Ho detto, in italiano... porrrco cane10, e non ho parlato nemmeno troppo forte, un bisbiglio in mezzo alla musica a tutto volume, tanto per scherzare, ad uno di quelli ‘Schwarzeggeri’ là, che stavano ballando con lo stesso stile dei tacchini allo spiedo... ma quello mi ha letto le labbra... vedi che bel risultato che mi sono trovato!”
Abbiamo riso di gusto, pareva che in fondo fosse contento di quello che era accaduto, era stato divertente per lui, una cosa da raccontare, una diversione... ah, ah, era tutto da ridere.
Nello era un uomo che odiava la monotonia, la sua routine era da mozzare il fiato11, tentava sempre di fare cose nuove ed il peggio era che ci riusciva anche. Tra le altre attività aveva due fidanzate, una ceca e l’altra sorda, diceva lui, e accompagnava la sua affermazione com una risata sonora, ma la seconda invece era inglese (entrambe sapevano della reciproca esistenza).
Parlava otto lingue tra cui il ceco e stava imparando il cinese, (chissà perché proprio il cinese,) faceva un corso di teatro, un corso di vela, in più aveva tanti e diversi amici ed amiche, una ciurma di pazzoidi provenienti da ogni lato del mondo, con i quali parlava spesso attraverso un minuscolo cellulare dipinto a chiazze marroni, nere e verdi, tipo tuta mimetica militare.
Storia e storie di Nello
Vale la pena di raccontare la storia del professor Nello Rugani, nato e cresciuto nella campagna lucchese12, in una famiglia semplice di contadini, i cui figli, fratelli di Nello, poi erano diventati operai. Uscito fuori direttamente dalla terra come una pianta ansiosa di assaporare il sole e l’acqua ed allevato in seguito come un puledro scalpitante13, in un tipo di realtà toscana di cui porta nome e cognome tipici, dopo aver lavorato un po’ come muratore, fotografo, commesso, operaio in una fabbrica di scarpe, rappresentante, cameriere, pizzaiolo e barista, sempre a Lucca o nei dintorni... a trent’anni si era guardato intorno, aveva scoperto che si era rotto le scatole14 e se n’era andato in Argentina dove aveva alcuni amici, a Cordoba.
Aveva cominciato lavorando in un ristorante italiano, come tutti i peninsulari aveva questo grande vantaggio nel mondo, dovunque se ne vanno, là ci sono connazionali con le padelle in mano.
Poi aveva cominciato a dare lezione di lingua italiana, l’Argentina è piena di figli di figli di paesani, ma aveva anche continuato a lavorare, a fasi alterne, nei ristoranti. Nel tempo libero aveva poco da fare, conosceva ancora poca gente e faceva degli extra il venerdì, il sabato e la domenica.
Era preparato bene sulla grammatica, aveva sempre scritto poesie e qualche romanzo, mai pubblicati, ma era stato un allenamento, per Nello, e poi leggeva molto, pure cose difficili.
Studiare non aveva studiato quasi mai, in scuole o corsi o lezioni private, quello che aveva imparato lo aveva fatto da solo... o con il suo amico d’infanzia Gino, il quale era un fenomeno anche lui, a giudicarlo dalle foto: un maialotto occhialuto15, ma con due occhi, dietro alle lenti, che facevano le radiografie ai passanti per strada.
Insomma erano due campagnoli ignoranti e colti, che s’interessavano un po’ di tutto, due autodidatti intelligentissimi, ma anche due stupidi ribelli, avrebbero potuto diventare qualsiasi cosa, ergastolani o ingegneri nucleari.
Gino era rimasto in Italia e gestiva una filiale della Cressi, articoli per subacquei... Nello era con me, là, a fare lo scemo nel bel mezzo di Praga.
Una delle sue passioni erano le foto, che erano state, a suo tempo, uno dei suoi mestieri. Me ne ha mostrate una montagna. Ho constatato che quando era in Italia era tutt’altro che un bel ragazzo, aveva una vaga somiglianza con un pollo spennacchiato16, per via dei suoi capelli incolti17, il suo naso a becco eternamente arrossato dal vino delle colline lucchesi, la sua magrezza e la sua pelle bianca, sempre vestito in maniera sommaria e con una eterna sigaretta come prolungamento della mano sinistra, perché Nello era mancino18.
Era, a quei tempi, più o meno come quando l’ho conosciuto, la differenza era nei vestiti: a Praga era vestito assai bene... e i capelli erano imbiancati, il pettine non sapeva nemmeno più cos’era, visitava il barbiere solo di sei in sei mesi.
Dopo qualche anno di fasi alterne, per causa della sua ragazza, Annalisa, frutto acerbo di una mistura di abruzzesi, marchigiani, piemontesi e siciliani, era salito fino nel sud del Brasile, a Santa Maria, nello stato del Rio Grande do Sul.
Là aveva continuato il suo cammino di insegnante, sempre meno improvvisato, sempre più competente. Laggiù in Brasile andava di città in città dando lezione ai figli di figli di figli di emigranti, aveva scoperto una vocazione. Sì, aveva capito, ben presto, che quella era la sua strada, dopo averne prese tante senza convinzione, per infatuazioni provvisorie, finalmente questa gli piaceva e parecchio.
Gli alunni non concordavano, almeno all’inizio. Nello era insofferente, piuttosto permaloso, litigava con frequenza e in più c’era il problema della lingua portoghese, dei doppisensi, del gergo, della maniera di scherzare di loro. Il suo carattere non conosceva limiti, accettava gli scherzi... ma solo quando li capiva, una volta aveva anche litigato con un allievo... che era molto più grande e forte di lui... ma lo aveva picchiato19 lo stesso, era anche stato denunciato.
Come poteva un indisciplinato, figlio dei figli dei campi, trasmettere nozioni a studenti spesso anche più anziani di lui, volendogli bene di un amore istintivo, ma che però erano molto differenti da lui e soprattutto non erano abituati a rispettare l’autorità se non imposta con autorità?
