sabato 12 febbraio 2022

VIVERE SERENAMENTE

 




Per non fare nomi comincerò con il dire che A era partita da pochi giorni, per andare a fare un corso a Londra, ci sarebbe rimasta per sei mesi. Ho pensato che sarebbe stato bello soffrire come una bestia per la sua mancanza, ma intanto avere tempo e tranquillità per scrivere, magari anche un po’ di quella disperazione che serve tanto all’ispirazione letteraria e così via.

Da anni volevo scrivere un poliziesco, un giallo. Al massimo ero arrivato a qualcosa di simile, alla lontana assai, d’accordo, magari solo un verde pisello, se mai fosse esistito, a livello di letteratura poliziesca. Intanto qualcosa mi faceva pensare che il noir fosse il mio genere, era ancora tutto da dimostrare, ma ero pronto e disponibile.

Quel giorno di maggio, che nel sud del Brasile è autunno inoltrato, mentre facevo colazione pensavo all’ambientazione, che era veramente sempre importante, ma specialmente per il genere noir.

Erano le undici e mezzo ed era abbastanza freschino, data la stagione. Ho preso le mie carabattole e mi sono messo fuori a cercare di tracciare le prime linee fondamentali.

Sia i cani che i gatti mi si sono appiccicati addosso e non volevano saperne di lasciare in pace la letteratura mondiale, sia pure in precoce fase di preparazione ideale, in qualche modo era una tappa importante.

Le brume dell’Inghilterra magari erano il territorio ideale per una certa suspence doc. Però non è che conosca tanto bene quei posti, ci sono stato tre o quattro volte, va bene, ma alla fine che ne so di come si vive, o di quello che succede là?

La Francia? Neppure, ne so meno ancora.

Gli Usa mi fanno troppo schifo, c’è tanta roba in giro, sia scritta che filmata, una noia standardizzata. Neanche.

E l’Italia? Che palle sempre scrivere qualcosa ambientato in Italia. Basta.

Oppure il Brasile? Forse poco adatto per il genere, anzi sicuramente.

No.

Non c’è niente di più disumano della mente umana: stavo rimuginando seduto al tavolo sotto il nespolo, con il computerino aperto e una musichina di sottofondo, quando ho sentito un rumore sospetto e quando uno pensa al meccanismo di un giallo, chissà perché, ogni più piccolo suono scatena la fantasia in quella funzione. Figuriamoci se è un noir.

A dire il vero nel caso del noir non so se sia peggio o meglio, se scateni di più o meno la fantasia del vivente al minimo rumore sospetto, o comunque non immediatamente riconoscibile.

Sono andato a vedere, da sopra il muro, tra le frasche di un albero che non so come si chiama, ma mi sto documentando, anche se senza fretta. Ho visto il mio vicino di casa che guardandosi  intorno, in maniera sospetta, spingeva un pesante sacco nero di plastica dentro il suo camioncino. Poi c’è salito sopra ed è partito.

Si trattava di un macellaio, un tipo simpatico e assai gioviale. Magari mi stavo immaginando delle cose e pensare che avevo perfino detto che il Brasile non pareva affatto un luogo adatto per la suspence. Troppo allegro, troppo rumoroso, no, no.  

Invece sì.

Però c’era da notare che tale B, chiamiamolo provvisoriamente così, viveva da solo, o almeno da un po’ di tempo non c’era più nessuno a casa sua, la sua donna era sparita da un momento all’altro e le sue spiegazioni mi erano parse piuttosto evasive. E comunque non avevo con lui quell’intimità da poter chiedere chiarimenti.

La mente umana è una cosa inafferrabile, non si riesce a far ragionare, quella va dove vuole e noi la dobbiamo seguire e zitti, perché protestare non serve che a farla intestardire di più.

Fatto sta che c’ho pensato tutto il giorno e la notte non mi riusciva nemmeno di dormire e ho cominciato a scrivere, forse anche un po’ troppo a vanvera, va bene.

Mentre scrivevo inutili pagine di stronzate alternate a imbecillaggini, ogni tanto cercando di stabilirne i confini e la loro eventuale differenza, è tornato questo B. Sembrava abbastanza  ubriaco, allora io - con la scusa di chiedergli se aveva una birra che gli avanzava - sono andato a salutarlo. Cosa che non avevo mai fatto da quando era venuto ad abitare lì.

Era evidente che non moriva dalla voglia di parlare con me, ma ha fatto finta di niente e ci siamo bevuti una birretta ghiacciata insieme, in veranda, parlando del più e del meno, poi ha detto che la conversazione era buona ma il sonno era tanto, e avevo sonno anch’io, gli ho detto, mentendo male forse più di lui.

Ma lì gatta ci covava, come si soleva dire a quei tempi, e magari da qualche parte si suol dire ancora. Mi pareva scosso e magari lo conoscevo poco, non dico di no e non è che volevo indagare, denunciarlo o cose di questo genere, ma forse immaginarmi delle situazioni adiacenti o conseguenti poteva servirmi come ispirazione per il mio noir, o giallo che fosse, verdolino chiaro o così via.

Questi sono ragionamenti che ho fatto in seguito, in quel momento non avevo scelta, ma mi ribellavo ingenuamente a questo meccanismo che avrei già dovuto conoscere a sufficienza per sapere dove conduceva.

