Per
non fare nomi comincerò con il dire che A era partita da pochi giorni, per
andare a fare un corso a Londra, ci sarebbe rimasta per sei mesi. Ho pensato
che sarebbe stato bello soffrire come una bestia per la sua mancanza, ma
intanto avere tempo e tranquillità per scrivere, magari anche un po’ di quella
disperazione che serve tanto all’ispirazione letteraria e così via.
Da anni volevo scrivere un poliziesco, un giallo. Al massimo ero arrivato a qualcosa di simile, alla lontana assai, d’accordo, magari solo un verde pisello, se mai fosse esistito, a livello di letteratura poliziesca. Intanto qualcosa mi faceva pensare che il noir fosse il mio genere, era ancora tutto da dimostrare, ma ero pronto e disponibile.
Quel giorno di maggio, che nel sud
del Brasile è autunno inoltrato, mentre facevo colazione pensavo
all’ambientazione, che era veramente sempre importante, ma specialmente per il
genere noir.
Erano le undici e mezzo ed era
abbastanza freschino, data la stagione. Ho preso le mie carabattole e mi sono
messo fuori a cercare di tracciare le prime linee fondamentali.
Sia i cani che i gatti mi si sono
appiccicati addosso e non volevano saperne di lasciare in pace la letteratura
mondiale, sia pure in precoce fase di preparazione ideale, in qualche modo era una
tappa importante.
Le brume dell’Inghilterra magari
erano il territorio ideale per una certa suspence doc. Però non è che conosca tanto bene quei posti, ci sono stato
tre o quattro volte, va bene, ma alla fine che ne so di come si vive, o di
quello che succede là?
La Francia? Neppure, ne so meno
ancora.
Gli Usa mi fanno troppo schifo, c’è
tanta roba in giro, sia scritta che filmata, una noia standardizzata. Neanche.
E l’Italia? Che palle sempre scrivere
qualcosa ambientato in Italia. Basta.
Oppure il Brasile? Forse poco adatto
per il genere, anzi sicuramente.
No.
Non c’è niente di più disumano della
mente umana: stavo rimuginando seduto al tavolo sotto il nespolo, con il
computerino aperto e una musichina di sottofondo, quando ho sentito un rumore sospetto
e quando uno pensa al meccanismo di un giallo, chissà perché, ogni più piccolo
suono scatena la fantasia in quella funzione. Figuriamoci se è un noir.
A dire il vero nel caso del noir non
so se sia peggio o meglio, se scateni di più o meno la fantasia del vivente al
minimo rumore sospetto, o comunque non immediatamente riconoscibile.
Sono andato a vedere, da sopra il
muro, tra le frasche di un albero che non so come si chiama, ma mi sto
documentando, anche se senza fretta. Ho visto il mio vicino di casa che
guardandosi intorno, in maniera
sospetta, spingeva un pesante sacco nero di plastica dentro il suo camioncino.
Poi c’è salito sopra ed è partito.
Si trattava di un macellaio, un tipo
simpatico e assai gioviale. Magari mi stavo immaginando delle cose e pensare
che avevo perfino detto che il Brasile non pareva affatto un luogo adatto per
la suspence. Troppo allegro, troppo rumoroso, no, no.
Invece sì.
Però c’era da notare che tale B,
chiamiamolo provvisoriamente così, viveva da solo, o almeno da un po’ di tempo
non c’era più nessuno a casa sua, la sua donna era sparita da un momento
all’altro e le sue spiegazioni mi erano parse piuttosto evasive. E comunque non
avevo con lui quell’intimità da poter chiedere chiarimenti.
La mente umana è una cosa
inafferrabile, non si riesce a far ragionare, quella va dove vuole e noi la
dobbiamo seguire e zitti, perché protestare non serve che a farla intestardire
di più.
Fatto sta che c’ho pensato tutto il
giorno e la notte non mi riusciva nemmeno di dormire e ho cominciato a
scrivere, forse anche un po’ troppo a vanvera, va bene.
Mentre scrivevo inutili pagine di
stronzate alternate a imbecillaggini, ogni tanto cercando di stabilirne i
confini e la loro eventuale differenza, è tornato questo B. Sembrava abbastanza ubriaco, allora io - con la scusa di
chiedergli se aveva una birra che gli avanzava - sono andato a salutarlo. Cosa
che non avevo mai fatto da quando era venuto ad abitare lì.
Era evidente che non moriva dalla
voglia di parlare con me, ma ha fatto finta di niente e ci siamo bevuti una
birretta ghiacciata insieme, in veranda, parlando del più e del meno, poi ha
detto che la conversazione era buona ma il sonno era tanto, e avevo sonno
anch’io, gli ho detto, mentendo male forse più di lui.
Ma lì gatta ci covava, come si soleva
dire a quei tempi, e magari da qualche parte si suol dire ancora. Mi pareva
scosso e magari lo conoscevo poco, non dico di no e non è che volevo indagare,
denunciarlo o cose di questo genere, ma forse immaginarmi delle situazioni
adiacenti o conseguenti poteva servirmi come ispirazione per il mio noir, o giallo che fosse, verdolino
chiaro o così via.
Questi sono ragionamenti che ho fatto
in seguito, in quel momento non avevo scelta, ma mi ribellavo ingenuamente a
questo meccanismo che avrei già dovuto conoscere a sufficienza per sapere dove
conduceva.
