domenica 30 gennaio 2022

LA PORTA CHIUSA


 

“Se alla televisione non c’è niente d’interessante basta venire qui al bar, guardarsi intorno, far finta di niente e a un certo punto tu sornione ti avvicini e… senza alcun segnale di avvertimento, cominci a raccontare.”

“Io? Ma quando mai?”

“No, forse era uno che ti somigliava un po’… e a volte penso che se le inventasse anche. Quello non ha avuto il tempo materiale per fare tutte queste cose.”

“Dici?”

“Dico. Hai un cognome italiano, ma hai vissuto in Francia, all’inizio, o per metà della tua esistenza, poi le entrate e le uscite si sono confuse. Quella della Finlandia poi… io voglio, anzi esigo un resoconto dettagliato anno per anno.”

“Non c’è problema.”

“Scherzo, ma faccio anche un po’ sul serio.

Oggi per esempio, vuoi scommettere che c’hai una storia inedita da raccontarmi?”

“Beh… ci sarebbe quella della porta chiusa.”

“Quale porta chiusa?”

“Ci stavo pensando proprio ora, che coincidenza! La porta chiusa in un certo senso è un classico. In una casa vecchia, dove si è vissuto parecchio, un giorno si trova un’apertura che ci porta in un mondo nascosto, dimenticato, affascinante, ma che potrebbe anche essere pericoloso.”

“Una storia vera?”

“Quello lo deve decidere l’eventuale ascoltatore. Il confine tra il vero e il falso non è mai così netto, a volte una storia ben raccontata, secondo me, non ha importanza se sia vera o falsa.”

“Beh, per me l’importanza ce l’ha eccome.”

“Se vuoi risolvere tutto razionalmente allora sì, se hai bisogno della verità assoluta, siamo d’accordo. Ma con il passare degli anni, forse ti sarai accorto che la verità assoluta non esiste, ognuno ha la sua.

Secondo te è una cosa o l’altra?

No, è un misto fluttuante e dipende da noi, ma anche dalle situazioni, dalle persone che ci circondano, dall’ambiente insomma.”

“Beh, dipende, raccontami la tua storia e poi ne parliamo.”

“Infatti, meglio entrare nel vivo di questa vicenda che mi è successa anni fa.

Una volta pensavo che la porta mai aperta, trovata in una casa dove si vive da sempre, sia un buon inizio per una storia, ma il più importante è quello che viene dopo, perché è una storia su cui si sono già cimentati in molti scrittori, registi di film eccetera.

Poi mi è successo e non ti voglio anticipare niente, ma mi pare una cosa interessante, insomma con un messaggio, qualcosa da imparare e tutto.

Meglio se è una casa vecchia, io ho vissuto in alcune case antiche, ma anche il contesto, della casa dove è situata, è importante, come per esempio nel castello di Manacore, dove ho vissuto per tanti anni. Mio padre faceva il guardiano, la nostra casetta era dentro il castello appoggiata alle vecchie mura e non so se era stata costruita prima o dopo, ma che aveva centinaia di anni era evidente.”

“Non lo sapevo, non so neanche dove si trova questo castello, lontano da qui?”

“Abbastanza, è in Normandia, non lontano da St.Michel, lì ci sei stato o no?”

“No, ma ho visto le foto, i filmati, c’era anche un film strano girato là, come si chiamava?”

“Più di uno, L’uomo di St.Michel, con Alain Delon?”

“No, era quasi un documentario olistico.”

“Sì, ho capito, ma in Italia non è stato distribuito. Punto di mutazione di Bernt Capra.”

“Sì. Quello.”

“Un bel film, quasi un documentario, perché ci sono dei personaggi che parlano di vari argomenti scottanti. Ma l’avrai visto parlato in inglese o in francese. Tornando a noi, dopo anni che vivevamo là, io in pratica c’ero nato, nel senso che è la prima casa di cui ho ricordi.”

“Ci sei arrivato che avevi meno di due anni?”

