Una festa in giardino a Ribeirão Preto, stato di S.Paulo.
Lei aveva stampato in faccia: giammai-la-darei-a-chi-possedesse-meno-di-un-milione. Ancheggiava come se ogni centimetro del suo corpo le imponesse una dimostrazione di sensualità che separava maschi e femmine, tra desiderio e invidia.
Sorrideva senza guardare nessuno, assai oltre la gente, sondava l’infinito nebuloso cercando la sua preda, che chissà come era riuscita ancora a sfuggirle.
La festa era scoppiata, i dialoghi nascosti dalla musica alta erano frasi sentite dire, recitate con gli stessi toni di quelli che le avevano dette e anche loro le avevano copiate da altri.
Abbronzato e dai capelli scolpiti dal gel, lui era un allevatore di bovini di grande successo, ma con una faccia di chi ha eternamente qualcosa di marcio in bocca.
C’era anche un baffettino ubriaco, con una maschera senza buchi per gli occhi, vagava con le braccia stese avanti, improbabile moscacieca.
Pareva che nessuno lo conoscesse, oppure che lo conoscessero fin troppo bene.
Si trovò tra le mani le propaggini più ambite della festa, proprio all’altezza giusta e lì si bloccò, in ‘trance’.
Ricevette in premio un cazzotto dall’allevatore che lo fece volare, poi fu buttato fuori.
Lei ringraziò il suo salvatore, finse di non averlo riconosciuto.
Poi si scoprì che l’ubriaco era il padrone di casa. Un occhialino più basso di lui, il segretario, diventò minaccioso con i buttafuori. Subito dopo si scusò con il suo principale.
Secondo della fila, anche l’allevatore si scusò.
Si scambiarono civilmente i biglietti da visita.
Lei si sentiva strana, il suo sorriso diventò sincero, forse troppo.
Lui corse a prenderle un’oscena caipiroska.
Lei se la rovesciò in gola, lui l’aiutò ad asciugarsi i parapetti allagati con un tovagliolo.
E l’amore stava già trionfando.
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