Mi chiamavano 'il diavolone', sia per il mio viso affilato e la barbetta a punta, sia per la mia statura notevole, ma anche per la mia personalità forte, la bestemmia agile e mitragliata, giacché mi facevo largo deciso, in ogni situazione, se necessario gridando i miei diritti.
Lavoravo alla radio come disk-jockey, oppure in discoteca, o portando i bambini a scuola con un minibus.
Guidavo come un pazzo e loro si divertivano, ma non ne è mai morto nessuno, nemmeno feriti o prigionieri.
All'ospedale ci sono rimasto dei mesi, non mi ricordo neppure quanti, ma tanti.
Le complicazioni si sono lentamente quasi risolte, ma quell'inattività, quell'impossibilità di fare qualsiasi cosa mi aveva già cambiato.
Normalmente la gente entra in un tunnel e non pensa nemmeno di uscire dall'altra parte, ma non solo è possibile, è perfino auspicabile.
Ci vuole una botta forte, per fermarsi un po', per guardare finalmente con distacco la propria vita, per capire se ci piace o no.
Quell'incidente di motocicletta forse fu provvidenziale, chi lo sa, certo che il mio percorso terreno, senza quello, sarebbe stata assai differente.
A trent'anni la mia esistenza da un momento all'altro cambiò, nel giro di pochi mesi i miei genitori erano morti in un incidente aereo ed io mi ero spaccato buona parte delle ossa uscendo fuori strada e andando a battere contro un pilone di cemento.
Ecco che, per uno strano gioco del destino, quello che era stato prima, improvvisamente non c'era più...
L'ho divorato tutto in un fiato, veramento bello e pieno di significato
RispondiEliminaMaria - Pavia