Quindi ho mitragliato tutta la notte
pagine insulse e senza alcun senso, se non per farmi venire finalmente e
veramente del sonno che si rispettasse, che potesse essere chiamato con quel
nome, insomma. La mattina era domenica e ho dormito fino a quando il rumore
intorno di feste e musiche ad alto volume mi ha scollato dal letto. B non era
in casa e anche dopo non l’ho visto più.
Avevo scritto per quasi quindici
giorni delle cazzate a 360 gradi, o perfino a 720, che almeno teoricamente
risulterebbero delle doppie cazzate. Cose ambientate in ogni dove, parlando di
tutto e dei suoi movimenti reali o virtuali che fossero, degli intrinsechi
vantaggi o pericoli, per me oppure anche per chiunque ci abbia a che fare,
senza che me ne garbasse nessuna, se non qualche isolata pensata qua e là.
Ogni mio testo deve passare l’esame
dei miei stessi cervello e cuore, se non supera quella prova iniziale e
fondamentale nessuno lo leggerà mai. Se ce la fa, ha parimenti buone
probabilità di non essere mai letto da chicchessia.
No, il mio caso era definitivamente
lui e avevo deciso di passare all’azione. Va da sé che con un piede di porco
quella notte stessa sono entrato nella zona del crimine.
La mente umana è troppo facile a
ossessionarsi, altre menti non ne conosco, ma la nostra è debole e manipolabile
da qualsiasi virtuale volo di mosca. Se una cosa te la sei piantata in testa
non c’è niente da fare, quella non ti lascia in pace, finché non fai qualche
cazzata e magari ti metti nei guai. Che ci vuoi fare?
In casa di B non c’era niente, il
frigo era quasi vuoto, la spazzatura non c’era, che quella un buon detective -
anche se improvvisato - la controlla subito, ma c’era molta roba da bere, birre
e liquori vari. Libri non ne leggeva, non sembrava neanche lontanamente il
tipo. Il computer era pieno di roba che non sto qui a spiegare, ci siamo
capiti... improvvisamente un rumore mi ha messo in allarme, sono scivolato
fuori da dove ero venuto, appena in tempo per vedere un gatto scappare oltre il
muro di cinta di dietro alla casa.
Ho mandato un email ad A, lei aveva
avuto a suo tempo un contatto con la donna di B, che chiameremo C, quindi le ho
chiesto se e come potevo andarla a cercare, solo per controllare se fosse
ancora viva e magari anche vegeta. Prima che diventasse minacciosamente gelosa
le ho dovuto spiegare la storia. Mentre stavo rispondendo a una delle sue
domande a riguardo mi ha telefonato:
“Non ti mettere nei casini come al
solito, mi hai capito bene?”
“Come al solito? Quando mai mi sono
messo nei casini?”
“Sempre. O magari solo a giorni
alterni. Lasciamo perdere. Ora faccio qualche telefonata e mando qualche
messaggio, le informazioni che vuoi te le do io. Tu non ti muovere, non ti
venga in mente di entrare in casa di B, mi hai inteso bene?”
“Troppo tardi.”
Il silenzio che è seguito non
lasciava sperare niente di buono, ma almeno mi sono sentito per qualche secondo
meno sottoposto a pressione psicologica. Dopo A ha enunciato una lista
dettagliata di tutte le cose che non avrei assolutamente dovuto fare, delle
quali una buona parte sapevo di dover contravvenire nei fatti immediatamente a
seguire, per la restante porzione l’avevo già fatto. Concludendo disse che
appena avute notizie mi avrebbe scritto o telefonato, minacciandomi di
rappresaglie, mi ha intimato di nuovo l’immobilità più totale e ci siamo
virtualmente baciati e salutati a vicenda.
A volte non posso fare a meno di
pensare che, anche con la miglior buona volontà d’imparare, le situazioni e i
relativi conseguenti errori non si ripresentano proprio uguali, ma leggermente
cammuffati solo per beffarsi dei nostri vani sforzi. Tutto questo per dire che
né io né A siamo creature tendenti alla perfezione, ma che lo sappiamo e che
anche se non abbiamo sempre l’elasticità e la flessibilità auspicabili, almeno
ci proviamo. Non si arriva mai a punti fermi, a casa nostra, o sulla terra,
magari anche sugli altri pianeti, ma almeno a ogni tappa notiamo che si è fatto
un passo avanti, o anche due indietro, ci siamo capiti? Non so se mi spiego.
Non so se dipende tanto da noi, eppure lo accettiamo.
Mi sono messo a guardare un film del
quale poi alla fine non mi ricordavo niente, ma era interessante, forse perché
favoriva il pensiero libero e fluttuante. Dentro di me - mentre guardavo le
scene della pellicola, in realtà senza vederle - stavo elaborando una serie di
teorie ramificate, sui fatti e controfatti del delitto in questione, che ora
non sto a raccontare, anche perché non me le ricordo, ma che mi hanno permesso
di addormentarmi agevolmente e in poco tempo, di sognare di essere in un
palazzo colle pareti trasparenti fatte di acquari con dei pesci dentro e
tutto... e fuori un branco di dinosauri al galoppo che caricavano, ma senza
neanche lontanamente danneggiare gli acquari, cioè quelle pareti di vetro con i
pesci che sguazzavano tranquilli, senza nemmeno pensare al pericolo che
correvano... e poi di svegliarmi col trillare del telefono. Era A:
“C non è morta, quindi non c’è nessun
caso nascosto di assassinio, me lo ha detto e confermato D, suo cugino che
lavora al supermercato Asun, se vuoi andare a vederla lei invece lavora al
negozio Colombo, all’incrocio della Rua Otto Niemeyer con l’Avenida Cavalhada,
quindi fammi stare un po’ tranquillina e rivolgi la tua mente tenebrosa
altrove. Ci siamo intesi?”
