L’isola
non era lontana dal cielo ed era proprio dentro al mare, come di solito
succede, ma altra terra intorno non se ne vedeva e il naufragio, oltre varie
escoriazioni su tutto il corpo, mi aveva fatto anche battere la testa, i
ricordi venivano e svanivano con la stessa facilità.
Le
prime cose che ho dovuto risolvere sono state la fame e la sete. Un ruscello
c’era, ma ho dovuto girare quasi tutta l’isola per trovarlo. Per fortuna era
piccola, ma molto rocciosa e montagnosa, piena di vegetazione nei punti di
passaggio tra le rocce, quando ho trovato l’acqua dolce mi sono tuffato dentro
e ne ho fatto indigestione.
Per
mangiare è stato più complicato, ma la necessità è un motore che funziona bene,
aguzza anche l’intelligenza, nonostante l’occasionale e logica debolezza, questo
dovrebbe dimostrare che nel comfort forzato della vita moderna usiamo solo una
parte minima delle nostre risorse fisiche e mentali, ma non ce n’è alcun
bisogno, lo sappiamo già.
I
pesci c’erano, insomma, anche numerosi, ma pescarli senza l’attrezzatura
necessaria, per uno come me, che non aveva mai pescato, era difficile. Le
piante da frutto anche abbondavano, ma i frutti non li avevo mai visti, come
sapere se una cosa era velenosa o no? Mi sono fidato delle formiche e degli
uccelli, che non sono un test assoluto, ma la frutta che mangiavano loro l’ho
mangiata anch’io. Intanto mi ricordavo che in Italia c’erano le elezioni, mi
sono sentito contento di essermele perse in blocco, propaganda inclusa e
dibattiti. I candidati mi garbavano poco tutti, su vari livelli, c’erano quelli
brutti e quelli peggio, i buoni non si
erano candidati, da un po’ di tempo non lo facevano, mi venne anche il dubbio
che forse non lo avessero mai fatto. I peggiori normalmente sono quelli che
vincono, nell’epoca moderna, nessuno credeva a Trump e a Bolsonaro, ma hanno
vinto e governato per anni, si fa per dire, alla loro maniera. Il voto di
protesta spesso porta a medicine più micidiali delle malattie stesse, la sua eventuale
utilità dovrebbe nascondersi nella futura coscienza della gente, ma spesso è
solo teoria, le memorie sono corte e piene di buchi.
Il
campionato di calcio era quasi in mano all’Inter e io ero tifoso del Crotone, che
lottava per non retrocedere, per meglio dire annaspava per non affogare, avevano
già cambiato tre allenatori ed eravamo appena a metà campionato.
Di
bello c’era che senza luce elettrica e senza televisione, senza radio, tutte
queste cose me le potevo dimenticare ed era bello, in un certo senso, bastava
sopravvivere, anche se i pesci sembravano farsi beffe di me.
D’accordo:
c’erano anche i topi, i conigli, i serpenti e uccelli di vario tipo e misura,
ma nessuno di loro aveva voglia di finire nella mia pancia e io li capivo
anche, avevano sicuramente i loro validi motivi, ma in quel determinato momento
questa logica non mi confortava.
La
mia capannetta di stecchi e paglia l’ho costruita vicino al ruscello, che oltre
a darmi da bere era catalizzatore di animali per ovvi motivi, essendo l’unico
in giro con acqua dolce.
Conchiglie
e crostacei, gamberetti, grandi, medi e piccoli granchi sono stati i miei primi
antipasti, in attesa di prendere qualcosa di più grosso, magari sostanzioso e
di tempo ce n’è voluto assai.
Mi
sono ricordato che avevo anche moglie e figli in Calabria, a Soverato e che il
naufragio era successo sulla nostra barca a vela, insieme al mio socio avevamo
organizzato il giro del mondo, imbecilli che non eravamo altro, ma lui
probabilmente era morto e ora non se ne poteva parlare male.
Avevo
girato ormai tutta l’isoletta, non c’erano tracce di nulla di utile, solo pezzi
di barca, della nostra e di altre imbarcazioni, tra i rifiuti vari, organici e
non.