Attraverso questa esperienza traumatica è stata sviluppata la sua nuova teoria, basata sulla concentrazione in uno stato alfa di percezione, contro la distrazione che è fenomeno tipico di una società consumistica e materialistica, come quella delle città Brasiliane, ma non solo di quelle, in quell’epoca e anche in questa attuale.
Parallelamente aveva continuato a fare il cameriere, in tutte le fasi della sua vita, quando gli mancavano i soldi o la compagnia, aveva fatto il cameriere in ristoranti italiani, dovunque si trovasse ce ne erano a bizzeffe20.
Storia di un antropologo improvvisato
Praga era la città ideale per il mio mestiere di giovane giornalista-antropologo, c’era molto da dire e da fare, tutto si muoveva perché in un certo senso rinasceva, i cambiamenti dopo il cadere della cortina orientale erano rapidi ed interessanti.
Avevo cominciato anche io come cameriere, ma avevo realizzato ben presto le mie prerogative professionali, come avevo già fatto in Inghilterra e in Germania. Ero autodidatta anch’io, ora lo posso dire, mi muovevo con una perfetta laurea falsa che avevo pagata cara, ma era valsa la pena.
Per quanto riuscissi a lavorare sufficientemente nel mio ambito preferito, l’osservazione attenta del comportamento umano, per quanto ne scrivessi alquanto saltuariamente in alcune riviste italiane e tedesche, due quotidiani italiani ed uno inglese, avevo ancora difficoltà con il ceco, che, in quanto lingua slava, non è facile per chi ha sempre parlato lingue derivanti dal nostro latino, o successivamente altri idiomi di stampo anglo-sassone.
Preparazione all’intervista
M’infilai allora nelle acque tiepide della scuola di Nello Rugani, che per quanto care davano risultati rapidi. L’immersione completa nella lingua per lui cominciava (e continuava) proprio con un tuffo in una piscina. Il mio obbiettivo era anche fare un articolo su di lui, sulla sua tecnica, visto che ero diventato suo amico, suo alunno e suo ammiratore lo ero sempre stato, mi è stato possibile avere la sua prima intervista.
E questo è stato il mio maggiore scoop, perché a quel tempo Nello Rugani era già famoso, tanto in Europa, quanto in tutto il mondo occidentale, ma anche in Giappone avevano cominciato ad usare il suo metodo, che in Australia raccoglieva già il maggior successo.
Dovete sapere che per la stampa Nello era sempre stato un cretino, anche dopo aver raggiunto risultati incredibili in tutta l’America Latina. Poi era stato lui che non aveva più voluto saperne di giornalisti. Nello Rugani non era un tipo che conoscesse mezze misure.
Non concedeva interviste e non lasciava filmare le sue lezioni, nemmeno gl’impianti, niente di niente. Tutto ciò gli aveva garantito, di riflesso, una grande pubblicità, parlavano molto e spesso male di lui e dei suoi corsi, ma era propaganda anche quella, che generava curiosità. Avevano detto che drogava gli alunni e che si pagavano cifre astronomiche per fare i suoi corsi, che la sua era in realtà una religione, che plagiava le personalità deboli, che si faceva le studentesse... tutto quello che potevano inventare lo avevano inventato.
Il risultato era che tutti lo volevano, aveva messo su scuole in quarantaquattro paesi del globo, si era arricchito.
L’unica cosa vera e solo in parte, di tutto quello che avevano messo su contro di lui, era che i suoi prezzi erano alti, e lo erano senza dubbio, ma meritavano di essere pagati, il semplice rapporto qualità-prezzo gli dava ampiamente ragione.
Quando gli avevo detto che ero un giornalista, nel bel mezzo di un pranzo e di una piacevole chiacchierata, era diventato serio di colpo e mi aveva guardato con quel suo modo tagliente, tutta la faccia corrugata e gli occhi ridotti comicamente a due fessure... un vecchio eschimese con la bocca piena di succo di limone senza zucchero. Aveva detto con la massima serietà:
“Non pare, non l’avrei mai detto, credevo di conoscere la razza umana, mi avevano detto che non tutti sono degli idioti... mah? D’accordo! Ogni eccezione ha la sua regola... o era il contrario?”
L’intervista dell’anno
Abbiamo fatto, molto tempo dopo, l’intervista in un bar, bevendoci qualche birra, lui fumando un numero imprecisato di sigarette. Ce ne avevo messo di tempo per convincerlo, ma quando ce l’avevo fatta a fargli accettare la teoria, ce ne era voluto altro ancora per portarlo a metterne in atto la pratica. Rimandava sempre, inventava scuse ridicole, ma la mia diplomatica persistenza alla fine è stata premiata.
Questa intervista, nella versione integrale, viene oggi per la prima volta resa ufficiale, come avevo promesso a Nello, dopo la sua morte, avvenuta per infarto durante una partitella di calcio tra amici, tre settimane fa, a Meati, (nei pressi di Gattaiola, dove Nello Rugani è nato e cresciuto,) un piccolo sobborgo di Lucca, Toscana, Italia centrale.
La stessa intervista, ma in versione purgata, è stata pubblicata sulla rivista Espresso, il 10 giugno del 2000. Le bestemmie, che lui tirava fuori spesso e volentieri, quando s’immedesimava troppo, non sono comparse sul giornale, ma le ho ricollocate qui, perché interessanti e facenti parte del contesto, dalla registrazione originale che sto ricopiando fedelmente.
Prima di cominciare gli avevo mostrato le domande, un giorno prima, in modo che potesse prepararsi, gli avevo spiegato che l’eventuale aggressività delle questioni era stata studiata perché il lettore si immedesimasse nella figura dell’intervistatore, cioè io.
Dunque erano mesi che stavo aspettando quel momento, per quanto frequentassi abbastanza Nello, andassimo spesso fuori di notte, partecipassi al suo corso tre volte alla settimana.
Lo ero passato a prendere a casa sua, un appartamento enorme e abbastanza antico. Non ha voluto rimanere là dentro, perché non voleva mostrare alle proprie pareti, al gatto e ai pesci dell’acquario quando diventava nervoso, visto che sapeva che lo sarebbe diventato.
Nel bar, dopo due birre a testa, ha detto che si sentiva a suo agio e potevamo cominciare. Le parti fra parentesi sono state aggiunte ora, non erano incluse nell’intervista originale.