Mentre rispondevo meccanicamente di
sì, pensavo che non credevo una parola di quello che aveva detto, c’erano dei
precedenti illustri nel passato che mi facevano credere ad una manovra mirata a
nascondermi la verità, quella vera e assoluta.
Tutti sanno che il nostro maggior
problema nel mondo siamo noi stessi, poi a ruota vengono anche gli altri, ma se
noi fossimo onesti con noi stessi, (cosa tutt’altro che semplice,) lo saremmo
necessariamente anche con gli altri. Cioè: fatto un primo immane sforzo, il
secondo risulterebbe assai più facile. Questo poi non significa affatto che
dopo gli altri, di riflesso, saranno onesti con noi, ma almeno li metteremmo
nella migliore condizione per esserlo, che per quanto strano ci possa sembrare,
è piuttosto importante, almeno quando - alla fine - il metaforico pettine
giungesse sui temuti nodi.
Quante volte ci siamo arrabbiati come
bestie con qualcuno, per poi scoprire che questo ipotetico individuo era stato
indotto, nel suo comportamento aggressivo, da quello che noi in precedenza
avevamo detto o fatto? Non dobbiamo aver paura di ammettere che abbiamo
sbagliato, perché è proprio quello il momento che in cui abbiamo l’occasione
d’imparare, oppure di far degenerare tutto nel caos più totale, è vero, ma
dipende soprattutto da noi, dalla calma che c’impedirà, anche se non sempre e
necessariamente, di prendere una mazza e fracassare tutto quello che ci
circonda. L’elaborazione di una efficace filosofia di vita non è una faccenda
semplice, in più non si finisce mai di aggiungere modifiche e miglioramenti.
Che a volte poi risultano peggioramenti, con il senno di poi.
Il pensiero che tutto ci pare sempre
e comunque incompleto, dicono che viene dal fatto che la storia della nostra
vita non è ancora finita, ma io non ci credo. Accettiamo questo fisiologico
limite, più l’altro che ci troviamo incollato, del nostro scarso tempo utile di
vita, che irrimediabilmente scadrà, un giorno che ancora non sappiamo.
Quest’ultima cosa può essere vista come un vantaggio, perché se lo sapessimo in
anticipo, la nostra permanenza qui sulla terra ne verrebbe inevitabilmente, e
forse non del tutto positivamente, influenzata.
Piuttosto passiamo però ai fatti,
sennò è difficile capirsi, cerchiamo di rimanere attaccati a quello che è
successo, sennò ci perdiamo.
Per entrare nell’atmosfera di quei
giorni c’è da dire che la gente che ascoltava musica a tutto volume in Brasile
c’è sempre stata e credo che la maggior parte non sappia che esistono quelle
cuffiette che tu metti il volume alto o altissimo e non disturbi nessuno.
Secondo me lo sanno invece, ma non gli garba, per loro non ha alcun senso.
Vivevo in campagna, ma a pochi
chilometri dal centro di una grande città brasiliana, Porto Alegre. Ero un
professore quasi in pensione, nel senso che davo lezioni on-line con Skype.
Sposato con una donna più giovane, senza figli ma con due cani e due gatti che
ci davano diverse e variate soddisfazioni, che ora non sto qui a raccontarvi.
Vivere in Brasile per chi non ci è
nato è un po’ come abitare in Siberia per chi ci è stato portato, ci vuole
anche tempo, ma è difficile abituarsi. In senso più ampio il mondo è un luogo
ostile, l’uomo per sopravvivere deve vendersi l’anima, ma non tutti ce l’hanno
e chi non ce l’ha, vende altre cose, quello che capita. L’uomo è il maggior
nemico di sé stesso, ma combatte anche contro gli animali e le piante, prende a
calci anche i sassi, poi si lamenta che gli fanno male i piedi.
Insomma non ho potuto fare a meno di
notare, in seguito, che uno di quelli che facevano impazzire gli altri per via
della musica alta e schifosa, tipo batteria e basso e poi basso e batteria per
ore, a un volume insopportabile, era sparito. Un sollievo relativo, perché di
rompicoglioni ce ne erano tanti altri e ci si faceva appena caso.
Però visto che stavo scrivendo un noir... va bene, d’accordo, che ci stavo
solo provando, io mi sono interessato al caso. Approfittando del mio
cannocchiale più che professionale a raggi infrarossi, ho sorvegliato la
casetta. In pochi giorni ho stabilito che la posta si ammucchiava e che non
c’era nessuno che aveva sostituito il musicologo in questione. Poi mi sono
ricordato che il macellaio B si era lamentato più volte del volume impossibile
e del tipo di armonia martellante, delle ore notturne in cui di solito la gente
dorme, o perlomeno tenta. La casetta dell’altro che si chiamava E, era subito
dietro la sua, un po’ più in basso, i due terreni erano confinanti, perché noi
siamo sulla parte più alta della schiena dell’asino, come si suol dire.
