Mi era già successo che mi scambiassero per qualcun altro, per una effettiva ma a volte neanche troppo forte somiglianza, come quella al portiere dell'Inter Zenga, in una certa epoca in cui lui era famoso e avevamo anche lo stesso taglio di capelli a caschetto.
Un'altra volta, molto tempo dopo, mi hanno
preso per Sarri, che a quel tempo allenava la Juventus, al ristorante Prato
Verde di Chiatri, perché oltre alla approssimativa somiglianza, portavo degli
occhiali simili ai suoi e anche il taglio di capelli assai corti era di quel
tipo, la barba un po' incolta eccetera.
Però stavolta vivendo in una città dove
non avevo mai vissuto, varie persone mi hanno scambiato per qualcuno che
evidentemente abitava in quella stessa città, cioè Viareggio. Ho provato allora
a capire chi fosse. La situazione mi incuriosiva e allora ho cercato di parlare
con quelli che mi salutavano, di chiedere chi fosse quel signore che loro
credevano che io fossi ma non ero.
A dire il vero mi hanno dato indicazioni
piuttosto discordanti, ma qualche elemento collimava. Tutte le situazioni
avevano il gioco del calcio come ambientazione e quel Siro era stato un
giocatore, ora era un allenatore, attualmente per il Centro Giovani Calciatori,
il CGC. Era una squadra che oltre ai Pulcini, i Giovanissimi e gli Allievi
aveva anche la Terza Categoria, cioè l'ultima in Italia e poi sotto ci sono
solo gli amatori, ma già prima della pandemia, con la scarsità di giovani che
c’era, le squadre erano diventate sempre meno.
Non è che non avessi niente da fare, anzi
il mio lavoro di giardiniere era complicato, nel senso che era assai faticoso e
in più dovevo farmi con la mia vecchia Panda venti km di andata e venti al
ritorno. A San Michele di Moriano c'era questa villa antica acquistata da
uno di Milano, ma non lavoravo tutti i giorni, mi chiamavano quando c'era
bisogno. Sabato sera e domenica pure, fatti i soliti quaranta km tra andata e
ritorno, facevo il cameriere alla Barcarola, ristorante-pizzeria di Monte San
Quirico. Così ci mantenevamo vivendo alla giornata, io e mia moglie Karen, di
origine austriaca, che lavorava tra hotel, ristoranti e pizzerie, ma niente di
fisso neppure per lei.
Il bello o il brutto era che negli ultimi
tempi, finché ero rimasto a Lucca, ero stato disoccupato. Quei due lavori li
avevo trovati, manco a farlo apposta, appena ero andato a vivere a Viareggio.
Lateralmente ero curioso di conoscere
questo mio sosia e sono riuscito a beccarlo in occasione degli allenamenti, la
sera al campo di Varignano, un quartiere popolare di Viareggio. Da lontano non
mi pareva che mi somigliasse tanto, da vicino invece sì. Ho pensato che, un po’
come tutti, io mi ero visto raramente, mai da lontano e lo specchio non mi era
mai garbato tanto, anche quando da giovane ero un bel ragazzo, ma non me ne ero
accorto, solo dopo.
Ho attaccato discorso con Siro quando è
venuto a prendere le casacche che aveva in macchina, con il pretesto di portare
mio figlio lì a fare un provino. Avevo un berretto e gli occhiali da vista, per
non farmi riconoscere, lui ha riso:
"No, guardi qui non si fanno provini,
tra i nostri giocatori ci sono delle scamorze tali che anche se non lo conosco,
dubito che suo figlio sia peggio di loro.”
"Capisco. Ma siccome ci sono altre
squadre, qui a Viareggio, volevo sapere che tipo di linea avete voi, prima di
scegliere il CGC e non un'altra squadra giovanile."
Da vicino mi somigliava davvero assai,
anche nel parlare faceva delle smorfie e delle faccette che mi sembrava di vedermi
quasi in uno specchio. Mi sono tolto gli occhiali, ma lui non si è accorto di
niente, almeno ho creduto, poi mi ha guardato strizzando un po' gli occhi e ho
temuto che mi avesse in qualche modo riconosciuto, ma lui invece ha detto:
"Chissà che campione che lei mi potrà
portare, me ne vuole privare senza nemmeno averlo mai visto in azione?"
Evidentemente mi stava prendendo in giro,
un tipo di comportamento che io con uno sconosciuto non avrei certo adottato.
D'altro canto io stesso mi stavo comportando come un perfetto imbecille.
"Non mi vuol dire allora qual è la
vostra politica calcistica?"
