Dal
registro di annotazioni del noto psicoanalista calvo Wolfgang
Schlegel, insigne professionista autodidatta, assai ben considerato
dalla Svizzera tutta, ma in particolare nel Canton Ticino. (I
pazienti capiscono meglio quello che dice, principalmente perché non
usa termini tecnici, che anche volendo non li sa o non se li ricorda,
e poi fa prezzi più abbordabili.)
Interpretazione
dei sogni e psicoanalisi a Mendrisio
giugno
2002-aprile 2004
Casi
indicativi:
1)Incubi
ricorrenti, un caso difficile e lungo
(come
farlo terminare prima che sia troppo tardi...)
Si
chiama Gundel Tropea, cinquantotto anni, nubile, ben pagata sarta e
camiciaia per un prestigioso sarto, Aris Scharf, conosciuto come Lo
stilista dei Grigioni. Alta un metro e quarantanove, molto magra,
capelli stopposi e neri, occhi scuri, si veste con scarso gusto, (a
dispetto della sua occupazione nel ramo, iniziata già
dall’adolescenza,) in maniera particolare prediligendo
inappropriate scollature profonde, combinate con la totale mancanza
di seno e fantasie floreali assai vivaci, calzature pastorali,
borsette di pelle ocra a tracolla, pesanti e compatte per via del
loro sconosciuto quanto misterioso contenuto, autentiche armi
improprie. Questa singolare signora di origine italiana e lucana, mia
paziente dal 1976, regolarmente una volta al mese andava a cena al
ristorante Marechiaro di Chiasso, s’abbuffava a più non posso e la
notte faceva un incubo che la sottoponeva a uno stato di stress non
indifferente.
Non
ingrassava però in maniera significativa, suppongo per via della
costituzione assai scarna e della vita morigerata che altrimenti
faceva. Generalmente si accompagnava con la vedova Ciacconi Deborah,
che dalle foto direi stazzava almeno tre volte il peso di Gundel.
Conosciuta personalmente in seguito, ho constatato che era diventata
ancora più corpulenta. Di per sé la cosa era esagerata e io
gliel’ho sempre detto, alla signora Gundel, ma è una tradizione,
diceva lei, al mondo d’oggi le tradizioni morivano, secondo Gundel
e Deborah, in maniera ingiustificata e, a volte, perfino dolorosa e
straziante. Verso la metà degli anni 80, io suggerii che potevano
anche essere leggermente modificate, queste tradizioni, per esempio
rinunciare al grande vassoio delle patate fritte, che ne so, magari
alla peperonata, anche per vedere se e come l’incubo potesse
reagire. Gundel, invece, sostenne in modo oltremodo veemente che non
erano le cose buone della sua vita che lei voleva cambiare,
altrimenti non avrebbe avuto nessun maledetto bisogno
della mia consulenza, insomma, spendere dei bei soldoni e in più
sopportare le mie richieste assurde, che chissà perché poi erano
sempre le stesse eccetera, eccetera. Forse a quel tempo il nostro
rapporto poteva ancora essere interrotto, ma io non me ne resi conto,
magari avrei dovuto immaginare cosa sarebbe diventato in seguito,
solo che avevo molti meno clienti di ora e dovevo ancora farmi un
nome.
Ecco
i disgraziati fatti a seguire: dal 1959, durante la nottata della
mangiata, il sogno si manifesta senza variazioni, anche se il
ristorante dal 1978 si chiama Wiener Schnitzel, (Cotoletta alla
Viennese). Insieme alla gestione, la sua cucina è cambiata, dai
sapori mediterranei è passata, in un solo salto, a quelli
tipicamente transalpini. Tutto ciò che là dentro rappresentava
l’Italia, ora è svizzero-tedesco e non solo a livello nutrizionale
le differenze sono enormi. Però quell’incubo è di quelli
ostinati, non ne ha voluto sapere, né di latitudine né di
longitudine, né di razzismo, né di politica, né di differenze, né
di cambiamenti radicali, non solo puramente culinari ma
organolettici, tra l’olio d’oliva e il burro, tra la il pesce e
la cacciagione eccetera eccetera. Un incubo identico, sempre puntuale
e testardo fino ad oggi, non si è mosso di un millimetro. Questo,
tra l’altro, fece fallire la mia teoria di cambiare qualche portata
della mangiata, suggerendo che non era colpa di vivande e bevande, ma
piuttosto di un tipo di psiche, o, più probabilmente, della cronica
esasperazione di quest’ultima. All’epoca io scartai anche, forse
a torto, le creative ipotesi della signora Ciacconi Deborah: che
l’incubo avesse volontà propria, che ci fosse di mezzo il diavolo,
oppure qualcosa a che fare con i riti Voodoo, o qualcosa del genere.
