"Ho
passato diversi anni in una specie di bozzolo, dentro casa mia, vicino a Orte.
Non ci si stava poi malaccio. Poi ci trasferimmo, ma non siamo andati tanto
lontano, a Ronciglione, vicino al lago di Vico.
La parte
seguente, quella di ora, è stata molto più fitta, dicono che sia principalmente
una questione di età, più andiamo verso la vecchiaia e più il tempo passa in
fretta.
Però io credo
che i timidi come me, poi possono pure rompersi le scatole, di sé stessi e del
mondo attorno e scoppiare fuori e dentro, anche a più riprese.
Botti di vino e botte in testa.
Insomma chi
se ne frega dei cognomi? Direte piuttosto giustamente voi, ma io da un po' di
tempo mi sono convinto che quello che sono io oggi è la mia storia personale, a
cominciare da come mi chiamo e dai miei antenati, dai loro cazzi di nomi.
Sbaglio?
E chi se ne
fregherebbe di chi sono io, oggi?
Bando al
nichilismo moderno, la mia storia personale, dei miei stessi avi e il mio
improbabile cognome, maledetto o benedetto da chi non si sa, se hanno anche un
mezzo un significato, qualsiasi esso sia, io lo voglio scoprire.
Di che cosa
vivo? Ma non devo lavorare, io come tutti?
Giusta
domanda, ma il caso volle, o forse non fu il caso o la mia indotta ma assai
dotta proiezione mentale, che io lavorassi in una casa araldica.
Che cazzo
sarebbe 'sta casa araldica?
Niente
parolacce, per favore, la casa araldica signori miei è dove in pompa magna si
fa finta di studiare i cognomi, gli alberi genealogici insomma, per venderli ai
primi o ai secondi allocchi che arrivano qui pieni di curiosità vuota, così
come di ignoranza colma e straboccante."
(Difficile o
persino improbabile capire quando si deve usare il corsivo, in questo testo,
oppure no.)
A Sorano ce
ne era una che faceva capo a quella più grande e centrale di Grosseto, sebbene
fossimo in provincia di Viterbo, a Bagnaia c'ero io e Coluccini Adalberta era
arrivata dopo, da poco, cioè quando il lavoro era aumentato insieme alla crisi,
alla pandemia.
A volte, la
gente meno soldi ha e più li vuole spendere in cose inutili, o abbaglianti di
un contenuto che poi si rivela inesistente. Non che l'araldica faccia schifo in
senso assoluto, ma ci sono tanti in mezzo che vogliono solo i soldi e se ne
fregano del resto.
L'avevo
richiesta io, un'assistente valida, insomma una segretaria jolly, possibilmente
piena di entusiasmo e lei lo era, anche troppo. Non era qualificata per quel
lavoro, ma nemmeno io lo ero e sicuramente nemmeno quelli della sede centrale,
ma questo non importa proprio a nessuno. Sì, la gente fa finta di voler sapere
la verità, ma ne ha un sacro terrore. È meglio la bugia, è più docile assai e
segue i nostri desideri, anche se poi ci potrebbe pure scappare di mano, ma
questo è un altro discorso.
A Grosseto
erano contenti del mio lavoro, insomma e dell'aumento del fatturato, (del nero
sottobanco non se ne parli nemmeno,) così me la mandarono subito.
“Personalmente
ho conosciuto Krot a Costanza, sul Mar Nero, mi disse che i cognomi maledetti
erano dodici, compreso il suo e il mio, ma erano magiari, cioè mezzi ungheresi.
(A dirla tutta venivano dalla Transilvania perché
alcuni dicevano che erano i parenti di Vlad il vampiro e forse per questo erano
maledetti e allora si trattava piuttosto di Romania, ma siamo sempre nel
circolo delle ipotesi maleodoranti del lago Balaton, poi vi spiego).
Non
mi ha saputo spiegare perché erano detti così male, i maledetti, ha parlato un
bel po’ di questa storia, tra un bicchiere e l’altro. E sono anche andato a
documentarmi su internet, che a quel tempo non esisteva ancora, cioè molti anni
dopo, vale a dire l’anno scorso e comunque non c’era nulla di attendibile, o
sono io che non ci ho capito troppo.
Come
mi aveva detto Krot la base di tutto era che ogni notizia veniva
sistematicamente cancellata, non si sapeva da chi, però si poteva intuire. E
naturalmente il frutto di questa sua intuizione non me l'ha spiegata per
niente.”