"La nostra politica si riassume in un
piacevole passatempo, per noi allenatori e dirigenti, come per i bambini,
adolescenti e ragazzotti, non ci illudiamo di formare futuri campioni, nessun
fuoriclasse del calcio mondiale, se è quello che vuole sapere. Guardi io ho da
fare. Mi stanno aspettando là in campo. "
"Non vi è mai successo di
sfornarne uno? Da quanto tempo esiste questa squadra?"
"Dal 1959, ma io ci sono arrivato solo
l’anno scorso. Comunque guardi: Viareggio non è la capitale del calcio, c'è
tanta sabbia e poca erba, in compenso c’è un bel giro di droga. Basta vedere la
squadra di questa città dove si trova, cioè in Serie D. Certo lei saprà che ci
sono città più piccole di noi che hanno squadre che sono in serie A o in serie
B, o ci sono state in passato, noi al massimo e tanti anni fa, siamo stati in
serie C e ci prendevamo anche delle batoste non indifferenti.
Ora vado sennò mi licenziano, sa con
tutto quello che guadagno…"
"Quanto guadagna?"
"Niente di nulla, direi che ci
rimetto pure i soldi della benzina, in più… o in meno. Ma se vuole assistere
all'allenamento entri pure."
L'ho ringraziato e sono entrato
oltre la recinzione, oltre la quale poche persone stavano sedute sulle
gradinate di tubi Innocenti e tavole di legno.
Si vedeva subito che di soldi lì ne
circolavano pochi, di ragazzi in scolorita tuta nera e bianca ce n'erano una
trentina. Aveva piovuto poche ore prima e il campo era fangoso, c’erano ancora
diverse pozzangherone nelle quali i ragazzetti saltavano gioiosi e
scaprettavano strillando. Dopo i giri di campo d'obbligo, hanno fatto un
po' di ginnastica e poi la partitella. Si vedeva che alcuni erano più grandi e
grossi e altri più piccoli e più giovani. Si divertivano tutti. Un ometto
lì seduto mi ha confermato che erano di due età differenti: allievi e
giovanissimi. La Terza Categoria si allenava la sera seguente che era giovedì, i
Pulcini non lo sapeva, ma doveva essere di mattina.
Ho pensato per qualche giorno a che cosa
dovevo fare. Sono arrivato alla conclusione che volevo andare avanti e allora
ho seguito Siro dopo l'allenamento del venerdì, per vedere dove abitava.
Mi sono anche calato nel ruolo e di conseguenza divertito, mi sembrava di
essere un agente segreto. Si chiamava Bartelloni di cognome, abitava in una
casetta bianca non lontana dal campo sportivo di Varignano. Il cognome era
scritto sul campanello. Ho pensato di suonare, ma poi ho lasciato perdere. Ho
fatto in maniera però di passare per caso di lì proprio all'ora in cui
pensavo che lui andasse a lavorare, la mattina seguente, visto che
io invece non lavoravo. Anche in questo caso il dialogo è stato scarno, soggetto
a varie e discordanti interpretazioni, però ho notato che alla luce del sole
lui mi guardava in maniera strana. Forse aveva visto che ero simile a lui, non
solo di faccia. Avevamo i capelli pettinati in maniera differente, va bene,
però anche di corpo ci somigliavamo, o almeno mi pareva, pur essendo io più in
forma, lui era un po' sovrappeso. E poi anche nella maniera di parlare, eravamo
simili, ma io ero più timido e introverso, lui più spigliato. Ho osservato che
ci vestivamo in maniera differente, anche per via del fatto che lui lavorava in
banca ed era logicamente più elegante di un giardiniere, che nel fine settimana
faceva il cameriere, ma in locale assai informale in cui non c’era l’usanza dei
pantaloni neri e della camicia bianca.
Ancora non sapevo cosa dovevo fare, la mia
indecisione era normale, e veniva da lontano, in più non mi era mai capitato un
caso del genere, anzi non sapevo nemmeno di che caso si trattasse.
Insomma non potevo credere a una
coincidenza, ma era senz'altro così, secondo il mio amico Tepa. Tra l'altro lui
era presente quando qualche mese prima, in occasione di una partitella di
calcio a cinque in notturna, alla quale lui stesso mi aveva invitato a giocare,
il portiere dei nostri avversari, che io non avevo mai visto, mi aveva salutato
calorosamente e a quanto ci era sembrato, mi aveva riconosciuto solo dopo un mio
fulminante destro di controbalzo che lui aveva parato senza grosse difficoltà,
ma che aveva sorpreso un po' tutti, oltre a me stesso, non credevo di esserne
più capace.