La paziente rifiutava di ammettere a se stessa che lei impersonava il
protagonista (maschile) dell’avventura onirica in questione e
nemmeno con gli altri lo accettava, visto che alle mie insistenze ha
risposto a borsettate e pareva che là dentro ci fosse almeno un
mezzo chilo di piombo, però tritato, come se fossero pallini di
cartucce da caccia al cinghiale. Illustri studiosi, di questa
complicata materia, dicono che tutti i personaggi dei nostri sogni
rappresentano noi stessi. Mi permetto di dissentire, ho avuto modo di
riscontrare un buon numero di eccezioni, anche se, in questo,
l’immedesimazione con l’attore-cantante Schatzi Krügeli è
oltremodo evidente. Per esempio un mio cliente di Lucerna, importato
a Briga, non è nessuno, ma proprio nessuno, di tutte quelle persone
che gli appaiono in sogno; caso rarissimo. Una signora di Locarno
invece s’impersona solo negli animali, specialmente in quelli a
pelo lungo; un pakistano che vive a Gaaden si incarna preferibilmente
in grossi oggetti, come nelle cucine componibili di determinate
marche nazionali, che per quel che se ne sappia non hanno niente a
che fare con la sua routine di vita. La mia interpretazione,
comunque, rivista e corretta anche attraverso pareri di colleghi
illustri, parla chiaro e forte: è proprio lei, la signora Gundel,
donna scura e magra originaria della Basilicata, più esattamente di
Morano, che nel sogno diventa uomo pallido, grasso e svizzero, di un
cantone che qui non posso citare, ma, per un’apparente strana
coincidenza, notoriamente assai razzista nei confronti dei
meridionali italiani. È evidente che si sente in colpa per qualcosa,
però non anticipiamoci, ecco la trama:
“Un
tale entra in un bar dove l’unico cliente è, per strana
coincidenza, proprio Schatzi Krügeli, cantante svizzero degli anni
sessanta, abbastanza famoso in patria, aldifuori della quale è
conosciuto solo nei paesi di lingua tedesca, per la sua verve e
simpatia, nonché oggetto di articoli di riviste di pettegolezzi, in
più appassionato mangiatore di funghi e formaggi alpini. Là dentro
Schatzi, seduto, legge un giornale svizzero tedesco, Der Wilhelm Tell
(Il Guglielmo Tell) di Berna, con aria mezzo addormentata, sul tavolo
un bicchiere di liquido che, giudicando dal colore e dal tipo di
bicchiere caratteristico, potrebbe essere un generoso cognaccone,
spicca una punta di sigaro all’angolo della bocca, mezzo spento,
dietro il banco non c’è nessuno. La cosa pare strana, visto che il
cantante, vivo e vegeto nei primi otto anni del manifestarsi del
sogno, poi, si era ritirato dalla vita reale e terrena, in seguito a
un scontro frontale in motocicletta , durante una gita per le colline
Senesi, con una mucca di razza Chianina.( In seguito anche alla
povera bestia innocente provocò emicranie e problemi vari al latte a
venire.) La storia prosegue con l’entrata di una robusta cameriera
che ha tutta l’aria di essere Schatzi Krügeli con una parrucca
platinata alla Marilyn Monroe, ma senza privarsi dei suoi
caratteristici baffoni spioventi, il quale (o la quale) lo guarda