Quindi ho mitragliato tutta la notte pagine insulse e senza alcun senso, se non per farmi venire finalmente e veramente del sonno che si rispettasse, che potesse essere chiamato con quel nome, insomma. La mattina era domenica e ho dormito fino a quando il rumore intorno di feste e musiche ad alto volume mi ha scollato dal letto. B non era in casa e anche dopo non l’ho visto più.

Avevo scritto per quasi quindici giorni delle cazzate a 360 gradi, o perfino a 720, che almeno teoricamente risulterebbero delle doppie cazzate. Cose ambientate in ogni dove, parlando di tutto e dei suoi movimenti reali o virtuali che fossero, degli intrinsechi vantaggi o pericoli, per me oppure anche per chiunque ci abbia a che fare, senza che me ne garbasse nessuna, se non qualche isolata pensata qua e là.

Ogni mio testo deve passare l’esame dei miei stessi cervello e cuore, se non supera quella prova iniziale e fondamentale nessuno lo leggerà mai. Se ce la fa, ha parimenti buone probabilità di non essere mai letto da chicchessia.

No, il mio caso era definitivamente lui e avevo deciso di passare all’azione. Va da sé che con un piede di porco quella notte stessa sono entrato nella zona del crimine.

La mente umana è troppo facile a ossessionarsi, altre menti non ne conosco, ma la nostra è debole e manipolabile da qualsiasi virtuale volo di mosca. Se una cosa te la sei piantata in testa non c’è niente da fare, quella non ti lascia in pace, finché non fai qualche cazzata e magari ti metti nei guai. Che ci vuoi fare?

In casa di B non c’era niente, il frigo era quasi vuoto, la spazzatura non c’era, che quella un buon detective - anche se improvvisato - la controlla subito, ma c’era molta roba da bere, birre e liquori vari. Libri non ne leggeva, non sembrava neanche lontanamente il tipo. Il computer era pieno di roba che non sto qui a spiegare, ci siamo capiti... improvvisamente un rumore mi ha messo in allarme, sono scivolato fuori da dove ero venuto, appena in tempo per vedere un gatto scappare oltre il muro di cinta di dietro alla casa.

Ho mandato un email ad A, lei aveva avuto a suo tempo un contatto con la donna di B, che chiameremo C, quindi le ho chiesto se e come potevo andarla a cercare, solo per controllare se fosse ancora viva e magari anche vegeta. Prima che diventasse minacciosamente gelosa le ho dovuto spiegare la storia. Mentre stavo rispondendo a una delle sue domande a riguardo mi ha telefonato:

“Non ti mettere nei casini come al solito, mi hai capito bene?”

“Come al solito? Quando mai mi sono messo nei casini?”

“Sempre. O magari solo a giorni alterni. Lasciamo perdere. Ora faccio qualche telefonata e mando qualche messaggio, le informazioni che vuoi te le do io. Tu non ti muovere, non ti venga in mente di entrare in casa di B, mi hai inteso bene?”

“Troppo tardi.”

Il silenzio che è seguito non lasciava sperare niente di buono, ma almeno mi sono sentito per qualche secondo meno sottoposto a pressione psicologica. Dopo A ha enunciato una lista dettagliata di tutte le cose che non avrei assolutamente dovuto fare, delle quali una buona parte sapevo di dover contravvenire nei fatti immediatamente a seguire, per la restante porzione l’avevo già fatto. Concludendo disse che appena avute notizie mi avrebbe scritto o telefonato, minacciandomi di rappresaglie, mi ha intimato di nuovo l’immobilità più totale e ci siamo virtualmente baciati e salutati a vicenda.

A volte non posso fare a meno di pensare che, anche con la miglior buona volontà d’imparare, le situazioni e i relativi conseguenti errori non si ripresentano proprio uguali, ma leggermente cammuffati solo per beffarsi dei nostri vani sforzi. Tutto questo per dire che né io né A siamo creature tendenti alla perfezione, ma che lo sappiamo e che anche se non abbiamo sempre l’elasticità e la flessibilità auspicabili, almeno ci proviamo. Non si arriva mai a punti fermi, a casa nostra, o sulla terra, magari anche sugli altri pianeti, ma almeno a ogni tappa notiamo che si è fatto un passo avanti, o anche due indietro, ci siamo capiti? Non so se mi spiego. Non so se dipende tanto da noi, eppure lo accettiamo.

Mi sono messo a guardare un film del quale poi alla fine non mi ricordavo niente, ma era interessante, forse perché favoriva il pensiero libero e fluttuante. Dentro di me - mentre guardavo le scene della pellicola, in realtà senza vederle - stavo elaborando una serie di teorie ramificate, sui fatti e controfatti del delitto in questione, che ora non sto a raccontare, anche perché non me le ricordo, ma che mi hanno permesso di addormentarmi agevolmente e in poco tempo, di sognare di essere in un palazzo colle pareti trasparenti fatte di acquari con dei pesci dentro e tutto... e fuori un branco di dinosauri al galoppo che caricavano, ma senza neanche lontanamente danneggiare gli acquari, cioè quelle pareti di vetro con i pesci che sguazzavano tranquilli, senza nemmeno pensare al pericolo che correvano... e poi di svegliarmi col trillare del telefono. Era A:

“C non è morta, quindi non c’è nessun caso nascosto di assassinio, me lo ha detto e confermato D, suo cugino che lavora al supermercato Asun, se vuoi andare a vederla lei invece lavora al negozio Colombo, all’incrocio della Rua Otto Niemeyer con l’Avenida Cavalhada, quindi fammi stare un po’ tranquillina e rivolgi la tua mente tenebrosa altrove. Ci siamo intesi?”