Lo stesso tipo di tiro di destro che ho
visto più volte usare a Siro in allenamento, era il suo colpo preferito e per
coincidenza anche il mio, a suo tempo, lo era stato.
Mio zio Adroaldo diceva che quando le
coincidenze coincidevano troppo, improvvisamente cessavano di poter essere
considerate tali.
Mi sono chiesto più volte perché Siro
non si accorgesse della somiglianza e ho concluso che magari sì, l'aveva
notata, ma non gli dava necessariamente la debita importanza, che forse era
debita solo dal mio punto di vista.
Tepa che era di Capezzano, tra
Viareggio e Camaiore, pensava che la mia fosse diventata un’ossessione, in
fondo è una cosa dimostrata che tutti abbiamo almeno un sosia al mondo, Siro
Bartelloni in fondo ci pareva eccezionale perché, con tutte le terre emerse che
esistono al mondo, era venuto a capitare così vicino a me. E se io non avessi
improvvisamente cambiato città, per via di mia moglie, che era straniera sì, ma
era cresciuta a Viareggio, non lo sarei mai neppure venuto a sapere. Non che mi
dispiacesse, intendiamoci.
Dopo qualche settimana me ne sono
fatta una mezza ragione, positivamente il mistero m’intrigava però, e appena
avevo un po' di tempo libero andavo a vedere gli allenamenti e le partite del
CGC. Vincendo la mia atavica timidezza attaccavo discorso con chi conosceva
Siro, scoprendo quello che volevo scoprire, cioè che aveva sempre più caratteristiche
simili alle mie, che annotavo mentalmente, in religioso silenzio perché mia
moglie e Tepa, gli unici miei confidenti, non ne volevano già più sentir parlare.
A forza di vedermi girottolare intorno
a lui, Siro mi ha giovialmente accolto e poi preso anche in simpatia, ha capito
che non avevo nessun figlio, come lui del resto e mi ha invitato a essere socio
e dirigente del CGC. E io non vedevo l’ora che me lo chiedesse.
Alle cene che erano frequenti e
interminabili, atte a conoscersi, tra giocatori, allenatori e dirigenti, ci
sedevamo accanto e ci si divertiva abbastanza a commentare tutto il
commentabile, o a ridere senza parlare, a scuotere la testa bonariamente disapprovando.
Una cosa tra tutte mi aveva colpito:
Siro era nato e cresciuto anche lui in Brasile, come me, ma non mi ha voluto
dire esattamente dove.
Tra l’altro Siro là si scriveva Ciro, se
si voleva dire Ciro si doveva scrivere Tiro, per via della pronuncia in
portoghese.
Mi avevano fatto notare, e avevo
constatato personalmente, che in Brasile i figli fisicamente assomigliavano di
più ai genitori e ai loro fratelli che in Italia, per esempio. Dicevano che era
per via che il metaforico fuciletto aveva le canne più calde e pulite, così non
prendeva muffa né influenze esterne. Lo usavano di più insomma.
Mi hanno rivelato che i suoi erano di
Governador Valadares, come me, nello stato di Minas Gerais, là era nato e
cresciuto.
Curiosità di questa città è che
durante gli anni è stata il trampolino di lancio per i brasiliani che volevano
emigrare negli Usa. Ci volevano un sacco di documenti per dimostrare che la
persona in questione non aveva interessi, soprattutto finanziari, a stabilirsi là,
che di poveri ce ne avevano già abbastanza. Chi aveva il passaporto italiano però
era favorito, forse perché era considerato più danaroso.
Prima hanno cominciato a chiamarci i
gemelli, giacché, per fare un po' di movimento, ho iniziato ad aiutarlo nel suo
allegro ma didattico ruolo di allenatore, con crescente passione e amicizia,
non solo nei suoi confronti, ma anche con i ragazzetti e gli altri soci. Poi gradualmente
il soprannome è stato trasformato nei gemelli
del gol, perché gli avversari ci massacravano sistematicamente, incassavamo
un sacco di gol, che se avessero pagato per ogni gol preso saremmo diventati
ricchi.
Mi ricordo in particolare una volta
che abbiamo perso 12 a 0 e che siamo riusciti a passare la metà campo esclusivamente
quando battevamo il centro.
Il centro però lo abbiamo battuto parecchie
volte. Insomma una vergogna, in un certo senso, se avessimo voluto prenderla più
sul serio, ma noi invece ci siamo fatti anche delle risate non indifferenti.