esterrefatta (invece a rimanere stupito doveva essere lui, che poi
sarebbe una lei: la Gundel Tropea mia paziente). Ecco che, quasi
contemporaneamente, un poliziotto alquanto corpulento fa il suo
catastrofico ingresso nel bar, incespicando nella soglia proprio come
avrebbe fatto Schatzi Krügeli, in una delle sue famose commedie
musicali. Cade, distrugge un tavolino e i bicchieri che c’erano
sopra vanno a fracassarsi e i vetri a spargersi tutto intorno sul
pavimento. Da terra alza faticosamente il capoccione e... indovinate
chi è? In un angolo c’è una televisione in bianco e nero, il
presentatore del telegiornale, anche se più austero degli altri,
dotato di occhiali a fondo di bottiglia, è ancora una versione,
maldestramente cammuffata, di Schatzi Krügeli. Il tale comincia a
sentirsi soffocare e va in bagno. Dopo aver vomitato senza economia
di effetti sonori, si asciuga con una cinquantina di salvietti di
carta, si bagna le tempie e il collo e mentre si guarda allo
specchio, si accorge di essere anche lui un ennesimo clone dell’ex
attore e cantante svizzero. A questo punto il finale del sogno:
l’uomo o Schatzi, se volete, si spara in gola tutte le merendine
esposte al banco colla loro confezione di cellophane trasparente e
tutto, coll’evidente intenzione di farla finita con quell’ignobile
farsa.”
Da
notare che la signora non ha mai gradito le merendine, secondo lei
piene di conservanti, per non parlare della plastica, che non è
affatto l’alimento ideale, anche per un coriaceo essere umano come
lei. Al termine dell’incubo la mia paziente si sveglia e per
qualche giorno non beve e non mangia. Ossessionata e indebolita, poi,
dal suo stesso comportamento, si sente colpevole, esattamente per
giorni sette. Poi comincia a voler fare qualcosa per cambiare, viene
di nuovo da me, sembra risoluta a dire un basta definitivo a quella
storia. Intanto la data fatidica si avvicina e quando è il giorno
prestabilito, che coincide con il suo giorno di paga, non sa
resistere e fa esattamente quello che il ciclo, iniziato
quarantaquattro anni fa, ancora le impone.
Effetti
collaterali
La
signora Gundel, col passare del tempo, conoscendomi sempre meglio,
rifiuta di essere scaricata ai miei colleghi psicologi, psichiatri e
così via discorrendo. Visto che il caso non si risolve, ho pensato e
detto, inutilmente, di provare con alcuni di loro, ma la sua reazione
è stata, come sempre, impulsiva e inclemente, anche se devo dire
che, quando usciamo dal pronto soccorso, lei si scusa sempre con me e
pare sinceramente pentita. Intanto è diventata sempre più violenta
e le sue borsettate fanno sempre più male, sia alla mia coscienza
professionale e pubblica, che alla mia cervice casalinga e privata.
Non sto esagerando, ho qui documenti che attestano che ho sofferto di
una commozione cerebrale e soffro periodicamente di emicrania
nervosa, che si manifesta principalmente al primo del mese... e, cosa
rara, anche quando lei non mi colpisce, i sintomi si presentano
ugualmente.