“Infatti. Quando i miei hanno voluto andare a vivere in un appartamento, in una cittadina vicina, erano già vecchiotti e volevano qualcosa di più pratico, io ci sono rimasto da solo, poi con una fidanzata dell’epoca, insomma solo a trent’anni e più mi sono deciso ad andarmene e forse proprio per via di questa storia, che non ho mai raccontato a nessuno. Non so perché, non c’è niente di troppo intimo, o qualcosa di cui vergognarsi…”

“Non ci credo che non l’hai mai raccontata a nessuno…”

“Giuro!”

“Faccio finta di crederci.”

“Parola d’onore!”

“Vabbè. ma non mi dire che era sull’orlo di un precipizio e sotto c’era il mare…”

“No, niente di così drammatico, né eccessivamente romantico, ma il castello aveva il suo valore storico che non ti sto a raccontare, perché sarebbe una cosa lunga. Ti basti dire che aveva più di mille anni e che era a circa cento chilometri dal mare, sotto c’era un fiume e dall’altro lato una montagna, no, forse era più una collina, ma alta e assai rocciosa.”

“Quindi c’erano visitatori eccetera, turisti ogni giorno.”

“Per una certa epoca sì, non molti comunque, era un po’ fuorimano e anche il turismo di massa è nato un po’ di tempo dopo, comunque poi anche l’amministrazione è cambiata, dei turisti se ne sono fregati e il lavoro di mio padre come custode è terminato. Il castello continuava a sopravvivere con le sue mura muschiose, ma non ci veniva più nessuno e lo stato di abbandono era totale, nel frattempo io ero rimasto lì, da solo e poi con Brenda.”

“Un’inglese?”

“Sì. Ma viveva in Francia fin da piccola.”

“Nonostante la Guerra dei Cento Anni?”

“Trai francesi e gli inglesi non c’è mai stato buon sangue, d’accordo, ma in fondo una certa rivalità tra stati confinanti esiste dovunque, basta guardare Lucca e Pisa, dovunque ci sono prepotenze e reazioni alle prepotenze, nei secoli dei secoli e nella modernità la guerra si nasconde e si estende al nostro vicino di casa, a chiunque sia diverso da noi… o forse è sempre stato così. Inutile fingere che non ci siano conflitti, più o meno nascosti o manifesti.”

“Insomma te ne stavi tranquillo per i fatti tuoi, quando…”

“Sì, dopo aver vissuto quasi trent’anni in quella casetta, forse di più, non so dirti esattamente, mi sono deciso a fare dei lavoretti e spostato un enorme armadio che forse era più vecchio della casa…”

“E hai trovato la porta chiusa.”

“Sì, una porta chiusa e massiccia, come se quella fosse stata l’entrata una volta, non lo so. Era dal lato del muro del castello, appoggiato a pochi metri di distanza alla roccia della montagna.”

“E allora cosa hai fatto?”

“Tu che avresti fatto?”

“Non lo so, dipende dalla situazione tua di quel momento.”

“Infatti, io avevo fretta di finire i lavori che stavo facendo, di rinfrescare le pareti e di imbiancarle, tappare buchi e scacciare i topi. Quella mi è parsa una complicazione, in quel determinato momento della mia storia personale. Così ho rimesso l’armadio al suo posto e ho provato a riprendere la mia vita da dove era stata interrotta.”

“Senza riuscirci.”

“No, ci sono riuscito e anche abbastanza bene, Brenda e il lavoro mi tenevano impegnato e la notte dormivo come un sasso coperto di limo e di alghe sul fondo del mare.”

“Immagine onirica notevole. Che lavoro facevi?”

“Tanti lavoretti, a partire dall’imbianchino, al pescatore, muratore e manovale, pulizia delle cantine…”

“Ne hai fatti di mestieri anche te!”

“Quando sei forte fisicamente qualsiasi cosa si può fare, ogni cosa si può imparare, poi si va per esclusione.”

“È il cervello che conta e quello lo devi mantenere sempre in movimento. Dammi retta a me.”