“Ma
perché erano maledetti?”
“Non
me l’ha detto.”
“E
poi da chi?”
“Nemmeno,
te l'ho appena accennato.”
“Scusa,
ma quello che dici mi pare campato per aria. E cosa c’avevano a che fare con
Sorano, poi?”
“Niente,
o forse tutto, insomma io non lo so, ma tieni conto che tutte le domande che mi
fai te, me le sono fatte anch’io all’epoca, ma una risposta fu che a Sorano c’è
il cognome Corotti, Crotti o Corti, che lui mi aveva detto che erano la logica
italianizzazione di Krot.”
“Non
solo qui ci sono.”
“No,
ma qui non c’è una concentrazione maggiore? Mi e ti chiedo di conseguenza
logica?”
"Forse,
ma chi ne sa di più non ci tiene a divulgare, mi sono spiegato?"
"No."
"Infatti.
Vedo che hai capito. Sapere o avere fede, la seconda cosa non è facile, ma
forse meno complicata, in qualche caso."
"Kierkegaard?"
"Bravo,
ecco. Se la leggenda viene portata alla luce come verità finisce la sua aura
romantica e diventa storia."
"Ma
anche la storia viene mistificata e manipolata."
"Quindi
la leggenda è più onesta e sincera."
Il
notaio Zinn scolò l'ultimo bicchiere di bianco e mi portò a fare una meditazione
o chissà che cos'altro, ma in religioso silenzio, in un antro buio e muschioso
proprio nel centro di Sorano, che però io non seppi più ritrovare. Aveva una
chiave nera gigantesca, minimo di mezzo chilo, che girò con un scricchiolio e
poi una specie di schiocco finale. Era quasi giugno, ma là dentro gli aliti
facevano nuvolette di vapore. Scendemmo sugli scalini irregolari scavati nel
tufo. Una specie di oltretomba, più
oltre e sotto un puzzolente luogo chiuso e abbandonato da Dio e dagli uomini, o
da chi per loro...
Sulle
pietre irregolari e scure delle nicchie, con delle statue coperte di ruggine,
ossidazioni, limo e sporcizia, alcuni simboli con delle croci che sembravano
coperte da mezzi bubboni arrotondati, ma si vedeva da male a peggio e l'odore
di terra era più forte che in ogni altro luogo da me mai visitato.
Ero
così impressionato che la concezione del tempo e dello spazio là sotto mi svanì
dalla memoria, non so quanto ci siamo stati e cosa abbiamo fatto. L'ultima cosa
che ricordo è che ci siamo inginocchiati davanti a una specie di altarino, il
notaio ha pronunciato alcune parole in una lingua sconosciuta... sembrava
slavo, ma poteva essere anche una antica lingua indoeuropea, insomma... io mi
sono ritrovato a casa, da solo, sdraiato sul divano, come se mi fossi svegliato
da un profondo sonno e non so come ci ero arrivato. (Difficile o
improbabile capire quando si deve usare il corsivo, in questo testo, oppure
no.)
"Coluccini,
che fa dorme? Ma riprenda a scrivere, per favore! Aspetti: cioè fino a qui ha
scritto? Ah, sennò le ripeto tutto. Va bene, stia attenta ora:
Le nostre
origini, per misteriose che appaiano, sotto sono sempre solide, nel mistero che
le avvolge, prendete me, per esempio. A prima vista sembro mezzo matto. Dopo,
con il tempo, l’idea iniziale rimane e si solidifica.
Mezzo scemo
forse sarebbe l'espressione più consona. Ma l'altra metà potrebbe sorprendervi,
non necessariamente in maniera positiva. Si aggiungono altri elementi di minore
importanza, con lo scorrere degli anni, ma quello spezzatino d'uomo non risulta
mai pronto e continua a bollire. Chi mi conosce forse non sa di non conoscermi
veramente, come accade tra le persone, già conoscere sé stessi è piuttosto
improbabile, dove andiamo e da dove veniamo, non necessariamente in quest'ordine.
Magari sono
un pazzo atipico per tre quarti, le percentuali però oscillano. Un fuori di
testa che si tiene le turbolenze dentro, insomma, senza lasciarle esplodere.
La
spiegazione è che se i miei genitori fossero stati persone comuni forse lo sarei
diventato di più anch'io. E poi ci sarebbe anche da dire che l'ambiente attorno
non mi aiuta di sicuro. Magari è per questo che la normalità non mi piace, mi
annoia, soprattutto la mia. Insomma la evito appena me ne accorgo."
