23 di dicembre, Londra, un orientale dagli occhi a mandorla entra in una grande e antica libreria. È vestito come un disinvolto gentiluomo inglese del passato, con basette a cespuglio, bombetta, vestito nero e bastone.
Dopo aver salutato, chiede cortesemente ad uno dei commessi:
"Buon uomo, giacché per il Santo Natale si usa far dei regali ai conoscenti più intimi, eccomi qua. Amo la cultura e le lingue, quindi vorrei vedere un dizionario di lingua cambogese, se ne aveste per caso uno. Mi hanno detto che questa è la miglior libreria della città, in questo ramo assai ramificato delle lingue. Se così posso esprimermi."
"Certo signore, glielo prendo subito, signore. E se Lei mi perdonasse, le farei anche una piccola puntualizzazione: credo che si dovrebbe dire Cambogiano. Signore."
"Ah sì? Scusi tanto la distrazione. Ah, già che ci siamo, vorrei anche dare un occhiatina ad un'eventuale grammatica Tailandiana, se possibile."
"Senza problema alcuno, signore, ma, con tutto il necessario rispetto, qui dalle nostre parti, si direbbe Tailandese, se mi consente."
"Ma un guarda un po', oggi ho la testa proprio tra le nuvole, la ringrazio per la sua correzione, mi sarà senza dubbio preziosa. Si figuri che normalmente io sono per la massima precisione. Ma per puro amor di cronaca, vorrei chiederLe, se Lei mi permette, solo una cosa: prima ho detto Cambogese e Lei mi ha corretto, dicendo che si dice Cambogiano, io ne ho preso atto e alla nazionalità seguente ho approfittato della sua precedente e giustissima modifica e ho detto subito Tailandiana, per non correre inutili rischi, Lei mi capisce, ma Lei sorprendentemente non ne è rimasto per niente soddisfatto e mi ha corretto ritornando inspiegabilmente al mio originario ‘ese’ dichiarando che si dice Tailandese .
Ora io La pregherei cortesemente di decidersi e così la facciamo finita senza perdite di tempo, che ne dice?"
Il commesso rimane esterrefatto, ma in quella tipica e flemmatica maniera inglese in cui una faccia di sorpresa è perfettamente uguale ad una di gioia o di rabbia, ma l'unica differenza è che gli ci vuole qualche secondo in più per articolare una risposta:
"Beh, il fatto è che in inglese si dice così, signore, non ne so nemmeno il motivo, a dire il vero, anche se ne posseggo la ragionevole certezza, vede, ho già avuto maniera di credere, in un passato assai recente, che all’origine di tutto ciò, sia stata una questione puramente linguistica, signore."
"Molto bene, lei ha perfettamente ragione, ma se io le dicessi che in Birmania dire 'inglese' è sbagliato e che piuttosto si dice, invece, 'ingliano'?"
"Senza dubbio, signore, suona anche meglio all'orecchio, direi, ma è, se lei mi consente, una pura e semplice questione di lingue.
Lei è birmaniano, quindi, un raro piacere parlare con un autentico birmaniano, qui a Londra, al giorno d'oggi, devo dirle, signore.
Però, essendo noi, in questo momento, in Inghilterra, purtroppo, noi dobbiamo o dovremmo dire: inglese, cambogiano, tailandese... sono solo parole convenzionali, signore, tanto per capirsi... ma, bando alle ciance inutili, ora Le vado a prendere i suoi due libroni. Signore."
Il signore orientale intanto rimane da solo a pensare. Riflettendo sulla situazione, gli pare proprio che quel commesso non sappia proprio farsi i fatti suoi, ma non può dargli la soddisfazione di mostrarsi irritato, proprio no.
Al ritorno del commesso, dopo aver dato un’occhiata distratta ai due dizionari e averli accantonati con un lento ma deciso gesto della mano, sospira pensieroso:
“La vita è proprio strana.”
Dopodiché, con aria perfettamente serena, dice:
“Molto bene.
Ah, a proposito, vorrei dare anche una breve occhiatina ad una bella grammatica svizzera. O magari sto di nuovo sbagliando, forse si dice svizzerese? O per caso svizzeriana?”