Intervista a Nello Rugani, l’insegnamento moderno delle lingue, imparare rapidamente, senza problemi di distrazione.
Il nostro eroe di oggi è il famoso professore autodidatta italiano: Nello Rugani, toscano della campagna lucchese, noto nel mondo intero per sua rivoluzionaria maniera di insegnare la lingua straniera sott’acqua. Lo stravagante studioso di didattica linguistica dichiara che la mente umana si concentra in modo migliore in una simulazione di liquido amniotico.
Il signor Rugani si presenta sempre in giacca e cravatta, fumando vari tipi di sigarette, alternandole, con uno sguardo acuto e tagliente in mezzo a nuvole di fumo.
La sua sensibilità, con la conseguente minuziosa osservazione, si muove attraverso varie discipline. Senza dubbio una mente geniale, un uomo abituato a guardare il mondo da vari punti di vista.
(Dall’altro lato vediamo il segno della vita di campagna sul carattere di Nello, la sua assoluta mancanza di diplomazia, le bestemmie che punteggiano spesso il discorso, un’agitazione che forse un uomo del suo peso sociale dovrebbe aver perso con gli anni, con l’esperienza, con il successo. L’inizio è un monologo suo, che non stava più nella pelle dalla voglia di dire a tutto il mondo quello che aveva sullo stomaco, da tempo.)
Cominciamo parlando dell’importanza vitale della concentrazione, in qualsiasi disciplina, ma soprattutto nello studio delle lingue.
“La distrazione è la grande malattia di questa epoca, la nostra: le persone sono abituate a fare varie cose allo stesso tempo, perché il lavoro le assorbe troppo, lo spazio ed il tempo sono stravolti, la concentrazione difficile, che cosa fare? Lo studente notturno, che nello studio delle lingue è il più iscritto, o comunque dopo il suo turno di lavoro, è uno studente stanco, svogliato, distratto.
L’alunno moderno, che vive in una grande città, è una persona che ha poco tempo, ma molta ansia, Dio maiale, vive rapidamente, spesso mostra scarso entusiasmo per la lingua, la impara per motivi di lavoro. Altri allievi, invece, lo fanno per una romantica passione, questo già impone una differenza rigorosa trai due gruppi. Niente di strano in questo: se abbastanza numerosi, facciamo due gruppi, successivamente quello che deve mutare è il loro sistema di vita, ma inizialmente solo durante le lezioni... per avere dei risultati... poi anche per capire di averne raggiunti, per congratularsi con se stessi e stimolarsi a continuare.
Prima di tutto il modo di vivere di oggi non è irreversibile, poiché se siamo arrivati a questo punto siamo stati noi, esseri umani, a voler competere con noi stessi... abbiamo perso, almeno moentaneamente la guerra, quello che non sappiamo ancora è il perché, ma siamo schiavi di un sistema che abbiamo cominciato senza poterci dare conto delle conseguenze.”
Nello Rugani è diventato professore in Argentina, a Cordoba, dove ha sviluppato il suo insegnamento senza alcuna preparazione che non fosse l’entrare nella fossa dei leoni e tentare la sorte. Dopo qualche annetto di gavetta21, di litigate e viaggi per raggiungere le sue classi sperdute nella campagna, sviluppando progressivamente le sue nuove tecniche e sperimentandole direttamente sugli alunni, ha finalmente messo in pratica, nel 1993 il suo progetto più ambizioso, cominciò a dare lezioni d’italiano nella sua piscina. A quei tempi si era già trasferito in Brasile, per motivi sentimentali, nello stato del Rio Grande do Sul.
All’inizio era solo una vasca di sei metri per tre, per un metro e quaranta di profondità, poi, con i primi successi, aumentò il numero di studenti e la grandezza della piscina, fino ai quindici per dieci, con due di profondità, che sperimentata per la prima volta nell’1995, è stata poi confermata come quella di dimensioni ideali, per dare lezione a dieci alunni, che è anche considerato da Rugani il numero più opportuno.
In seguito le piscine sono state costruite a forma di mezzaluna, con quindici metri di diametro. Non ci sarebbe bisogno di dire che le sue teorie sono state, nonostante l‘efficacia più che dimostrata, derise fino al giorno d'oggi. Ma... per capire tutto questo, le parole dello stesso Rugani sono il miglior veicolo.
“L’idea è nata dal fatto che lo studente brasiliano era, cane di Dio, prima di tutto un alunno indisciplinato, la sua attenzione alla materia era appesa ad un filo sottile, che qualsiasi episodio insignificante nei suoi dintorni catturava e portava lontano, bastava una mosca... che ne so, un clacson fuori per strada, il passare di un aereo... e la sua mente se ne andava, si perdeva nello spazio siderale, era difficile e faticoso recuperarla... la lezione diventava frammentata, l’attenzione di altri alunni più concentrati pure veniva coinvolta irrimediabilmente.
Quando l’alunno è stanco può avere diversi tipi di reazione, in genere il brasiliano finge che vada tutto bene, dissimula il suo stato di parziale incapacità e disperde la sua scarsa energia in cose che hanno poco a vedere con la lingua straniera.
La reazione alla stanchezza, dopo un giorno di lavoro, era allora scherzare su qualsiasi cosa, il che sarebbe gradevole... se non fosse portato all’estremo, se non fosse all’interno di una lezione, se non fosse cosa continuata e arduamente arginabile...
Il ceco, in questo tipo di situazione, si chiude in se stesso, interrompe momentaneamente la comunicazione con la materia e con gli altri studenti, così l’europeo in generale. Il latino-americano, in generale, ha un comportamento simile al brasiliano, prima di tutto non vuole dimostrare che è in difficoltà.
Dobbiamo notare che gli orientali e i popoli musulmani, invece, hanno una maggiore capacità di concentrazione, in questi momenti sono migliori. Sebbene stanchi si mettono d’impegno per fare l’unica cosa che conta, in quel momento, cioè lasciar perdere tutto il resto e s’immergono nella lingua, i loro risultati sono buoni, per quanto svantaggiati nello studio di lingue rette da sistemi grammaticali completamente differenti dai loro. In questo è probabilmente la loro religione e la loro conseguente cultura, che li aiuta. Per questo la cultura, deve andare e va di pari passo, deve essere insegnata nello stesso contesto, non separatamente.
