giovedì 1 ottobre 2020

IL SISTEMA BINARIO

 



 

Ho dei cugini da parte di madre nel nord dell’Inghilterra, a Prudhoe, provincia di New Castle, vicino al Vallo di Adriano, e al confine ideale con la Scozia. È gente affabile e di cuore, perciò l’ultima estate li sono andati a trovare, dopo ripetuto invito, con tutta la famiglia. Ci siamo divertiti assai, anche perché le donne e i bambini stavano da una parte e facevano le loro cose, intanto noi uomini assaporavamo venti giorni quasi da scapoli, oltre a tutte le bevande che ci capitavano a tiro, che non erano affatto cattive, né poche.



Lo zio Elton, anche lui di origine italiana, ma nato in Gran Bretagna, marito della cugina Pina, o Giuseppina, è un signore molto all’inglese, per la sua buffa maniera di scherzare senza ridere con l’umorismo non-sense che piace o non piace. A me personalmente piace. In più non è arrogante e parla solo quando ha qualcosa da dire, ma quando lo fa c’è da spanciarsi.

Non ho mai visto una persona con uno sguardo tanto sereno e aperto, all’inizio credevo che fosse solo un’impressione visiva e superficiale, creata semplicemente dai suoi occhi distanti, dalle sopracciglia ben definite e dalla pelle bianchissima, (che diventava appena rosea dopo qualche cicchetto) e quindi dalla conformazione del viso, invece no, era proprio come sembrava.

Una sera per esempio ci siamo messi a giocare a Paroliamo, a casa sua dove eravamo ospitati, c’era anche il cugino, Bertino, o anche detto Robert, fratello di sua moglie, un altro simpaticone, ma un po’ più spaccone e lui ci aveva portato del vino Romano Delli Castelli comprato a Glasgow. Diceva e ripeteva che era come la gazzosa, ne potevi bere quanto ne volevi, non c’era nessun problema. In effetti è un vino che sembra leggero, che però dà delle botte non indifferenti a chi non lo conosce. Io lo conoscevo ma ho fatto finta di no. Difatti dopo mezz’ora le regole del gioco erano diventate un po’ confuse e non si sapeva più che lingua usare, l’inglese iniziale o l’italiano indubbiamente più romantico, almeno per loro, o qualunque altro idioma ci capitasse, alla fine ci inventavamo direttamente le parole e le regole, si rideva di tutto e di niente.

L’inglese beve molto, l’italo-inglese non fa eccezione, non che l’italiano puro non beva, ma per tutti questi isolani è quasi una questione di onore, tutti i giorni, andare a letto in approssimativo stato di coma alcolico.

La serata più interessante è stata nei dintorni della grigiastra cittadina, alla Staple, che vuol dire stalla, un pub storico di là, dove alla birra alla spina buonissima di tre tipi fenomenali, si associa il gioco delle bocce, ma un po’ diverso da quello che conoscevo io.

Anzitutto il posto è bellissimo, in mezzo alla verde campagna su una collinetta, l’edificio è tutto in pietra a vista e durante i giorni feriali non c’è tanta gente, non c’è musica per fortuna e si conversa tranquillamente. Le piste per le bocce sono dei pratini perfetti e lunghissimi, inframezzati da siepi basse e passerelle di cemento e pietra, panchine e tavolinetti di pietra per gli spettatori, che a volte, per la più pura coincidenza, sono anche dei bevitori. Non c’è un filo d’erba fuori posto, le bocce sono come delle ruote ciccione, nel senso di come scorrono rotolando, essendo schiacciate nel mezzo e arrotondate sui lati, sembrano di pietra levigata e brillante, abbastanza voluminose e pesanti.

Giocando male e riuscendo anche a peggiorare con le relative bevute, ridendo e scherzando ho citato la somiglianza col bowling e zio Elton sorrideva serio e diceva che purtroppo tutti i giochi del mondo li avevano inventati gli inglesi, per il bowling erano stati sempre gli inglesi ma emigrati in America.

