sabato 20 novembre 2021

NAUFRAGHEREI

 



L’isola non era lontana dal cielo ed era proprio dentro al mare, come di solito succede, ma altra terra intorno non se ne vedeva e il naufragio, oltre varie escoriazioni su tutto il corpo, mi aveva fatto anche battere la testa, i ricordi venivano e svanivano con la stessa facilità.

Le prime cose che ho dovuto risolvere sono state la fame e la sete. Un ruscello c’era, ma ho dovuto girare quasi tutta l’isola per trovarlo. Per fortuna era piccola, ma molto rocciosa e montagnosa, piena di vegetazione nei punti di passaggio tra le rocce, quando ho trovato l’acqua dolce mi sono tuffato dentro e ne ho fatto indigestione.

Per mangiare è stato più complicato, ma la necessità è un motore che funziona bene, aguzza anche l’intelligenza, nonostante l’occasionale e logica debolezza, questo dovrebbe dimostrare che nel comfort forzato della vita moderna usiamo solo una parte minima delle nostre risorse fisiche e mentali, ma non ce n’è alcun bisogno, lo sappiamo già.

I pesci c’erano, insomma, anche numerosi, ma pescarli senza l’attrezzatura necessaria, per uno come me, che non aveva mai pescato, era difficile. Le piante da frutto anche abbondavano, ma i frutti non li avevo mai visti, come sapere se una cosa era velenosa o no? Mi sono fidato delle formiche e degli uccelli, che non sono un test assoluto, ma la frutta che mangiavano loro l’ho mangiata anch’io. Intanto mi ricordavo che in Italia c’erano le elezioni, mi sono sentito contento di essermele perse in blocco, propaganda inclusa e dibattiti. I candidati mi garbavano poco tutti, su vari livelli, c’erano quelli  brutti e quelli peggio, i buoni non si erano candidati, da un po’ di tempo non lo facevano, mi venne anche il dubbio che forse non lo avessero mai fatto. I peggiori normalmente sono quelli che vincono, nell’epoca moderna, nessuno credeva a Trump e a Bolsonaro, ma hanno vinto e governato per anni, si fa per dire, alla loro maniera. Il voto di protesta spesso porta a medicine più micidiali delle malattie stesse, la sua eventuale utilità dovrebbe nascondersi nella futura coscienza della gente, ma spesso è solo teoria, le memorie sono corte e piene di buchi.

Il campionato di calcio era quasi in mano all’Inter e io ero tifoso del Crotone, che lottava per non retrocedere, per meglio dire annaspava per non affogare, avevano già cambiato tre allenatori ed eravamo appena a metà campionato.

Di bello c’era che senza luce elettrica e senza televisione, senza radio, tutte queste cose me le potevo dimenticare ed era bello, in un certo senso, bastava sopravvivere, anche se i pesci sembravano farsi beffe di me.

D’accordo: c’erano anche i topi, i conigli, i serpenti e uccelli di vario tipo e misura, ma nessuno di loro aveva voglia di finire nella mia pancia e io li capivo anche, avevano sicuramente i loro validi motivi, ma in quel determinato momento questa logica non mi confortava.

La mia capannetta di stecchi e paglia l’ho costruita vicino al ruscello, che oltre a darmi da bere era catalizzatore di animali per ovvi motivi, essendo l’unico in giro con acqua dolce.

Conchiglie e crostacei, gamberetti, grandi, medi e piccoli granchi sono stati i miei primi antipasti, in attesa di prendere qualcosa di più grosso, magari sostanzioso e di tempo ce n’è voluto assai.

Mi sono ricordato che avevo anche moglie e figli in Calabria, a Soverato e che il naufragio era successo sulla nostra barca a vela, insieme al mio socio avevamo organizzato il giro del mondo, imbecilli che non eravamo altro, ma lui probabilmente era morto e ora non se ne poteva parlare male.

Avevo girato ormai tutta l’isoletta, non c’erano tracce di nulla di utile, solo pezzi di barca, della nostra e di altre imbarcazioni, tra i rifiuti vari, organici e non.