“Vero, ma quando il corpo non va più dietro alla vivacità del cervello vuol dire che sei vecchio, come sono ora insomma, non potrei fare certo quello che facevo a quel tempo e bere come un dannato, ne pago il conto adesso, di tutto quello che ho fatto prima…”

“Un’alimentazione sregolata e pesante…”

“Infatti, aglio e cipolla, sottaceti, intingoli grassi… salumi e formaggi secchi, tutto quello che ora devo evitare. Ora la sera ci devo stare attento, sennò addio sonno. Lasciamo perdere…”

“Ma la porta allora quando l’hai aperta?”

“Sono passati degli anni, sempre con quel pensierino che ogni tanto faceva capolino e mi chiedeva di essere soddisfatto.”

“Cosa pensavi che ci fosse là dietro?”

“Ho pensato di tutto, più il tempo passava e più le ipotesi crescevano in numero e qualità: addirittura che ci fosse una porta su un altro mondo, oppure che ci fosse una stanza delle torture, che ci fossero delle cose importanti storicamente parlando, un tunnel che portasse sotto terra alla stanza di un tesoro immenso, una porta che conducesse direttamente al futuro, una valle chiusa e piena di vegetazione dove erano rimasti dei dinosauri in vita…”

“Che fantasia, ma ci pensavi parecchio allora.”

“In maniera progressiva e sempre di più.”

“Eri un sognatore a quell’epoca.”

“Infatti, lo sarei ancora, ma ho troppo da fare. Considera che avevo vissuto in un mondo anche bello, a livello di paesaggi e di natura incontaminata, ma assai limitato come mentalità umana attorno a me. La mia fantasia correva oltre.”

“Dopo invece hai viaggiato per terra e per mari.”

“Dopo sì, ma ci voleva quell’esperienza, forse, per fuggire via lontano.”

“Ma Brenda che diceva?”

“Ah, secondo lei dovevo aprirla subito quella porta, ne andava di mezzo la mia salute mentale.”

“Invece?”

“Invece era lei che doveva andarsene, per la nostra salute mentale, la mia e la sua.”

“E allora quando vi siete lasciati…”

“Dopo il metaforico temporalone, dopo le litigate, c’è stata la relativa calma, dei lunghi mesi in cui ho cercato di rimettere a posto il mio cervello, in pratica facendo il contrario di tutto quello che dovevo fare, chiudendomi agli amici, lavorando meno e bevendo di più…”

“Come di solito succede.”

“Un giorno mi sono alzato con quella cosa da risolvere, sembrava che la mia vita non potesse proseguire.”

“Cioè dopo anni e anni, dovevi assolutamente aprire quella porta?”

“Sì. E alla luce di quello che è successo dopo, quella è stata la maniera di riaprire la porta del mondo, per poter uscire di lì.”

“E cosa è successo?”

“Anzitutto la porta era chiusa e robusta.”

“L’hai dovuta buttare giù?”

“Ci stavo pensando, ma poi ho avuto un’idea.”

“Quale?”

“Dalla serratura si capiva che la chiave era una di quelle gigantesche, mi è venuto in mente che ce ne erano tante attaccate vicino al caminetto, come decorazioni, raccattate chissà dove, per casa e nel castello.”

“Era una di quelle?”

“No. Dopo averle provate tutte mi è venuto in mente che nel castello ce ne erano altre, le avevo viste più di una volta, solo che non mi ricordavo dove.”

“Avevi ancora le chiavi del castello?”

“Le avevo consegnate all’amministrazione, ma mio padre se ne era fatte fare delle copie, non si sa mai.”

“Infatti e allora?”

“Sono andato nel castello ho cercato per giorni chiavi di quella grandezza, ne ho trovate varie e le ho provate tutte. Niente da fare.”

“Chissà dove l’avevano nascosta.”

“In un posto dove nessuno ci avrebbe pensato.”

“Cioè?”

“Prova a indovinare.”

“In una cassettina di ferro sottoterra nell’orto.”

“No.”

“In una nicchia ricavata all’interno del caminetto.”

“No. E comunque di caminetti ce ne erano in ogni stanza da noi.”

“Era così freddo?”