Probabilmente ci stavano già
cercando, come si dice in questi casi, e si cerca anche di crederci, senza
sapere se effettivamente è così e mentre si dice o si pensa, si guarda il cielo
e quello non risponde, poi il mare e meno ancora si vede qualcosa che ci
conforti, all’orizzonte o giù di lì.
Ce l’avevano fatta in tanti e io magari
non ero più sprovveduto di loro, a cominciare da Robinson Crusoe a Tom Hanks,
con il suo bravo pallone Wilson.
Un arco fatto con le corde trovate
sulla spiaggia e vari rami che si rompevano subito fu il primo tentativo, fino
a trovare una stanga, forse parte di una barca a vela, di un qualche metallo elastico
e leggero, coperto di fibra di vetro che funzionava bene. Le frecce hanno avuto
un’evoluzione più lunga e debitamente accompagnata da feroci bestemmioni, ma
alla fine hanno avuto efficacia e successo.
Era caldo assai, ma quando c’era
una tempesta, come quella che aveva sbatacchiato la nostra barca come un
fuscello, anche la mia capanna andava a pezzi e quei pezzi se ne volavano via
lontano, spesso anche in mare.
Perché lo chiamano il Pacifico è
ancora un mistero per me, forse era una pensata ironica di qualche buontempone
come il capitano Cook, giustamente ammazzato dai selvaggi che già intuivano di
non voler manco per niente essere salvati o civilizzati.
Ho trovato una grotta e lì le cose
andavano un po’ meglio, i primi pesci e uccelli sono caduti sotto la mia mira
scarsa, ma a forza di ripetuti tentativi e improperi a piena voce, poi lentamente
migliorava.
Il mare consegnava ruderi,
relitti, qualche volta animali in putrefazione, di cui per la maggior parte
pesci e uccelli. Mai un quaderno, un libro o una rivista logicamente poco
resistenti all’acqua marina e alle onde, ma sulla spiaggia più grande scrivevo
le mie memorie sulla sabbia, accanto a quella scritta più grande di SOS che
serviva per gli occasionali aerei, ma sapevo anche che le rotte dei quali sono
sempre le stesse e difficilmente un volatile meccanico se ne esce, ci sono enormi
zone del mondo dove navi, aerei e altri veicoli umani non transitano mai, se
non per sbaglio.
Non so quanto tempo era passato
quando la prima nave col pilota automatico è passata vicino ma senza vedermi, non
sono serviti neppure i miei falò che avevo preparato e acceso col vecchio
metodo degli uomini primitivi, che ormai padroneggiavo in tutta velocità.
Le stagioni in quell’isolotto non
c’erano e se ci fossero state magari non me ne sarei accorto, impossibile però non
notare le cicliche ma irregolari burrasche e i seguenti, o precedenti, giorni
di calma.
Nei film i naufraghi costruiscono rudimentali
zattere e poi quelle resistono, contro ogni previsione e loro si salvano, ecco
che la denominazione imbarcazioni di
fortuna viene spiegata dai fatti. Lì però non c’erano veri e propri alberi,
ma dei fusti di cespuglio alti e storti che a costruirci una zattera era
impossibile. Eppure ci ho provato, a farne dei fasci, legandoli con delle
specie di liane che crescevano sulla sabbia, per coincidenza era anche un legno
pesante che non affondava del tutto, ma rimaneva un po’ sotto la normale linea
di galleggiamento.
Alla fine mi ero rassegnato, in
seguito anche abituato e non era neanche male, parlavo da solo e mi rispondevo,
a volte anche incazzandomi che tanto se urlavo non disturbavo nessuno, la sera
invece di leggere cercavo di ricordarmi alcune parti dei libri che avevo letto
e che mi erano piaciuti.
La mia grande fortuna poi è stata
un container che si era agganciato agli scogli vicini alla baia grande, perso
da chissà chi e chissà dove, era pieno di roba utile, come libri, quaderni,
penne, tavoli, mobiletti e sedie, perfino un mappamondo e un atlante. Doveva
essere stato un trasloco e trai libri ce ne erano tanti in una lingua
sconosciuta, che forse era thailandese o qualcosa del genere, più alcuni, pochi
ma buoni, in inglese.