Insomma la mia idea è stata ed è che si deve creare un ambiente che isoli lo studente dal resto, dalla sua cultura e dalla sua lingua, progressivamente si deve entrare, senza uscire da Praga, Dio bestione, per fare un esempio, in Roma, Milano e Firenze.”
(Nello Rugani accavallava e scavallava le gambe continuamente, il fatto che credesse fermamente in quello che diceva lo faceva agitare, penso, pareva che stesse facendo un discorso di fronte a migliaia di persone, in fondo era così.)
“Si può dire che l’emotività è molto importante nell’apprendimento di una lingua?”
“Certamente, tutto quello che facciamo fa i conti con l’emotività, ma qui in maniera particolare, in una lezione di lingua, perché siamo in presenza di altre persone, ciò non può non inibire, anche perché i suoni di una lingua 2, al momento in cui siamo chiamati ad emetterli, a maggior ragione, ci sembrano sempre orribilmente sbagliati, all’inizio, specialmente. I timidi, per esempio, hanno più difficoltà a parlare un’altra lingua, perché hanno una sorta di timore nel parlare anche la loro, la lingua 1, o la parlano rapidamente per non essere interrotte, in questo caso hanno la assurda pretesa di parlare la lingua 2 con la stessa velocità, si irritano perché non ci riescono, è normale.
Anche se favorisce una fuga, per quanto infantile, da quella realtà, vogliono imparare la lingua, sì, ma in pratica fanno esattamente ciò che non dovrebbero fare, si distraggono, fuggono dal confronto tra se stessi e la nuova situazione... non riescono a concentrarsi perché sentono una forte ansia...”
(Continuavamo ad ordinare ed a scolarci le ottime birre alla spina e Nello alternava le sigarette prese dai vari pacchetti persi nelle sue numerose tasche. Anche se seduti in un bar affollato i piccoli microfoni senza filo facevano il loro lavoro tranquillamente attaccati agli occhielli delle nostre giacche, li avevo sperimentati in condizioni di rumore anche peggiori. Gli sguardi dei curiosi non interferivano molto, perché la lingua italiana ci proteggeva, o almeno credevamo...)
“Scusi professore, ma come facevano gli altri professori? Il problema era la disciplina, giusto? Non c’era una maniera più semplice di mettersi dentro una piscina, per fare in maniera che gli alunni rispettassero i tempi e le esigenze della lezione?”
“Gli altri professori, budello di Gesù22, hanno aumentato il movimento, dando più importanza allo spazio ed al tempo, durante le lezioni.
Per stimolare al massimo l’attenzione, sono costretti a smanaccare23 e ad urlare, a muoversi molto, come tigri in gabbia, a richiamare continuamente gli alunni, per via di focolai di distrazione, prima che questa dilaghi, insomma sono stati costretti a fare una specie di teatro involontario, anche con risultati divertenti, visto che a volte una lezione diventa tragicomica... ma questo non significa affatto mantenere la qualità di un insegnamento, perché, comunque sia, ci si allontana dal fuoco dall’obbiettivo, cioè la lingua.
Per aiutarvi, per darvi un’idea, vi dico questo: è una esagerazione della rappresentazione, per combattere un’altra esagerazione, quella della distrazione.
Anche i professori quindi si sono abbandonati all’ansia, all’ossessione sul problema, gli alunni ricevono quindi ulteriori scariche di vibrazioni negative, la lezione diventa panico, non si capisce, Dio Feroce, più niente, invece d’imparare si cominciano ad avere dubbi anche su quello che sapevamo già!”
“Questa è una situazione comune?”
“Più o meno, principalmente dove le persone non sanno, Madonna sbudellata24, accettare una disciplina, ma la vita è in se stessa una disciplina, Dio e poi canaccio25, non si può fare niente d’importante se non ci si sottomette ad un sistema di regole, che possiamo anche avere creato noi stessi, che ce ne frega? Ma delle quali conosciamo molto bene la validità e l’efficacia, di conseguenza.”
“Ma se le lezioni vengono fatte la mattina, il cervello degli allievi è fresco e riposato, il suo sistema... per così dire ‘subacqueo’ diventa inutile, o sbaglio?”
“Inutile? Lo dici te! Guarda che la distrazione esiste e disperde la concentrazione, sempre, in misura più o meno determinante... anche quando la mente è, Dio Maiale, al massimo della sua normale capacità.
I pensieri riguardo altre cose ci assalgono e ci ossessionano, un disgraziato non sta al mondo solo per imparare le lingue, porca puttanaccia, la sua vita è piena di cimenti e di preoccupazioni, di problemi, di cose, insomma, che lo mantengono connesso con la sua routine quotidiana, con occasionali ma, in un certo senso, continui guai, che si creano per vari motivi, ma più che altro per il suo sistema stressato di vivere il giorno per giorno, per l’impossibilità di dare riposo alla sua mente, per una serie di situazioni concatenate che costituiscono la vita di persone che non hanno capacità di decidere come vivere con il proprio cervello.”
(Una delle parole ricorrenti di Nello era ‘cimento’, gli piaceva da morire, usava spesso anche il verbo ‘cimentarsi’, per lui era l’espressione migliore per descrivere la sua maniera di vivere, sfidando e il mondo e provando a se stesso e agli altri il suo valore.)
“I problemi maggiori allora vengono dal nostro tipo di cultura occidentale?”
“Direi di sì, forse una buona parte, gli orientali sanno darsi pause più sapienti, ma, in un prossimo futuro, la competizione economica internazionale potrebbe compromettere anche la loro struttura sociale, in seguito, dopo anni, dovranno tornare indietro... esattamente come dovremmo fare noi, in tanti già ci stanno pensando, Dio bescovone26, apriamo la nostra testa cittadini del mondo, quanto prima possibile!”
(A questo punto il suo tono era quasi da comizio politico, si era tanto entusiasmato che aveva alzato la voce più del normale e alcuni curiosi lo guardavano pronunciare quelle parole, sconosciute ed incomprensibili, speravo.)
