mercoledì 23 gennaio 2019

ONIRISMO AL GALOPPO



Dal registro di annotazioni del noto psicoanalista calvo Wolfgang Schlegel, insigne professionista autodidatta, assai ben considerato dalla Svizzera tutta, ma in particolare nel Canton Ticino. (I pazienti capiscono meglio quello che dice, principalmente perché non usa termini tecnici, che anche volendo non li sa o non se li ricorda, e poi fa prezzi più abbordabili.)

Interpretazione dei sogni e psicoanalisi a Mendrisio

giugno 2002-aprile 2004

Casi indicativi:

1)Incubi ricorrenti, un caso difficile e lungo
(come farlo terminare prima che sia troppo tardi...)

Si chiama Gundel Tropea, cinquantotto anni, nubile, ben pagata sarta e camiciaia per un prestigioso sarto, Aris Scharf, conosciuto come Lo stilista dei Grigioni. Alta un metro e quarantanove, molto magra, capelli stopposi e neri, occhi scuri, si veste con scarso gusto, (a dispetto della sua occupazione nel ramo, iniziata già dall’adolescenza,) in maniera particolare prediligendo inappropriate scollature profonde, combinate con la totale mancanza di seno e fantasie floreali assai vivaci, calzature pastorali, borsette di pelle ocra a tracolla, pesanti e compatte per via del loro sconosciuto quanto misterioso contenuto, autentiche armi improprie. Questa singolare signora di origine italiana e lucana, mia paziente dal 1976, regolarmente una volta al mese andava a cena al ristorante Marechiaro di Chiasso, s’abbuffava a più non posso e la notte faceva un incubo che la sottoponeva a uno stato di stress non indifferente.
Non ingrassava però in maniera significativa, suppongo per via della costituzione assai scarna e della vita morigerata che altrimenti faceva. Generalmente si accompagnava con la vedova Ciacconi Deborah, che dalle foto direi stazzava almeno tre volte il peso di Gundel. Conosciuta personalmente in seguito, ho constatato che era diventata ancora più corpulenta. Di per sé la cosa era esagerata e io gliel’ho sempre detto, alla signora Gundel, ma è una tradizione, diceva lei, al mondo d’oggi le tradizioni morivano, secondo Gundel e Deborah, in maniera ingiustificata e, a volte, perfino dolorosa e straziante. Verso la metà degli anni 80, io suggerii che potevano anche essere leggermente modificate, queste tradizioni, per esempio rinunciare al grande vassoio delle patate fritte, che ne so, magari alla peperonata, anche per vedere se e come l’incubo potesse reagire. Gundel, invece, sostenne in modo oltremodo veemente che non erano le cose buone della sua vita che lei voleva cambiare, altrimenti non avrebbe avuto nessun maledetto bisogno della mia consulenza, insomma, spendere dei bei soldoni e in più sopportare le mie richieste assurde, che chissà perché poi erano sempre le stesse eccetera, eccetera. Forse a quel tempo il nostro rapporto poteva ancora essere interrotto, ma io non me ne resi conto, magari avrei dovuto immaginare cosa sarebbe diventato in seguito, solo che avevo molti meno clienti di ora e dovevo ancora farmi un nome.
