lunedì 9 maggio 2022

I GEMELLI DEL GOL



 Quando sono andato a vivere a Viareggio mi sono sorpreso a vedermi salutare per strada, al supermercato, o in un bar da gente che io non avevo mai visto. Essendo molto fisionomista ero sicuro di non sbagliarmi, erano loro che mi scambiavano per qualcun altro. C’era un mio sosia, forse qualcuno che mi assomigliava parecchio.

Mi era già successo che mi scambiassero per qualcun altro, per una effettiva ma a volte neanche troppo forte somiglianza, come quella al portiere dell'Inter Zenga, in una certa epoca in cui lui era famoso e avevamo anche lo stesso taglio di capelli a caschetto.

Un'altra volta, molto tempo dopo, mi hanno preso per Sarri, che a quel tempo allenava la Juventus, al ristorante Prato Verde di Chiatri, perché oltre alla approssimativa somiglianza, portavo degli occhiali simili ai suoi e anche il taglio di capelli assai corti era di quel tipo, la barba un po' incolta eccetera.

Però stavolta vivendo in una città dove non avevo mai vissuto, varie persone mi hanno scambiato per qualcuno che evidentemente abitava in quella stessa città, cioè Viareggio. Ho provato allora a capire chi fosse. La situazione mi incuriosiva e allora ho cercato di parlare con quelli che mi salutavano, di chiedere chi fosse quel signore che loro credevano che io fossi ma non ero.

A dire il vero mi hanno dato indicazioni piuttosto discordanti, ma qualche elemento collimava. Tutte le situazioni avevano il gioco del calcio come ambientazione e quel Siro era stato un giocatore, ora era un allenatore, attualmente per il Centro Giovani Calciatori, il CGC. Era una squadra che oltre ai Pulcini, i Giovanissimi e gli Allievi aveva anche la Terza Categoria, cioè l'ultima in Italia e poi sotto ci sono solo gli amatori, ma già prima della pandemia, con la scarsità di giovani che c’era, le squadre erano diventate sempre meno. 

Non è che non avessi niente da fare, anzi il mio lavoro di giardiniere era complicato, nel senso che era assai faticoso e in più dovevo farmi con la mia vecchia Panda venti km di andata e venti al ritorno. A San Michele di Moriano c'era questa villa antica acquistata da uno di Milano, ma non lavoravo tutti i giorni, mi chiamavano quando c'era bisogno. Sabato sera e domenica pure, fatti i soliti quaranta km tra andata e ritorno, facevo il cameriere alla Barcarola, ristorante-pizzeria di Monte San Quirico. Così ci mantenevamo vivendo alla giornata, io e mia moglie Karen, di origine austriaca, che lavorava tra hotel, ristoranti e pizzerie, ma niente di fisso neppure per lei.

Il bello o il brutto era che negli ultimi tempi, finché ero rimasto a Lucca, ero stato disoccupato. Quei due lavori li avevo trovati, manco a farlo apposta, appena ero andato a vivere a Viareggio.

Lateralmente ero curioso di conoscere questo mio sosia e sono riuscito a beccarlo in occasione degli allenamenti, la sera al campo di Varignano, un quartiere popolare di Viareggio. Da lontano non mi pareva che mi somigliasse tanto, da vicino invece sì. Ho pensato che, un po’ come tutti, io mi ero visto raramente, mai da lontano e lo specchio non mi era mai garbato tanto, anche quando da giovane ero un bel ragazzo, ma non me ne ero accorto, solo dopo.

Ho attaccato discorso con Siro quando è venuto a prendere le casacche che aveva in macchina, con il pretesto di portare mio figlio lì a fare un provino. Avevo un berretto e gli occhiali da vista, per non farmi riconoscere, lui ha riso:

"No, guardi qui non si fanno provini, tra i nostri giocatori ci sono delle scamorze tali che anche se non lo conosco, dubito che suo figlio sia peggio di loro.

"Capisco. Ma siccome ci sono altre squadre, qui a Viareggio, volevo sapere che tipo di linea avete voi, prima di scegliere il CGC e non un'altra squadra giovanile." 

Da vicino mi somigliava davvero assai, anche nel parlare faceva delle smorfie e delle faccette che mi sembrava di vedermi quasi in uno specchio. Mi sono tolto gli occhiali, ma lui non si è accorto di niente, almeno ho creduto, poi mi ha guardato strizzando un po' gli occhi e ho temuto che mi avesse in qualche modo riconosciuto, ma lui invece ha detto:

"Chissà che campione che lei mi potrà portare, me ne vuole privare senza nemmeno averlo mai visto in azione?"