Probabilmente ci stavano già cercando, come si dice in questi casi, e si cerca anche di crederci, senza sapere se effettivamente è così e mentre si dice o si pensa, si guarda il cielo e quello non risponde, poi il mare e meno ancora si vede qualcosa che ci conforti, all’orizzonte o giù di lì.

Ce l’avevano fatta in tanti e io magari non ero più sprovveduto di loro, a cominciare da Robinson Crusoe a Tom Hanks, con il suo bravo pallone Wilson.

Un arco fatto con le corde trovate sulla spiaggia e vari rami che si rompevano subito fu il primo tentativo, fino a trovare una stanga, forse parte di una barca a vela, di un qualche metallo elastico e leggero, coperto di fibra di vetro che funzionava bene. Le frecce hanno avuto un’evoluzione più lunga e debitamente accompagnata da feroci bestemmioni, ma alla fine hanno avuto efficacia e successo.

Era caldo assai, ma quando c’era una tempesta, come quella che aveva sbatacchiato la nostra barca come un fuscello, anche la mia capanna andava a pezzi e quei pezzi se ne volavano via lontano, spesso anche in mare.

Perché lo chiamano il Pacifico è ancora un mistero per me, forse era una pensata ironica di qualche buontempone come il capitano Cook, giustamente ammazzato dai selvaggi che già intuivano di non voler manco per niente essere salvati o civilizzati.

Ho trovato una grotta e lì le cose andavano un po’ meglio, i primi pesci e uccelli sono caduti sotto la mia mira scarsa, ma a forza di ripetuti tentativi e improperi a piena voce, poi lentamente migliorava.

Il mare consegnava ruderi, relitti, qualche volta animali in putrefazione, di cui per la maggior parte pesci e uccelli. Mai un quaderno, un libro o una rivista logicamente poco resistenti all’acqua marina e alle onde, ma sulla spiaggia più grande scrivevo le mie memorie sulla sabbia, accanto a quella scritta più grande di SOS che serviva per gli occasionali aerei, ma sapevo anche che le rotte dei quali sono sempre le stesse e difficilmente un volatile meccanico se ne esce, ci sono enormi zone del mondo dove navi, aerei e altri veicoli umani non transitano mai, se non per sbaglio.

Non so quanto tempo era passato quando la prima nave col pilota automatico è passata vicino ma senza vedermi, non sono serviti neppure i miei falò che avevo preparato e acceso col vecchio metodo degli uomini primitivi, che ormai padroneggiavo in tutta velocità.

Le stagioni in quell’isolotto non c’erano e se ci fossero state magari non me ne sarei accorto, impossibile però non notare le cicliche ma irregolari burrasche e i seguenti, o precedenti, giorni di calma.

Nei film i naufraghi costruiscono rudimentali zattere e poi quelle resistono, contro ogni previsione e loro si salvano, ecco che la denominazione imbarcazioni di fortuna viene spiegata dai fatti. Lì però non c’erano veri e propri alberi, ma dei fusti di cespuglio alti e storti che a costruirci una zattera era impossibile. Eppure ci ho provato, a farne dei fasci, legandoli con delle specie di liane che crescevano sulla sabbia, per coincidenza era anche un legno pesante che non affondava del tutto, ma rimaneva un po’ sotto la normale linea di galleggiamento.

Alla fine mi ero rassegnato, in seguito anche abituato e non era neanche male, parlavo da solo e mi rispondevo, a volte anche incazzandomi che tanto se urlavo non disturbavo nessuno, la sera invece di leggere cercavo di ricordarmi alcune parti dei libri che avevo letto e che mi erano piaciuti.

La mia grande fortuna poi è stata un container che si era agganciato agli scogli vicini alla baia grande, perso da chissà chi e chissà dove, era pieno di roba utile, come libri, quaderni, penne, tavoli, mobiletti e sedie, perfino un mappamondo e un atlante. Doveva essere stato un trasloco e trai libri ce ne erano tanti in una lingua sconosciuta, che forse era thailandese o qualcosa del genere, più alcuni, pochi ma buoni, in inglese.

