“Se
alla televisione non c’è niente d’interessante basta venire qui al bar, guardarsi
intorno, far finta di niente e a un certo punto tu sornione ti avvicini e…
senza alcun segnale di avvertimento, cominci a raccontare.”
“Io?
Ma quando mai?”
“No, forse era uno che ti somigliava un po’… e a volte penso che se le inventasse anche. Quello non ha avuto il tempo materiale per fare tutte queste cose.”
“Dici?”
“Dico.
Hai un cognome italiano, ma hai vissuto in Francia, all’inizio, o per metà
della tua esistenza, poi le entrate e le uscite si sono confuse. Quella della
Finlandia poi… io voglio, anzi esigo un resoconto dettagliato anno per anno.”
“Non
c’è problema.”
“Scherzo,
ma faccio anche un po’ sul serio.
Oggi per esempio, vuoi scommettere che c’hai una storia inedita da raccontarmi?”
“Beh…
ci sarebbe quella della porta chiusa.”
“Quale
porta chiusa?”
“Ci
stavo pensando proprio ora, che coincidenza! La porta chiusa in un certo senso è
un classico. In una casa vecchia, dove si è vissuto parecchio, un giorno si
trova un’apertura che ci porta in un mondo nascosto, dimenticato, affascinante,
ma che potrebbe anche essere pericoloso.”
“Una
storia vera?”
“Quello
lo deve decidere l’eventuale ascoltatore. Il confine tra il vero e il falso non
è mai così netto, a volte una storia ben raccontata, secondo me, non ha
importanza se sia vera o falsa.”
“Beh,
per me l’importanza ce l’ha eccome.”
“Se
vuoi risolvere tutto razionalmente allora sì, se hai bisogno della verità
assoluta, siamo d’accordo. Ma con il passare degli anni, forse ti sarai accorto
che la verità assoluta non esiste, ognuno ha la sua.
Secondo
te è una cosa o l’altra?
No,
è un misto fluttuante e dipende da noi, ma anche dalle situazioni, dalle
persone che ci circondano, dall’ambiente insomma.”
“Beh,
dipende, raccontami la tua storia e poi ne parliamo.”
“Infatti,
meglio entrare nel vivo di questa vicenda che mi è successa anni fa.
Una
volta pensavo che la porta mai aperta, trovata in una casa dove si vive da
sempre, sia un buon inizio per una storia, ma il più importante è quello che
viene dopo, perché è una storia su cui si sono già cimentati in molti scrittori,
registi di film eccetera.
Poi
mi è successo e non ti voglio anticipare niente, ma mi pare una cosa
interessante, insomma con un messaggio, qualcosa da imparare e tutto.
Meglio
se è una casa vecchia, io ho vissuto in alcune case antiche, ma anche il
contesto, della casa dove è situata, è importante, come per esempio nel
castello di Manacore, dove ho vissuto per tanti anni. Mio padre faceva il
guardiano, la nostra casetta era dentro il castello appoggiata alle vecchie
mura e non so se era stata costruita prima o dopo, ma che aveva centinaia di
anni era evidente.”
“Non
lo sapevo, non so neanche dove si trova questo castello, lontano da qui?”
“Abbastanza,
è in Normandia, non lontano da St.Michel, lì ci sei stato o no?”
“No,
ma ho visto le foto, i filmati, c’era anche un film strano girato là, come si
chiamava?”
“Più
di uno, L’uomo di St.Michel, con
Alain Delon?”
“No,
era quasi un documentario olistico.”
“Sì,
ho capito, ma in Italia non è stato distribuito. Punto di mutazione di Bernt Capra.”
“Sì.
Quello.”
“Un
bel film, quasi un documentario, perché ci sono dei personaggi che parlano di
vari argomenti scottanti. Ma l’avrai visto parlato in inglese o in francese. Tornando
a noi, dopo anni che vivevamo là, io in pratica c’ero nato, nel senso che è la
prima casa di cui ho ricordi.”
“Ci
sei arrivato che avevi meno di due anni?”
“Infatti.