Evidentemente mi stava prendendo in giro, un tipo di comportamento che io con uno sconosciuto non avrei certo adottato. D'altro canto io stesso mi stavo comportando come un perfetto imbecille.

"Non mi vuol dire allora qual è la vostra politica calcistica?"

"La nostra politica si riassume in un piacevole passatempo, per noi allenatori e dirigenti, come per i bambini, adolescenti e ragazzotti, non ci illudiamo di formare futuri campioni, nessun fuoriclasse del calcio mondiale, se è quello che vuole sapere. Guardi io ho da fare. Mi stanno aspettando là in campo. "

 "Non vi è mai successo di sfornarne uno? Da quanto tempo esiste questa squadra?"

"Dal 1959, ma io ci sono arrivato solo l’anno scorso. Comunque guardi: Viareggio non è la capitale del calcio, c'è tanta sabbia e poca erba, in compenso c’è un bel giro di droga. Basta vedere la squadra di questa città dove si trova, cioè in Serie D. Certo lei saprà che ci sono città più piccole di noi che hanno squadre che sono in serie A o in serie B, o ci sono state in passato, noi al massimo e tanti anni fa, siamo stati in serie C e ci prendevamo anche delle batoste non indifferenti.

 Ora vado sennò mi licenziano, sa con tutto quello che guadagno"

"Quanto guadagna?" 

"Niente di nulla, direi che ci rimetto pure i soldi della benzina, in più o in meno. Ma se vuole assistere all'allenamento entri pure."

 L'ho ringraziato e sono entrato oltre la recinzione, oltre la quale poche persone stavano sedute sulle gradinate di tubi Innocenti e tavole di legno.

Si vedeva subito che di soldi lì ne circolavano pochi, di ragazzi in scolorita tuta nera e bianca ce n'erano una trentina. Aveva piovuto poche ore prima e il campo era fangoso, c’erano ancora diverse pozzangherone nelle quali i ragazzetti saltavano gioiosi e scaprettavano strillando. Dopo i giri di campo d'obbligo, hanno fatto un po' di ginnastica e poi la partitella. Si vedeva che alcuni erano più grandi e grossi e altri più piccoli e più giovani. Si divertivano tutti. Un ometto lì seduto mi ha confermato che erano di due età differenti: allievi e giovanissimi. La Terza Categoria si allenava la sera seguente che era giovedì, i Pulcini non lo sapeva, ma doveva essere di mattina. 

Ho pensato per qualche giorno a che cosa dovevo fare. Sono arrivato alla conclusione che volevo andare avanti e allora ho seguito Siro dopo l'allenamento del venerdì, per vedere dove abitava. Mi sono anche calato nel ruolo e di conseguenza divertito, mi sembrava di essere un agente segreto. Si chiamava Bartelloni di cognome, abitava in una casetta bianca non lontana dal campo sportivo di Varignano. Il cognome era scritto sul campanello. Ho pensato di suonare, ma poi ho lasciato perdere. Ho fatto in maniera però di passare per caso di lì proprio all'ora in cui pensavo che lui andasse a lavorare, la mattina seguente, visto che io invece non lavoravo. Anche in questo caso il dialogo è stato scarno, soggetto a varie e discordanti interpretazioni, però ho notato che alla luce del sole lui mi guardava in maniera strana. Forse aveva visto che ero simile a lui, non solo di faccia. Avevamo i capelli pettinati in maniera differente, va bene, però anche di corpo ci somigliavamo, o almeno mi pareva, pur essendo io più in forma, lui era un po' sovrappeso. E poi anche nella maniera di parlare, eravamo simili, ma io ero più timido e introverso, lui più spigliato. Ho osservato che ci vestivamo in maniera differente, anche per via del fatto che lui lavorava in banca ed era logicamente più elegante di un giardiniere, che nel fine settimana faceva il cameriere, ma in locale assai informale in cui non c’era l’usanza dei pantaloni neri e della camicia bianca.

Ancora non sapevo cosa dovevo fare, la mia indecisione era normale, e veniva da lontano, in più non mi era mai capitato un caso del genere, anzi non sapevo nemmeno di che caso si trattasse.

Insomma non potevo credere a una coincidenza, ma era senz'altro così, secondo il mio amico Tepa. Tra l'altro lui era presente quando qualche mese prima, in occasione di una partitella di calcio a cinque in notturna, alla quale lui stesso mi aveva invitato a giocare, il portiere dei nostri avversari, che io non avevo mai visto, mi aveva salutato calorosamente e a quanto ci era sembrato, mi aveva riconosciuto solo dopo un mio fulminante destro di controbalzo che lui aveva parato senza grosse difficoltà, ma che aveva sorpreso un po' tutti, oltre a me stesso, non credevo di esserne più capace. 

