Alla stazione di Montaccio
una volta il treno, per Viapeggio o per Pinza, si fermava per un minuto o due e si poteva
salire e fare il biglietto, oppure viceversa prima fare il biglietto e poi
salire sul treno, insomma non c’era l’irrazionale razionalità di oggi. Era
utile quando si salava e si andava al mare, per esempio a primavera, invece di
andare a scuola che invece era una barba immortale.
Ora là dentro ci vivono degli extracomunitari in genere e numero, come anche nella canonica della chiesa della vicina San Giorgino, che è grande e il prete con eventuale famiglia non c'è più.
Montaccio è abbastanza sparso sul territorio disuguale, ma la
maggior parte del paese è oltre il canale del Bozzeri e sulla collinetta, più
in là verso il fiume Borchio. Andando verso una collina seria che è quasi una montagna,
oltre il passaggio a livello e la stazione soppressa, c'è Cocozza, una frazione
di case seminascoste su per la salita, verso la fonte del Banti che anche
quella ormai è secca.
Ci sono ville e vigne, uliveti e pollai, case coloniche e
villette nuove o quasi, a far capolino tra gli alberi e i cui abitanti devono
tutti fare i conti con lunghe attese al passaggio a livello, perché di treni ce
ne passano ancora tanti.
Ci sarebbe anche la
possibilità di passare da Agliati ma si allunga il percorso, per fortuna lì c’è
un provvidenziale ristorantino dove fanno anche le rane fritte. Specialmente se
si deve andare o tornare da Mucca - città dalle tradizioni celtiche, probabilmente
da Muk = bovino con le corna - tale su e giù sulle colline, per evitare il
passaggio a livello, è piuttosto noioso, perché la strada è angusta e in più
c'è l’ampia possibilità di botte frontali e violente con automezzi in genere e
numero, che corrono spensieratamente in prossimità delle numerose curve quasi a
gomito, ma più arrotondate.
Mattino è stato chiamato così perché d’atavica abitudine salta
la prima parte della giornata, dopo colazione, verso le 14, in romantica bianca
canottiera, dalla finestra aperta, scambia le prime impressioni sulla giornata
con i passanti, che di solito sono persone del posto che lui conosce, e soprattutto
loro conoscono lui.
Si tratta del tempo atmosferico e della raccolta delle olive,
di polli, cavalli e cinghiali, indifferentemente. La sua logica non è certo comune
e alla portata di tutti, ma la maggior parte ci parla volentieri, non tanto per
quello che dice, ma per la faccia che fa e i gesti ampi delle braccia, i
movimenti quasi involontari, ma a mezzo busto, del corpaccione peloso fanno il
resto.
L’eventuale attesa con lui per il treno è piacevole, scende
dal trattore o dal camioncino e ha sempre qualcosa da raccontare o da discutere,
cosa che non si può dire di tutti gli altri abitanti della zona, siano a piedi
o in bicicletta, in macchina o in moto, raramente discesi per ingannare il
tempo per fare quattro discorsi senza eccessive pretese, eventualmente anche a
biscaro.
C’è da dire che gli orari dei treni sono perlopiù uguali, pur
cambiando ogni tanto, fanno parte di una routine di schemi ripetuti e ripetitivi,
alla loro maniera logici, ma nessuno degli abitanti pensa di poter memorizzare
o segnarsi le cose su un taccuino, quindi l’attesa è sempre superiore alle
aspettative, forse solo alle speranze ed è considerata una mera perdita di
tempo.
Guidobaldo, che abita in una delle prime case oltre il
passaggio a livello, non si avvale di una conversazione molto forbita,
d’accordo, magari non ha tanti interessi nella vita, oppure non è abituato a
parlarne. Se il treno è uno solo tutto bene, con due treni da aspettare ecco degli scambi
di occhiate imbarazzate. Con tre treni, cosa che a volte capita, ma non è tra
le più frequenti, pare a volte sorgere un certo non so che, forse una specie di
infantile e preventiva difesa, scelta di non scegliere, chiudersi in un impotente
silenzio.
Mattino è un ragazzo già piuttosto attempato sì, ma
intelligente e capisce. La gente di campagna a volte è così, chiusa e ostinata,
lui stesso, a suo modo lo è, però quando può si ribella a questo stato di cose.
Forse non saprà esprimersi come un libro stampato, però è uscito per qualche
tempo dal suo nido natio e si è confrontato, soprattutto da giovane, con altre
realtà.
Invece Guidobaldo no, figurarsi che nel suo nucleo familiare
ci sono diverse famiglie attaccate di gente appoggiata a lui, tra cui suo
fratello minore e relativa famiglia.
Ora è in pensione, ma prima aveva un lavoro sicuro al Ministero del Tesoro sul viale Lupacchioni e se c’è da montare su delle scale o fare dei lavori pesanti i figli,
i nipoti e il fratello lasciano ancora fare a Guidobaldo, che oltre che più
anni ha più esperienza, forse anche più forza fisica. Poi alcuni di loro usano
le scarpe da ginnastica come ciabatte e sarebbe oltremodo scomodo e pericoloso.
A Natale infiorescenze di alberi opportunamente decorati e illuminati fanno bella mostra di sé, da balconcini e finestre, fino a Befana, a volte anche oltre.
Il cosiddetto Dino Konta, o Konta Dino ha cognome e provenienza italo-americani
e sa tutto lui, su ogni argomento disponibile, più altri indisponibili e
indisponenti. Dino è ricco di famiglia e forse anche nobile, una volta era
amico di Mattino, magari la differenza degli orari e delle abitudini li ha
allontanati. Anche le lunghe attese al passaggio a livello, andata e ritorno, con
ogni probabilità, non li hanno aiutati.
Poi c’è Pippo, detto Culaccetto, perché porta sempre
pantaloni attillati e caracolla piuttosto discretamente, insomma sculetta
impietosamente. Viene da realtà differenti anche se non troppo lontane, ma Cocozza
gli piace assai e ci si sente certo meglio che in città. Ha sempre la musica
nelle cuffiette e a farci caso a volte muove a tempo la testa, piuttosto impercettibilmente,
non solo quella. Al passaggio a livello parla assai, non tutti lo ascoltano, ma
si fa notare. Ha una certa cultura metropolitana e non disdegna la politica
anche perché fa il sindacalista. La sua moto è sempre lucida e nera, il casco a
strisce tigrate.
Quelli che arrivano a piedi sono diventati sempre meno, ma ci
sono un paio di rumene dalla faccia rubiconda, quelle sì che parlano volentieri
e Mattino ci si sbraccia in spiegazioni che volendo si possono comprendere
anche da lontano, specialmente da chi conosce il ragazzone in questione. Se
c’ha posto sul camioncino, a costo di amputare - per mancanza di spazio - le pur necessarie spiegazioni, gli dà anche volentieri un passaggio. Sul trattore no, sembrerebbe offensivo.
Il capostazione ai più sembrava una persona inutile, in quell’antico
contesto, ma oggigiorno soprattutto la gente del posto nota che dopo che un
treno è passato, a volte, si aspetta ancora dieci minuti o più, prima che le
sbarre si alzino e allora quell’ometto forse insignificante a quei tempi,
tornerebbe utile nell’impietosa attualità, ma non si può più. Alle macchine elettroniche
non gliene frega niente se te stai un sacco di tempo ad aspettare inutilmente,
a volte anche agli esseri umani, d’accordo, ma ci sono maggiori speranze che se
ne accorgano, cioè che siano sensibili ai tuoi bisogni, magari pensino che
potrebbe capitare anche a loro.
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