Ecco i disgraziati fatti a seguire: dal 1959, durante la nottata della mangiata, il sogno si manifesta senza variazioni, anche se il ristorante dal 1978 si chiama Wiener Schnitzel, (Cotoletta alla Viennese). Insieme alla gestione, la sua cucina è cambiata, dai sapori mediterranei è passata, in un solo salto, a quelli tipicamente transalpini. Tutto ciò che là dentro rappresentava l’Italia, ora è svizzero-tedesco e non solo a livello nutrizionale le differenze sono enormi. Però quell’incubo è di quelli ostinati, non ne ha voluto sapere, né di latitudine né di longitudine, né di razzismo, né di politica, né di differenze, né di cambiamenti radicali, non solo puramente culinari ma organolettici, tra l’olio d’oliva e il burro, tra la il pesce e la cacciagione eccetera eccetera. Un incubo identico, sempre puntuale e testardo fino ad oggi, non si è mosso di un millimetro. Questo, tra l’altro, fece fallire la mia teoria di cambiare qualche portata della mangiata, suggerendo che non era colpa di vivande e bevande, ma piuttosto di un tipo di psiche, o, più probabilmente, della cronica esasperazione di quest’ultima. All’epoca io scartai anche, forse a torto, le creative ipotesi della signora Ciacconi Deborah: che l’incubo avesse volontà propria, che ci fosse di mezzo il diavolo, oppure qualcosa a che fare con i riti Voodoo, o qualcosa del genere. La paziente rifiutava di ammettere a se stessa che lei impersonava il protagonista (maschile) dell’avventura onirica in questione e nemmeno con gli altri lo accettava, visto che alle mie insistenze ha risposto a borsettate e pareva che là dentro ci fosse almeno un mezzo chilo di piombo, però tritato, come se fossero pallini di cartucce da caccia al cinghiale. Illustri studiosi, di questa complicata materia, dicono che tutti i personaggi dei nostri sogni rappresentano noi stessi. Mi permetto di dissentire, ho avuto modo di riscontrare un buon numero di eccezioni, anche se, in questo, l’immedesimazione con l’attore-cantante Schatzi Krügeli è oltremodo evidente. Per esempio un mio cliente di Lucerna, importato a Briga, non è nessuno, ma proprio nessuno, di tutte quelle persone che gli appaiono in sogno; caso rarissimo. Una signora di Locarno invece s’impersona solo negli animali, specialmente in quelli a pelo lungo; un pakistano che vive a Gaaden si incarna preferibilmente in grossi oggetti, come nelle cucine componibili di determinate marche nazionali, che per quel che se ne sappia non hanno niente a che fare con la sua routine di vita. La mia interpretazione, comunque, rivista e corretta anche attraverso pareri di colleghi illustri, parla chiaro e forte: è proprio lei, la signora Gundel, donna scura e magra originaria della Basilicata, più esattamente di Morano, che nel sogno diventa uomo pallido, grasso e svizzero, di un cantone che qui non posso citare, ma, per un’apparente strana coincidenza, notoriamente assai razzista nei confronti dei meridionali italiani. È evidente che si sente in colpa per qualcosa, però non anticipiamoci, ecco la trama:
Un tale entra in un bar dove l’unico cliente è, per strana coincidenza, proprio Schatzi Krügeli, cantante svizzero degli anni sessanta, abbastanza famoso in patria, aldifuori della quale è conosciuto solo nei paesi di lingua tedesca, per la sua verve e simpatia, nonché oggetto di articoli di riviste di pettegolezzi, in più appassionato mangiatore di funghi e formaggi alpini. Là dentro Schatzi, seduto, legge un giornale svizzero tedesco, Der Wilhelm Tell (Il Guglielmo Tell) di Berna, con aria mezzo addormentata, sul tavolo un bicchiere di liquido che, giudicando dal colore e dal tipo di bicchiere caratteristico, potrebbe essere un generoso cognaccone, spicca una punta di sigaro all’angolo della bocca, mezzo spento, dietro il banco non c’è nessuno. La cosa pare strana, visto che il cantante, vivo e vegeto nei primi otto anni del manifestarsi del sogno, poi, si era ritirato dalla vita reale e terrena, in seguito a un scontro frontale in motocicletta , durante una gita per le colline Senesi, con una mucca di razza Chianina.( In seguito anche alla povera bestia innocente provocò emicranie e problemi vari al latte a venire.) La storia prosegue con l’entrata di una robusta cameriera che ha tutta l’aria di essere Schatzi Krügeli con una parrucca platinata alla Marilyn Monroe, ma senza privarsi dei suoi caratteristici baffoni spioventi, il quale (o la quale) lo guarda esterrefatta (invece a rimanere stupito doveva essere lui, che poi sarebbe una lei: la Gundel Tropea mia paziente). Ecco che, quasi contemporaneamente, un poliziotto alquanto corpulento fa il suo catastrofico ingresso nel bar, incespicando nella soglia proprio come avrebbe fatto Schatzi Krügeli, in una delle sue famose commedie musicali. Cade, distrugge un tavolino e i bicchieri che c’erano sopra vanno a fracassarsi e i vetri a spargersi tutto intorno sul pavimento. Da terra alza faticosamente il capoccione e... indovinate chi è? In un angolo c’è una televisione in bianco e nero, il presentatore del telegiornale, anche se più austero degli altri, dotato di occhiali a fondo di bottiglia, è ancora una versione, maldestramente cammuffata, di Schatzi Krügeli. Il tale comincia a sentirsi soffocare e va in bagno. Dopo aver vomitato senza economia di effetti sonori, si asciuga con una cinquantina di salvietti di carta, si bagna le tempie e il collo e mentre si guarda allo specchio, si accorge di essere anche lui un ennesimo clone dell’ex attore e cantante svizzero. A questo punto il finale del sogno: l’uomo o Schatzi, se volete, si spara in gola tutte le merendine esposte al banco colla loro confezione di cellophane trasparente e tutto, coll’evidente intenzione di farla finita con quell’ignobile farsa.”
Da notare che la signora non ha mai gradito le merendine, secondo lei piene di conservanti, per non parlare della plastica, che non è affatto l’alimento ideale, anche per un coriaceo essere umano come lei. Al termine dell’incubo la mia paziente si sveglia e per qualche giorno non beve e non mangia. Ossessionata e indebolita, poi, dal suo stesso comportamento, si sente colpevole, esattamente per giorni sette. Poi comincia a voler fare qualcosa per cambiare, viene di nuovo da me, sembra risoluta a dire un basta definitivo a quella storia. Intanto la data fatidica si avvicina e quando è il giorno prestabilito, che coincide con il suo giorno di paga, non sa resistere e fa esattamente quello che il ciclo, iniziato quarantaquattro anni fa, ancora le impone.