Lo stesso tipo di tiro di destro che ho visto più volte usare a Siro in allenamento, era il suo colpo preferito e per coincidenza anche il mio, a suo tempo, lo era stato.

Mio zio Adroaldo diceva che quando le coincidenze coincidevano troppo, improvvisamente cessavano di poter essere considerate tali.

Mi sono chiesto più volte perché Siro non si accorgesse della somiglianza e ho concluso che magari sì, l'aveva notata, ma non gli dava necessariamente la debita importanza, che forse era debita solo dal mio punto di vista.

Tepa che era di Capezzano, tra Viareggio e Camaiore, pensava che la mia fosse diventata un’ossessione, in fondo è una cosa dimostrata che tutti abbiamo almeno un sosia al mondo, Siro Bartelloni in fondo ci pareva eccezionale perché, con tutte le terre emerse che esistono al mondo, era venuto a capitare così vicino a me. E se io non avessi improvvisamente cambiato città, per via di mia moglie, che era straniera sì, ma era cresciuta a Viareggio, non lo sarei mai neppure venuto a sapere. Non che mi dispiacesse, intendiamoci.

Dopo qualche settimana me ne sono fatta una mezza ragione, positivamente il mistero m’intrigava però, e appena avevo un po' di tempo libero andavo a vedere gli allenamenti e le partite del CGC. Vincendo la mia atavica timidezza attaccavo discorso con chi conosceva Siro, scoprendo quello che volevo scoprire, cioè che aveva sempre più caratteristiche simili alle mie, che annotavo mentalmente, in religioso silenzio perché mia moglie e Tepa, gli unici miei confidenti, non ne volevano già più sentir parlare.

A forza di vedermi girottolare intorno a lui, Siro mi ha giovialmente accolto e poi preso anche in simpatia, ha capito che non avevo nessun figlio, come lui del resto e mi ha invitato a essere socio e dirigente del CGC. E io non vedevo l’ora che me lo chiedesse.

Alle cene che erano frequenti e interminabili, atte a conoscersi, tra giocatori, allenatori e dirigenti, ci sedevamo accanto e ci si divertiva abbastanza a commentare tutto il commentabile, o a ridere senza parlare, a scuotere la testa bonariamente disapprovando.

Una cosa tra tutte mi aveva colpito: Siro era nato e cresciuto anche lui in Brasile, come me, ma non mi ha voluto dire esattamente dove.

Tra l’altro Siro là si scriveva Ciro, se si voleva dire Ciro si doveva scrivere Tiro, per via della pronuncia in portoghese.

Mi avevano fatto notare, e avevo constatato personalmente, che in Brasile i figli fisicamente assomigliavano di più ai genitori e ai loro fratelli che in Italia, per esempio. Dicevano che era per via che il metaforico fuciletto aveva le canne più calde e pulite, così non prendeva muffa né influenze esterne. Lo usavano di più insomma.

 Mi hanno rivelato che i suoi erano di Governador Valadares, come me, nello stato di Minas Gerais, là era nato e cresciuto.

Curiosità di questa città è che durante gli anni è stata il trampolino di lancio per i brasiliani che volevano emigrare negli Usa. Ci volevano un sacco di documenti per dimostrare che la persona in questione non aveva interessi, soprattutto finanziari, a stabilirsi là, che di poveri ce ne avevano già abbastanza. Chi aveva il passaporto italiano però era favorito, forse perché era considerato più danaroso.

Prima hanno cominciato a chiamarci i gemelli, giacché, per fare un po' di movimento, ho iniziato ad aiutarlo nel suo allegro ma didattico ruolo di allenatore, con crescente passione e amicizia, non solo nei suoi confronti, ma anche con i ragazzetti e gli altri soci. Poi gradualmente il soprannome è stato trasformato nei gemelli del gol, perché gli avversari ci massacravano sistematicamente, incassavamo un sacco di gol, che se avessero pagato per ogni gol preso saremmo diventati ricchi.

Mi ricordo in particolare una volta che abbiamo perso 12 a 0 e che siamo riusciti a passare la metà campo esclusivamente quando battevamo il centro.

Il centro però lo abbiamo battuto parecchie volte. Insomma una vergogna, in un certo senso, se avessimo voluto prenderla più sul serio, ma noi invece ci siamo fatti anche delle risate non indifferenti.