Mentre rispondevo meccanicamente di sì, pensavo che non credevo una parola di quello che aveva detto, c’erano dei precedenti illustri nel passato che mi facevano credere ad una manovra mirata a nascondermi la verità, quella vera e assoluta.

Tutti sanno che il nostro maggior problema nel mondo siamo noi stessi, poi a ruota vengono anche gli altri, ma se noi fossimo onesti con noi stessi, (cosa tutt’altro che semplice,) lo saremmo necessariamente anche con gli altri. Cioè: fatto un primo immane sforzo, il secondo risulterebbe assai più facile. Questo poi non significa affatto che dopo gli altri, di riflesso, saranno onesti con noi, ma almeno li metteremmo nella migliore condizione per esserlo, che per quanto strano ci possa sembrare, è piuttosto importante, almeno quando - alla fine - il metaforico pettine giungesse sui temuti nodi.

Quante volte ci siamo arrabbiati come bestie con qualcuno, per poi scoprire che questo ipotetico individuo era stato indotto, nel suo comportamento aggressivo, da quello che noi in precedenza avevamo detto o fatto? Non dobbiamo aver paura di ammettere che abbiamo sbagliato, perché è proprio quello il momento che in cui abbiamo l’occasione d’imparare, oppure di far degenerare tutto nel caos più totale, è vero, ma dipende soprattutto da noi, dalla calma che c’impedirà, anche se non sempre e necessariamente, di prendere una mazza e fracassare tutto quello che ci circonda. L’elaborazione di una efficace filosofia di vita non è una faccenda semplice, in più non si finisce mai di aggiungere modifiche e miglioramenti. Che a volte poi risultano peggioramenti, con il senno di poi.

Il pensiero che tutto ci pare sempre e comunque incompleto, dicono che viene dal fatto che la storia della nostra vita non è ancora finita, ma io non ci credo. Accettiamo questo fisiologico limite, più l’altro che ci troviamo incollato, del nostro scarso tempo utile di vita, che irrimediabilmente scadrà, un giorno che ancora non sappiamo. Quest’ultima cosa può essere vista come un vantaggio, perché se lo sapessimo in anticipo, la nostra permanenza qui sulla terra ne verrebbe inevitabilmente, e forse non del tutto positivamente, influenzata.

Piuttosto passiamo però ai fatti, sennò è difficile capirsi, cerchiamo di rimanere attaccati a quello che è successo, sennò ci perdiamo.

Per entrare nell’atmosfera di quei giorni c’è da dire che la gente che ascoltava musica a tutto volume in Brasile c’è sempre stata e credo che la maggior parte non sappia che esistono quelle cuffiette che tu metti il volume alto o altissimo e non disturbi nessuno. Secondo me lo sanno invece, ma non gli garba, per loro non ha alcun senso.

Vivevo in campagna, ma a pochi chilometri dal centro di una grande città brasiliana, Porto Alegre. Ero un professore quasi in pensione, nel senso che davo lezioni on-line con Skype. Sposato con una donna più giovane, senza figli ma con due cani e due gatti che ci davano diverse e variate soddisfazioni, che ora non sto qui a raccontarvi.

Vivere in Brasile per chi non ci è nato è un po’ come abitare in Siberia per chi ci è stato portato, ci vuole anche tempo, ma è difficile abituarsi. In senso più ampio il mondo è un luogo ostile, l’uomo per sopravvivere deve vendersi l’anima, ma non tutti ce l’hanno e chi non ce l’ha, vende altre cose, quello che capita. L’uomo è il maggior nemico di sé stesso, ma combatte anche contro gli animali e le piante, prende a calci anche i sassi, poi si lamenta che gli fanno male i piedi.

Insomma non ho potuto fare a meno di notare, in seguito, che uno di quelli che facevano impazzire gli altri per via della musica alta e schifosa, tipo batteria e basso e poi basso e batteria per ore, a un volume insopportabile, era sparito. Un sollievo relativo, perché di rompicoglioni ce ne erano tanti altri e ci si faceva appena caso.

Però visto che stavo scrivendo un noir... va bene, d’accordo, che ci stavo solo provando, io mi sono interessato al caso. Approfittando del mio cannocchiale più che professionale a raggi infrarossi, ho sorvegliato la casetta. In pochi giorni ho stabilito che la posta si ammucchiava e che non c’era nessuno che aveva sostituito il musicologo in questione. Poi mi sono ricordato che il macellaio B si era lamentato più volte del volume impossibile e del tipo di armonia martellante, delle ore notturne in cui di solito la gente dorme, o perlomeno tenta. La casetta dell’altro che si chiamava E, era subito dietro la sua, un po’ più in basso, i due terreni erano confinanti, perché noi siamo sulla parte più alta della schiena dell’asino, come si suol dire.