Quando i miei hanno voluto andare a vivere in un appartamento, in una cittadina
vicina, erano già vecchiotti e volevano qualcosa di più pratico, io ci sono
rimasto da solo, poi con una fidanzata dell’epoca, insomma solo a trent’anni e
più mi sono deciso ad andarmene e forse proprio per via di questa storia, che
non ho mai raccontato a nessuno. Non so perché, non c’è niente di troppo
intimo, o qualcosa di cui vergognarsi…”
“Non
ci credo che non l’hai mai raccontata a nessuno…”
“Giuro!”
“Faccio
finta di crederci.”
“Parola
d’onore!”
“Vabbè.
ma non mi dire che era sull’orlo di un precipizio e sotto c’era il mare…”
“No,
niente di così drammatico, né eccessivamente romantico, ma il castello aveva il
suo valore storico che non ti sto a raccontare, perché sarebbe una cosa lunga.
Ti basti dire che aveva più di mille anni e che era a circa cento chilometri
dal mare, sotto c’era un fiume e dall’altro lato una montagna, no, forse era
più una collina, ma alta e assai rocciosa.”
“Quindi
c’erano visitatori eccetera, turisti ogni giorno.”
“Per
una certa epoca sì, non molti comunque, era un po’ fuorimano e anche il turismo
di massa è nato un po’ di tempo dopo, comunque poi anche l’amministrazione è
cambiata, dei turisti se ne sono fregati e il lavoro di mio padre come custode
è terminato. Il castello continuava a sopravvivere con le sue mura muschiose,
ma non ci veniva più nessuno e lo stato di abbandono era totale, nel frattempo
io ero rimasto lì, da solo e poi con Brenda.”
“Un’inglese?”
“Sì.
Ma viveva in Francia fin da piccola.”
“Nonostante
la Guerra dei Cento Anni?”
“Trai
francesi e gli inglesi non c’è mai stato buon sangue, d’accordo, ma in fondo
una certa rivalità tra stati confinanti esiste dovunque, basta guardare Lucca e
Pisa, dovunque ci sono prepotenze e reazioni alle prepotenze, nei secoli dei
secoli e nella modernità la guerra si nasconde e si estende al nostro vicino di
casa, a chiunque sia diverso da noi… o forse è sempre stato così. Inutile
fingere che non ci siano conflitti, più o meno nascosti o manifesti.”
“Insomma
te ne stavi tranquillo per i fatti tuoi, quando…”
“Sì,
dopo aver vissuto quasi trent’anni in quella casetta, forse di più, non so
dirti esattamente, mi sono deciso a fare dei lavoretti e spostato un enorme
armadio che forse era più vecchio della casa…”
“E
hai trovato la porta chiusa.”
“Sì,
una porta chiusa e massiccia, come se quella fosse stata l’entrata una volta,
non lo so. Era dal lato del muro del castello, appoggiato a pochi metri di
distanza alla roccia della montagna.”
“E
allora cosa hai fatto?”
“Tu
che avresti fatto?”
“Non
lo so, dipende dalla situazione tua di quel momento.”
“Infatti,
io avevo fretta di finire i lavori che stavo facendo, di rinfrescare le pareti
e di imbiancarle, tappare buchi e scacciare i topi. Quella mi è parsa una
complicazione, in quel determinato momento della mia storia personale. Così ho
rimesso l’armadio al suo posto e ho provato a riprendere la mia vita da dove
era stata interrotta.”
“Senza
riuscirci.”
“No,
ci sono riuscito e anche abbastanza bene, Brenda e il lavoro mi tenevano
impegnato e la notte dormivo come un sasso coperto di limo e di alghe sul fondo
del mare.”
“Immagine
onirica notevole. Che lavoro facevi?”
“Tanti
lavoretti, a partire dall’imbianchino, al pescatore, muratore e manovale,
pulizia delle cantine…”
“Ne
hai fatti di mestieri anche te!”
“Quando
sei forte fisicamente qualsiasi cosa si può fare, ogni cosa si può imparare,
poi si va per esclusione.”
“È
il cervello che conta e quello lo devi mantenere sempre in movimento. Dammi
retta a me.”