Naturalmente ci siamo fatti un certo numero di birre e se anche avessi avuto una tenue speranza d’imparare, mischiando bionda, rossa e scura, facevo solo dei danni e sono riuscito a tirare una pesantissima boccia rimbalzante anche sulla pista adiacente, saltando siepe di mortellino e passerelle laterali, pista che per fortuna era occupata da conoscenti di zio Elton, che si sono messi a ridere divertiti. Uno dei quattro era il colonnello Mountbatten, che mi hanno subito avvertito era l’inventore del Sistema Binario applicato alla vita. Erano tutti dei gentiluomini ma anche loro avevano bevuto la loro parte di birra, senza mischiare però, come facevo io. Queste stesse impeccabili personcine quando vengono in Italia fanno degli intrugli incredibili di spumante, liquori, birra e vino, ma in Inghilterra, forse perché lì ci devono anche lavorare, sono molto seri e sistematici nel bere. Non è che non si ubriachino, quando sono a casa loro, ma lo fanno in maniera più rigorosa e scientifica.

Il colonnello ha provato a insegnarmi a giocare, tra le risate di tutti, anche di altra gente che si è riunita attorno a fare il tifo. Alcuni piccoli ma evidenti miglioramenti li abbiamo anche ottenuti, tra cui il più riuscito probabilmente è stato quello di abbandonare quel gioco che non faceva per me, almeno quella sera, in condizioni somiglianti e di sedermi piuttosto a parlare con lui, della vita in generale e della situazione in cui ci trovavamo in particolare, noi poveri esseri umani.

Il colonnello era una persona molto educata e dall’umorismo sottile, che quando capisci che ti prende in giro ormai sei già letto e ti gira la testa, d’accordo, anche per altri motivi. Personalmente non ricordo nemmeno quando siamo tornati a casa e come, ma sono quasi sicuro di non aver vomitato.

Figurarsi che il giorno dopo si è sentito in colpa ed è venuto a scusarsi, a casa di Elton, io non capivo bene, ma era così simpatico che abbiamo cominciato a parlare e a raccontare le nostre rispettive vite, seduti in giardino, che a sera se ne è andato, solo dopo cena, stavolta io non avevo bevuto niente, l’acidità del mio corpo non lo permetteva, ma lui sì, ed erano passate sei ore in cinque minuti.

Zio Elton mi ha chiesto se avevo fatto caso a come era vestito, il colonnello Mountbatten, gli ho risposto di no, che mi era sembrato molto elegante e lo zio mi ha chiesto se avevo notato i colori.

Effettivamente aveva addosso sia la sera prima, che l’ultima appena conclusa, due unici colori a caso: il bianco e il nero. Alla Staple aveva pantaloni neri e giacca a quadrettini piccolissimi bianchi e neri, camicia e gilet bianchi, cravatta a righine diagonali bianconere. Un berretto nero a pallini bianchi, scarpe bicolori tipo ghette. La sera seguente un misto differente ma degli stessi colori.

Si trattava forse di un tifoso del New Castle?

Zio Elton ha riso, e con lui la sua famiglia, tutti lì sono tifosi del New Castle. La squadra locale gioca nel massimo campionato inglese e ha gli stessi colori del colonnello, ma solo per caso.

Mi ha chiesto se non mi aveva ancora parlato della sua filosofia di vita, il Sistema Binario. Non lo aveva fatto, no, ma zio Elton ha detto che non avrebbe tardato troppo. Gli ho chiesto che cosa ne sapesse lui, se poteva anticiparmi qualcosa, ha detto di no, che era meglio se me lo spiegasse il colonnello, di persona.

Fatto sta che io e il colonnello oramai eravamo coppia fissa, si andava a passeggio e si beveva qualche birra ogni tanto, si giocava a scacchi e a dama e lui, mentre mi massacrava senza pietà, mi chiedeva tante cose dell’Italia che onestamente non tutte gliele sapevo rispondere, ma una cosa che mi garbava è che non m’interrompeva e che lasciava che io esprimessi il mio pensiero esaustivamente senza alcuna pressione da parte sua, anche quando dicevo - in tutta lealtà - delle solenni minchiate.