"Non mi
pare rilevante tutto questo, se così posso esprimermi, ai fini della nostra
ricerca, signor Cotalini Diaz."
"Coluccini,
si lasci servire da chi ha più qualifiche ed esperienze di lei (anche se non
tutte necessariamente positive): il mio cognome, maledetto esso sia, è rilevante
e benedetto non solo per la mia curiosità, ma anche per ricerche eventuali e
future di un eventuale cliente, maschio o femmina esso sia, italiano o turca,
che ne so io, ci si presenti qui anche in un potenziale venerdì mattina. Non mi
sono spiegato? Scriva, per cortesia e taccia."
Il notaio
Zinn forse era un imbroglione, come spesso succede in questo cazzo di mestiere,
ma a pensarci bene anche negli altri, che se si impegnassero nel fare bene,
tutto quel male che fanno si arricchirebbero. Ma no, quelli vogliono ingannare
prima sé stessi e poi gli altri, sennò la vita sarebbe troppo noiosa, a
pensarci bene hanno quasi ragione.
Insomma ci
credevo e non ci credevo, ma lui aveva una faccia piena di rughe e di ragione,
una specie di saggezza dello sguardo, e più che altro lo seguivo quasi con
piacere finché non si volatilizzò con i miei soldi, o con quello che volevano
realizzare, cioè le origini se non di tutti almeno del mio cognome maledetto.
Bartaleoni o
Bartaleone?
Mi viene in
mente qualcosa di incrociato tra il famoso ciclista, coniatore dell'espressione
gliè tutto
sbagliato gliè tutto da rifare e un animale fiero e re della foresta, non credo che
potesse essere un'attendibile ipotesi, a quei tempi lontani in cui si formò il
cognome in questione non potevano certo prevedere il futuro semplice,
figuriamoci quello anteriore...
Oppure una
forma contratta, invero molto contratta, di Bartolomeo o Bartalomeo Colleoni,
il famoso condottiero...
"Certamente,
il capitano di ventura. Mi scusi però, ma lei non si chiama Cotalini
Diaz?"
"Coluccini,
gliel'ho già detto e ridetto, io sono Manlio Enrico (o anche Manrico)
Bartaleoni, o Bartaleone, all'anagrafe e fuori da questo Ufficio Araldico
Valerio Appretini. Cotalini Diaz è solo una copertura. Se lo ricordi. E quello
che lei scrive ora, un giorno sarà parte integrante di un librone di almeno una
decina di chili, profumato di storia e di geografia antica, con mappe
ingiallite e foto di manoscritti di pergamena... un testo assai competente sui
cognomi maledetti in questione, insomma. Ci metteremo anche il suo nome e
cognome, in sfolgoranti lettere dorate, se le farà piacere, quindi faccia
attenzione e scriva."
(Difficile o
improbabile capire quando si deve usare il corsivo, in questo testo, oppure
anche in altri, non lo so.
Boh?)
Scoprii
allora di avere una personalità doppia o tripla, insomma dentro di me c'era se
non il diavolo, qualcosa di sulfureo e strano, che io stesso non controllavo,
anzi io meno degli altri, che quelli a urli e schiaffoni mi mettevano in riga,
ogni tanto, ma io non ce la facevo. Quasi più.
Ero stato
lento mollusco in un bozzolo per anni, o conchiglia che sia... infanzia e
adolescenza tutte intere, la vita da adulto poi spezzata in due parti ben
distinte, una stava continuando ancora. Ma non sapevo dove sarebbe andata.
Zinn mi
convinse facilmente che proprio in Ungheria mi avrebbero dato delle risposte
non indifferenti, sul lago Balaton c'era un agenzia, la Cagliostro e Figli, (in
ungherese si dice Cagliostro és fiai) che aiutava a trovare le origini dei
cognomi maledetti, tra le altre loro specialità in occultismo, addirittura come
occultare i soldi dei loro disgraziati clienti.
Non capii
perché poi ci dovessi andare anch'io, ma il mio principale aveva dei piani ben
precisi, almeno su di me e il mio ruolo nella sua agenzia, forse anche nella
sua travagliata esistenza.
Così ho
conosciuto mio marito, credo di essere stata l'unica donna per lui, delle mie
storie precedenti quindi a lui non ho mai parlato.
in fede
Adalberta
Coluccini in Bartaleoni
Nessun commento:
Posta un commento