“Vero,
ma quando il corpo non va più dietro alla vivacità del cervello vuol dire che
sei vecchio, come sono ora insomma, non potrei fare certo quello che facevo a
quel tempo e bere come un dannato, ne pago il conto adesso, di tutto quello che
ho fatto prima…”
“Un’alimentazione
sregolata e pesante…”
“Infatti,
aglio e cipolla, sottaceti, intingoli grassi… salumi e formaggi secchi, tutto
quello che ora devo evitare. Ora la sera ci devo stare attento, sennò addio
sonno. Lasciamo perdere…”
“Ma
la porta allora quando l’hai aperta?”
“Sono
passati degli anni, sempre con quel pensierino che ogni tanto faceva capolino e
mi chiedeva di essere soddisfatto.”
“Cosa
pensavi che ci fosse là dietro?”
“Ho
pensato di tutto, più il tempo passava e più le ipotesi crescevano in numero e
qualità: addirittura che ci fosse una porta su un altro mondo, oppure che ci
fosse una stanza delle torture, che ci fossero delle cose importanti storicamente
parlando, un tunnel che portasse sotto terra alla stanza di un tesoro immenso,
una porta che conducesse direttamente al futuro, una valle chiusa e piena di
vegetazione dove erano rimasti dei dinosauri in vita…”
“Che
fantasia, ma ci pensavi parecchio allora.”
“In
maniera progressiva e sempre di più.”
“Eri
un sognatore a quell’epoca.”
“Infatti,
lo sarei ancora, ma ho troppo da fare. Considera che avevo vissuto in un mondo
anche bello, a livello di paesaggi e di natura incontaminata, ma assai limitato
come mentalità umana attorno a me. La mia fantasia correva oltre.”
“Dopo
invece hai viaggiato per terra e per mari.”
“Dopo
sì, ma ci voleva quell’esperienza, forse, per fuggire via lontano.”
“Ma
Brenda che diceva?”
“Ah,
secondo lei dovevo aprirla subito quella porta, ne andava di mezzo la mia
salute mentale.”
“Invece?”
“Invece
era lei che doveva andarsene, per la nostra salute mentale, la mia e la sua.”
“E
allora quando vi siete lasciati…”
“Dopo
il metaforico temporalone, dopo le litigate, c’è stata la relativa calma, dei lunghi
mesi in cui ho cercato di rimettere a posto il mio cervello, in pratica facendo
il contrario di tutto quello che dovevo fare, chiudendomi agli amici, lavorando
meno e bevendo di più…”
“Come
di solito succede.”
“Un
giorno mi sono alzato con quella cosa da risolvere, sembrava che la mia vita
non potesse proseguire.”
“Cioè
dopo anni e anni, dovevi assolutamente aprire quella porta?”
“Sì.
E alla luce di quello che è successo dopo, quella è stata la maniera di
riaprire la porta del mondo, per poter uscire di lì.”
“E
cosa è successo?”
“Anzitutto
la porta era chiusa e robusta.”
“L’hai
dovuta buttare giù?”
“Ci
stavo pensando, ma poi ho avuto un’idea.”
“Quale?”
“Dalla
serratura si capiva che la chiave era una di quelle gigantesche, mi è venuto in
mente che ce ne erano tante attaccate vicino al caminetto, come decorazioni,
raccattate chissà dove, per casa e nel castello.”
“Era
una di quelle?”
“No.
Dopo averle provate tutte mi è venuto in mente che nel castello ce ne erano
altre, le avevo viste più di una volta, solo che non mi ricordavo dove.”
“Avevi
ancora le chiavi del castello?”
“Le
avevo consegnate all’amministrazione, ma mio padre se ne era fatte fare delle
copie, non si sa mai.”
“Infatti
e allora?”
“Sono
andato nel castello ho cercato per giorni chiavi di quella grandezza, ne ho
trovate varie e le ho provate tutte. Niente da fare.”
“Chissà
dove l’avevano nascosta.”
“In
un posto dove nessuno ci avrebbe pensato.”
“Cioè?”
“Prova
a indovinare.”
“In
una cassettina di ferro sottoterra nell’orto.”
“No.”
“In
una nicchia ricavata all’interno del caminetto.”
“No.
E comunque di caminetti ce ne erano in ogni stanza da noi.”
“Era
così freddo?”