Il mio romanzo noir però era
bloccato, anche perché B, cioè l’assassino, era scomparso anche lui e pensare
che fosse il massacratore di chi prima faceva lo stesso trattamento agli altrui
timpani, era un’ipotesi che interrompeva le mie appena nate indagini, perché in fondo era un benefattore
della comunità in questione, la nostra.
Con il mio binocolo sorvegliavo tutti
quelli che erano a tiro e mentre lo facevo notavo che tutti si comportavano in
maniera sospetta, io stesso non ero certo un’eccezione, ma ovviamente non me ne
accorgevo.
Poi ho notato che F, anche lei
approfittatrice della altrui pazienza, appassionata di musica Pagode della più
bassa e ripetitiva lega, naturalmente e sempre ad altissimo volume, era
sparita. F era stata una balena, correva la voce che fosse ingrassata di
proposito, per fare il processo opposto, che si poteva fare solo sopra un certo
livello della bilancia, del suo rapporto con l’altezza, che poi nel suo caso si
trattava di bassezza. Dopo la chirurgia bariatrica era dimagrita, ma ora aveva
ricominciato a ingrassare a forza di birra e cibo non adeguato. I chili in più
o in meno non l’avrebbero cambiata, era una persona insopportabile, era una
cicciona nell’anima, che gridava sempre, sembrava che recitasse eternamente
davanti a un pubblico immaginario e portava ogni giorno un uomo diverso a casa,
poi a letto e il figlio era come lei, poteva diventare un serial killer, se
così fosse stato, certo la prima vittima sarebbe stata lei. Anche la figlia
pareva ricalcare quei canoni di complessità pur facilmente prevedibile, ma
quella almeno se ne era andata di casa, con un imbecillotto seduto come suo
padre, che non avevano mai avuto voce in quel capitolo, probabilmente in nessun
altro capitolo della loro disgraziata esistenza.
Insomma F era sparita anche altre
volte, una volta sembrava che fosse in partenza per Florianopolis, ma qualcuno
l’aveva recuperata, a suo dire, che stava già alla Rodoviaria, la stazione
degli autobus.
Da registrare comunque che due frantumatori
di timpani altrui fossero improvvisamente scomparsi, un fatto da verificare, a
ogni modo. Un determinato fatto non significa sempre che conduca a un altro
necessario fatto, ma quando la polizia incominciò a bussare alle porte e a fare
domande, ovviamente io ero già avanti con le ipotesi e le relative indagini.
Torniamo ai fatti precedenti: era già
successo che due gemelli venticinquenni erano morti, ma a distanza di anni e in
due posti lontani tra di loro, e in due tipi di incidenti differenti.
Una moglie aveva tentato di ammazzare
il marito che la tradiva, con un machete
mentre dormiva; lui si era svegliato in quel momento e se l’era cavata con un
ematoma sulla fronte, un giuramento di fedeltà e di amore incondizionato. In seguito
lei era diventata una testimone di Geova.
Il circondario pareva limitato, ma
tante case erano nascoste nel bosco, probabilmente occupando il terreno illegalmente,
quelle in cui sapevo chi ci abitava erano dieci forse quindici.
Certo non poteva dare troppo
nell’occhio, ma quando una persona aveva il suo senso dell’osservazione
attaccato 24 ore su 24 si scoprivano i misfatti anche senza volerlo. Sapevo per
esempio dove si vendeva la droga, in tre punti differenti, anche per la
quantità e la qualità della merce.
C’era una vecchia che dicevano fosse
stata la prima abitante della zona, che ammazzava i cani randagi con il veleno
per topi, dicevano, non parlava con nessuno, ma una vicina l’aiutava perché lei
aveva promesso di lasciarle la catapecchia di legno e il terreno circostante,
quando sarebbe morta.
I cani di strada morivano senza
problemi, ce ne erano tanti e non si sentiva certo la loro mancanza, ma ogni
tanto qualcuno che non lo sapeva, lasciava il suo cane libero in giro e quello
scompariva o andava a morire in casa.
Ci andai a parlare, non mi rispose
nemmeno e mi minacciò con la scopa. Ci tornai con J la donna che la aiutava, ci
mandò via tutti e due.
Il commissario qua si chiama delegado ma noi lo chiameremo G. Con lui sono stato più che vago, mi sono accorto e sorpreso io stesso del mio comportamento, del fatto che ovviamente stavo difendendo il colpevole, se un assassinio c’era stato oppure due.
G a prima vista era un tipo scaltro,
o magari voleva solo sembrarlo e di solito chi vuole sembrare qualcosa è perché
non lo è. Si è fatto tutta la strada, che è abbastanza corta, insieme a due
poliziotti semplici e poi quella parallela di sotto, dopo una terza che andava
scendendo in una specie di favela, le
facce diventavano più cupe e gli occhi dilatati, nella quarta c’era già un
centro di spaccio degli stupefacenti, nella quinta non ci sono mai stato, non che
io ci tenga particolarmente. Le catapecchie poi scendono in mezzo agli alberi
in una specie di gola scavata nella terra, tra i rifiuti e l’erosione,
ricordano le case degli indios in Amazzonia.