Intanto passavano i mesi e gli anni, imbarcazioni che vedevo da lontano ce ne erano anche state, ma nessuna era venuta da me, avevo anche smesso di fare i fuochi, a loro non gliene fregava niente e cominciava a interessarmi meno anche a me.

Mi sono accorto che era bello, anche se mi pareva che mi mancasse tutto, avevo qualcosa che in genere non si ha, il tempo e lo spazio era mio, senza orologio né calendario, senza computer né cellulare, né televisione.

Una mattina però mi sono svegliato e ho sentito un frastuono di musica, pensavo di essere impazzito, ma sono andato a vedere lo stesso, dall’altra parte dell’isola.

L’imbarcazione che li aveva portati se ne era già andata, erano arrivati degli americani per girare un film, volevano che partecipassi alle riprese, come attore che doveva fare il naufrago. Li ho mandati affanculo anche se mi stavano salvando, se lo volevano proprio fare, che lo facessero con un po’ più di rispetto.

Ho appreso che eravamo nei dintorni di Kiribati, una repubblica insulare situata nel Pacifico centrale, comprende 33 atolli corallini e numerose isolette che si estendono lungo l'equatore. Con spiagge bianche e lagune, molte di queste isole sono disabitate e offrono luoghi tranquilli per la pesca, le immersioni e il birdwatching. L'affollata capitale, Tarawa Sud, è composta da piccole isole e conserva resti delle battaglie combattute sulle sue coste durante la seconda guerra mondiale. È nota per le danze tradizionali e l'artigianato.

Per essere salvato ho comunque dovuto aspettare che la troupe se ne tornasse via, ammetto che si mangiava abbastanza bene, il cuoco ed elettricista era spagnolo. Erano passati quattro anni, guardandomi nello specchio non mi riconoscevo più, ero dimagrito almeno della metà del mio peso, senza pane e pastasciutte, abbronzatissimo e con la barba tra il canuto e il biondiccio, mi è tornato ancora in mente Tom Hanks e la sua tristezza, ritornato al mondo precedente il naufragio, nel suo caso un aereo schiantatosi in mare.

Di lì riuscivano a prendere anche un po’ di internet, a pezzi e bocconi, dal computer di Larry Troubles, il regista. Il New York Times parlava di una Pandemia, milioni di morti c’erano stati al mondo, nessuno stato ne era rimasto indenne, ma gli Usa e il Brasile i più decimati. In Italia Renzi era al terzo mandato, era riuscito a cambiare la costituzione, si era alternato con Salvini negli ultimi anni, dichiarando sistematicamente e pubblicamente peste e corna l’uno dell’altro, ma facendo lo stesso tipo di politica che distruggeva le piccole imprese e premiava quelle grandi, impoverendo i poveri e arricchendo ulteriormente i già ricchi. Sull’amata penisola non potevano entrare più stranieri, a eccezione degli americani, e le linee aeree erano tutte fallite, tra cui finalmente anche l’Alitalia, non so quanto meritatamente, alla fine si è potuta riposare.

Il mondo era ancora e di nuovo sull’orlo del baratro, eppure sembrava incollato, non cadeva giù, forse ci voleva una catastrofe interplanetaria, o una guerra nucleare, magari batteriologica, insomma ci stavano studiando.

Mia moglie si era risposata, i miei tre figli vivevano alle isole Hawai, non lontanissimo da Kiribati. Il Crotone aveva vinto il campionato, ma di serie C, trai giocatori di italiani ce ne erano pochi, quasi nessuno, da tempo alle partite non poteva più intervenire il pubblico. Fuori dagli stadi deserti, tutti, ma proprio tutti, andavano in giro con la mascherina, solo i giocatori erano momentaneamente dispensati.