Il mio romanzo noir però era bloccato, anche perché B, cioè l’assassino, era scomparso anche lui e pensare che fosse il massacratore di chi prima faceva lo stesso trattamento agli altrui timpani, era un’ipotesi che interrompeva le mie appena nate  indagini, perché in fondo era un benefattore della comunità in questione, la nostra.

Con il mio binocolo sorvegliavo tutti quelli che erano a tiro e mentre lo facevo notavo che tutti si comportavano in maniera sospetta, io stesso non ero certo un’eccezione, ma ovviamente non me ne accorgevo.

Poi ho notato che F, anche lei approfittatrice della altrui pazienza, appassionata di musica Pagode della più bassa e ripetitiva lega, naturalmente e sempre ad altissimo volume, era sparita. F era stata una balena, correva la voce che fosse ingrassata di proposito, per fare il processo opposto, che si poteva fare solo sopra un certo livello della bilancia, del suo rapporto con l’altezza, che poi nel suo caso si trattava di bassezza. Dopo la chirurgia bariatrica era dimagrita, ma ora aveva ricominciato a ingrassare a forza di birra e cibo non adeguato. I chili in più o in meno non l’avrebbero cambiata, era una persona insopportabile, era una cicciona nell’anima, che gridava sempre, sembrava che recitasse eternamente davanti a un pubblico immaginario e portava ogni giorno un uomo diverso a casa, poi a letto e il figlio era come lei, poteva diventare un serial killer, se così fosse stato, certo la prima vittima sarebbe stata lei. Anche la figlia pareva ricalcare quei canoni di complessità pur facilmente prevedibile, ma quella almeno se ne era andata di casa, con un imbecillotto seduto come suo padre, che non avevano mai avuto voce in quel capitolo, probabilmente in nessun altro capitolo della loro disgraziata esistenza.

Insomma F era sparita anche altre volte, una volta sembrava che fosse in partenza per Florianopolis, ma qualcuno l’aveva recuperata, a suo dire, che stava già alla Rodoviaria, la stazione degli autobus.

Da registrare comunque che due frantumatori di timpani altrui fossero improvvisamente scomparsi, un fatto da verificare, a ogni modo. Un determinato fatto non significa sempre che conduca a un altro necessario fatto, ma quando la polizia incominciò a bussare alle porte e a fare domande, ovviamente io ero già avanti con le ipotesi e le relative indagini.

Torniamo ai fatti precedenti: era già successo che due gemelli venticinquenni erano morti, ma a distanza di anni e in due posti lontani tra di loro, e in due tipi di incidenti differenti.

Una moglie aveva tentato di ammazzare il marito che la tradiva, con un machete mentre dormiva; lui si era svegliato in quel momento e se l’era cavata con un ematoma sulla fronte, un giuramento di fedeltà e di amore incondizionato. In seguito lei era diventata una testimone di Geova.

Il circondario pareva limitato, ma tante case erano nascoste nel bosco, probabilmente occupando il terreno illegalmente, quelle in cui sapevo chi ci abitava erano dieci forse quindici.

Certo non poteva dare troppo nell’occhio, ma quando una persona aveva il suo senso dell’osservazione attaccato 24 ore su 24 si scoprivano i misfatti anche senza volerlo. Sapevo per esempio dove si vendeva la droga, in tre punti differenti, anche per la quantità e la qualità della merce.

C’era una vecchia che dicevano fosse stata la prima abitante della zona, che ammazzava i cani randagi con il veleno per topi, dicevano, non parlava con nessuno, ma una vicina l’aiutava perché lei aveva promesso di lasciarle la catapecchia di legno e il terreno circostante, quando sarebbe morta.

I cani di strada morivano senza problemi, ce ne erano tanti e non si sentiva certo la loro mancanza, ma ogni tanto qualcuno che non lo sapeva, lasciava il suo cane libero in giro e quello scompariva o andava a morire in casa.

Ci andai a parlare, non mi rispose nemmeno e mi minacciò con la scopa. Ci tornai con J la donna che la aiutava, ci mandò via tutti e due.

 Il commissario qua si chiama delegado ma noi lo chiameremo G. Con lui sono stato più che vago, mi  sono accorto e sorpreso io stesso del mio comportamento, del fatto che ovviamente stavo difendendo il colpevole, se un assassinio c’era stato oppure due.

G a prima vista era un tipo scaltro, o magari voleva solo sembrarlo e di solito chi vuole sembrare qualcosa è perché non lo è. Si è fatto tutta la strada, che è abbastanza corta, insieme a due poliziotti semplici e poi quella parallela di sotto, dopo una terza che andava scendendo in una specie di favela, le facce diventavano più cupe e gli occhi dilatati, nella quarta c’era già un centro di spaccio degli stupefacenti, nella quinta non ci sono mai stato, non che io ci tenga particolarmente. Le catapecchie poi scendono in mezzo agli alberi in una specie di gola scavata nella terra, tra i rifiuti e l’erosione, ricordano le case degli indios in Amazzonia.