Flashback
La
signora Gundel aveva amato il cantante quando era giovane, lo aveva
conosciuto allo Sparviero, o Casa del Liscio di Ripafratta, provincia
di Pisa, poi, in una notte di ballo in riva al fiume Serchio... e di
qualche bicchierino in più, lo aveva abbracciato e baciato, senza
alcun preavviso. Lui era fuggito strillando appena aveva potuto
divincolarsi, ma poi era ritornato a lei, magari perché aveva dei
rimorsi, lei forse gli piaceva e/o nella lotta precedente gli era
caduto il portafogli. Tutti l’avevano presa in giro perché lui
aveva un comportamento da finocchione, da notarsi il nome Schatzi (in
tedesco tesoruccio). Visto nelle foto dell’epoca, lui ricordava una
cicciona con i baffi, la signora invece pareva e pare sempre di più
un corvo con un vestitino floreale e con gli occhiali. Da non
trascurarsi: che, se lui era una mezza donna, lei era un mezzo uomo,
sarebbe stata, quindi, da considerarsi una coppia ben assortita, che
si sarebbe, forse, completata reciprocamente, se solo ne avesse avuto
l’occasione. Certo, il principio di baffi della signora Gundel era
ed è un’evidenza, oltre che un eufemismo. In lunghezza peli
dall’uno ai tre centimetri, a seconda dell’ora del giorno alla
quale la si possa incontrare e misurarglieli. Non che lei non si rada
ogni mattina, ma secondo le sue stesse parole: quelli
crescono come fottuti, pur contro la mia volontà e liberi al vento
se ne vanno.
L’amore
durò poco, comunque, magari per un insieme di coincidenze
sfortunate, infatti, appena recuperato il portafogli, lui si
volatilizzò. Dicono che fu visto, pochi giorni dopo, tra le braccia
di un macellaio torinese di origine tarantina, piuttosto
esageratamente peloso, sulle rive del fiume Lambro, nella periferia
di Milano. La signora aveva manifestato più volte la speranza di
ritrovare il cantante svizzero, per poterselo finalmente sposare.
All’occorrenza avrebbe anche chiuso un occhio, non doveva essere
necessariamente un attore o un cantante, le sarebbe andato bene anche
un ragioniere, o un assicuratore, o a limite anche un impiegato
dell’anagrafe. La vita spesso è beffarda e lei si è conformata al
suo destino di sposare, invece, la causa del Partito dei Pensionati,
in quanto più meritevole e di immediata urgenza in vista di una
temuta riforma previdenziaria alle porte e della sua vecchiaia
personale e incipiente. Dopo questo necessario flashback e alcune
puntualizzazioni ecco la mia interpretazione:
La
signora Gundel si sente in colpa per due cose: essere una mangiona
anche se fondamentalmente periodica ed essere piuttosto mascolina.
Alla prima cosa aveva reagito, facendo delle ingiustificate diete
martirizzanti, ma questo aveva peggiorato l’altra colpa: quando
dimagriva i baffi e la peluria crescevano di più. Grassa non era mai
stata e le sue due uniche opzioni erano magra e magrissima, quando
ingrassava, perciò, diventava magra, ma si trattava al massimo di
due o tre etti in più. Nel sogno ritrovava Schatzi come aveva sempre
voluto, ma la sua ossessione gli serviva uno scherzo: tutti i
personaggi del sogno si tramutavano in un sosia dell’abbondante
cantante svizzero, finché lei stessa, sotto le sembianze del
protagonista, diventava un ennesimo Schatzi Krügeli. Nel suo
effimero amante lei aveva sempre ammirato soprattutto il fatto di
essere il contrario di lei, una donna mascolina, cioè un uomo
effemminato e che non si faceva affatto una colpa della sua passione
smodata per i latticini montani e per i profumati funghi di bosco.
L’assalto alle merendine si spiega come una ribellione, sì, ma
anche una presa di coscienza finale, per dare sfogo a tutto il suo
istinto goloso, visto che le sembrava evidente che l’eccessivo
manifestarsi della sua parte mascolina non aveva soluzione possibile
e che, in fondo in fondo, poteva permettersi di mangiare, perché non
era per niente grassa. Il passo successivo sarebbe dovuto essere
spiegarle che era omosessuale, che avrebbe vissuto meglio facendosi
carico di quella realtà, rimastale nascosta fino a quel momento, ma
considerate le precedenti botte, non trovo il coraggio di dirglielo.
Ho comprato un caschetto giallo da cantiere edile, mi sto preparando
davanti allo specchio. So che devo farlo, ho il dovere morale di
dirle la verità, la mia credibilità professionale lo esige, ma
anche la mia salute, non solo quella mentale. Potrei accennarglielo
per telefono oppure per e-mail, chissà che non ci sia anche un fax
dal sarto dove lavora.
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