“La
Normandia d’inverno è umida e freddissima, la casa era vecchia, i muri spessi
un metro, fatti i tuoi conti.”
“E
allora come hai fatto?”
“Quasi
senza pensarci ho provato e ha funzionato. Era la chiave del castello, quella
che apriva la porta principale, apriva anche quella.”
“Che
storia!”
“Finalmente
l’hai potuta aprire!”
“Sì
e no.”
“Ma
come sì e no? E allora che cosa c’era dall’altra parte?”
“Solo
in quel momento mi sono ricordato di mio padre e di mia madre, di mia zia che
abitava con noi, di mio fratello che era andato a vivere in Australia.”
“Non
avrai voluto riunire tutta la famiglia per aprire quella porta?”
“No,
ma quando ho sentito quello scatto, te non ci crederai… ma mi è venuto in mente
che a mio padre era successa la stessa cosa, quando ero bambino piccolo, cioè
aveva spostato l’armadio, trovato la porta e cercato la chiave.”
“Senza
trovarla ovviamente.”
“Sì,
cioè no.”
“Mi
pare strano però che solo dopo tutto quello sforzo continuato, per giorni, tu
non ti sia ricordato di quel particolare.”
“Anche
a me è sembrato strano, ma considera anche che ero un bambino e i ricordi si
erano sovrapposti e mischiati, e poi forse avevo solo tre anni e come potrai
capire anche tu per una porta chiusa non sentivo ancora nessun fascino, nessuna
romantica curiosità.”
“Allora
è stato come un clic che ti ha svegliato da uno stato di ipnosi?”
“Forse
sì, o forse no. Non lo so, ma quello scatto ha innescato anche un meccanismo
mentale, di sicuro. Comunque ho telefonato a mio padre, per dirgli della porta,
della chiave, insomma se gli interessava di venire là a dare un’occhiata. Se
voleva dirlo a mamma, li avrei aspettati senza aprirla.”
“E
la zia e tuo fratello?”
“La
zia nel frattempo era morta e mio fratello non dava notizie da anni.”
“Non
era morto anche lui?”
“No.”
“Cioè
l’hai saputo dopo?”
“Sì,
mio fratello è sempre stato un taciturno, vive dentro al suo bozzolo, in
Normandia molta gente è così, anche i miei sono sempre stati piuttosto
esageratamente riservati. Insomma lui se ne era andato tanti anni prima e dopo
tanti altri è tornato, con moglie figli. Aveva messo qualche soldo da parte. Dieci
anni fa è arrivato e ha detto sono qua, in Francia, per restarci, ma intanto io
ero già in Finlandia e ora qui in Italia, a Montepescali per la precisione.”
“Non
l’hai più visto?”
“Sì,
quattro volte in tutto, ci siamo reciprocamente venuti a trovare due volte a
testa.”
“E
insomma tuo padre che ha detto?”
“Quando
telefonai mio padre era all’ospedale.”
“E
allora?”
“Parlai
con mia madre Marie, mi disse che Michel, mio padre stava morendo.”
“Quindi
ti sei precipitato in città.”
“Esatto.”
“Tuo
padre poi è morto?”
“Sì,
pochi giorni dopo, non avendo niente da fare sono stato con loro.”
“E
poi?”
“Dopo
si ammalata mia madre, quasi un anno tra casa e ospedale, poi è morta anche
lei.”
“Quando
sei tornato a Manacore?”
“È
passato più di un anno, poco più.”
“E
della porta ti eri completamente dimenticato.”
“No,
spesso ci pensavo, ma solo pochi giorni prima del mio ritorno, vengo a sapere
dal giornale che il ricco tesoro del castello è stato trovato. Indovina dove?”
“Dietro
la tua porta chiusa.”
“Indovinato.”
“Ma
era un tesoro di valore?”
“Oltre
a quello storico c’era l’oro, circa cento chili tra monili e monete d’oro.”
“Da
chi era stato trovato?”
“Un
archeologo della zona che aveva scavato dall’altra parte, cioè da quella del
castello.”
“Ma
te come hai fatto a capirlo dal giornale?”
“Quando
ho letto del tesoro me lo sono subito immaginato.”
“E
quando ne hai avuto conferma?”
“Arrivato
a casa sono subito andato a controllare.”