Dichiarava che aveva una grande stima degli italiani e il perché era, più o meno, perché erano il contrario degli inglesi, nel bene e nel male, ma poi non mi ha spiegato qual era il bene e quale il male, nella sua personale opinione.

Avevo notato che i suoi vestiti cambiavano, ma i colori erano sempre bianco e nero, quadrettini e righine di preferenza, ma con molte variazioni, qualche pois stampato solo sui foulards, qua e là mi sarei aspettato un Principe di Galles, ma quello poi non è mai arrivato, forse perché c'era di mezzo il grigio.

Le scarpe a righe o a quadrettini, dei soliti due colori, non le ho viste solo a lui, a suo tempo c’erano anche cantanti o musicisti del genere SKA tipicamente londinese, che le usavano.

Siamo andati alla partita del New Castle che è riuscito a vincere con il grande Liverpool ed è balzata al tredicesimo posto della classifica, che secondo il colonnello non portava affatto sfortuna, al contrario, molto meglio del sedicesimo, per esempio.

Per festeggiare siamo andati al pub, zio Elton era già lì e si è unito a noi con altri gioviali tifosi della terza età. Ci siamo divertiti a parlare di calcio soprattutto dei vari scontri Italia-Inghilterra dei quali loro avevano un’interpretazione diversa dalla mia e forse da quella di tutti gli altri italiani, emigrati anche all’estero. Zio Elton difendeva i nostri e la sua origine, ma in due eravamo pochi e il colonnello era neutrale. Però ho notato che rideva assai quando gli inglesi giustificavano il fallimento della loro nazionale nei vari campionati europei o mondiali. Ah-ah-ah! Avevano inventato il gioco, ma non avevano mai saputo mantenerlo al passo con i tempi.

Alla fine, quando gli altri se ne sono andati, ha detto, sussurrando quasi confidandomi in segreto, che loro per vincere uno straccio di mondiale avevano dovuto giocare in casa e comprare gli arbitri. Io ho opinato che però nelle ultime coppe europee, su due finali erano quattro squadre inglesi, cioè in percentuale il cento per cento, lui ha replicato che però c’era un particolare interessante: erano squadre inglesi piene di stranieri. Ben vengano gli stranieri, non è un problema, anzi è la soluzione, ma poi non mi si venga a dire che la Francia ha vinto i mondiali in Russia, che in campo erano tutti africani e neri. Niente a che fare con il razzismo, neanche con il nazionalismo, né col campanilismo, solo una questione di stretta logica. Va bene che c’era la globalizzazione in atto e non ci si poteva nascondere dietro a un dito, lui si sentiva un cittadino del mondo prima che inglese, ma secondo me queste cose gli facevano un po’ di confusione in testa, per questo che non gli piacevano. Forse il sistema binario serviva a eliminare tale confusione. Poi visto che sul calcio si parlava di poca roba nazionale, anche in Italia e tanti o troppi prodotti importati, volevo cambiare argomento anche di poco, ma lui insisteva.

Le sue teorie non mi convincevano ma non glielo ho detto, volevo che andasse sulla sua specialità, la teoria che aveva inventato, di cui gli altri mi avevano parlato.

Cercavo di portarlo sulla filosofia più teorica e fondamentale, magari meno attuale, ma non ci voleva venire e cambiava di direzione, in maniera affabile e buffa, ma determinata.

“Nel mondo ci sono tanti altri mondi dentro, e anche fuori, non sono nascosti, siamo noi che non li conosciamo. Prendi i cinesi, i giapponesi, i birmani, i coreani… tutta questa gente che cosa ha a che fare con noi? E i mussulmani? Gli australiani per quanto lontani per ovvi motivi ci assomigliano di più, almeno apparentemente. Anche approssimandoci qua attorno gli svizzeri, i belgi, i tedeschi, gli olandesi con noi hanno poco da spartire. La Scandinavia lì accanto è un altro pianeta. Non parliamo degli slavi, per esempio i russi e i bulgari, chi li conosce?”