“Ma tornando a noi, in cosa consistono l’equipaggiamento fisso e mobile usati per l’insegnamento e la teoria tecnica e strategica dalla quale deriva?”
“Molto bene, partiamo dalla tecnica, l’acqua ha due motivi essenziali di esistere attorno a noi, affinché noi possiamo cimentarci nell’apprendimento di una lingua 2!
Il primo è che, prima di tutto, assume l’effetto di una simulazione di liquido amniotico, ritorniamo feto nella pancia di nostra madre, lavoriamo in uno stato di percezione ‘alfa’, il che significa che non forziamo i nostri sensi, ma li lasciamo placidamente concentrarsi sul nostro obiettivo, le nozioni vengono assorbite in maniera indolore, senza fatica. Cadute le varie ed inutili maschere che la società c’impone e con esse una pesantissima dose di dispersione nociva, la priorità diventa quell’unico cimento che, nel nostro caso, è l’imparare una nuova lingua: la lingua 2.
Si chiama così, per gli addetti ai lavori27, perché è la nostra seconda lingua, mentre la lingua 1 è quella che noi abbiamo imparato automaticamente, senza l’aiuto della grammatica, vivendo da neonati, prima semplicemente assorbendo i suoni senza riprodurli, poi da bambini cominciando a dire la nostra, ripetendo quello che gli adulti dicono, senza spesso nemmeno saperne il significato. Poi crescendo la nostra coscienza di tutto, iniziamo a usare la lingua per soddisfare i nostri bisogni, in un ambiente dove si parla questa lingua, la lingua 1.
Ora la nostra intenzione è esattamente la stessa, far immergere la mente dell’allievo nella lingua, circondarla di un ambiente che parla solo questa lingua, che faciliti e provochi la totalità dell’esclusione, da quell’ambiente, di tutto ciò che rappresenta non solo distrazione... ma anche di altre componenti di vario tipo, provenienti da diversi ambienti che non siano quello desiderato, come per esempio la lingua 1, che parliamo tutti i giorni, la lingua in cui siamo abituati a pensare, non solo, ma tante altre cose che la nostra routine ha sedimentato in noi, automatizzazioni necessarie per vivere nel nostro tipo di ambiente, meccanismi indispensabili per combattere lo stress, per esempio nell’ufficio in cui lavoriamo, sistemi di difesa che non hanno senso fuori di là, ma che si azionano automaticamente, molte volte a sproposito.
Per esempio quando altre persone parlano, il nostro riflesso condizionato è di ascoltare anche se stiamo studiando, leggendo o facendo altre cose, con la coda dell’orecchio attento a quello che gli altri dicono che ci possa interessare. Questo succede, anche se le persone che parlano sono alla televisione o alla radio.
In questa maniera facciamo due cose incompatibili e le facciamo entrambe in maniera incompleta, generalmente i risultati di quello che stiamo facendo saranno scarsi e frammentari, in più alcune cose che gli altri dicono ci sfuggono.
Il segreto è fare una cosa sola alla volta, ma il fatto è che noi non ci siamo più abituati, lo possiamo fare solo se isolati dal resto. Questo è il secondo motivo per cui l’acqua è, Dio Bucefalo28, importante.”
“Ma non si poteva, invece di mettere gli alunni in piscina, che è una cosa piuttosto complicata, fare delle gabine insonorizzate, con un sistema di telecamere, magari, e isolarli così dal resto?”
“Questa è un’idea già abbastanza sfruttata, eppure, Madonna della didattica, senza troppo successo.”
(La rude simpatia di Nello Rugani consisteva, secondo me, nella sua faccia assolutamente seria, sia quando parlava con grande convinzione delle sue idee stravaganti, ma anche mentre sparava la sua sequela di bestemmie sempre differenti, o quasi, a volte gli aggettivi di accompagnamento avevano qualcosa a che fare com l’argomento trattato, altre volte no.)
“Ma sì! Il vecchio laboratorio di lingue con i registratori! Che però non isolava assolutamente le persone, perché anche lì dentro il loro cervello funzionava alla stessa maniera... il punto principale della nostra filosofia didattica è proprio che le menti umane, alienate dai meccanismi e le normali azioni-reazioni della routine, durante le nostre lezioni, adottino uno stato mentale differente e migliore, in quanto, cane di Dio, efficace.
Fanno, Dio bestia e finalmente, una sola cosa alla volta, non c’è niente, assolutamente niente, che possa distrarli, perché stanno vivendo in uno stato di realtà alterata, non hanno nessuno tipo di percezione che possa provocare in loro una reazione, solo attraverso la lingua 2 comunicano e sono chiamati a comunicare, non possono parlare tra di loro, e per la complicata posizione che assumono, non possono nemmeno comunicare a gesti, sarebbe troppo difficile, a volte tentano ma sono movimenti goffi e faticosi, a cui gli altri prestano poca attenzione perciò rarissimi.”
(Come alunno del corso sapevo che quello che diceva il ‘professorissimo’ era vangelo, convalidato - oltre che dalla mia - da migliaia di esperienze, ma cercavo di esprimere i dubbi di qualcuno che non conosceva il funzionamento pratico della filosofia didattica di Rugani.
“È questo il momento di spiegare dal punto di vista dell’equipaggiamento come siete attrezzati, come funzionano le lezioni, cosa avviene là sul fondo della piscina.”
“Bene, abbiamo delle maschere subacquee speciali fatte costruire da me e progettate dal mio amico italiano Gino, che forse in futuro diventerà mio socio, stiamo parlando da tempo di questa possibilità, ma lui, cane di Dio, ha le sue idee ed io le mie... insomma queste maschere sono più larghe ed ampie di quelle da sub, hanno il contatto microfonico bilaterale dentro e ricevono ossigeno, è chiaro, sono cosparse regolarmente di uno speciale liquido che non permette al vetro di appannarsi.
La lavagna è una speciale grande ed i colori fosforescenti azzurro, verde e fuxia, i libri sono ovviamente plastificati, i quaderni anche e sono più grandi, per poter scrivere con lettere maggiori, i pennarelli speciali con colori anche fosforescenti.