Non ricordo chi parlava della
caducità dei beni terreni, magari era un’opera letteraria, probabilmente non
brasiliana, ma qui il tarlo è un manifesto di quello che oggi è, ma domani non
più. Le case di legno sono fatte di pino, che secondo alcuni è proprio il cibo
preferito di questi animaletti, che arrivano all’inizio dell’estate volando,
perdono le ali e s’infilano dentro, poi se ne escono quando hanno spolpato
tutto. Non si capisce perché usano tanto il pino per costruire, per i mobili,
per le finestre, sarà perché costa poco? Ci sono tanti tipi di legno che il
tarlo non attacca, ci sono vari livelli e classificazioni, purtroppo anche
interpretazioni e qualsiasi brasiliano poi arriva sempre a dirti che non vale
la pena pensarci, che ci sono tarli che attaccano anche l’intonaco delle case e
con quello liquidano ogni potenziale ipotesi di salvezza.
Per il brasiliano tutto è effimero,
per esempio ama l’automobile, la lava almeno una volta alla settimana, ma poi
guida come un disperato e sbatacchia di qua e di là, quando non ci lascia la
pelle sua e dei suoi passeggeri. Magari è più appropriato dire che la gente qui
è piena di contraddizioni, basta vedere la società, la distribuzione del
capitale, ci sono pochi super ricchi, una classe media fluttuante e sempre a
rischio, tanti o troppi super poveri, che odiano i ricchi ma non si sentono
poveri, come mentalità sono piuttosto dei milionari in momentanea difficoltà.
Un ex ricco, poi classe media e ora
definitivamente povero è H, difficile definirne l’età, potrebbe essere un
settantenne che li ha portati bene, se lo incontri la sera tende più all’ottantenne,
ma la mattina, se non ha bevuto la notte prima, potrebbe essere un quarantenne
che effettivamente li porta un po’ male.
Non ho mai capito che difetto abbia
alla vista, glielo ho chiesto, ma la sua spiegazione mi pare fantasiosa e
incomprensibile, insomma inventata. Secondo me ha solo gli occhiali sporchi, ma
molto sporchi. Se per esempio se li levasse, ho ragione di credere che ci
vedrebbe meglio, ma di pulirli non se ne parla neanche e poi parte di quella
roba che c’è sopra è secca ormai, non penso che sarebbe facile scollarla.
H è un uomo che a parlarci sembra che
lavori e lavori, che non pensi e non faccia altro, ma invece è tutta una pura questione
di lingua. Ha una parlantina calma e anche abbastanza coerente, soprattutto per
chi non lo conosce ancora, quindi si devono rispettare alcune regole ferree con
lui. Meglio prenderlo a piccole dosi, per esempio, non offrirgli mai da bere,
non lasciarlo mai terminare i suoi racconti che non finirebbero mai comunque,
bisogna esseri forti e determinati, per interromperlo continuamente e
riportarlo all’argomento principale, quello che vi interessa. Insomma è un gran
pettegolo a 360 gradi e pur non volendo è il mio informatore numero uno. Se
riesci a farci una tara dell’ottantanove per cento, il restante undici può
essere prezioso, ma non è facile distinguerlo e poi separarlo dal resto
appiccicoso e maleodorante.
Girando attorno all’argomento in
questione, per esempio, mi ha domandato quattro volte soldi imprestati e mi ha
raccontato la storia della favela Beco do Urubù (Vicolo dell’Avvoltoio), dove
ci trovavamo al momento, che io sapevo già. Lui l’ha infiorettata assai di più
del necessario, gli ho pagato un’unica birra, ma solo perché me lo ha chiesto
una cinquantina di volte in cinque minuti. Quello che ho capito in fondo alla
storia mischiata è che B, il mio potenziale assassino, ha comprato un terreno
altrove e ci sta costruendo una casetta. H mi ha spiegato anche dove, con la
consueta dovizia di particolari inutili, aggiuntive storie parallele e
perpendicolari, ma non ho capito bene il luogo in questione. Forse non lo sa
nemmeno lui e cercava piuttosto di schiodarmi una seconda birra. Intanto io non
ci ho rinunciato alla colpevolezza di B, sia perché come tipo mi sta simpatico
e molto meno invece quei rumorosi prematuramente scomparsi, per esempio. Poi un
assassino macellaio torna sempre bene per varie ipotesi, tra cui quella di
smembrare le vittime e farle a pezzi, poi metterle in un bel sacco della
spazzatura. Ipotesi che in un giallo sono sempre affascinanti.
Mentre me ne stavo andando e gli
avevo più volte tolto le sue sporche mani dai miei vestiti già abbondantemente sudati,
H ha detto che a casa sua c’era una tranquillità meravigliosa, la notte si
faceva delle dormite solenni, il musicologo
vicino, secondo lui, era andato a stare da un’altra parte, oppure era in
prigione.
Mi ha detto anche nome e cognome,
rivelandomi il particolare importante che lui era anche in rapporto di affari
con il malvivente sparito e che gli doveva addirittura dei soldi. Non gli ho
chiesto nemmeno se lui li doveva all’altro o viceversa, perché doveva essere
una storia inventata, o esagerata, o perfino girata al contrario. Mi ha fatto vedere
la catapecchia in questione, poi a casa io ho fatto un preciso grafico delle
zona, notando che i tre scomparsi, trascurando B che probabilmente stava via
per altri motivi, erano tutti sulla sponda destra del crepaccio, di cui parlavo
prima e abbastanza vicini l’uno all’altro. Un pendio infernale quello per la
musica popolare e per gli altrui timpani, ma la gente si ubriacava e sveniva
invece di dormire, secondo una mia altra fonte c’erano posti anche peggiori. La
percentuale di gente sorda in Brasile poi era piuttosto considerevole, qua da
noi era diventata una malattia contagiosa.