Intanto passavano i mesi e gli
anni, imbarcazioni che vedevo da lontano ce ne erano anche state, ma nessuna
era venuta da me, avevo anche smesso di fare i fuochi, a loro non gliene
fregava niente e cominciava a interessarmi meno anche a me.
Mi sono accorto che era bello,
anche se mi pareva che mi mancasse tutto, avevo qualcosa che in genere non si
ha, il tempo e lo spazio era mio, senza orologio né calendario, senza computer
né cellulare, né televisione.
Una mattina però mi sono svegliato
e ho sentito un frastuono di musica, pensavo di essere impazzito, ma sono
andato a vedere lo stesso, dall’altra parte dell’isola.
L’imbarcazione che li aveva
portati se ne era già andata, erano arrivati degli americani per girare un
film, volevano che partecipassi alle riprese, come attore che doveva fare il
naufrago. Li ho mandati affanculo anche se mi stavano salvando, se lo volevano
proprio fare, che lo facessero con un po’ più di rispetto.
Ho
appreso che eravamo nei dintorni di Kiribati, una repubblica insulare situata nel Pacifico
centrale, comprende 33 atolli corallini e numerose isolette che si estendono
lungo l'equatore. Con spiagge bianche e lagune, molte di queste isole sono
disabitate e offrono luoghi tranquilli per la pesca, le immersioni e il birdwatching.
L'affollata capitale, Tarawa Sud, è composta da piccole isole e conserva resti
delle battaglie combattute sulle sue coste durante la seconda guerra mondiale.
È nota per le danze tradizionali e l'artigianato.
Per essere salvato ho comunque dovuto
aspettare che la troupe se ne tornasse via, ammetto che si mangiava abbastanza
bene, il cuoco ed elettricista era spagnolo. Erano passati quattro anni,
guardandomi nello specchio non mi riconoscevo più, ero dimagrito almeno della
metà del mio peso, senza pane e pastasciutte, abbronzatissimo e con la barba
tra il canuto e il biondiccio, mi è tornato ancora in mente Tom Hanks e la sua
tristezza, ritornato al mondo precedente il naufragio, nel suo caso un aereo
schiantatosi in mare.
Di lì riuscivano a prendere anche
un po’ di internet, a pezzi e bocconi, dal computer di Larry Troubles, il
regista. Il New York Times parlava di una Pandemia, milioni di morti c’erano
stati al mondo, nessuno stato ne era rimasto indenne, ma gli Usa e il Brasile i
più decimati. In Italia Renzi era al terzo mandato, era riuscito a cambiare la
costituzione, si era alternato con Salvini negli ultimi anni, dichiarando
sistematicamente e pubblicamente peste e corna l’uno dell’altro, ma facendo lo
stesso tipo di politica che distruggeva le piccole imprese e premiava quelle
grandi, impoverendo i poveri e arricchendo ulteriormente i già ricchi. Sull’amata
penisola non potevano entrare più stranieri, a eccezione degli americani, e le
linee aeree erano tutte fallite, tra cui finalmente anche l’Alitalia, non so
quanto meritatamente, alla fine si è potuta riposare.
Il mondo era ancora e di nuovo
sull’orlo del baratro, eppure sembrava incollato, non cadeva giù, forse ci
voleva una catastrofe interplanetaria, o una guerra nucleare, magari batteriologica,
insomma ci stavano studiando.
Mia moglie si era risposata, i
miei tre figli vivevano alle isole Hawai, non lontanissimo da Kiribati. Il Crotone
aveva vinto il campionato, ma di serie C, trai giocatori di italiani ce ne
erano pochi, quasi nessuno, da tempo alle partite non poteva più intervenire il
pubblico. Fuori dagli stadi deserti, tutti, ma proprio tutti, andavano in giro
con la mascherina, solo i giocatori erano momentaneamente dispensati.