“No, signore, si dice proprio svizzera come Lei ha testè detto, giustamente e di primo acchito. Infelicemente, però, nel nostro caso presente, il problema è - o sarebbe - piuttosto un altro, ho motivo di credere... voglio dire, purtroppo mi risulta, che la Svizzera abbia tre lingue ufficiali, vale a dire il tedesco, il francese e l’italiano, più una non ufficiale, ma legalmente riconosciuta, cioè il Romangio, un dialetto italiano delle montagne, simile al Ladino.”
“No, no, no, Lei si sbaglia, stavolta, L’ho colta in fallo, il latino è una lingua morta, a quanto mi dicono, perciò non m’interessa, mi dia allora piuttosto le tre relative grammatiche delle prime lingue da Lei citate, cioè tedeschiano, italiese e franchiano, aggiunga una grammatica spagnese, salvo eventuali piccoli errori di pronuncia, se non ha niente in contrario, naturalmente.”
“Molto bene signore e... se mi permette osare la sfacciataggine di chiederle: i dizionari da Lei precedentemente chiesti e già visionati, li devo riportare in magazzino o Lei ha forse intenzione, in seguito, di considerarne l’eventuale acquisto?”
“No, li lasci qui, per favore, poi vedrò con calma quando, cosa e come, grazie.”
“Molto bene signore, torno tra un attimo.”
Il commesso sparisce di nuovo dietro le pareti altissime foderate di scaffali e di libri, intanto si è radunata una piccola folla che incuriosita inizia a fare domande al signore orientale.
Il birmaniano ben vestito risponde a tutti con calma e qualche impercettibile errore di lessico.
Al ritorno il commesso mostra sorridendo le quattro grammatiche e il signore le esamina con estrema flemma per pochi secondi, poi le ammucchia sui dizionari già visionati in precedenza.
Sospira e dopo essersi guardato attorno dice:
“Bene grazie, avrei alcune parziali riserve sulle edizioni da Lei propostemi, ma rimandiamo a dopo, ora, se Lei non ha niente in contrario, vorrei vedere, se lei in magazzino avesse per caso anche una grammatica della lingua cubese, può essere?”
“Certo signore, ma probabilmente Lei voleva dire Cubana, credo.”
“Ciò non è affatto rilevante, mi pare.”
“Solo per puntualizzare, signore.”
“Come vuole Lei, non vorremmo metterci a discutere per un’inezia lessicale, a questo punto.”
“No, certo, signore, ma se Lei mi consentisse un’altra insignificante ma assolutamente necessaria correzione, allora Le direi che a Cuba si parla lo spagnolo...”
“Ciò non ha la minima importanza, direi, non sia insistente, se ci si parlasse il chinese, a Cuba, allora vorrei una grammatica chinese, ammesso e non concesso che lei abbia sempre ragione ed io invariabilmente torto...”
“Ma, signore, trattandosi di lingua spagnola, la grammatica spagnola eccola lì, se mi permette l’ardire di farglielo notare, Lei la ha appena sfogliata e...”
“Molto bene, oggi non ho voglia di andare troppo per il sottile, l’importante è che ci si capisca, che si parli la stessa lingua, le lingue sono una confusione, una vera e propria Torre di Babele, se è che Lei mi comprende.
Mi porti una seconda grammatica spagnolese e finiamola lì.”
“Certo signore, nessuno più di me potrebbe condividere il suo pensiero; una grammatica spagnola differente da quella già vista o uguale?”
“Lei cosa mi consiglierebbe?”
“Beh, a mio parere la stessa grammatica sarebbe migliore, è una ottima grammatica, signore. Difficile batterla nel suo ramo.”
“Molto bene, una seconda copia di quella grammatica, allora.”
“Un attimo e sono di nuovo da lei, signore.”
“Faccia con comodo. Ma già che va in magazzino, che ne direbbe di acchiappare qualche bel libro dei verbi, se Lei ne avesse più di un tipo?”
“Libri di verbi? Sono giustamente la nostra specialità, signore. E di quale lingua li vorrebbe?”
“Scelga lei, vedo che è ben preparato.”
“Grazie, signore. Molto bene, quanti ne vorrebbe?”
“Facciamo una decina, per cominciare.”
Il colonialismo e la flemma inglese sono solo una metafora per far riflettere, in questo caso.
Si provi però un po’ a immaginare come sarebbe lo stesso dialogo tra un cliente albanese o etiope e un commesso italiano.
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