sabato 5 dicembre 2009

BACICCIA



Ore 15,30, ristorante Baciccia, nel centro storico del porto di Genova.
- Vedi Giovanbattista, tu lo sai, io sono un uomo assai fortunato, a parte le grandi soddisfazioni del mio lavoro e la gratitudine che sento per Dio onnipotente, che mi ha fatto nascere nel Nord Italia.
E non nel Sud.

Per giunta, e tu lo sai, come moglie mi sono scelto una piccola grande donna, con tutte le possibili ed auspicabili qualità che Dio comanda, in ordine d’importanza: lucana, povera, brutta, ignorante, antipatica e stupida, cogli anni, grazie a Dio, mi è diventata pure vecchia.
Bene, tu mi dirai, questo lo avevi giustamente e previamente calcolato, purtroppo però, tra tante qualità, la Mafalda ha sempre avuto una unica pecca: cucina benissimo.
- E allora tu perché te ne vieni qua? Per mangiare male?
- Ma per non ingrassare, no?
Giovanbattista e Berto si uniscono in una risata ad aumento progressivo che fa voltare incuriositi i pochi avventori rimasti.
- Intanto tu non puoi più umanamente ingrassare, sebbene a volte penso che tu sia diventato piuttosto disumano, non so come eri prima, ma da quando ti conosco...
Ti sei guardato allo specchio ultimamente?
No, non credo che esista uno specchio che possa contenerti.
Comunque secondo me puoi fare felice la tua Mafalda e rotolare a casa a pranzo perbenino e senza rischi.
Ma, con questo tuo discorso, mi volevi forse velatamente far capire che la qualità dei miei piatti è inferiore a quella delle pietanze di casa tua?
- Beh, sì. E lo è senza dubbio, ma questa non è affatto un’offesa, credimi, lei ha il vantaggio di cucinare solo per me, esclusivamente per me, si concentra totalmente sulla mia imponente figura.
Beh, magro non ero neanche prima, ma lei mi ha sfigurato.

Berto, più che un uomo, è un caciocavallo.
Una grande palla, per poco però ancora tendente all’ovale, con minime quanto patetiche e quasi invisibili cordicelle attaccate, che, secondo Giovan Battista, magari nelle sue intenzioni sarebbero le gambe e le braccia, poi una seconda pallina sopra, detta uovo sodo, che dovrebbe rappresentare la testa.
Il cappello ce lo mette sopra, per confondere le idee altrui, i vestiti hanno lo stesso scopo e le scarpe sono lì per una pura finzione decorativa, dice Giovan Battista.
Quest’ultimo invece assomiglia a un Ives Montand incrociato con un Sergio Castellitto, insomma: un Solfrizzi un po’ più grasso.
Con la camicia a righe sembra un ergastolano, dipende un po’ da quando si taglia i capelli corti o da quando se li fa crescere fino a misurare un centimetro, ma mai di più.
Il ristorante Baciccia è suo, il ristorato di ogni giorno, spesso diciamo pure anche eccessivamente, è  il conte Alberto Alvise Galdinio della Galdisera, proprietario dell’Istituto Araldico Marchese Vittorio Spreti, detto anche Il Berto Araldico.
Tra le mura di pietra antiche del Baciccia, i due siedono insieme ogni giorno, a scambiare idee sul mondo e sulla vita in generale, bevendo vino o caffè.
Non si sono mai trovati d’accordo su niente, se mai è successo non se ne è accorto nessuno, sì perché loro hanno interpretato fino in fondo i loro rispettivi personaggi, senza cedere di un millimetro.
In comune, oltre al gusto per la buona tavola e i relativi vini, hanno un conseguente strato di adipe, Giovan Battista non è magro, ma la sua notevole altezza lo fa sembrare più longilineo.
Berto è rotolato lì una ventina di anni prima per vendere una storia di famiglia al suddetto ristoratore, il quale da quell’epoca gli ripete ogni santo giorno che non gliene frega niente.
Da allora non si sono più separati.

La teoria di base di Berto è che la donna bella e l’uomo ricco, insieme non combinano, anche se è quello che succede di solito, almeno nel mondo.
Questa è la sua maniera di essere rivoluzionario.
La donna è troppo pericolosa quando è bella e simpatica, ricca e intelligente, per questo non ne esistono.
Sono paradossi umani, che tendono però, nella pratica, a diventare disumani.
Allora per mettersi le spalle al sicuro si deve cercare altrove, sua moglie Mafalda raccoglie nella sua esile persona un insieme di caratteristiche opposte a quelle già citate, eppure poco comuni, giacché normalmente separate.
Il suo unico difetto, secondo Berto è che cucina bene, che tende a concentrarsi sulla sua unica ma enorme persona, per farlo felice, in pratica rendendolo anche po’ infelice, ma la perfezione non è cosa umana, purtroppo.
L’essere umano tende ad esagerare, si fissa su qualcosa, sia alcool o droga, buona cucina o denaro, lavoro o ozio, medicine o prodotti che facciano bene alla salute.
Insomma s’infila in una storia, una qualsiasi, che gli dia un rifugio virtuale, che lo separi dalla realtà, troppo complessa per essere controllata.