Non ricordo chi parlava della caducità dei beni terreni, magari era un’opera letteraria, probabilmente non brasiliana, ma qui il tarlo è un manifesto di quello che oggi è, ma domani non più. Le case di legno sono fatte di pino, che secondo alcuni è proprio il cibo preferito di questi animaletti, che arrivano all’inizio dell’estate volando, perdono le ali e s’infilano dentro, poi se ne escono quando hanno spolpato tutto. Non si capisce perché usano tanto il pino per costruire, per i mobili, per le finestre, sarà perché costa poco? Ci sono tanti tipi di legno che il tarlo non attacca, ci sono vari livelli e classificazioni, purtroppo anche interpretazioni e qualsiasi brasiliano poi arriva sempre a dirti che non vale la pena pensarci, che ci sono tarli che attaccano anche l’intonaco delle case e con quello liquidano ogni potenziale ipotesi di salvezza.

Per il brasiliano tutto è effimero, per esempio ama l’automobile, la lava almeno una volta alla settimana, ma poi guida come un disperato e sbatacchia di qua e di là, quando non ci lascia la pelle sua e dei suoi passeggeri. Magari è più appropriato dire che la gente qui è piena di contraddizioni, basta vedere la società, la distribuzione del capitale, ci sono pochi super ricchi, una classe media fluttuante e sempre a rischio, tanti o troppi super poveri, che odiano i ricchi ma non si sentono poveri, come mentalità sono piuttosto dei milionari in momentanea difficoltà.

Un ex ricco, poi classe media e ora definitivamente povero è H, difficile definirne l’età, potrebbe essere un settantenne che li ha portati bene, se lo incontri la sera tende più all’ottantenne, ma la mattina, se non ha bevuto la notte prima, potrebbe essere un quarantenne che effettivamente li porta un po’ male.

Non ho mai capito che difetto abbia alla vista, glielo ho chiesto, ma la sua spiegazione mi pare fantasiosa e incomprensibile, insomma inventata. Secondo me ha solo gli occhiali sporchi, ma molto sporchi. Se per esempio se li levasse, ho ragione di credere che ci vedrebbe meglio, ma di pulirli non se ne parla neanche e poi parte di quella roba che c’è sopra è secca ormai, non penso che sarebbe facile scollarla.

H è un uomo che a parlarci sembra che lavori e lavori, che non pensi e non faccia altro, ma invece è tutta una pura questione di lingua. Ha una parlantina calma e anche abbastanza coerente, soprattutto per chi non lo conosce ancora, quindi si devono rispettare alcune regole ferree con lui. Meglio prenderlo a piccole dosi, per esempio, non offrirgli mai da bere, non lasciarlo mai terminare i suoi racconti che non finirebbero mai comunque, bisogna esseri forti e determinati, per interromperlo continuamente e riportarlo all’argomento principale, quello che vi interessa. Insomma è un gran pettegolo a 360 gradi e pur non volendo è il mio informatore numero uno. Se riesci a farci una tara dell’ottantanove per cento, il restante undici può essere prezioso, ma non è facile distinguerlo e poi separarlo dal resto appiccicoso e maleodorante.

Girando attorno all’argomento in questione, per esempio, mi ha domandato quattro volte soldi imprestati e mi ha raccontato la storia della favela Beco do Urubù (Vicolo dell’Avvoltoio), dove ci trovavamo al momento, che io sapevo già. Lui l’ha infiorettata assai di più del necessario, gli ho pagato un’unica birra, ma solo perché me lo ha chiesto una cinquantina di volte in cinque minuti. Quello che ho capito in fondo alla storia mischiata è che B, il mio potenziale assassino, ha comprato un terreno altrove e ci sta costruendo una casetta. H mi ha spiegato anche dove, con la consueta dovizia di particolari inutili, aggiuntive storie parallele e perpendicolari, ma non ho capito bene il luogo in questione. Forse non lo sa nemmeno lui e cercava piuttosto di schiodarmi una seconda birra. Intanto io non ci ho rinunciato alla colpevolezza di B, sia perché come tipo mi sta simpatico e molto meno invece quei rumorosi prematuramente scomparsi, per esempio. Poi un assassino macellaio torna sempre bene per varie ipotesi, tra cui quella di smembrare le vittime e farle a pezzi, poi metterle in un bel sacco della spazzatura. Ipotesi che in un giallo sono sempre affascinanti.

Mentre me ne stavo andando e gli avevo più volte tolto le sue sporche mani dai miei vestiti già abbondantemente sudati, H ha detto che a casa sua c’era una tranquillità meravigliosa, la notte si faceva delle dormite solenni, il musicologo vicino, secondo lui, era andato a stare da un’altra parte, oppure era in prigione.

Mi ha detto anche nome e cognome, rivelandomi il particolare importante che lui era anche in rapporto di affari con il malvivente sparito e che gli doveva addirittura dei soldi. Non gli ho chiesto nemmeno se lui li doveva all’altro o viceversa, perché doveva essere una storia inventata, o esagerata, o perfino girata al contrario. Mi ha fatto vedere la catapecchia in questione, poi a casa io ho fatto un preciso grafico delle zona, notando che i tre scomparsi, trascurando B che probabilmente stava via per altri motivi, erano tutti sulla sponda destra del crepaccio, di cui parlavo prima e abbastanza vicini l’uno all’altro. Un pendio infernale quello per la musica popolare e per gli altrui timpani, ma la gente si ubriacava e sveniva invece di dormire, secondo una mia altra fonte c’erano posti anche peggiori. La percentuale di gente sorda in Brasile poi era piuttosto considerevole, qua da noi era diventata una malattia contagiosa.