Era un piacere sentirlo parlare di tutto e di niente, il niente prendeva il sopravvento e distruggeva il tutto a forza di ben congegnate martellate metaforiche, ma nulla da fare per la teoria in questione del sistema binario applicato alla vita di un qualsiasi essere umano.

Alla fine dei nostri magnifici venti giorni inglesi pensavo che il colonnello mi sarebbe venuto a salutare, prima della partenza. Invece no, ha mandato un biglietto che Elton mi ha consegnato sorridendo, mi ha scritto che non gli piacciono gli addii, anche quando hanno buona probabilità di diventare arrivederci. Dentro una busta marrone un libretto in inglese la cui introduzione mi sono fatto tradurre sommariamente da mio zio Elton. Non capivo molto bene e allora mio zio mi ha spiegato con parole sue, come lo aveva capito lui.

Cecil Mountbatten-Windsor è l'inventore del Sistema Binario, cioè della sua applicazione pratica nella vita.

Per esempio nel calcio, un giocatore tira una legnata della madonna con l'intento di segnare. A questo punto a noi ci vengono in mente tante possibilità: il portiere para e un difensore spazza l’area di rigore, il portiere tocca la palla ma entra lo stesso ed è gol, il portiere devia in calcio d’angolo. Oppure il pallone batte sul palo, o sulla traversa, o in faccia a un difensore, nel sedere di un attaccante della stessa squadra. Il tiro è imparabile e il portiere non si muove neanche, un difensore para con la mano, è rigore… si potrebbe continuare per decine di possibilità diverse, ma il colonnello dice che ne esistono solo due importanti: 1) è gol, 2) non è gol.

Quindi secondo lui la verità sta nelle prime cose che ci vengono in mente, nella selezione naturale delle più importanti, nel saggio fondamento di non farsi troppe seghe mentali.

Essere essenziali nella vita è importante, mettersi a parlare di tutto e di niente per divertimento va anche bene, ma sulle cose serie non scherziamo, per favore.

Il libretto è interessante, purtroppo però non c’è in italiano e l’inglese mi fa invariabilmente giungere al dubbio se ho capito bene o no. Anche con l’aiuto di un dizionario valido accanto.

Lateralmente confesso che mi è sempre piaciuto fare esperimenti con le persone, ma non per divertirmi alle loro spalle, né per farli litigare, piuttosto per combinare caratteri e aspirazioni, forse per far conoscere individui che senza di me non avrebbero speranza d’incontrarsi e che magari possano giovarsi della reciproca compagnia. Come primi risultati di queste mie esperienze pratiche della mia piccola curiosità umana a fin di bene, ho ottenuto la comprensione e forse anche la conferma che siamo tutti esseri piuttosto imprevedibili. È veramente difficile e quindi - in un certo senso - più appassionante, fare delle previsioni di come uno di questi incontri potrà risultare, dalla teoria alla pratica, dove il fattore umano è determinante. Sono comunque un fine osservatore, anche gli altri non mancano mai di osservarlo, questa semplice osservazione si basa anche sul fatto per niente trascurabile che non dimentico mai una faccia, ma il soggetto in questione si era camuffato con una barba e un comportamento diverso da quello che era stato prima. 

Giacobbe Roggio era seduto a quel tavolo della Coop, accanto agli scaffali dei libri che si potevano prendere gratis in prestito. Aveva avuto un’officina di elettrauto e aveva lavorato come un matto tutta la vita, aveva costruito una delle più belle case del paese. Andato in pensione si era tolta la tuta sporca da lavoro e automaticamente si era vestito come un barbone, certo quello che era successo nel frattempo io non lo sapevo e nemmeno quello che non era capitato e che magari sarebbe dovuto accadere.

Ora la casa è ferma nel tempo, il giardino lasciato a sé stesso, il muschio ha sostituito l’erba e le finestre sono sempre chiuse. Sembra abbandonata.