I libri sono fatti dal nostro laboratorio di ricerche, che risiede a Berlino, sono testi specifici e conformi alle varie lingue 1, per esempio qui nella Repubblica Ceca abbiamo dovuto usare metodi di spiegazione differenti da quelle che abbiamo usato in Germania e così via, perché prima di tutto dobbiamo considerare le difficoltà particolari di una lingua per chi proviene da un altra, che sono molto diversi.
Non mettiamo mai alunni di differenti origini linguistiche nella stessa classe, ostacolerebbe e ritarderebbe il processo di apprendimento, la classe è sempre formata da, al massimo, dieci allievi. Facciamo settimane di tre o cinque incontri, sempre e rigorosamente di una ora, non si tollerano ritardi, chi arriva dopo che è cominciata la lezione non entra più in vasca e paga normalmente. Gli alunni hanno sempre un lavoro orale o scritto da fare a casa, che si calcola che impegni da mezzora ad un’ora ulteriore del loro tempo.
Un altro punto fermo della nostra disciplina è che la lingua, quando si comincia ad imparare non si deve lasciare dormire troppo, tutti i giorni, o quasi dobbiamo fare qualcosa per il nostro obiettivo, arriveremo così ben presto a pensare in lingua 2, allora siamo già messi bene, no? I professori fanno un corso di preparazione di sei mesi, sono sempre madre-lingua...”
“Per questo che i corsi sono così cari?”
“Lo so, Dio avaraccio, che tutti vorrebbero pagare poco ed avere risultati eccellenti, ma purtroppo, budello della Madonnaccia, questo è piuttosto difficile da ottenere, almeno qui sulla terra, dove tutti hanno pretese e pochi hanno cervello... (magari questa parte è meglio toglierla... o cambiarla, pensaci te...)”
(“Va bene, non ci sono problemi.”)
“Dunque, stavo dicendo che... mmmm, ecco: che i costi sono alti e per ottenere dei buoni risultati dobbiamo sottometterci a certi sacrifici, consideriamo anche che un costo elevato, per un ottimo risultato, è un affare migliore che un costo basso, per un risultato schifoso (qui forse è meglio mettere ‘scarso’).”
“E le telefonate di conversazione?”
“Questa è stata un’idea di Gino, abbastanza recente, ma che ci hanno già copiato in tanti: per obbligare gli alunni a non lasciare riposare troppo la lingua 2, i professori sono pagati per conversare con gli alunni per telefono, almeno una mezz’ora al giorno, in orari che gli stessi alunni scelgono... le conversazioni sono sulla base della parte di grammatica più attuale per loro, i professori fanno una rotazione, per poter proporre le varie tendenze di pronuncia... ”
“Come è che gli alunni sono, diciamo, ‘fissati’ al fondo della piscina?”
“Abbiamo fatto fare, (sempre su progetto del mio amico Gino, ingegnere autodidatta) dei banchi con sedie di plastica dura, composti di un unico pezzo, con una base di piombo, rivestito di plastica, che oltre a servire da ancora per impedire agli alunni di galleggiare è anche l’appoggio per i libri e i quaderni. Mettendo le gambe sotto il banco si blocca il proprio corpo, che non può così fluttuare e salire in superficie.”
“Tornando al punto di vista filosofico, lei predica un sistema di vita anti-stress ma, almeno esteriormente, la sua persona appare piuttosto agitata, fuma una sigaretta dopo l’altra, si muove in continuazione, il suo sguardo sembra non avere pace, c’è qualcosa da dire su questo?”
“Io sono agitato più che altro per quello che mi circonda, l’ansia che mi agita è dovuta al sistema di vita delle persone che mi stanno attorno, il mio, di conseguenza ne viene influenzato.
Se rimango da solo in casa, per esempio, o con una o più persone che mi piacciono, allora fumo meno, leggo con calma, dirigo la mia energia verso cimenti più calmi, come ascoltare musica classica o anche non fare niente, sfogliare un bel libro di foto dell’Amazzonia... o comunque svolgo le mie azioni senza nervosismo, perché non sento influenze esterne... come ne sento invece molte adesso mentre facciamo l’intervista.
Tutto questo è una malattia moderna, si può diventare estremamente sensibili a quello che ci succede intorno, oppure totalmente indifferenti.
Preferisco la prima opzione... ma, a dire la verità non è una scelta, è una cosa automatica, per me. Poi la giustifico e la posso adeguare... ma preferisco sul serio l’estrema sensibilità all’indifferenza, non solo in pratica, ma anche in teoria.”
“Se allora questa vita in mezzo al grande movimento le dà ansia, perché non si ritira in mezzo alla natura e non si concede la pace che tanto le piace? Non credo che il denaro per farlo le manchi, non è vero?”
“Giusto, il denaro non mi manca, ma la grande contraddizione dell’uomo, non solo la mia, è questa: il non sapersi fermare, è il nostro enorme limite, sapere che abbiamo una durata limitata, questo genera ansia, non abbiamo tempo da perdere, è impossibile non sentire i secondi che passano quando si ama la vita... è difficile rinunciare, ma la vita è fatta principalmente di rinuncia...”
“Si spieghi meglio professore.”
“Il fatto è che, Dio piccino-piccino, noi tutti siamo esseri limitati. Un tempo pensavo che se avessi avuto soldi avrei viaggiato sempre, avrei potuto avere tutte le possibilità che prima non avevo avuto... ma anche questo passa, porca Madonnaccia, con l’entusiasmo dei primi tempi, con la novità di essere danarosi.
Ecco che oggi, la cosa che mi tiene legato di più, è proprio questo mondo sommerso che ho creato, lo amo perché rappresenta la mia realizzazione, ma m’incatena e non mi lascia godere del benessere che ho creato per me stesso.