La svolta alle mie indagini forse non
era poi così importante per la giustizia, quella più scavi e vedi che è
relativa e va tutto meravigliosamente bene quando c’è anche nascosta o in
minime proporzioni, forse solo per il mio noir, insomma un giallo magari a
pallini verdi.
Avevo sentito di un altro
poveraccio massacrato in una favela in
fondo alla valle, mi decisi di andare a chiedere, senza dire niente ad A, che si sarebbe arrabbiata come al solito. La favela in questione sarebbe
stata impenetrabile per uno come me, esterno e da solo, ma io ci conoscevo M,
una pazza e intelligente, drogata ma non troppo, con un piede nella favela e un
altro nel mondo esterno, cosa abbastanza rara, visto che lei è la donna del
capo dei trafficanti della zona.
C’è da dire che nella nostra zona,
tra diverse favelas più o meno grandi
o nascoste, la morte di qualche trafficante o qualcuno che ha a che fare, per
esempio consumatori insolventi di droga, è una cosa abbastanza comune e
frequente.
È quello che mi ha detto lei, mantenendosi
sul vago, anche se per coincidenza la situazione era la stessa nostra, cioè che
U era uno che metteva musica alta e che era stato minacciato dai trafficanti
stessi, secondo lei senza alcun risultato.
Esiste un tipo di musica fatto nelle favelas che è venuto fuori forse dalla
musica Rap, quindi elettronico e ripetivo, i testi, tra virgolette, parlano di
realtà squallide da delinquenti e abitanti di baraccopoli, non mancano le parolacce,
ma non ci sono le bestemmie, perché non fanno proprio parte della cultura
brasiliana.
Secondo me, M potrebbe avermi detto
la mezza verità, nel senso che se fossero stati loro, i suoi compari, non lo
avrebbe ammesso facilmente, ma il fatto della musica poteva anche tacermelo e invece
me lo ha detto. Una tattica abbastanza comune nel mondo moderno, anche e
soprattutto a livello politico: verità e bugia mischiate, per confondere le
acque e cancellare le piste che interessano a loro.
Anni prima avevo avuto anche una
storia con lei, prima che diventasse quella che era, o forse lo era già e io
non lo avevo capito. Mi ero quasi innamorato, imbecille che non sono altro, per
fortuna mi aveva lasciato, se no non so proprio come sarebbe andata a finire. Ricordo
che quando ci eravamo già allontanati da un po’ l’avevo incontrata per caso in
centro e su sua richiesta le avevo anche dato dei soldi. Lei intascandoli aveva
detto a buon rendere, tutti e due
sapevamo che invece erano a fondo perduto e scherzando ammise che aveva già
fatto di tutto, le mancava solo di
ammazzare sua madre. Non le ho più chiesto se in seguito lo aveva poi fatto,
ma non credo che se ne sarebbe fatto un problema, visto che non erano mai
andate d’accordo e che lei stava con un poliziotto. Sua madre era stata una
donna bellissima da giovane, ma con un passato difficile e una carriera da
prostituta, non so quanto lunga, come e perché era stata interrotta.
Comunque la capanna di U era stata
bruciata e lei me l’ha fatta vedere. Era l’ultima in alto in direzione delle
altre nostre incriminate, più vicine a dove vivevo io, separate da meno di un
chilometro di boscaglia, ma c’era un sentiero abbastanza famoso che le univa,
dove dicevano che era meglio non avventurarsi mai, nemmeno di giorno.
M mi ha salutato con un bacio che ho
istintivamente cercato di spostare più possibile lontano dalla bocca, lei se ne
è accorta e le è scappata fuori una risata sguaiata. Mentre uscivo dalla
casetta è arrivato il suo uomo, penso che fosse lui, con la mascherina nera con
un teschio bianco sopra e i suoi occhi mi hanno quasi incenerito.
Mettersi a far ingelosire il capo dei
trafficanti è un tipo di attività tra le meno proficue che conosco, e di questo
genere ne conosco diverse. Potrebbe addirittura portare degli svantaggi immediati
e concreti, quindi me ne sono andato senza correre, sarebbe risultata una cosa
sospetta, ma anche senza indugiare né voltarmi indietro.
A volte penso che uno scrittore si
cacci nei guai di proposito, per poterli poi scrivere, il che sarebbe una magra
consolazione specialmente se non sei tra quei pochi autori più letti nel mondo
e che guadagnano fior di soldoni.
Siamo comunque una
categoria di poveracci, non nel senso della ricchezza materiale che manca e
magari è anche giusto così, visto che ce ne freghiamo, ma anche noi cosiddetti
artisti della parola, siamo spesso portati via e sballottati da un
atteggiamento che forse non è una moda, ma una corrente che è poco proficua anche
a livello di letteratura, per niente coerente quanto piuttosto ridicola.
Se nella vita non
possiamo copiare gli altri, come fanno tutti, anche fare il contrario di quello
che è la normalità è una schiavitù, meglio sarebbe non venirne toccati e
sentirsi liberi. Però non conosco altri mondi abitati nella nostra galassia o
anche fuori, qua sulla terra è piuttosto difficile.
Anche noi più puri anticonformisti
siamo obbligati a rispettare comunque leggi assurde come quella della gravità,
la legge del più forte e altre cose che vengono di lato o di conseguenza, che a
ignorarle ci possono rompere le uova nel paniere, pur se spesso non ce ne
abbiamo proprio.