Anche la sua barba era cresciuta a dismisura, aveva lo sguardo un po’ troppo fisso, vagava per il mondo senza meta e soprattutto non aveva fretta. Era sempre da solo.

Non ci avevo mai parlato prima. Una volta, sempre alla Coop, mi aveva apostrofato allegramente mentre prendevo un enorme grappolo di uva pizzutella nera per pesarlo, mi aveva detto che era bella e chiesto se era buona e io gli avevo risposto di sì, che ne valeva veramente la pena.

Poi lo avevo incontrato altre volte, ma lui non sembrava riconoscermi, o se mi aveva riconosciuto non dava eccessiva importanza al saluto, gli bastava guardarmi con quei suoi occhi che mi attraversavano, apparentemente senza nemmeno registrare la mia presenza, forse occhi di un pazzo controllato, o i pazzi erano gli altri? Non lo so e non lo voglio sapere. 

Era lì a quel tavolo, quel giorno, mangiava da un vassoietto di alluminio delle lasagne al sugo di carne. Gli chiesi se erano buone, disse di sì. Gli domandai dove le aveva prese, mi mostrò con il dito indicando lì il banco della gastronomia, avendo la bocca piena. Gli chiesi poi se avevano anche la pasta al pesto, avendo già inghiottito il boccone precedente, dichiarò che quel giorno non ce l’avevano, ma altre volte sì.

In un’altra occasione ho trovato un libretto consumato tra quelli che c’erano su quegli scaffali. Il coso, insomma quello là  di Giacobbe Roggio, sotto c’era scritto in piccolo: Poesiuole o come volete chiamarle. Me lo portai a casa incuriosito. Seduto in giardino inforcai gli occhiali e dopo poco avevo già notato che se quelle erano poesie avevano una caratteristica che univa tutte le cose, le situazioni, gli animali, le persone. Registravano sempre un dualismo, una maniera differente di vedere la stessa realtà. Il titolo corrispondeva al totale della poesia, o di quello che era, spesso si rifaceva a schemi fissi:

 

1)La musica è bella, ma quando non c’è si sta meglio.

2)La vita mi garba, ma da morti si riposa più tranquillamente.

3)Mia moglie è simpatica, ma il meglio di lei è quando se ne va.

Poi aveva elaborato qualcosa di più complesso:

4)Il mio cane mi vuole molto bene, ma forse io gliene voglio di più.

Noto per contrasto che ci sono persone che quando parlano hanno l’aria di volerti insegnare sempre qualcosa di fondamentale. Magari sono prevenuto, o sono loro che da palloni gonfiati quali sono mi riempiono tutto lo spazio vitale, mi soffocano e mi obbligano a una fuga, o a una chiusura totale. Io sono di quelli che ci tengono costantemente a imparare qualcosa di nuovo, ma quando uno di questi signori incrocia il mio cammino e la loro voce arriva alle mie orecchie, io sarei disposto a fare qualsiasi cosa, per sfuggirgli, anche volendo non mi riesce di ascoltare nemmeno una parola di quello che dicono.

E poi ci sono quelli come Giacobbe Roggio, quelli che quasi non parlano, ma dagli occhi capisci tutto e scrivono anche poesie, per così dire. Piuttosto frasi slegate, aforismi, che dicono tutto e niente, la tua interpretazione è parte di esse, la sua risata finale, il suo sguardo limpido e vuoto le giustifica e le rende importanti. Fanno ridere, ma sono anche profonde e serie.

Mi piacciono le persone che non si danno troppa importanza e che dicono la loro opinione solo se gliela chiedi, di solito sono quelle che mi risultano più gradevoli.

Il mondo sta dimenticando il rispetto, ecco il problema. Hanno perso di vista i limiti, che ci sono ora, quelli ci sono sempre stati e non si possono semplicemente ignorare. Hanno tutti fretta e invece di ragionarci un pochino buttano giù gli ostacoli a spallate.