Una discussione che viene fuori sempre, quando i due si trovano faccia a faccia con una caraffa di vino nel mezzo, è quella eterna e dolente del lavoro, contrapposto al tempo libero.
Sebbene nessuno dei due abbia molto tempo libero, Berto non lo vuole, ma a Giovanni Battista invece piacerebbe.
- Ma cosa mi dici mai? Il lavoro, caro mio, è necessario, lo scheletro della vita, o forse meglio direi il telaio dell’esistenza, come riempiresti le tue giornate, sennò?
- Tu riempimi il portafogli e io ti faccio vedere non solo come ne faccio a meno, ma anche che non ne sento la minima nostalgia.
- Tu dici così perché sai benissimo che tutto questo non ha nessunissima probabilità di succedere, ma dimmi piuttosto, illustre amico mio, cosa faresti senza il tuo amato ristorante?
- Il mio rapporto di amore-odio, gratitudine e senso di soffocamento, attaccamento morboso alternato alla grande voglia di scappare lontano? Lo risolvo facilmente, non vendo il ristorante, ma ci metto dentro uno che lo gestisce per me, poi, ogni tanto, ci vengo a mangiare, a bere, magari insieme a qualche esperto di araldica...
- E io non ci credo, se permetti.
Perché allora non lo fai adesso, che cosa è che te lo impedisce?
Esiti? Cincischi? Tergiversi? Lo vedi che non lo sai?
- Se tu chiudessi il becco per un secondo solo, te lo direi subito e in una parola sola: soldi. Cioè, ovviamente, la loro mancanza.
- Ma voi comunisti non dite che i soldi non sono poi così necessari, che si vive con molto meno, che crearsi una struttura attorno poi diventa una schiavitù?
- A parte il fatto che io non sono affatto comunista, sono appena di sinistra... anzi non ne sono nemmeno più tanto sicuro, viste le sinistre che ci sono in giro, più quello che ho capito del passato, sommato all’anacronismo moderno relativo... comunque in un certo senso hai ragione, dal tuo lato di privilegiato hai colto il nocciolo della questione, ma vedi, la struttura ormai ce l’ho e me la devo tenere, una struttura che si chiama Annina: mia figlia.
 Come tu ben sai, sono separato da mia moglie, che purtroppo non ha tutte le qualità della tua, disgraziatamente è sempre stata bella e ricca, intelligente e simpatica, quindi giustamente, come tu dici, pericolosa.
Vedi che ogni tanto sono ridotto a darti ragione.
In più ora ha scoperto, chissà come, che anche lei è di sinistra e dice che non ha più bisogno degli sporchi soldi di suo padre industriale e improvvisamente per mantenere Anna agli studi l’unico con i requisiti adatti sono io.
I miei soldi anche se pochi, sono stati rivalutati, perché sono puliti.
Certo, voglio bene a mia figlia, e pure assai, ma la vecchiaia sarebbe stata una roba differente, se non ci fosse stata lei.
Oppure, meglio ancora, se la mia ex-moglie, a cinquant’anni suonati, dopo avermelo usato come paragone imbarazzante per venticinque, non avesse mandato affanculo suo padre in malo, ma sicuramente meritato modo, proprio ora che la sua esistenza danarosa mi farebbe comodo.
Ecco che la mia vita sarebbe più facile.
Non posso fare a meno di notarlo.
- Eh sì eh, questa è proprio una roba storica. Le donne hanno sempre avuto una certa mancanza di tempismo...
- Forse. Non lo so. Anche se mi pare che separare il mondo in donne e uomini, per evidenziarne i pur forti contrasti, sia troppo semplice, Berto.
E tu sei sempre un manicheistico del cazzo.
Guarda che il bene e il male non sono mai stati separati, come dice la tua immobile chiesa, dal suo punto di vista arretrato di centinaia di anni.
I buoni e i cattivi sono sempre stati mischiati, e stranamente proprio dentro le stesse singole persone.
Ma come si fa a pensare ancora così?
Sarebbe tutto bianco o nero secondo te?
- Ma se ti ti ho detto mille volte che sono genoano. Non sono juventino, proprio mai stato.
-  È impossibile fare un discorso serio, con te.
- Non è proprio per questo che apprezzi la mia robusta compagnia?
- Vaffanculo.
Centellinano il vino Sassicaia con dovuta calma, il caminetto crepita, il locale è quasi vuoto.
- E quanto gli manca all’Annina per laurearsi?
- Bene. Diciamo che non ha fretta e che ha appena iniziato, ma il tempo qui non ha nessuna importanza, perché, dopo, tu pensi che la storia sia finita? Se si sposa, tanto per fare un esempio scemo ma possibile, con l’educazione consumista che mia moglie gli ha dato, mentre io qui mi sbattevo al Baciccia, ci vorranno dei fior di milioni, è figlia unica e non ha ancora capito, e come avrebbe potuto? Che i soldi non nascono sugli alberi?
- Ecco come siete, voi alternativi, gente di sinistra, snobbate il denaro, ma ne sentite sempre la mancanza, vi fa schifo, sì, ma ne parlate sempre.
Noi di destra, invece ce l’abbiamo, non ne sentiamo la mancanza e perciò non ne parliamo.
- Berto, amico caro, compagno di mille bevute di vino buono, non ti mando di nuovo affanculo, perché non voglio essere ripetitivo e poi mi costerebbe anche del fiato, fiato che invece mi serve per sopravvivere, alla grassa facciaccia tua e della destra nazionale... ma tu non dovevi andare a lavorare? Guarda che si è fatto tardi, eh?
- Vabbè ho capito, quando non hai più argomenti tu cambi discorso, me ne vado, me ne vado, amaramente deluso, ma proprio non mi resta che andarmene.
Ah, poi mandami il conto per e-mail.
- Sì, il conto te lo posso mandare per e-mail, ma i soldi io li voglio di carta filigranata, va bene?
Per curiosità, lo sai a quanto sei arrivato?
- Non sono affatto curioso. Non lo so e non lo voglio sapere, noi buona gente di destra non siamo per niente curiosi, in più non amiamo parlare di argomenti meschini come i soldi, tu ben lo sai, mandami piuttosto tutto il conto generale per e-mail, sarai saldato al più presto, ci vediamo.