“Cioè
il tesoro era in una stanzetta dietro la tua porta chiusa?”
“No,
c’era una botola, entrato là dentro ho sentito scavare, erano là sotto, ho
aperto senza che se ne accorgessero e li ho visti, sotto c’era un sotterraneo.
Per fortuna non si sono accorti della botola, sennò mi avrebbero distrutto la
casa per cercare altri tesori. Poi a causa del dannato tesoro me ne sono dovuto
andare via di là, ma quella è stata la parte migliore.”
“Che
storia! Vedi il destino come è stato burlone…”
“Piuttosto.
Ci sono rimasto male inizialmente.”
“Solo
inizialmente?”
“Beh,
sì. Dopo però, con calma, ho capito che ero un coglione come tanti.”
“Una
bella soddisfazione!”
“Almeno
mi dava un vantaggio su di voi.”
“Voi
chi?”
“Tu
e tutti gli altri.”
“In
che senso?”
“Io
lo sapevo e voi ancora no.”
“Che
cosa sapevi?”
“Che
ero un coglione e che tutti lo siamo, più o meno. Prima ce ne rendiamo conto,
che siamo in un mare in tempesta, che ci può salvare o anche far affogare,
prima siamo pronti ad affrontare questo misto di bonaccia e burrasca che significa
stare al mondo.”
“Stai
parlando sul serio?”
“Ah-ah!
Certo, e da come reagisci ho capito anche che tu non lo sai ancora.”
“…”
“Non
mi prendere troppo sul serio, sto scherzando, mi dovresti conoscere ormai,
anche se è tutto vero quello che dico, approssimativamente almeno.”
“Allora
spiegami.”
“Sì,
ma non t’arrabbiare, allora: quel geografo, geologo e archeologo del tesoro io
lo conosco, l’illusione della ricchezza ce l’ha avuta solo per poco, è rimasto
al punto di prima, il tesoro appartiene allo stato francese.”
“Bene,
questo me lo aspettavo, ma poi c’è anche qualcos’altro?”
“Sì,
mia moglie Isabelle tu la conosci, è una vita che stiamo insieme e anche assai bene.
Ma dove e quando l’ho conosciuta?”
“All’ospedale?”
“Sì,
ma non era infermiera, era figlia di un amico di mio padre.”
“Quindi?”
“Se
non ci fosse stato il suo ricovero, più che sicuramente, non l’avrei nemmeno
mai incontrata.”
“Beh,
comincio a capire.”
“Tu
non sai come sono i miei, di mio fratello te l’ho già detto, ma quella volta se
non lo avessi chiamato io, e proprio per il discorso della porta chiusa, loro
per non farmi preoccupare, io della morte di mio padre forse lo avrei saputo
dal giornale o da mia madre per telefono.”
“È
vero. Che storia!”
“Hai
capito o no? Quindi Isabelle non l’avrei conosciuta e la mia vita cosa sarebbe
ora? Non ci voglio neanche pensare. È andato giù il sole, è diventato quasi
freddo… Che dici? Ce ne spariamo un altro di questi intrugli diabolici?”
“Ma
sì, tanto… se di un domani non c’è certezza…”
“No,
ce lo diceva anche Cecco Angiolieri.”
“Chi?”
“Un
toscano amico mio, hai mai sentito parlare del Dolce Stil Novo?
Che
questo Cecco gli faceva il verso?
No?
Vabbè, magari poi ti racconto.
Il
primo giro era mio, questo lo paghi te?”
“Ma…
questo bar non è tuo?”
“Sì,
ma non significa che devo pagare sempre io da bere… sto qui a giornate, mi
vorrai far guadagnare qualcosa o no? Ti faccio da televisione, arricchisco la
tua cultura e ti pago anche da bere?”
“D’accordo,
ma almeno mi farai uno sconto…”
“Quale
sconto? Al massimo ti racconto di Cecco Angiolieri e ti ci metto senza pagare
un sovrappiù anche il precedente e contemporaneo Dolce Stil Novo! Trovami un
altro bar, in tutta la maremma livornese, che ti fa delle offerte speciali come
queste! E ti ci metto anche quella grossetana di maremme, guarda un po’!”
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