La svolta alle mie indagini forse non era poi così importante per la giustizia, quella più scavi e vedi che è relativa e va tutto meravigliosamente bene quando c’è anche nascosta o in minime proporzioni, forse solo per il mio noir, insomma un giallo magari a pallini verdi.

Avevo sentito di un altro poveraccio massacrato in una favela in  fondo alla valle, mi decisi di andare a chiedere, senza dire niente ad A, che si sarebbe arrabbiata come al solito. La favela in questione sarebbe stata impenetrabile per uno come me, esterno e da solo, ma io ci conoscevo M, una pazza e intelligente, drogata ma non troppo, con un piede nella favela e un altro nel mondo esterno, cosa abbastanza rara, visto che lei è la donna del capo dei trafficanti della zona.

C’è da dire che nella nostra zona, tra diverse favelas più o meno grandi o nascoste, la morte di qualche trafficante o qualcuno che ha a che fare, per esempio consumatori insolventi di droga, è una cosa abbastanza comune e frequente.

È quello che mi ha detto lei, mantenendosi sul vago, anche se per coincidenza la situazione era la stessa nostra, cioè che U era uno che metteva musica alta e che era stato minacciato dai trafficanti stessi, secondo lei senza alcun risultato.

Esiste un tipo di musica fatto nelle favelas che è venuto fuori forse dalla musica Rap, quindi elettronico e ripetivo, i testi, tra virgolette, parlano di realtà squallide da delinquenti e abitanti di baraccopoli, non mancano le parolacce, ma non ci sono le bestemmie, perché non fanno proprio parte della cultura brasiliana.

Secondo me, M potrebbe avermi detto la mezza verità, nel senso che se fossero stati loro, i suoi compari, non lo avrebbe ammesso facilmente, ma il fatto della musica poteva anche tacermelo e invece me lo ha detto. Una tattica abbastanza comune nel mondo moderno, anche e soprattutto a livello politico: verità e bugia mischiate, per confondere le acque e cancellare le piste che interessano a loro.

Anni prima avevo avuto anche una storia con lei, prima che diventasse quella che era, o forse lo era già e io non lo avevo capito. Mi ero quasi innamorato, imbecille che non sono altro, per fortuna mi aveva lasciato, se no non so proprio come sarebbe andata a finire. Ricordo che quando ci eravamo già allontanati da un po’ l’avevo incontrata per caso in centro e su sua richiesta le avevo anche dato dei soldi. Lei intascandoli aveva detto a buon rendere, tutti e due sapevamo che invece erano a fondo perduto e scherzando ammise che aveva già fatto di tutto, le mancava solo di  ammazzare sua madre. Non le ho più chiesto se in seguito lo aveva poi fatto, ma non credo che se ne sarebbe fatto un problema, visto che non erano mai andate d’accordo e che lei stava con un poliziotto. Sua madre era stata una donna bellissima da giovane, ma con un passato difficile e una carriera da prostituta, non so quanto lunga, come e perché era stata interrotta.

Comunque la capanna di U era stata bruciata e lei me l’ha fatta vedere. Era l’ultima in alto in direzione delle altre nostre incriminate, più vicine a dove vivevo io, separate da meno di un chilometro di boscaglia, ma c’era un sentiero abbastanza famoso che le univa, dove dicevano che era meglio non avventurarsi mai, nemmeno di giorno.

M mi ha salutato con un bacio che ho istintivamente cercato di spostare più possibile lontano dalla bocca, lei se ne è accorta e le è scappata fuori una risata sguaiata. Mentre uscivo dalla casetta è arrivato il suo uomo, penso che fosse lui, con la mascherina nera con un teschio bianco sopra e i suoi occhi mi hanno quasi incenerito.

Mettersi a far ingelosire il capo dei trafficanti è un tipo di attività tra le meno proficue che conosco, e di questo genere ne conosco diverse. Potrebbe addirittura portare degli svantaggi immediati e concreti, quindi me ne sono andato senza correre, sarebbe risultata una cosa sospetta, ma anche senza indugiare né voltarmi indietro.

A volte penso che uno scrittore si cacci nei guai di proposito, per poterli poi scrivere, il che sarebbe una magra consolazione specialmente se non sei tra quei pochi autori più letti nel mondo e che guadagnano fior di soldoni.

Siamo comunque una categoria di poveracci, non nel senso della ricchezza materiale che manca e magari è anche giusto così, visto che ce ne freghiamo, ma anche noi cosiddetti artisti della parola, siamo spesso portati via e sballottati da un atteggiamento che forse non è una moda, ma una corrente che è poco proficua anche a livello di letteratura, per niente coerente quanto piuttosto ridicola.

Se nella vita non possiamo copiare gli altri, come fanno tutti, anche fare il contrario di quello che è la normalità è una schiavitù, meglio sarebbe non venirne toccati e sentirsi liberi. Però non conosco altri mondi abitati nella nostra galassia o anche fuori, qua sulla terra è piuttosto difficile.

Anche noi più puri anticonformisti siamo obbligati a rispettare comunque leggi assurde come quella della gravità, la legge del più forte e altre cose che vengono di lato o di conseguenza, che a ignorarle ci possono rompere le uova nel paniere, pur se spesso non ce ne abbiamo proprio.