Il giorno dopo, insieme ai soldi, Berto porta la storia del cognome Pezzotta scritta in gotico su un foglio di finta pergamena.
Giovanbattista prima mette i soldi in cassa e poi lo prende delicatamente per la mano, lo accompagna di fronte ad un quadretto piccolo, sul muro del corridoietto che reca alla toilette,  ma con una cornice antica.
Dentro una pergamena esattamente uguale a quella che l’amico gli ha appena orgogliosamente regalato.
- Tu non te lo ricordi, ma me l’hai data una decina di anni fa.
- Ah.
- Comunque grazie per il pensiero. E per i soldi. Vedi se la prossima volta mi paghi mese per mese, così non si accumula.
- Non ti preoccupare, non ti ho sempre pagato tutto?
- Sì, certo, anche se mai di tua spontanea volontà, poi io mi preoccupo, invece, non per la tua onestà, che tanto quella non sai nemmeno cosa sia, ma con tutto quello che mangi, bevi e fumi, magari un infarto... non dico di no, sarebbe un esempio scemo, ma possibile.
- Ecco, tocchiamoci le palle...
- Il difficile è riconoscerle però, tu stesso sei una palla, hai una testa perfettamente sferica, il tuo naso è una sorprendentemente rotondeggiante susina rossa...
- Vabbè, ho capito, ho capito, vado a sedermi che è meglio, fammi il solito misto di pasta, solo roba di terra, neh? E un assaggino di secondi senza pesce, né frutti di mare, lo sai, il medico me lo ha proibito, tutto senza contorno, a meno che non siano arrivati i funghi,  allora vai in abbondanza e varietà... insomma fai te.
- No. Ancora niente niente funghi. E chi è il tuo medico?
- Non lo conosci, si chiama...
- No, a pensarci bene questo non lo voglio sapere.

Nel corridoietto, accanto al quadretto con la storia della siciliana famiglia Pezzotta, un altro delle stesse dimensioni, con dentro un’altra storia:

Baciccia
Baciccia è un nome proprio di persona italiano maschile.
Origine e diffusione
Il nome è una derivazione ligure di [Gian-]Battista. Probabilmente proviene dalla pronuncia infantile della parola Battista. Il suo diminutivo è Bacicin. Viene anche abbreviato in Bacci.
Onomastico
Viene festeggiato il 24 giugno in concomitanza con quello di Giovanni Battista.
Curiosità
Baciccia (scritto come Bachicha) è un appellativo gergale con cui in Argentina vengono definiti gli italiani.
Scriveva Charles Dickens nel 1846 in Pictures from Italy, cap. 4: "In consequence of this connection of Saint John with the city [of Genoa], great numbers of the common people are christened Giovanni Baptista, which latter name is pronounced in the Genoese patois Batcheetcha like a sneeze. To hear everybody calling everybody else Batcheetcha, on a Sunday, or festa-day, when there are crowds in the streets, is not a little singular and amusing to a stranger."
Baciccia genovese
Baciccia era, e in parte è ancora, il diminutivo di un nome di persona molto diffuso a Genova: Giambattista o Giovan Battista , o anche Giobatta (spesso abbreviato G.B.).
In realtà indica una maschera raffigurante un popolano buontempone e gaudente. Spesso il Baciccia è evocato nel teatro dialettale (incluso quello di Gilberto Govi).
Ad un Baciccia - o meglio, ancora, ad un Baciccin, è dedicata una popolare canzone genovese: "Baccicin vattene a ca' - to moae 'a t'aspeta" (letteralmente: "Baccicin torna a casa - tua madre ti aspetta")
Baciccia blucerchiato
Baciccia è anche il nome del marinaio rappresentato nel logo della squadra di calcio genovese U.C. Sampdoria.





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