Il mio incubo ricorrente è di essere incatenato in fondo ad una piscina, con la mia vecchia insegnante di matematica (per causa della paura che mi faceva, quella cicciona29 malefica, lasciai il liceo scientifico già al secondo anno) che mi obbliga ad imparare l’algebra in arabo... la maschera non funziona bene e mi manca l’ossigeno, mi sveglio sudatissimo e non riesco più a dormire. Da qualche anno ho più paura di morire, sono più egoista di prima, litigo con il mio migliore amico per questioni di soldi... vorrei farlo diventare mio socio ma in fondo non voglio regalargli niente... mi pare che quello che sto realizzando per gli altri si rivolti contro me e me ne faccia pagare di persona il prezzo... ma io, cane di Dio, quel prezzo lì l’ho già pagato!”
Fuori dall’intervista...
A questo punto l’intervista con Nello Rugani continuava ma la parte che ho pubblicato poi sul giornale era terminata, più o meno questo era quello che è apparso sull’Espresso, con alcune foto delle originali apparecchiature e delle piscine dalla forma caratteristica a mezzaluna.
Però c’è una cosa che lui mi ha detto, un altro giorno, seduto tranquillamente su un tomba gelata del cimitero ebraico, mentre stavamo parlando dei diversi risultati miei rispetto a quelli della mia classe... i miei erano peggiori, lui diceva perché ero troppo stressato. Non avevo tanto bisogno d’apprendere come gli altri, perché scrivevo in altre lingue, quello che sapevo di ceco già mi bastava, in sintesi non avevo motivazione e calma sufficienti per imparare efficacemente. Allora mi ha detto una delle sue grandi verità, che forse aveva a che fare non solo con me:
“Ti dico una cosa, allora, ma che rimanga tra noi: mettendo gli alunni sott’acqua, si taglia fuori una parte che sarebbe soloun peso morto, vale a dire quelli che vogliono studiare la lingua perché non hanno niente da fare.
Per avere dei risultati in un cimento arduo, in una cosa difficile come imparare una nuova lingua, bisogna essere veramente motivati. Solo che questo in tanti non lo capiscono, sono convinti che sia sufficiente, pagare e mettersi lì... e tutto avviene automaticamente, magicamente, direi... ma la realtà è diversa, c’è bisogno di impegno e sacrificio, Dio Rospo e i suoi Girini!
Anche un imbroglione di un ipnotizzatore non può farcela con qualcuno che rifiuta di essere ipnotizzato, anche inconsciamente avviene, immaginati questa scena: un cretino va da un ipnotizzatore per sapere quelle cose di se stesso che già dovrebbe sapere, ma se le sapesse non sarebbe un cretino e gli ipnotizzatori morirebbero di fame. Mi segui? Allora anche i cretini hanno il loro motivo di esistere, perché danno da vivere agli imbroglioni, anche se queste due categorie rompono i coglioni, come le mosche, insomma!
Quello che ti dico io è che molte persone hanno scarso contatto con se stesse. Allora è meglio rimandare a calci in culo a casa tutti quelli che non sono realmente determinati a fare quello sforzo, per contro, quelli che accettano sono decisi, e poi lo diventano anche di più, perché vedono il risultato di quello che stanno facendo, Dio animalesco, è evidente!”
Gino Bartoli
Successivamente ho aggiunto anche un’interessante intervista telefonica all’ingegnere autodidatta Gino Bartoli, grande amico di Nello Rugani, di cui vi passo una parte interessante.
“Dicono che quello che ha stimolato Nello sia stato il suo grande amore per le lingue, ma secondo me non le amava, ne aveva bisogno... aveva capito che riusciva a comunicare meglio con gli stranieri che con i conterranei, forse perché quando parlano la lingua 2 le persone sono più sincere, più autentiche.
Lui diceva che si sforzano, a parlare, e si distraggono, escono dalla loro forma normale di ipocrisia... secondo il mio irascibile amico, la comunicazione vera è fatta dal subcosciente, ma avviene principalmente quando la parte cosciente è occupata a parlare di qualcos’altro... del tempo per esempio, tanti sono abituati a parlare di una cosa in maniera automatica e a pensare allo stesso momento a tante altre cose, che però si presentano, anche se nascoste, sotto forma di vibrazioni.
Nello diceva che si sentiva a suo agio solo quando il ‘sergente’ era ubriaco, chiamava ‘sergente’ la sua mente abituata ad analizzare imperfezioni, a censurare i piccoli e i grandi errori della vita, suoi e degli altri, ma perdendo di vista la visione d’assieme delle cose, troppo assorbito dai loro tanti ma infimi particolari, per poterne vedere i limiti, i contorni, i lineamenti infine.
Per ubriacare il ‘sergente’ usava varie tecniche, tra cui il vino, ma stava bene con le persone che parlavano molto, in genere non italiane, era assai difficile tra noi andare d’accordo, ma sapevamo che era importante e ci impegnavamo.”
Oggigiorno...
In pochi giorni grandi riviste come Der Spiegel dalla Germania, Newsweek dall’Inghilterra e Times dagli Stati Uniti avevano telefonato per comprare il mio articolo ed io, come era facile prevedere sono diventato famoso per questo.
In due anni ho cambiato la mia routine in maniera drastica, il mio vecchio amico Nello Rugani sarebbe orgoglioso di me, ho messo in pratica le sue teorie.
Anzitutto ho fatto io stesso il mio ritmo di lavoro, non mi sono buttato a fare soldi, ma a sfruttare degnamente quelli che guadagnavo, che non erano pochi. Ho cominciato a frenare esattamente dall’inizio del mio successo, ho cercato di non lasciarmi trascinare dalla corrente, ho insistito per fare delle pause riflessive, per capire che cosa dovevo fare, prima che la situazione mi sfuggisse di mano, per migliorare il mio livello di vita nei particolari più importanti, quelli che fanno lo scheletro delle giornate, che a loro volta sono il telaio delle settimane, che poi sono il cemento armato dei mesi, i quali sono la struttura portante degli anni, che, lo sappiamo bene, sono i maggiori punti di riferimento, in fatto di tempo, nella vita.
Vivo in una spiaggia sperduta vicino alla punta all’estermo sud-ovest del Portogallo, Odexeice, lavoro esclusivamente in casa, con il computer e la internet. Ho due precoci reporter che corrono per il mondo e mi mandano le notizie fresche, le interviste pungenti, le attualità indicative, le foto con pretese quasi artistiche... e via. Dopo io metto tutto insieme, scrivo gli articoli e mando tutto ai giornali, i giornali mi pagano, ed io esco dal mio terreno, dentro al quale passa un fiume pieno di pesci, solo quando vado a fare la spesa, per andare a trovare qualche amico, o parto per le vacanze.