C’era un enorme mercato anche
clandestino di vaccini, veri e falsi, le case farmaceutiche prosperavano come
non mai, la gente moriva lo stesso, solo che le malattie avevano cambiato nome.
Almeno il problema della sovrappopolazione era stato brillantemente risolto.
Sono andato a trovare il mio
socio, che si era salvato ma la sua memoria no, era rimasta là in mezzo al Pacifico.
La famiglia lo aveva accolto come un bambino, uno che non ricordandosi di
niente non poteva soffrirci, non faceva soffrire nessuno. Mi è sembrato più
simpatico e realizzato di prima, nei limiti del possibile, aveva tutto il mondo
davanti, ma era pur sempre un mondo con il virus e la mascherina inclusi nel
prezzo, troppo alto per chiunque.
Per lui quella era stata
un’avventura dettata dal protagonismo, dalla competizione, con sé stesso e gli
altri, non saprei dire se avesse vinto o perso, di sicuro per lui ora non era
più importante.
La pandemia aveva appuntito i
presagi di catastrofe che c’erano già, la morte non era la parte peggiore,
piuttosto le conseguenze mentali che aveva scatenato, ora le varie categorie si
fronteggiavano, si odiavano e si combattevano anche di più.
La mia vita non mi piaceva nemmeno
prima, forse non me ne rendevo conto del tutto, ma il viaggio in barca a vela
intorno al mondo era stato per darle un senso e forse indirettamente glielo
aveva anche dato.
Organizzare
la resistenza contro il mondo moderno non è un cimento facile, ma viverci
dentro è peggio. C’è un vantaggio: non c’è bisogno di essere in tanti, anzi da
soli si passa più inosservati ed è un requisito fondamentale.
Ci
sono diverse maniere, quella dell’eremita forse è la migliore, perché è sempre
scevra di compromessi inutili, si vive o si muore, su una montagna, insomma
preferibilmente dove non c’è nessuno e si può fare amicizia con gli eventuali
animali del bosco. Si consigliano zone non molto fredde, nemmeno troppo caldeo
umide. Dipende dai gusti. Di solito dove c’è un clima buono c’è anche più gente
che ti vuole salvare, anche se non ne hai nessuna voglia o bisogno, è più forte
di loro. Comunque sia è importante non aver troppo bisogno della compagnia e di
solito gli esseri solitari non ne cercano, perché dentro di sé hanno un
esercito di gente che già discute su ogni più piccola cosa.
L’abitante
di strada invece è uno stile di vita che obbliga a tanti compromessi scomodi,
tra cui chiedere l’elemosina, che personalmente preferisco evitare. I vagabondi
del Dharma erano più dignitosi, racconta Kerouac, erano nomadi e si prestavano a
spaccare la legna e fare altri lavoretti per la gente sul margine della strada
o della ferrovia, in cambio di un po’ di minestra e di una stalla dove dormire.
Quello
dell’eremita era migliore ed è quello che scelto io, ma forse non l’ho proprio
scelto, mi ci sono trovato. Vivere mezzo dentro la società, o anche ai suoi
margini, prima di tutto obbliga ad avere un contatto con tanta gente che non ti
piace, è vero che ci sono anche gli altri, ma anche loro hanno troppo da fare. C’è
il vantaggio dell’internet, dei libri, di qualche bel film tra la tanta o
troppa spazzatura ripetitiva. Sei portato a fare alcune cose che veramente non
ti interessano, ma lo fai per ribellarti e anche quello è faticoso. A volte hai
l’impressione di essere un Don Chisciotte senza Sancio Panza, e i mulini a
vento sono troppi.
Ho capito che quello in fondo era
il mio sogno, vivere lontano dalla cosiddetta civiltà, che poi era la cosa più
incivile che si fosse mai realizzata, ma dopo qualsiasi fuga bisognava prima di
tutto mangiare e sopravvivere, per potersela poi godere.
Insomma stavo molto meglio
sull’isoletta, per fortuna avevo qualche soldo da parte e li ho investiti
volentieri per farmici riportare, con un’attrezzatura calibrata, qualche cassetta
di libri e una coppia di cani bastardi.
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