“La Normandia d’inverno è umida e freddissima, la casa era vecchia, i muri spessi un metro, fatti i tuoi conti.”

“E allora come hai fatto?”

“Quasi senza pensarci ho provato e ha funzionato. Era la chiave del castello, quella che apriva la porta principale, apriva anche quella.”

“Che storia!”

“Finalmente l’hai potuta aprire!”

“Sì e no.”

“Ma come sì e no? E allora che cosa c’era dall’altra parte?”

“Solo in quel momento mi sono ricordato di mio padre e di mia madre, di mia zia che abitava con noi, di mio fratello che era andato a vivere in Australia.”

“Non avrai voluto riunire tutta la famiglia per aprire quella porta?”

“No, ma quando ho sentito quello scatto, te non ci crederai… ma mi è venuto in mente che a mio padre era successa la stessa cosa, quando ero bambino piccolo, cioè aveva spostato l’armadio, trovato la porta e cercato la chiave.”

“Senza trovarla ovviamente.”

“Sì, cioè no.”

“Mi pare strano però che solo dopo tutto quello sforzo continuato, per giorni, tu non ti sia ricordato di quel particolare.”

“Anche a me è sembrato strano, ma considera anche che ero un bambino e i ricordi si erano sovrapposti e mischiati, e poi forse avevo solo tre anni e come potrai capire anche tu per una porta chiusa non sentivo ancora nessun fascino, nessuna romantica curiosità.”

“Allora è stato come un clic che ti ha svegliato da uno stato di ipnosi?”

“Forse sì, o forse no. Non lo so, ma quello scatto ha innescato anche un meccanismo mentale, di sicuro. Comunque ho telefonato a mio padre, per dirgli della porta, della chiave, insomma se gli interessava di venire là a dare un’occhiata. Se voleva dirlo a mamma, li avrei aspettati senza aprirla.”

“E la zia e tuo fratello?”

“La zia nel frattempo era morta e mio fratello non dava notizie da anni.”

“Non era morto anche lui?”

“No.”

“Cioè l’hai saputo dopo?”

“Sì, mio fratello è sempre stato un taciturno, vive dentro al suo bozzolo, in Normandia molta gente è così, anche i miei sono sempre stati piuttosto esageratamente riservati. Insomma lui se ne era andato tanti anni prima e dopo tanti altri è tornato, con moglie figli. Aveva messo qualche soldo da parte. Dieci anni fa è arrivato e ha detto sono qua, in Francia, per restarci, ma intanto io ero già in Finlandia e ora qui in Italia, a Montepescali per la precisione.”

“Non l’hai più visto?”

“Sì, quattro volte in tutto, ci siamo reciprocamente venuti a trovare due volte a testa.”

“E insomma tuo padre che ha detto?”

“Quando telefonai mio padre era all’ospedale.”

“E allora?”

“Parlai con mia madre Marie, mi disse che Michel, mio padre stava morendo.”

“Quindi ti sei precipitato in città.”

“Esatto.”

“Tuo padre poi è morto?”

“Sì, pochi giorni dopo, non avendo niente da fare sono stato con loro.”

“E poi?”

“Dopo si ammalata mia madre, quasi un anno tra casa e ospedale, poi è morta anche lei.”

“Quando sei tornato a Manacore?”

“È passato più di un anno, poco più.”

“E della porta ti eri completamente dimenticato.”

“No, spesso ci pensavo, ma solo pochi giorni prima del mio ritorno, vengo a sapere dal giornale che il ricco tesoro del castello è stato trovato. Indovina dove?”

“Dietro la tua porta chiusa.”

“Indovinato.”

“Ma era un tesoro di valore?”

“Oltre a quello storico c’era l’oro, circa cento chili tra monili e monete d’oro.”

“Da chi era stato trovato?”

“Un archeologo della zona che aveva scavato dall’altra parte, cioè da quella del castello.”

“Ma te come hai fatto a capirlo dal giornale?”

“Quando ho letto del tesoro me lo sono subito immaginato.”

“E quando ne hai avuto conferma?”

“Arrivato a casa sono subito andato a controllare.”