La mia famigliuola è un modello di autodidattica, la mia compagna è una giornalista-musicista. Yajil è thailandese, mi aiuta a volte, quando ne ho bisogno, specie quando devo scrivere in inglese, che conosce assai meglio di me. Più che altro, però, si dedica alla creazione di armonie esoteriche per la meditazione, sa suonare e possiede qualsiasi tipo di strumento musicale, ma ne cerca sempre di nuovi.
L’educazione di nostro figlio Ubiratã siamo noi che la facciamo, siamo convinti che non esiste scuola al mondo che sappia veramente entusiasmare un bambino sulle materie, non in maniera continua. Allora tutti i giorni gli mettiamo su delle lezioni di varie discipline, anche il sabato e la domenica, a volte non abbiamo tempo, ma raramente.
Abbiamo avuto dei problemi con la matematica, che è sempre stata il punto debole di tutti e due, allora abbiamo preso un giardiniere che è anche professore di matematica, così gli fa delle belle lezioni in giardino con le pere e le mele, le noci e le uova, i sassi e i fagioli, con le formiche che camminano indaffarate per terra e gli uccelli che volano nel nostro cielo azzurro o screziato di nuvolette spinte dal vento. Una bellezza.
A volte partecipo anch’io perché mi affascina, in questa maniera tutto pare differente e la matenatica ritorna ad essere umana... o meglio, diciamo, naturale.
A sei anni sa già suonare il piano, sta imparando anche la tromba, inventa delle barzellette lunghissime per le quali ridiamo più che altro per incorraggiarlo e, per la faccia e le scene che fa. Come tutti i bambini, non si ferma un secondo. Parla il portoghese, l’italiano e l’inglese, ma ha una tendenza a fare un misto incomprensibile delle tre lingue. Noi due abbiamo cominciato da poco ad imparare il thailandese, con Yajil, la quale si lamenta della nostra scarsa serietà, non capisce perché ridiamo così tanto. Il fatto è che quella non ci sembra una lingua, Ubiratã dice che assomiglia alle varie tonalità del singhiozzo di una cantante lirica con il labbro leporino.
L’autodidatta scrive la sua storia fuori dalle regole, quando le segue è quasi per caso, quando se ne costruisce di nuove, può rivoluzionare il suo campo.
Nello Rugani
I numeri e le relative note sono in corrispondenza alla formattazione per il libro didattico di italiano per stranieri , indicando e spiegando le parole meno comuni ed espressioni dialettali o di gergo.
Note dell’autore
1 per niente impacciato = agile, dai movimenti liberi, fluidi – 2 gessato blu = vestito blu con sottili righine bianche – 3 fumetti = giornaletti con figure e frasi che escono in una specie di fumo dalla bocche – 4 guardare in cagnesco = guardare male qualcuno – 5 scazzottata = rissa a base di pugni – 6 guaglió (guaglione) = ragazzo, in dialetto napoletano – 7 Dio lupone = bestemmia toscana, si abbina la parola Dio all’accrescitivo animalesco lupone (grande lupo) – 8 budellaccio della Madonna impestata = bizzarra bestemmia tipica lucchese, budello è in gergo una prostituta, anche se la parola è di genere maschile, con in più il peggiorativo –accio, impestata è la Madonna , che oltre che prostitutaccia, qui è anche malata di peste – 9 Mó = dialetto napoletano, diffuso nel sud: ora, adesso – 10 porco cane = esclamazione tipica del nord che offende il cane chiamandolo porco – 11 mozzare il fiato = in senso figurato: togliere il respiro – 12 lucchese = abitante di Lucca, città toscana – 13 puledro scalpitante = giovane cavallo ansioso di muoversi, di correre – 14 rompersi le scatole = annoiarsi – 15 maialotto occhialuto = fisicamente simile ad un grasso maiale con gli occhiali – 16 pollo spennacchiato = pollo con poche penne, per via di qualche malattia o disgrazia – 17 capelli incolti = spettinati e lasciati senza cura alcuna – 18 mancino = chi usa la mano sinistra per scrivere e altre operazioni – 19 picchiare = fisicamente, colpire per fare male – 20 a bizzeffe = in grande numero, in grande quantità - 21gavetta (fare la gavetta) = cominciare dal basso, facendo le cose più umili, per raggiungere, poi, un livello di vita migliore – 22 budello di Gesù = altra tipica bestemmia toscana, con un’altra imprecisione logica, budello (prostituta) usato come aggettivo per Gesù, di sesso maschile – 23 smanaccare = verbo tipicamente toscano: gesticolare, agitare le braccia e le mani per spiegare meglio cosa si sta dicendo – 24 Madonna sbudellata = toscano, letteralmente con le interiora fuori dalla pancia, forse a seguito di una coltellata (notare la ferocia cruda della bestemmia toscana, caratteristica di una comicità tagliente e raffinata, anche se assai volgare, di questa regione, a differenza della bestemmia veneta, quella toscana è molto creativa, gli aggettivi sono sempre nuovi, ma le combinazioni più riuscite o più antiche si ripetono) – 25 Dio e poi canaccio = qui il dispregiativo –accio aggiunge alla parola ‘cane’ un qualcosa di rabbioso ma anche buffo – 26 Dio bescovone = dalla parola vescovo, grande vescovo, gergo toscano: bescovone. Bestemmia qui più innocente, probabilmente correzione di una bestemmia in corso cominciata con l’intenzione di dire ‘bestia’, poi, in un rapido pentimento diventata bes... covone! – 27 per gli addetti ai lavori = per quelle persone che lavorano nel ramo, in quel tipo di mestiere, in questo caso i linguisti, quelli che studiano la lingua e riproducono libri e tecniche di studio – 28 Dio Bucefalo = Bucefalo era il nome del cavallo di Alessandro Magno – 29 cicciona = donna molto grassa
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