Le persone che fanno una vita normale e lavorano come la mia compagna si sentono offese dal nostro comportamento e spesso e volentieri ci lasciano.

Così aveva fatto A, approfittando della lontananza mi aveva mandato un email con le usuali e determinate parole sopra. Alle mie ripetute chiamate non rispondeva. 

Mi ricordo di aver spiato una conversazione di A con suo fratello al telefono, lui vive nella loro città di origine, vicino al confine con l’Argentina, chiamata Erexim. Evidentemente parlavano di me, io potevo sentire solo quello che diceva lei, le parole di L me le sono immaginate, ma non dovevano essere troppo differenti da queste:

- Non è possibile che uno che odia il caldo sia venuto a vivere in Brasile.

- Ma quando ci è venuto non lo odiava, è stato dopo, vivendo in Brasile, che ha cominciato a soffrirne e poi a odiarlo.

- Va bene, ma allora uno che odia il rumore dovrebbe andare da tutt’altra parte, non ti sembra?

- Ma quando M è arrivato in Brasile non odiava il rumore, ma con tutto il baccano che c’è qua poi ovviamente…

- Come me lo spieghi allora che uno che non cerca la gente, che non ha voglia di parlare e vuole stare per i cazzi suoi venga proprio in Brasile, dove la gente parla tanto e ti si appiccica addosso, specialmente se non ne vuoi sapere?

- La risposta è la stessa di prima L, quando M è venuto qua non sapeva di essere quello che è, o se lo sapeva non lo ammetteva a sé stesso...

- Uno così doveva andare in Antartide o in Groenlandia, non lo so, in Alaska, oppure su un’isola deserta.

- Effettivamente. Ma la coerenza è una roba difficile, tu stesso non mi sembri una persona tanto coerente, tanto per fare un esempio.

Il fratello minore di A era un tossicodipendente che poteva sembrare intelligente quando criticava gli altri, ma riguardo sé stesso e la sua situazione non era altrettanto illuminato.

Non ho singhiozzato più di tanto, ero stato lasciato per l’ennesima volta, credevo anche con un certo merito, ma il pensiero di dover - in qualche modo - rimettermi a lavorare, istantaneamente mi ha depresso e in una maniera più concreta e razionale.

Purtroppo o per fortuna ho dovuto ricominciare a dare lezioni d’italiano, occupazione che mi piacerebbe anche, se non ci fossero gli allievi dall’altra parte, purtroppo senza di loro non funziona e non è che mi dispiacciano tutti, ma quei pochi mi rovinano tutto il piacere.

Il caso dei musicologi scomparsi quindi fu abbandonato, ma alla prima occasione decisi di parlare con il delegado G e fu proprio una settimana dopo che lo incontrai per strada, camminando in mezzo a una fiumana di gente. G non si ricordava di me e allora sono stato tentato di rinunciare, per scarsa fiducia, sia in me stesso che in lui, ma alla fine ho parlato e ho detto tutto quello che sapevo.

Ci siamo seduti in un bar e bevendo un cafezinho gli ho spifferato ogni mio sospetto e ragionamento conseguente o meno. Mi ha confermato la sua imbecillità, quasi subito, non credeva proprio che un po’ di musica potesse causare quelle morti violente. Ho cercato di argomentare che un serial killer uccide spesso per motivi a noi sconosciuti, oppure per noi poco validi. Forse non ha voluto darmi soddisfazione e ci ha creduto, poteva anche considerare seriamente una cosa del genere, ma non mi è sembrato.

Però, anche se ha cercato di dissimulare è rimasto colpito dal fatto che gli scomparsi avessero una localizzazione più precisa, che non seguiva tanto le strade, ma i viottoli e le distanze relative. Gli ho fatto anche uno schemetto disegnato su un tovagliolino di carta. Mi ha confidato però che gli scomparsi a Porto Alegre erano tanti di più e la maggior parte lontani dalla nostra zona.

Il macellaio B gli è parso un sospetto probabile e da come mi guardava anch’io dovevo essergliene sembrato uno potenziale. Gli ho detto di H e che lui sapeva dove B stava costruendo la sua casa nuova.

Fatto sta che quando ci siamo lasciati gli ho dovuto dare il mio indirizzo e numero di telefono, lui in cambio non ha voluto dirmi le zone in cui gli altri scomparsi erano stati localizzati, mi ha dato il suo biglietto e mi ha intimato di non andarmene da Porto Alegre. Come nei film insomma.

Giorni dopo sono stato di nuovo da H per sapere le novità. Non ce ne erano, ma gli ho pagato da bere e mi ha spiegato meglio dove sta costruendo B. Non molto tempo prima G era stato da lui e anche H, che non è esattamente una cima, ha avuto la mia stessa sensazione che G sia un fesso.

C’era un altro musicologo sparito, secondo H, sulla Rua Amapa, la strada che va al parco Knijinik. Ci sono andato a rilassarmi un po’, lassù c’è una bella vista sulla zona sud di Porto Alegre e la grande Laguna dos Patos. Poi, scendendo, mi sono accorto che la strada dove sta costruendo B è una traversa dell’Amapa e lì vicino c’è questo domicilio di scomparso interessante per le nostre indagini.