Le persone che fanno una vita normale
e lavorano come la mia compagna si sentono offese dal nostro comportamento e
spesso e volentieri ci lasciano.
Così aveva fatto A, approfittando della lontananza mi aveva mandato un email con le usuali e determinate parole sopra. Alle mie ripetute chiamate non rispondeva.
Mi ricordo di aver spiato una
conversazione di A con suo fratello al telefono, lui vive nella loro città di
origine, vicino al confine con l’Argentina, chiamata Erexim. Evidentemente
parlavano di me, io potevo sentire solo quello che diceva lei, le parole di L
me le sono immaginate, ma non dovevano essere troppo differenti da queste:
-
Non è possibile che uno che odia il caldo sia venuto a vivere in Brasile.
-
Ma quando ci è venuto non lo odiava, è stato dopo, vivendo in Brasile, che ha
cominciato a soffrirne e poi a odiarlo.
- Va
bene, ma allora uno che odia il rumore dovrebbe andare da tutt’altra parte, non
ti sembra?
-
Ma quando M è arrivato in Brasile non odiava il rumore, ma con tutto il baccano
che c’è qua poi ovviamente…
-
Come me lo spieghi allora che uno che non cerca la gente, che non ha voglia di
parlare e vuole stare per i cazzi suoi venga proprio in Brasile, dove la gente parla
tanto e ti si appiccica addosso, specialmente se non ne vuoi sapere?
-
La risposta è la stessa di prima L, quando M è venuto qua non sapeva di essere
quello che è, o se lo sapeva non lo ammetteva a sé stesso...
-
Uno così doveva andare in Antartide o in Groenlandia, non lo so, in Alaska,
oppure su un’isola deserta.
-
Effettivamente. Ma la coerenza è una roba difficile, tu stesso non mi sembri
una persona tanto coerente, tanto per fare un esempio.
Il fratello minore di A era un tossicodipendente
che poteva sembrare intelligente quando criticava gli altri, ma riguardo sé
stesso e la sua situazione non era altrettanto illuminato.
Non ho singhiozzato più di tanto, ero
stato lasciato per l’ennesima volta, credevo anche con un certo merito, ma il
pensiero di dover - in qualche modo - rimettermi a lavorare, istantaneamente mi
ha depresso e in una maniera più concreta e razionale.
Purtroppo o per fortuna ho dovuto
ricominciare a dare lezioni d’italiano, occupazione che mi piacerebbe anche, se
non ci fossero gli allievi dall’altra parte, purtroppo senza di loro non
funziona e non è che mi dispiacciano tutti, ma quei pochi mi rovinano tutto il
piacere.
Il caso dei musicologi scomparsi
quindi fu abbandonato, ma alla prima occasione decisi di parlare con il delegado G e fu proprio una settimana
dopo che lo incontrai per strada, camminando in mezzo a una fiumana di gente. G
non si ricordava di me e allora sono stato tentato di rinunciare, per scarsa
fiducia, sia in me stesso che in lui, ma alla fine ho parlato e ho detto tutto
quello che sapevo.
Ci siamo seduti in un bar e bevendo
un cafezinho gli ho spifferato ogni
mio sospetto e ragionamento conseguente o meno. Mi ha confermato la sua
imbecillità, quasi subito, non credeva proprio che un po’ di musica potesse causare
quelle morti violente. Ho cercato di argomentare che un serial killer uccide
spesso per motivi a noi sconosciuti, oppure per noi poco validi. Forse non ha
voluto darmi soddisfazione e ci ha creduto, poteva anche considerare seriamente
una cosa del genere, ma non mi è sembrato.
Però, anche se ha cercato di
dissimulare è rimasto colpito dal fatto che gli scomparsi avessero una
localizzazione più precisa, che non seguiva tanto le strade, ma i viottoli e le
distanze relative. Gli ho fatto anche uno schemetto disegnato su un
tovagliolino di carta. Mi ha confidato però che gli scomparsi a Porto Alegre
erano tanti di più e la maggior parte lontani dalla nostra zona.
Il macellaio B gli è parso un
sospetto probabile e da come mi guardava anch’io dovevo essergliene sembrato
uno potenziale. Gli ho detto di H e che lui sapeva dove B stava costruendo la
sua casa nuova.
Fatto sta che quando ci siamo
lasciati gli ho dovuto dare il mio indirizzo e numero di telefono, lui in
cambio non ha voluto dirmi le zone in cui gli altri scomparsi erano stati
localizzati, mi ha dato il suo biglietto e mi ha intimato di non andarmene da
Porto Alegre. Come nei film insomma.
Giorni dopo sono stato di nuovo da H
per sapere le novità. Non ce ne erano, ma gli ho pagato da bere e mi ha spiegato
meglio dove sta costruendo B. Non molto tempo prima G era stato da lui e anche
H, che non è esattamente una cima, ha avuto la mia stessa sensazione che G sia
un fesso.
C’era un altro musicologo sparito,
secondo H, sulla Rua Amapa, la strada che va al parco Knijinik. Ci sono andato
a rilassarmi un po’, lassù c’è una bella vista sulla zona sud di Porto Alegre e
la grande Laguna dos Patos. Poi, scendendo, mi sono accorto che la strada dove
sta costruendo B è una traversa dell’Amapa e lì vicino c’è questo domicilio di
scomparso interessante per le nostre indagini.