C’era un enorme mercato anche clandestino di vaccini, veri e falsi, le case farmaceutiche prosperavano come non mai, la gente moriva lo stesso, solo che le malattie avevano cambiato nome. Almeno il problema della sovrappopolazione era stato brillantemente risolto.

Sono andato a trovare il mio socio, che si era salvato ma la sua memoria no, era rimasta là in mezzo al Pacifico. La famiglia lo aveva accolto come un bambino, uno che non ricordandosi di niente non poteva soffrirci, non faceva soffrire nessuno. Mi è sembrato più simpatico e realizzato di prima, nei limiti del possibile, aveva tutto il mondo davanti, ma era pur sempre un mondo con il virus e la mascherina inclusi nel prezzo, troppo alto per chiunque.

Per lui quella era stata un’avventura dettata dal protagonismo, dalla competizione, con sé stesso e gli altri, non saprei dire se avesse vinto o perso, di sicuro per lui ora non era più importante.

La pandemia aveva appuntito i presagi di catastrofe che c’erano già, la morte non era la parte peggiore, piuttosto le conseguenze mentali che aveva scatenato, ora le varie categorie si fronteggiavano, si odiavano e si combattevano anche di più.

La mia vita non mi piaceva nemmeno prima, forse non me ne rendevo conto del tutto, ma il viaggio in barca a vela intorno al mondo era stato per darle un senso e forse indirettamente glielo aveva anche dato.

Organizzare la resistenza contro il mondo moderno non è un cimento facile, ma viverci dentro è peggio. C’è un vantaggio: non c’è bisogno di essere in tanti, anzi da soli si passa più inosservati ed è un requisito fondamentale.

Ci sono diverse maniere, quella dell’eremita forse è la migliore, perché è sempre scevra di compromessi inutili, si vive o si muore, su una montagna, insomma preferibilmente dove non c’è nessuno e si può fare amicizia con gli eventuali animali del bosco. Si consigliano zone non molto fredde, nemmeno troppo caldeo umide. Dipende dai gusti. Di solito dove c’è un clima buono c’è anche più gente che ti vuole salvare, anche se non ne hai nessuna voglia o bisogno, è più forte di loro. Comunque sia è importante non aver troppo bisogno della compagnia e di solito gli esseri solitari non ne cercano, perché dentro di sé hanno un esercito di gente che già discute su ogni più piccola cosa.

L’abitante di strada invece è uno stile di vita che obbliga a tanti compromessi scomodi, tra cui chiedere l’elemosina, che personalmente preferisco evitare. I vagabondi del Dharma erano più dignitosi, racconta Kerouac, erano nomadi e si prestavano a spaccare la legna e fare altri lavoretti per la gente sul margine della strada o della ferrovia, in cambio di un po’ di minestra e di una stalla dove dormire.

Quello dell’eremita era migliore ed è quello che scelto io, ma forse non l’ho proprio scelto, mi ci sono trovato. Vivere mezzo dentro la società, o anche ai suoi margini, prima di tutto obbliga ad avere un contatto con tanta gente che non ti piace, è vero che ci sono anche gli altri, ma anche loro hanno troppo da fare. C’è il vantaggio dell’internet, dei libri, di qualche bel film tra la tanta o troppa spazzatura ripetitiva. Sei portato a fare alcune cose che veramente non ti interessano, ma lo fai per ribellarti e anche quello è faticoso. A volte hai l’impressione di essere un Don Chisciotte senza Sancio Panza, e i mulini a vento sono troppi.

Ho capito che quello in fondo era il mio sogno, vivere lontano dalla cosiddetta civiltà, che poi era la cosa più incivile che si fosse mai realizzata, ma dopo qualsiasi fuga bisognava prima di tutto mangiare e sopravvivere, per potersela poi godere.

Insomma stavo molto meglio sull’isoletta, per fortuna avevo qualche soldo da parte e li ho investiti volentieri per farmici riportare, con un’attrezzatura calibrata, qualche cassetta di libri e una coppia di cani bastardi.

 


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