“Cioè il tesoro era in una stanzetta dietro la tua porta chiusa?”

“No, c’era una botola, entrato là dentro ho sentito scavare, erano là sotto, ho aperto senza che se ne accorgessero e li ho visti, sotto c’era un sotterraneo. Per fortuna non si sono accorti della botola, sennò mi avrebbero distrutto la casa per cercare altri tesori. Poi a causa del dannato tesoro me ne sono dovuto andare via di là, ma quella è stata la parte migliore.”

“Che storia! Vedi il destino come è stato burlone…”

“Piuttosto. Ci sono rimasto male inizialmente.”

“Solo inizialmente?”

“Beh, sì. Dopo però, con calma, ho capito che ero un coglione come tanti.”

“Una bella soddisfazione!”

“Almeno mi dava un vantaggio su di voi.”

“Voi chi?”

“Tu e tutti gli altri.”

“In che senso?”

“Io lo sapevo e voi ancora no.”

“Che cosa sapevi?”

“Che ero un coglione e che tutti lo siamo, più o meno. Prima ce ne rendiamo conto, che siamo in un mare in tempesta, che ci può salvare o anche far affogare, prima siamo pronti ad affrontare questo misto di bonaccia e burrasca che significa stare al mondo.”

“Stai parlando sul serio?”

“Ah-ah! Certo, e da come reagisci ho capito anche che tu non lo sai ancora.” 

“…”

“Non mi prendere troppo sul serio, sto scherzando, mi dovresti conoscere ormai, anche se è tutto vero quello che dico, approssimativamente almeno.”

“Allora spiegami.”

“Sì, ma non t’arrabbiare, allora: quel geografo, geologo e archeologo del tesoro io lo conosco, l’illusione della ricchezza ce l’ha avuta solo per poco, è rimasto al punto di prima, il tesoro appartiene allo stato francese.”

“Bene, questo me lo aspettavo, ma poi c’è anche qualcos’altro?”

“Sì, mia moglie Isabelle tu la conosci, è una vita che stiamo insieme e anche assai bene. Ma dove e quando l’ho conosciuta?”

“All’ospedale?”

“Sì, ma non era infermiera, era figlia di un amico di mio padre.”

“Quindi?”

“Se non ci fosse stato il suo ricovero, più che sicuramente, non l’avrei nemmeno mai incontrata.”

“Beh, comincio a capire.”

“Tu non sai come sono i miei, di mio fratello te l’ho già detto, ma quella volta se non lo avessi chiamato io, e proprio per il discorso della porta chiusa, loro per non farmi preoccupare, io della morte di mio padre forse lo avrei saputo dal giornale o da mia madre per telefono.”

“È vero. Che storia!”

“Hai capito o no? Quindi Isabelle non l’avrei conosciuta e la mia vita cosa sarebbe ora? Non ci voglio neanche pensare. È andato giù il sole, è diventato quasi freddo… Che dici? Ce ne spariamo un altro di questi intrugli diabolici?”

“Ma sì, tanto… se di un domani non c’è certezza…”

“No, ce lo diceva anche Cecco Angiolieri.”

“Chi?”

“Un toscano amico mio, hai mai sentito parlare del Dolce Stil Novo?

Che questo Cecco gli faceva il verso?

No? Vabbè, magari poi ti racconto.

Il primo giro era mio, questo lo paghi te?”

“Ma… questo bar non è tuo?”

“Sì, ma non significa che devo pagare sempre io da bere… sto qui a giornate, mi vorrai far guadagnare qualcosa o no? Ti faccio da televisione, arricchisco la tua cultura e ti pago anche da bere?”

“D’accordo, ma almeno mi farai uno sconto…”

“Quale sconto? Al massimo ti racconto di Cecco Angiolieri e ti ci metto senza pagare un sovrappiù anche il precedente e contemporaneo Dolce Stil Novo! Trovami un altro bar, in tutta la maremma livornese, che ti fa delle offerte speciali come queste! E ti ci metto anche quella grossetana di maremme, guarda un po’!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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