mercoledì 27 settembre 2023

CRONACA DELLA PAZZIA


          (da un’idea di un racconto di Luis Fernando Verissimo)

  Il meglio della terapia è arrivare prima, solo di pochi minuti, per dare un'occhiata ai miei colleghi matti, nella sala d'aspetto. Dove io faccio la mia terapia c’è un ambulatorio grande, con otto analisti matti, pertanto nella sala d'attesa ce ne sono sempre tre o quattro di quell'altro tipo, ansiosi, lì a pensare alle pazzie che diranno dopo pochi minuti.

 Forse ci vado proprio perché mi piace stare a osservare i miei colleghi pazzi. Ci sono due tipi di pazzi: il pazzo propriamente detto e quello che lo cura, l'analista insomma o il terapeuta, lo psicologo e lo psichiatra. Per forza, solo un matto può assoggettarsi ad ascoltare la pazzia di sei o sette altre matti tutti i giorni, settimane, mesi, anni e decenni. Se non era matto prima, cosa che potrebbe rappresentare un vantaggio, lo diventa dopo.

Non si guarda in faccia nessuno, l’atmosfera è da impazzire e io da buon scrittore adoro osservare le persone, azioni e reazioni, silenzi eloquenti, ci siamo capiti.

Immaginare i nomi, la professione, quanti figli hanno, di che segno zodiacale sono, se sono milanisti, juventini, del Padova o del Chievo. Penso che a ogni scrittore piaccia questo giocattolo, come minimo creativo, le combinazioni, le possibilità e le probabilità sono infinite.

Per quarant’anni sono riuscito a mantenermene lontano, è arrivato poi il momento, sono finito anch'io davanti a un matto di quel tipo, per raccontargli le mie pazzie accumulate. Confesso: è da pazzi, ma ammetto anche che sto adorando essere matto una volta alla settimana.

La sala di attesa di un ambulatorio del genere è un luogo assai stimolante per uno scrittore fuori di testa. La segretaria però è assolutamente normale, perché solo una persona normale può leggere un libro di Severgnini e poi insistere e comprarne un altro, non contenta alternarci poi un Gramellini, come se niente fosse.

Allora vediamo: mercoledì scorso eravamo io, un signore di circa cinquant’anni, un meridionale un po’ più giovane e una vecchia grassona.

Automaticamente ho cominciato a immaginare quale sarebbe stato il problema di ognuno di loro. Non è stato difficile perché io partivo già dal principio che tutti erano pazzi, come me. Sennò non sarebbero stati lì a testa bassa e chiusi in sé stessi davanti a me.

Il signore con i baffi lisci e dipinti, era in abito nero lucido, cravatta, calzini e scarpe tutte nere. Come stava soffrendo, poveraccio, faceva finta di niente, cercava invano di dissimulare.

Ma come nascondere quel complicato tic ai due occhi? Il sinistro si strizzava tre volte rapide, alternava una strizzata forte e lunga del destro, che gli stravolgeva l’espressione della faccia in un verso osceno, spasmodico. Cornuto e contento con ogni probabilità. I cornuti contenti hanno i tic più tremendi di tutti, lo avrete già notato. Gli guardo le mani e si vedeva che si mangiava le unghie: insicurezza totale, paura di vivere, assai probabile un figlio tossicodipendente. Gli mancava il secondo bottone della camicia, è chiaro, era stato abbandonato dalla moglie.

Probabilmente doveva vivere in un flat, pagare assai caro, doveva avere un sacco di debiti. Omosessuale? Credo di no, e chi lo andrebbe a baciare uno con questi baffi tinti? Il suo sguardo era triste e stanco, ho cominciato a sentire pena di lui, ma poi ho visto che aveva una valigia.

Ci poteva essere il corpo squartato di sua moglie o dell'amante, forse solo la testa. Ci poteva essere anche un'arma là dentro.

La guardava piuttosto ossessivamente e ripetutamente, quella valigia, ma anche furtivamente.

 Mi sono spostato da lui per misura precauzionale, alla sua destra il meridionale, scuro come un arabo, è chiaro che in un settentrione razzista e leghista come questo qua di Padova il suo accento e il suo colore devono aver contribuito molto per portarlo fino a quella poltrona a prima vista comoda, ma anche piuttosto scomoda, per quello che esplicitamente implica. Con certezza gli sarebbe piaciuta una veneta bionda, ma non era facile conquistarne una e poi i rispettivi genitori non avrebbero facilmente approvato. Ho notato che le scarpe erano un po' troppo vecchie. Certamente un problema di mancata ascensione sociale. Era già alla quinta sigaretta in dieci minuti.

Come era infelice questo secondo personaggio, almeno il primo, il cinquantenne, nella sua pazzia faceva a pezzi qualcuno, la sfogava la sua pazzia, faceva a pezzi le sue vittime. Ma questo no, soffriva in silenzio. A un certo punto ha tirato fuori un fazzoletto e io mi stavo già aspettando le lacrime, ma lui invece no, si è soffiato il naso, senza risparmio di effetti sonori, interrompendo il Severgnini della segretaria proprio sul più bello.

La meglio o la peggio di tutti doveva essere la cicciona. Di certo era la più matta, quella bassotta, che culo enorme, che natiche... come soffriva, come soffriva, mi faceva soffrire anche a me, vedere come soffriva. Solo guardandola in faccia intravedevo che non doveva fare l'amore da più di 30 anni, con ogni probabilità si masturbava piuttosto eccessivamente.

 Magari proprio questo doveva essere il suo problema, evidentemente una vecchia masturbatrice incallita. Ho letto da qualche parte che chi c’ha un sedere grande ha degli altrettanto ingombranti problemi sessuali.

Ha tirato fuori un rosario, ha cominciato a pregare, il caso era più grave di quello che avevo pensato. Era tesa come una corda ad arco poveretta, chi sa i suoi figli, certamente i figli non mangiavano i suoi untuosissimi bucatini da decine e decine di domeniche e poi aveva l’inconfondibile faccia di chi mente regolarmente al suo analista.

Mia madre reciterebbe sicuramente una decina di Salve Regina per lei, se la conoscesse.

Poi è finito il mio tempo di ricreazione, la parte che più mi piaceva di questo incontro settimanale, sono dovuto andare di là a conversare con il mio psicanalista.

 Gli ho raccontato subito, quasi con orgoglio, il mio viaggio nella psiche umana della sala di attesa. Lui ha riso, ha continuato a ridere, non riusciva più a smettere.

Alla fine ha detto serio: il meridionale è Stopfer, il nostro office boy, è di Bolzano, più precisamente della provincia, insomma di un paesino ai confini con l’Austria.

Quello vestito di nero è Caroli, il rappresentante di un laboratorio multinazionale di farmaci e passa una volta al mese per illustrarmi le novità.

Per ultima, ma non in ordine di importanza, la cicciona è donna Aldina, mia madre e tu non guarirai tanto facilmente, mi pare piuttosto di capire. Il tuo caso, ho ragione di pensare, è sempre più complicato.

 

 


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