Mi sono messo a chiedere in giro, ho capito subito che questo R non era uno che metteva la musica alta e allora tutto il mio ragionamento crollava. Anche la raggiungibilità o prossimità legate a strade o viottoli che fossero non funzionava più. Piuttosto è venuto fuori che R era un ubriacone e in più bruciava la spazzatura e la gente si era lamentata più volte con lui, aveva chiamato anche la polizia, ma lui aveva continuato.

Anche il macellaio B era scomparso di lì, prima dicevano che si sentiva spesso, specialmente il fine settimana e  la sera, portava avanti i lavori della casa e anche lui disturbava per via dei rumori alle undici la sera o alle sei di mattina.

E poi tutta questa gente spariva, ma perché i cadaveri non saltavano fuori?

Ricordo di K, un regista cinematografico abbastanza famoso, che in un talk-show televisivo di quei tempi ha detto:

La tentata fuga verso qualcos'altro, che non si trova mai, o quando si trova è anche peggio, forma uno stuolo di persone moleste. I molesti una volta erano meno, ma miliardi di persone opinerebbero il contrario, oppure, se fossero d’accordo, includerebbero me in quel gruppo, dal quale io mi sono naturalmente autoescluso.

Ho visto proprio sotto i miei occhi meravigliose persone diventare moleste a trecentosessanta gradi, giorno dopo giorno, purtroppo non ho mai assistito al fenomeno contrario, sebbene sappia che sia umanamente possibile.

Persone gradevoli ce ne sono sempre meno, per via dell’ambiente che diventa sempre più angusto, i molesti prosperano ogni giorno di più. La persona molesta è quella che obbedisce a meccanismi a noi oscuri, perché diavolo viva così, disturbando gli altri, noi non lo capiamo, possiamo solo prenderne atto. Per riuscirci forse dovremmo rovesciare il ragionamento e metterci dal loro lato, visto che poi loro ci considerano esattamente allo stesso modo: perché ci ostiniamo a vivere in maniera così diversa dalla loro, perché siamo così snob? Per quale diavolo di strano stile di vita noi non disturbiamo proprio nessuno? Il paradosso può fare ridere, ma non si può sdrammatizzare perbene se non si conosce il fenomeno nei dettagli.

Per poter scherzare su questa moderna tragedia umana è consigliabile conoscerla, per quanto male ci possa fare, in alcuni momenti, ignorarla non è una soluzione efficace e bisogna cominciare coll’accettarla, poi si passa a trovare le contromisure quotidiane. Prima di tutto si deve scoprire che ci si può anche divertire in certe situazioni, che se non comprendessimo ci farebbero esageratamente paura, giacché noi umani temiamo quello che non capiamo, assai spesso anche più del necessario.

Lo studio delle persone moleste può presentare costantemente novità anche per l’osservatore profano che però abbia voglia e volontà di migliorare il rapporto con esse e di conseguenza con sé stesso, giacché il mondo ne è pieno. Anzitutto l’osservatore deve porsi in atteggiamento ricettivo eppure non completamente aperto, al quale il molesto potrà eventualmente accedere, ma con un costante filtro a fare da pratico e automatico intermediario.

Qual è in fondo la bellezza del rapporto tra le persone se non il reciproco giovamento? Conoscendo se stessi e quindi valutando la categoria e quindi l’approssimativa essenza dei molesti, si può stabilire una relazione non priva di profitto e – perché no? – anche di divertimento. Riconoscere di che tipo sia, come pure eventualmente il sottotipo, è essenziale per la buona riuscita dell’approccio.

La gente si divide in due tipi sostanziali, ma i due gruppi sono interpretati in maniera diversa da ognuno dei miliardi di interlocutori potenziali della nostra stanca e vecchia terra.

 

Un anno dopo calcolavano che solo a Porto Alegre erano scomparse più di trecentomila persone. Il telegiornale dichiarava che nel mondo erano venti milioni e più, forse anche trenta. Uno scienziato americano garantiva che in certe condizioni climatiche, in alta concentrazione di gente, le persone moleste si dissolvevano nell’aria, per un accumularsi di accidenti diretti a loro, mandati da altre persone.

Non che io ci credessi, ma non si trovava altra spiegazione logica. Pare che fosse una questione di fisica quantistica, fenomeni che prima non si erano mai verificati e ora diventavano una nuova realtà, almeno qua sulla terra.

La gente è insoddisfatta, il malumore quando trova un obbiettivo comune a molti diventa solido, o meglio gassoso, un gas che si concentrerebbe e scioglierebbe il corpo dove il suo baricentro si localizza. Non esisteva un epicentro, come nei terremoti, ma diverse zone di concentrazione di corpi molesti. Una era la nostra parte del sud del Brasile, un’altra in Messico intorno alla capitale, similmente in Argentina, Tokyo, New York e una nel nord dell’Italia, insomma in alcune parti del mondo dove c’era tanta gente, di solito non le più povere, però.

Il mio libro è stato pubblicato alla fine, ma non era un giallo né un noir, era un distopico, un genere nuovo, la parola stessa è stata un’invenzione recente.

Una distopìa è una rappresentazione di una realtà immaginaria del futuro, ma prevedibile sulla base di tendenze negative del presente, in cui viene presagita un’esperienza di vita indesiderabile o spaventosa.

 

 


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