Insomma se qui per noi è tutto a misura d’uomo, io mi ero messo in testa, come ho già accennato, di far conoscere esseri umani che senza di me non avrebbero potuto mai incrociare i propri destini. Non era la prima volta che ci provavo, forse non sarebbe stata nemmeno l’ultima, ma le altre… beh, le altre volte erano miseramente fallite. Non tutte ma quasi, avevo fatto male i calcoli io, o si erano comportati in una maniera inaspettata loro… insomma non avevo ancora capito bene.

Per farla breve nel dicembre seguente il colonnello è venuto a trovarmi a Molina di Quosa, come aveva promesso per lettera. Sono andato subito, ma come se fosse per puro caso, a chiamare Giacobbe Roggio, però a casa non c’era, mi hanno detto che non viveva più lì, ma non sapevano dove. Li volevo far incontrare, ma non sapevo come, lui non c’era sull’elenco telefonico, non aveva un profilo Facebook, sono andato anche dai Carabinieri, ma mi hanno detto che dovevano rispettare la sua privacy.

Intanto con il colonnello c’eravamo fatti un bel giro per la provincia di Pisa, eravamo saliti anche sulla famosa torre. A Lucca avevamo fatto un giro di mura, passeggiato per il centro storico. A scanso di equivoci lui aveva più volte apprezzato qualche bella ragazza di passaggio, io con lui avevo commentato e raccontato cose che quanto all’omosessualità non avrebbero dovuto lasciare dubbi.

Il giorno prima del suo ritorno a Prudhoe siamo andati a fare la spesa insieme per preparare la cena di addio, che nelle nostre intenzioni era un allegro arrivederci, ma quella sera non volevamo certo farci mancare qualcosa. Al supermercato abbiamo trovato la sorpresa: Giacobbe Roggio seduto al tavolino della bibliotechina dei soci che si gustava una macedonia di frutta, come al solito presa al banco della gastronomia. Senza alcun pensiero in testa che non fosse il sapore di quello che stava assaporando, guardava in alto ed evidentemente non vedeva nemmeno, né sentiva, tutto il caos che c’era intorno. Gli ho presentato il colonnello Windsor- Mountbatten e ho cercato di introdurli a vicenda, dicendo cose moderatamente stupide, ma che potevano avere punti in comune con le loro rispettive filosofie. All’inizio sembravano averne poca voglia, o forse erano solo guardinghi. Però pochi minuti dopo hanno lentamente cominciato a parlare del dualismo dell’onnipresente materia, del famoso Rasoio di Occam, dell’assurdità della vita e delle umane situazioni. Si esprimevano tramite un colorito misto piuttosto maccheronico delle due lingue, ma s’intendevano benone, a tratti li capivo perfino io, ma mi pareva che non avessero nessuna voglia di ascoltare quello che avessi da commentare a proposito.

Quella sera abbiamo invitato Giacobbe a casa mia, i miei avevano mangiato prima, di solito alle sette e mezza, al massimo alle otto, avevano già finito. Noi fra i discorsi, le bevute e la preparazione siamo andati a tavola alle nove e mezza.

Per una strana coincidenza l’ex elettrauto aveva appena venduto la casa, si era separato dalla moglie, non aveva figli, quindi ha colto la palla al balzo ed è andato a vivere a Prudhoe, portandosi il suo vecchio e fedele cane Biroldo, nel nord dell’Inghilterra, vicino al Vallo di Adriano. Giacobbe era stato a suo tempo tifoso della Juventus, forse lo era ancora, il New Castle aveva gli stessi colori. Il mio sforzo aveva funzionato, anche in maniera superiore alle aspettative.

Ci ho provato a farli riflettere sul fatto innegabile che nella vita a volte le opzioni possono essere anche tre, in certi casi anche quattro, o numeri addirittura superiori. Però loro non mi hanno dato retta, quelle sono coincidenze assai rare, quindi non gli interessavano. Alla fine il sistema binario funzionava magnificamente bene per loro, disgraziatamente però non prevedeva più la mia presenza di terzo incomodo e improvvisamente mi guardavano come se non sapessero spiegarsi la mia inutilità al mondo.

 

 

 

 


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