Mi sono messo a chiedere in giro, ho
capito subito che questo R non era uno che metteva la musica alta e allora
tutto il mio ragionamento crollava. Anche la raggiungibilità o prossimità legate
a strade o viottoli che fossero non funzionava più. Piuttosto è venuto fuori
che R era un ubriacone e in più bruciava la spazzatura e la gente si era
lamentata più volte con lui, aveva chiamato anche la polizia, ma lui aveva
continuato.
Anche il macellaio B era scomparso di
lì, prima dicevano che si sentiva spesso, specialmente il fine settimana e la sera, portava avanti i lavori della casa e
anche lui disturbava per via dei rumori alle undici la sera o alle sei di
mattina.
E poi tutta questa gente spariva, ma
perché i cadaveri non saltavano fuori?
Ricordo di K, un regista
cinematografico abbastanza famoso, che in un talk-show televisivo di quei tempi
ha detto:
La tentata fuga verso
qualcos'altro, che non si trova mai, o quando si trova è anche peggio, forma
uno stuolo di persone moleste. I molesti una volta erano meno, ma miliardi di
persone opinerebbero il contrario, oppure, se fossero d’accordo, includerebbero
me in quel gruppo, dal quale io mi sono naturalmente autoescluso.
Ho visto proprio sotto i miei
occhi meravigliose persone diventare moleste a trecentosessanta gradi, giorno
dopo giorno, purtroppo non ho mai assistito al fenomeno contrario, sebbene
sappia che sia umanamente possibile.
Persone gradevoli ce ne sono
sempre meno, per via dell’ambiente che diventa sempre più angusto, i molesti
prosperano ogni giorno di più. La persona molesta è quella che obbedisce a
meccanismi a noi oscuri, perché diavolo viva così, disturbando gli altri, noi
non lo capiamo, possiamo solo prenderne atto. Per riuscirci forse dovremmo
rovesciare il ragionamento e metterci dal loro lato, visto che poi loro ci
considerano esattamente allo stesso modo: perché ci ostiniamo a vivere in
maniera così diversa dalla loro, perché siamo così snob? Per quale diavolo di
strano stile di vita noi non disturbiamo proprio nessuno? Il paradosso può fare
ridere, ma non si può sdrammatizzare perbene se non si conosce il fenomeno nei
dettagli.
Per poter scherzare su questa
moderna tragedia umana è consigliabile conoscerla, per quanto male ci possa
fare, in alcuni momenti, ignorarla non è una soluzione efficace e bisogna
cominciare coll’accettarla, poi si passa a trovare le contromisure quotidiane.
Prima di tutto si deve scoprire che ci si può anche divertire in certe
situazioni, che se non comprendessimo ci farebbero esageratamente paura,
giacché noi umani temiamo quello che non capiamo, assai spesso anche più del
necessario.
Lo studio delle persone
moleste può presentare costantemente novità anche per l’osservatore profano che
però abbia voglia e volontà di migliorare il rapporto con esse e di conseguenza
con sé stesso, giacché il mondo ne è pieno. Anzitutto l’osservatore deve porsi
in atteggiamento ricettivo eppure non completamente aperto, al quale il molesto
potrà eventualmente accedere, ma con un costante filtro a fare da pratico e
automatico intermediario.
Qual è in fondo la bellezza
del rapporto tra le persone se non il reciproco giovamento? Conoscendo se
stessi e quindi valutando la categoria e quindi l’approssimativa essenza dei
molesti, si può stabilire una relazione non priva di profitto e – perché no? –
anche di divertimento. Riconoscere di che tipo sia, come pure eventualmente il
sottotipo, è essenziale per la buona riuscita dell’approccio.
La gente si divide in due tipi
sostanziali, ma i due gruppi sono interpretati in maniera diversa da ognuno dei
miliardi di interlocutori potenziali della nostra stanca e vecchia terra.
Un anno dopo calcolavano che solo a
Porto Alegre erano scomparse più di trecentomila persone. Il telegiornale dichiarava
che nel mondo erano venti milioni e più, forse anche trenta. Uno scienziato
americano garantiva che in certe condizioni climatiche, in alta concentrazione
di gente, le persone moleste si dissolvevano nell’aria, per un accumularsi di
accidenti diretti a loro, mandati da altre persone.
Non che io ci credessi, ma non si
trovava altra spiegazione logica.
La gente è insoddisfatta, il malumore quando
trova un obbiettivo comune a molti diventa solido, o meglio gassoso, un gas che
si concentrerebbe e scioglierebbe il corpo dove il suo baricentro si localizza.
Non esisteva un epicentro, come nei terremoti, ma diverse zone di
concentrazione di corpi molesti. Una era la nostra parte del sud del Brasile,
un’altra in Messico intorno alla capitale, similmente in Argentina, Tokyo, New York
e una nel nord dell’Italia, insomma in alcune parti del mondo dove c’era tanta
gente, di solito non le più povere, però.
Il mio libro è stato pubblicato alla
fine, ma non era un giallo né un noir, era un distopico, un genere nuovo, la
parola stessa è stata un’invenzione recente.
Una distopìa è una rappresentazione di una realtà immaginaria del
futuro, ma prevedibile sulla base di tendenze negative del presente, in cui viene
presagita un’esperienza di vita indesiderabile o spaventosa.
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