Effetti collaterali

La signora Gundel, col passare del tempo, conoscendomi sempre meglio, rifiuta di essere scaricata ai miei colleghi psicologi, psichiatri e così via discorrendo. Visto che il caso non si risolve, ho pensato e detto, inutilmente, di provare con alcuni di loro, ma la sua reazione è stata, come sempre, impulsiva e inclemente, anche se devo dire che, quando usciamo dal pronto soccorso, lei si scusa sempre con me e pare sinceramente pentita. Intanto è diventata sempre più violenta e le sue borsettate fanno sempre più male, sia alla mia coscienza professionale e pubblica, che alla mia cervice casalinga e privata. Non sto esagerando, ho qui documenti che attestano che ho sofferto di una commozione cerebrale e soffro periodicamente di emicrania nervosa, che si manifesta principalmente al primo del mese... e, cosa rara, anche quando lei non mi colpisce, i sintomi si presentano ugualmente.



Flashback

La signora Gundel aveva amato il cantante quando era giovane, lo aveva conosciuto allo Sparviero, o Casa del Liscio di Ripafratta, provincia di Pisa, poi, in una notte di ballo in riva al fiume Serchio... e di qualche bicchierino in più, lo aveva abbracciato e baciato, senza alcun preavviso. Lui era fuggito strillando appena aveva potuto divincolarsi, ma poi era ritornato a lei, magari perché aveva dei rimorsi, lei forse gli piaceva e/o nella lotta precedente gli era caduto il portafogli. Tutti l’avevano presa in giro perché lui aveva un comportamento da finocchione, da notarsi il nome Schatzi (in tedesco tesoruccio). Visto nelle foto dell’epoca, lui ricordava una cicciona con i baffi, la signora invece pareva e pare sempre di più un corvo con un vestitino floreale e con gli occhiali. Da non trascurarsi: che, se lui era una mezza donna, lei era un mezzo uomo, sarebbe stata, quindi, da considerarsi una coppia ben assortita, che si sarebbe, forse, completata reciprocamente, se solo ne avesse avuto l’occasione. Certo, il principio di baffi della signora Gundel era ed è un’evidenza, oltre che un eufemismo. In lunghezza peli dall’uno ai tre centimetri, a seconda dell’ora del giorno alla quale la si possa incontrare e misurarglieli. Non che lei non si rada ogni mattina, ma secondo le sue stesse parole: quelli crescono come fottuti, pur contro la mia volontà e liberi al vento se ne vanno.
L’amore durò poco, comunque, magari per un insieme di coincidenze sfortunate, infatti, appena recuperato il portafogli, lui si volatilizzò. Dicono che fu visto, pochi giorni dopo, tra le braccia di un macellaio torinese di origine tarantina, piuttosto esageratamente peloso, sulle rive del fiume Lambro, nella periferia di Milano. La signora aveva manifestato più volte la speranza di ritrovare il cantante svizzero, per poterselo finalmente sposare. All’occorrenza avrebbe anche chiuso un occhio, non doveva essere necessariamente un attore o un cantante, le sarebbe andato bene anche un ragioniere, o un assicuratore, o a limite anche un impiegato dell’anagrafe. La vita spesso è beffarda e lei si è conformata al suo destino di sposare, invece, la causa del Partito dei Pensionati, in quanto più meritevole e di immediata urgenza in vista di una temuta riforma previdenziaria alle porte e della sua vecchiaia personale e incipiente. Dopo questo necessario flashback e alcune puntualizzazioni ecco la mia interpretazione:
La signora Gundel si sente in colpa per due cose: essere una mangiona anche se fondamentalmente periodica ed essere piuttosto mascolina. Alla prima cosa aveva reagito, facendo delle ingiustificate diete martirizzanti, ma questo aveva peggiorato l’altra colpa: quando dimagriva i baffi e la peluria crescevano di più. Grassa non era mai stata e le sue due uniche opzioni erano magra e magrissima, quando ingrassava, perciò, diventava magra, ma si trattava al massimo di due o tre etti in più. Nel sogno ritrovava Schatzi come aveva sempre voluto, ma la sua ossessione gli serviva uno scherzo: tutti i personaggi del sogno si tramutavano in un sosia dell’abbondante cantante svizzero, finché lei stessa, sotto le sembianze del protagonista, diventava un ennesimo Schatzi Krügeli. Nel suo effimero amante lei aveva sempre ammirato soprattutto il fatto di essere il contrario di lei, una donna mascolina, cioè un uomo effemminato e che non si faceva affatto una colpa della sua passione smodata per i latticini montani e per i profumati funghi di bosco. L’assalto alle merendine si spiega come una ribellione, sì, ma anche una presa di coscienza finale, per dare sfogo a tutto il suo istinto goloso, visto che le sembrava evidente che l’eccessivo manifestarsi della sua parte mascolina non aveva soluzione possibile e che, in fondo in fondo, poteva permettersi di mangiare, perché non era per niente grassa. Il passo successivo sarebbe dovuto essere spiegarle che era omosessuale, che avrebbe vissuto meglio facendosi carico di quella realtà, rimastale nascosta fino a quel momento, ma considerate le precedenti botte, non trovo il coraggio di dirglielo. Ho comprato un caschetto giallo da cantiere edile, mi sto preparando davanti allo specchio. So che devo farlo, ho il dovere morale di dirle la verità, la mia credibilità professionale lo esige, ma anche la mia salute, non solo quella mentale. Potrei accennarglielo per telefono oppure per e-mail, chissà che non ci sia anche un fax dal sarto dove lavora.







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