Questi giovani calciatori erano assai
scarsi tecnicamente, ma semplici e spontanei, spesso involontariamente
simpatici. Uno addirittura in quella stessa partita aveva fatto un fallo
involontario e si era fermato a chiedere scusa, mentre gli altri avevano fatto
gol, quindi i dieci suoi compagni lo avevano subissato di parolacce. Non contento,
il dodicesimo gol lo aveva fatto lui per la rabbia, tirando con forza nella sua
porta. Tufo, chiamato così per la faccia butterata dai foruncoli, qualche
annetto dopo sarebbe diventato parroco di Poveromo, provincia di Massa Carrara
e direi anche molto simpatico ed efficace, nel suo positivo esempio che dava
agli altri.
Tepa, che si chiamava così per via di una marca di scarpette da gioco degli
anni settanta, ha stoicamente resistito qualche mese, ma poi si è unito a noi,
dirigente e allenatore dei giovanissimi, ovviamente oltre che socio.
Poi è successo in una sera d'estate, una cena di quelle fatte al campo,
direttamente con i tavoloni sull'erba martoriata del terreno di gioco. Il
tradizionale cenone di chiusura, prima dell’estate, a base di grigliate di
pesce e di carne, insalate varie e alcune anche russe, fatte dalle rispettive mogli
che verso le undici se ne erano tornate già a casa, e i giocatori giovani si
erano piano piano eclissati anche loro. Eravamo rimasti in una decina, tra
giocatori di terza, soci, allenatori e dirigenti che in alcuni casi erano tre
categorie che si mischiavano e si confondevano, in quanto più cariche e ruoli
insistevano nelle medesime persone. C’era anche il caso limite di Zaccaria, un barbuto
gigante aostano che faceva parte di tutte le potenziali categorie: giocatore
di terza, allenatore, socio, dirigente, guardalinee, guardiano del campo,
muratore, imbianchino e cuoco. Come raccontatore di barzellette era scarsino,
ma c’aveva passione e non si vergognava se la gente non rideva.
Si erano formati tre gruppi, i rispettivi avvinazzati più che parlare
urlavano, non per fare i prepotenti, ma per potersi sentire a vicenda, più
gridavano e più diventavano sordi, e il ciclo si autoalimentava.
Tepa in particolare, come al solito aveva bevuto troppo e insisteva sul
fatto ormai assodato e rimasticato che io e Siro ci somigliavamo, insomma
eravamo uguali, fatti con lo stesso stampo, gemelli identici e anche del gol,
non ci si poteva distinguere, porcaccia la miseria ladra e così via, continuando
a tirar giù bicchierotti di vino bianco come se fosse acqua.
Alla fine dopo averlo mandato affanculo più volte, sia Siro che io e con
tono sempre più irritato, ha detto che eravamo due figli di buona donna, noi
due, benedetti e maledetti dal signore, il perché lo sapeva lui, Pulcinella… e anche tutti gli altri, ma non dicevano
niente, perché erano bugiardi o piuttosto facevano gli gnorri, o come diavolo si chiamassero quelli che la sanno la
verità insomma, ma non la dicono. Siro che aveva bevucchiato anche lui, anche
se meno, gli ha dato un cazzotto, nella colluttazione che è seguita Tepa è
caduto in un fosso fangoso, e la serata è finita in bellezza o bruttezza,
dipendeva dai punti di vista, la ciurma certo si è divertita, ma quei due si sarebbero
anche potuti fare del male.
Era meglio magari se lo venivamo a sapere in maniera differente, io e mia
moglie Karen, abbiamo anche scoperto che Siro ne era già al corrente e faceva
finta di niente, era vero che faceva lo gnorri insomma.
Riassumendo, si è venuto a sapere che là in Brasile, e precisamente a
Governador Valadares, essendo io cresciuto con degli zii che poi non erano
nemmeno miei veri zii, mia madre era stata la donna di servizio di suo padre,
cioè della famiglia di Siro.
I genitori facoltosi e tradizionali erano quelli di sua moglie e quando Assunta,
mia madre, rimase incinta di lui, la misero fuori di casa e lui le pagò dei
contributi segreti e mensili per tutta la vita, pare che fosse una bella
sommetta. Secondo gli accordi, la sovvenzione sarebbe terminata solo quando uno
dei due sarebbe venuto a mancare.
Morì prima lui, ma appena con lo scarto di un mese.
Per questo che io e Siro ci volevamo già bene, dovevamo recuperare tutti
quegli anni. Meno male che ai tempi attuali non ci si vergognava più di queste
cose, la modernità a qualcosa era pur servita.
Sarà stato per caso, oppure no, ma la nostra squadretta, che da
giovanissimi era diventata di allievi, ha cominciato prima a prendere meno gol,
poi a perdere di misura, successivamente a pareggiare, dopo anche a vincere
qualche partita.
Nessun commento:
Posta un commento