Forse ci vado proprio perché mi piace stare a osservare i miei colleghi pazzi. Ci sono due tipi di pazzi: il pazzo propriamente detto e quello che lo cura, l'analista insomma o il terapeuta, lo psicologo e lo psichiatra. Per forza, solo un matto può assoggettarsi ad ascoltare la pazzia di sei o sette altre matti tutti i giorni, settimane, mesi, anni e decenni. Se non era matto prima, cosa che potrebbe rappresentare un vantaggio, lo diventa dopo.
Non si guarda in
faccia nessuno, l’atmosfera è da impazzire e io da buon scrittore adoro
osservare le persone, azioni e reazioni, silenzi eloquenti, ci siamo capiti.
Immaginare i nomi, la
professione, quanti figli hanno, di che segno zodiacale sono, se sono
milanisti, juventini, del Padova o del Chievo. Penso che a ogni scrittore
piaccia questo giocattolo, come minimo creativo, le combinazioni, le
possibilità e le probabilità sono infinite.
Per quarant’anni sono
riuscito a mantenermene lontano, è arrivato poi il momento, sono finito anch'io
davanti a un matto di quel tipo, per raccontargli le mie pazzie accumulate.
Confesso: è da pazzi, ma ammetto anche che sto adorando essere matto una volta
alla settimana.
La sala di attesa di
un ambulatorio del genere è un luogo assai stimolante per uno scrittore fuori
di testa. La segretaria però è assolutamente normale, perché solo una persona
normale può leggere un libro di Severgnini e poi insistere e comprarne un
altro, non contenta alternarci poi un Gramellini, come se niente fosse.
Allora vediamo:
mercoledì scorso eravamo io, un signore di circa cinquant’anni, un meridionale un po’
più giovane e una vecchia grassona.
Automaticamente ho
cominciato a immaginare quale sarebbe stato il problema di ognuno di loro. Non
è stato difficile perché io partivo già dal principio che tutti erano pazzi,
come me. Sennò non sarebbero stati lì a testa bassa e chiusi in sé stessi
davanti a me.
Il signore con i baffi
lisci e dipinti, era in abito nero lucido, cravatta, calzini e scarpe tutte
nere. Come stava soffrendo, poveraccio, faceva finta di niente, cercava invano
di dissimulare.
Ma come nascondere
quel complicato tic ai due occhi? Il sinistro si strizzava tre volte rapide,
alternava una strizzata forte e lunga del destro, che gli stravolgeva
l’espressione della faccia in un verso osceno, spasmodico. Cornuto e contento
con ogni probabilità. I cornuti contenti hanno i tic più tremendi di tutti, lo
avrete già notato. Gli guardo le mani e si vedeva che si mangiava le unghie:
insicurezza totale, paura di vivere, assai probabile un figlio tossicodipendente. Gli
mancava il secondo bottone della camicia, è chiaro, era stato abbandonato dalla
moglie.
Probabilmente doveva
vivere in un flat, pagare assai caro, doveva avere un sacco di debiti.
Omosessuale? Credo di no, e chi lo andrebbe a baciare uno con questi baffi
tinti? Il suo sguardo era triste e stanco, ho cominciato a sentire pena di lui,
ma poi ho visto che aveva una valigia.
Ci poteva essere il
corpo squartato di sua moglie o dell'amante, forse solo la testa. Ci poteva
essere anche un'arma là dentro.
La guardava piuttosto
ossessivamente e ripetutamente, quella valigia, ma anche furtivamente.
Mi sono spostato da lui per misura
precauzionale, alla sua destra il meridionale, scuro come un arabo, è chiaro
che in un settentrione razzista e leghista come questo qua di Padova il suo
accento e il suo colore devono aver contribuito molto per portarlo fino a
quella poltrona a prima vista comoda, ma anche piuttosto scomoda, per quello
che esplicitamente implica. Con certezza gli sarebbe piaciuta una veneta
bionda, ma non era facile conquistarne una e poi i rispettivi genitori non
avrebbero facilmente approvato. Ho notato che le scarpe erano un po' troppo
vecchie. Certamente un problema di mancata ascensione sociale. Era già alla
quinta sigaretta in dieci minuti.
Come era infelice
questo secondo personaggio, almeno il primo, il cinquantenne, nella sua pazzia
faceva a pezzi qualcuno, la sfogava la sua pazzia, faceva a pezzi le sue
vittime. Ma questo no, soffriva in silenzio. A un certo punto ha tirato fuori
un fazzoletto e io mi stavo già aspettando le lacrime, ma lui invece no, si è
soffiato il naso, senza risparmio di effetti sonori, interrompendo il
Severgnini della segretaria proprio sul più bello.
La meglio o la peggio
di tutti doveva essere la cicciona. Di certo era la più matta, quella bassotta,
che culo enorme, che natiche... come soffriva, come soffriva, mi faceva
soffrire anche a me, vedere come soffriva. Solo guardandola in faccia
intravedevo che non doveva fare l'amore da più di 30 anni, con ogni probabilità
si masturbava piuttosto eccessivamente.
Magari proprio questo doveva essere il suo
problema, evidentemente una vecchia masturbatrice incallita. Ho letto da
qualche parte che chi c’ha un sedere grande ha degli altrettanto ingombranti
problemi sessuali.
Ha tirato fuori un
rosario, ha cominciato a pregare, il caso era più grave di quello che avevo
pensato. Era tesa come una corda ad arco poveretta, chi sa i suoi figli,
certamente i figli non mangiavano i suoi untuosissimi bucatini da decine e
decine di domeniche e poi aveva l’inconfondibile faccia di chi mente
regolarmente al suo analista.
Mia madre reciterebbe
sicuramente una decina di Salve Regina
per lei, se la conoscesse.
Poi è finito il mio
tempo di ricreazione, la parte che più mi piaceva di questo incontro
settimanale, sono dovuto andare di là a conversare con il mio psicanalista.
Gli ho raccontato subito, quasi con orgoglio,
il mio viaggio nella psiche umana della sala di attesa. Lui ha riso, ha
continuato a ridere, non riusciva più a smettere.
Alla fine ha detto
serio: il meridionale è Stopfer, il nostro office
boy, è di Bolzano, più precisamente della provincia, insomma di un paesino
ai confini con l’Austria.
Quello vestito di nero
è Caroli, il rappresentante di un laboratorio multinazionale di farmaci e passa
una volta al mese per illustrarmi le novità.
Per ultima, ma non in
ordine di importanza, la cicciona è donna Aldina, mia madre e tu non guarirai
tanto facilmente, mi pare piuttosto di capire. Il tuo caso, ho ragione di
pensare, è sempre più complicato.
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