Questi giovani calciatori erano assai scarsi tecnicamente, ma semplici e spontanei, spesso involontariamente simpatici. Uno addirittura in quella stessa partita aveva fatto un fallo involontario e si era fermato a chiedere scusa, mentre gli altri avevano fatto gol, quindi i dieci suoi compagni lo avevano subissato di parolacce. Non contento, il dodicesimo gol lo aveva fatto lui per la rabbia, tirando con forza nella sua porta. Tufo, chiamato così per la faccia butterata dai foruncoli, qualche annetto dopo sarebbe diventato parroco di Poveromo, provincia di Massa Carrara e direi anche molto simpatico ed efficace, nel suo positivo esempio che dava agli altri.

Tepa, che si chiamava così per via di una marca di scarpette da gioco degli anni settanta, ha stoicamente resistito qualche mese, ma poi si è unito a noi, dirigente e allenatore dei giovanissimi, ovviamente oltre che socio.

Poi è successo in una sera d'estate, una cena di quelle fatte al campo, direttamente con i tavoloni sull'erba martoriata del terreno di gioco. Il tradizionale cenone di chiusura, prima dell’estate, a base di grigliate di pesce e di carne, insalate varie e alcune anche russe, fatte dalle rispettive mogli che verso le undici se ne erano tornate già a casa, e i giocatori giovani si erano piano piano eclissati anche loro. Eravamo rimasti in una decina, tra giocatori di terza, soci, allenatori e dirigenti che in alcuni casi erano tre categorie che si mischiavano e si confondevano, in quanto più cariche e ruoli insistevano nelle medesime persone. C’era anche il caso limite di Zaccaria, un barbuto gigante aostano che faceva parte di tutte le potenziali categorie: giocatore di terza, allenatore, socio, dirigente, guardalinee, guardiano del campo, muratore, imbianchino e cuoco. Come raccontatore di barzellette era scarsino, ma c’aveva passione e non si vergognava se la gente non rideva.

Si erano formati tre gruppi, i rispettivi avvinazzati più che parlare urlavano, non per fare i prepotenti, ma per potersi sentire a vicenda, più gridavano e più diventavano sordi, e il ciclo si autoalimentava.

Tepa in particolare, come al solito aveva bevuto troppo e insisteva sul fatto ormai assodato e rimasticato che io e Siro ci somigliavamo, insomma eravamo uguali, fatti con lo stesso stampo, gemelli identici e anche del gol, non ci si poteva distinguere, porcaccia la miseria ladra e così via, continuando a tirar giù bicchierotti di vino bianco come se fosse acqua.

Alla fine dopo averlo mandato affanculo più volte, sia Siro che io e con tono sempre più irritato, ha detto che eravamo due figli di buona donna, noi due, benedetti e maledetti dal signore, il perché lo sapeva lui, Pulcinella e anche tutti gli altri, ma non dicevano niente, perché erano bugiardi o piuttosto facevano gli gnorri, o come diavolo si chiamassero quelli che la sanno la verità insomma, ma non la dicono. Siro che aveva bevucchiato anche lui, anche se meno, gli ha dato un cazzotto, nella colluttazione che è seguita Tepa è caduto in un fosso fangoso, e la serata è finita in bellezza o bruttezza, dipendeva dai punti di vista, la ciurma certo si è divertita, ma quei due si sarebbero anche potuti fare del male.

Era meglio magari se lo venivamo a sapere in maniera differente, io e mia moglie Karen, abbiamo anche scoperto che Siro ne era già al corrente e faceva finta di niente, era vero che faceva lo gnorri insomma.

Riassumendo, si è venuto a sapere che là in Brasile, e precisamente a Governador Valadares, essendo io cresciuto con degli zii che poi non erano nemmeno miei veri zii, mia madre era stata la donna di servizio di suo padre, cioè della famiglia di Siro.

I genitori facoltosi e tradizionali erano quelli di sua moglie e quando Assunta, mia madre, rimase incinta di lui, la misero fuori di casa e lui le pagò dei contributi segreti e mensili per tutta la vita, pare che fosse una bella sommetta. Secondo gli accordi, la sovvenzione sarebbe terminata solo quando uno dei due sarebbe venuto a mancare.

Morì prima lui, ma appena con lo scarto di un mese.

Per questo che io e Siro ci volevamo già bene, dovevamo recuperare tutti quegli anni. Meno male che ai tempi attuali non ci si vergognava più di queste cose, la modernità a qualcosa era pur servita.

Sarà stato per caso, oppure no, ma la nostra squadretta, che da giovanissimi era diventata di allievi, ha cominciato prima a prendere meno gol, poi a perdere di misura, successivamente a pareggiare, dopo anche a vincere qualche partita.

 


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